Come abbiamo appena visto, Elia in persona sorveglia sulla pratica fedele della circoncisione e in quanto angelo dell’alleanza egli completa l’alleanza di Abramo mediante un’adozione filiale. Eliseo assicura la continuità della catena profetica elianica sulla terra. In quanto profeta, egli assicura la fedeltà all’alleanza della parola. Phinekhas custodisce il segreto di un sacerdozio perpetuo che fu acquisito grazie al suo ardente zelo. Egli è il depositario dell’alleanza della pace. Ma la virtù di Elia assume direttamente anche un’altra funzione. A questo proposito, Sholem aveva provato l’esistenza di fonti scritte che menzionano alcune personalità storiche che avevano giocato un ruolo determinante all’origine della qabalah medievale “alle quali il profeta Elia si sarebbe rivelato, vale a dire che avrebbero beneficiato della trasmissione di misteri celesti di cui la tradizione sino a quel momento era all’oscuro, e che sarebbero pervenute loro come rivelazioni celesti”. Per comprendere la reale portata di queste rivelazioni bisogna sapere che “il profeta Elia, per il giudaismo rabbinico, è il guardiano della tradizione sacra”. Elia non è dunque “una figura marginale di cui si è potuto supporre che potesse comunicare o rivelare qualsiasi cosa che fosse in contraddizione fondamentale con la tradizione”. Ne segue, se noi accettiamo l’interpretazione leggendaria delle origini che “una tradizione che si riconosceva come proveniente dal profeta Elia faceva dunque parte, per la coscienza del fedele, del corpus delle tradizioni del giudaismo, anche se veniva apportato qualcosa di nuovo, e nessun sospetto di influenza straniera o di tendenza eretica poteva sfiorarla. Non è dunque strano constatare che nelle grandi svolte della mistica ebraica, proprio dove emerge del nuovo, ci si riferisce in maniera costante a delle rivelazioni del profeta Elia. Intesa in questo senso, la “tradizione” non aveva solamente ad oggetto degli insegnamenti trasmessi sulla terra e lungo la storia, ma anche delle dottrine ricevute dall’alto della “Casa celeste degli Studi". In somma, accanto all’aspetto orizzontale che collega il momento presente della tradizione alla rivelazione del Sinai ed alle eredità dei patriarchi, bisogna tener conto anche di un aspetto verticale che rende possibile in ogni momento una riattualizzazione della tradizione in una forma sino a quel momento sconosciuta. È bene ricordarsi che secondo l’insegnamento talmudico che è abbellito ed ampliato nello stesso Zohar, Rabbi Shim’on bar Yohai dovette nascondersi e vivere ritirato in una caverna, completamente isolato dal mondo per dodici anni, durante la persecuzione dell'imperatore Adriano in Palestina. Al termine di questo ritiro forzato, il profeta Elia gli apparve e gli annunciò la morte dell’imperatore e la fine della persecuzione. Egli lasciò subito il suo rifugio ma, dopo aver constatato che la gente della sua generazione trascurava lo studio della Torah, ritornò nella caverna e vi trascorse ancora tredici anni. È durante questo secondo periodo di tredici anni che il profeta Elia gli rese visita regolarmente, due volte al giorno, affinché essi studiassero insieme la Torah. Il profeta gli rivelò il senso spirituale e nascosto della Scrittura e sono queste rivelazioni che costituiscono la dottrina sostanziale dello Zohar, se noi accettiamo l’interpretazione leggendaria delle origini di quest’opera quale che possa essere la parte concessa al redattore del tredicesimo secolo, Mosè di Lione. Le rivelazioni di Elia sono continuate dopo la diffusione dello Zohar. Si ammette che il grande rinnovatore della qabalah nel sedicesimo secolo, Isacco Luria (1534-1572), aveva regolarmente beneficiato delle nuove rivelazioni del profeta. Secondo Hayim Vidal, il capo incontestato della linea luriana, non solo tutti gli insegnamenti del maestro erano stati ricevuti dal profeta Elia, ma Isacco Luria “mise in guardia contro tutti i cabalisti che erano vissuti tra Namanide (metà del tredicesimo secolo) e lui stesso, poiché il profeta Elia non era apparso loro e i loro scritti sono basati solamente sulle percezioni e l’intelligenza umane, e non sulla vera qabalah”. Isacco Luria pretese di detenere inoltre l’interpretazione autentica dello Zohar giustamente grazie agli insegnamenti che egli deteneva per mezzo delle rivelazioni di Elia. Questa notevole familiarità del profeta Elia non si limita solamente al rituale della circoncisione ed alle case di studio dei saggi. Agli uomini pii egli appare nelle più disparate circostanze, al mercato, sulle vie, nelle loro case. Importanti tradizioni religiose, ed anche un’intera opera midrashica, vengono attribuite al suo insegnamento. Bisogna notare che particolarmente nel diciassettesimo secolo il profeta Elia godeva di una vasta popolarità anche fuori dal giudaismo, e la sua virtù fu sollecitata per nuovi bisogni. Per esempio, nel 1655 il profeta si impegna a far cessare un’epidemia che decimava gli abitanti del regno di Napoli, a condizione che i Napoletani riparino la chiesa in rovina che gli è dedicata. Nel 1656, sempre nell’Italia meridionale cattolica, la città di Capua adotta il profeta Elia come patrono e subito la peste che devastava la città si placa. Verso la metà del secolo ad Anversa, Abramo von Diepenbechk e Adriano Lammelin illustrano su quaranta tavole incise la vita, i miracoli ed il culto del profeta, offrendo un’iconografia completa con dei dettagli che cui attingono la loro ispirazione dalle tradizioni orali poco conosciute. Presso gli ortodossi russi, a Jarroslawl, i celebri affreschi della chiesa del profeta Elia furono realizzati nel 1681. In Olanda, paese calvinista, l’immagine del profeta Elia nutrito dai corvi serviva da insegna a numerosi alberghi. Il nome di Elias Artista ritorna spesso negli scritti dei medici e degli alchimisti dopo la sua messa in circolazione nel diciassettesimo secolo nella letteratura pseudo-paracelsiana, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, nel corso della Guerra dei Trent’anni. A partire da questa data, l’attesa della venuta del profeta si intensifica negli ambienti colti. Quando Francesco-Mercurio van Helmont pubblica le opere di suo padre, nel 1648, egli richiama nella sua introduzione l’opera che suo padre “callebat expectabatque praesentem adventum Eliae Artistae, quem desiderabat afflictim”. A Dresda, Helvetius pubblica nel 1667, il Vitulus Aureus che riferisce il dialogo dell’autore con un visitatore straniero che il lettore capisce più tardi essere in realtà Elias Artista. Johann Rudolph Glauber edita un opuscolo ad Amsterdam nel 1668, ornato da un titolo prolisso che in fin dei conti è un manifesto delle speranze scientifiche e terapeutiche del momento e che recita pressappoco così: “De Elias Artista, cioè: come sarà Elia Artista, che riformerà o migliorerà il mondo, quando sarà venuto? È inteso che si tratta della vera Medicina spagirica degli antichi filosofi egiziani che è persa da mille anni, che egli introdurrà di nuovo, che rinnoverà e illustrerà magnificamente mediante nuove invenzioni; distruggendo le inutili contraffazioni, egli apporterà un metodo più diretto e più efficace, a colpo sicuro più facile ed anche più economico, al fine di giungere alla buona Medicina di cui darà la dimostrazione e che sino ad ora resta nell’errore”. Il gioco delle lettere Elias Artista et salia artis riassume il seguente programma: “Elias Artista” verrà e porterà “anche i sali per l’arte”. È dunque convinzione dei medici e degli alchimisti di questo periodo che la nuova medicina sarà il frutto dei ghiluiy Eliahu, benché l’espressione ebraica e il suo uso talmudico fossero probabilmente loro sconosciuti. |