Introduzione

Dopo la “Qabalah di Aleph”, presentiamo la Qabalah della lettera Hé H la quinta dell’alfabeto ebraico. Passiamo direttamente dall’Aleph alla Hé per le ragioni seguenti:

 

1 - Non siamo sicuri di disporre dei mezzi necessari per editare un lavoro per ciascuna delle ventidue lettere di questo alfabeto. Desideriamo quindi dare, la priorità alle lettere essenziali, le più cariche di contenuti divini. E la Hè H non lo è meno della lettera Aleph A.

 

2 - In realtà, la Hè H ha strette analogie con la lettera Aleph A. Nella “Qabalah di Aleph” ne abbiamo già fatto allusione. La lettera Aleph A è contenuta nella lettera Hè H.

 

La Hè si scrive nella sua plenitudine AH: il che testimonia come la funzione di Hé H, lettera che espone grammaticalmente il femminile, sia quello di manifestare la Aleph A.

 

Comunque la maggior parte di questo scritto è consacrato al nome divino Élohïm OYHLA in quanto la Hè H ne è la lettera centrale, la più importante.

 

Essa opera la congiunzione tra i suoi due termini estremi ed opposti LA AeL e OY Y-M.

Questa funzione congiuntiva e relazionale si giustifica con il fatto che: Hé =1+5= 6= W Vav). 

 

Più esattamente essa le crea e le fa esistere. La Qabalah del nome Élohïm ci rivela che Dio crea l’uomo e che l’uomo crea Dio, ma senza la Hè Dio e l’uomo non esisterebbero. La Hè è dunque la Realtà della Creazione. Con la Hè, il femminile si trova rivalutato al di sopra di ogni cosa: e di Dio, e dell’uomo e dell’Universo, che senza questa lettera rimangono delle idee, delle astrazioni, delle irrealtà.

I testi sul nome Élohïm sono divisi in tre parti:

 

RICERCHE E STUDI CABALISTICI SUL NOME Élohïm

 Si tratta della nostra personale Qabalah, creativa. Essa è costituita da sette studi:

Cinque datano fine anni cinquanta e inizio anni sessanta; due sono più recenti (il primo e il sesto).

- Il primo è una breve lettura cabalistica del nome Élohïm, che rivela il significato del suo movimento.

- Il secondo è un piccolo testo pubblicato sul numero 4° dello “ALBERO DELLA VITA” nel 1966, che riassume e preannuncia i seguenti.

- Il terzo è un modesto lavoro che tenta di dimostrare che l’Uomo è contenuto nel nome di Dio e che lo completa.

- La quarta è la rivelazione personale che abbiamo avuto del nome Élohïm e che abbiamo esposto nel cenacolo di Carlo Suarès nel 1958. Vi operiamo una sintesi della neo-Qabalah di Suarès e quella classica. Questo saggio era stato accolto con favore dal Maestro e dagli altri membri del circolo. E noi stessi, venti anni dopo, ci siamo sorpresi del valore e della forza di questo lavoro, della sua perfezione; ai nostri occhi, non necessita di alcuna correzione.

- La quinta riprende e sviluppa con maggiore vigoria e originalità i temi della precedente con diverse letture cabalistiche del 4° versetto del II capitolo della Genesi:

“Ecco le generazioni della terra e del cielo quando essi furono creati il giorno in cui Yhvh-Élohïm fece una terra e dei cieli”.

Dimostriamo che tutte le concezioni a proposito dell’esistenza di Dio possono trovare le loro referenze in questo versetto che le sintetizza: Teismo, ateismo, panteismo. Questo studio è assolutamente inedito, non è stato mai pubblicato né esibito.

- La sesta mostra il carattere femminile e materno del nome Élohïm.

- La settima serve da transizione con la parte seguente poiché è il commento di un testo dello Zohar che ci informa che Dio si rivela indifferentemente a ciascun uomo secondo l’apertura del proprio spirito, e della propria intelligenza spirituale. É questo il motivo per cui appare multiplo e il suo nome è espresso al plurale.

Dio è UNO, ma egli ha tanti aspetti quanti sono gli uomini. Dio racchiude l’Umanità intera.

 La parte che segue è composta di:

BRANI DELLO ZOHAR

Servono da riferimenti alle idee espresse nei nostri studi al fine di convincere il lettore che non si tratta di elucubrazioni, ma di valutazioni, di sviluppi, di insegnamenti dei più grandi maestri della mistica ebraica.

É il metodo che abbiamo usato anche negli altri nostri lavori.

I tempi pre messianici, nei quali viviamo, preannunciano l’universalizzazione della Qabalah, conformemente al testo dello Zohar I,118a.

Da qui l’ultima parte:

ANALOGIE CON AUTORI CRISTIANI

Come per la “Qabalah di Aleph” vogliamo, qui, dimostrare che la Qabalah è una tradizione universale, che esistono Cabalisti anche in nazioni, al di fuori di Israele storico, senza che questi ne abbiano la minima consapevolezza, senza aver letto mai alcuna opera di Qabalah, senza che conoscano una sola parola di ebraico.

Innanzi tutto citiamo dei filosofi religiosi russi: Simon Frank, Léon Karsavine, Serge Troubetskoi, Nicolas Berdiaev, a proposito dell’insegnamento che il nome di Élohïm è lo schema della relazione Dio-Uomo, Dio-Universo, che il nome di Dio non è completo senza la Creazione.

Reputavamo, negli anni sessanta che, tra tutti, soltanto i teologi russi avevano penetrato il segreto del nome divino, l’essenza della divinità, secondo la Qabalah ebraica. Ma successivamente, abbiamo scoperto altri autori cristiani, che hanno espresso senza saperlo puri concetti cabalistici. É specialmente il caso del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno.

Per questi autori, come per i cabalisti ebrei, non solamente Dio crea l’uomo, ma l’uomo crea Dio. Esso non esiste per chi gli rifiuta la creazione. E il peccato di ateismo non è di non credere nell’esistenza oggettiva di Dio, per mancanza di prove razionali, ma di non volere che Dio esista nel proprio cuore.

Dio ha effettivamente bisogno dell’uomo per esistere, per nascere in questo mondo, e questo non può farsi che per l’atto di amore verso di lui, e non per dei colti ragionamenti. É l’esistenza dell’Amore che prova l’esistenza di Dio, perché è in Dio che l’Amore trova la sua perfezione. L’ateismo segna un limite, una imperfezione, per non dire una mancanza, dell’Amore umano. Senza dedicarsi a Dio, l’Amore è praticamente inesistente, come la nostra contemporaneità de-spiritualizzata e materialista ad oltranza, può testimoniarne la triste e dolorosa esperienza. Dio è morto, ha proclamato Nietzche. Ma l’Amore con lui. Dostoievki aveva ben compreso che l’amore puramente umano è impossibile. Un essere ridotto semplicemente alla sua dimensione umana o animale non può sollecitare l’amore. É il divino nell’uomo che suscita l’amore.

Nella nostra conclusione poniamo un quesito inatteso: L'ebraismo è una religione monoteista? I nostri lavori sul nome di Dio in ebraico ce ne fanno dubitare. Per quale motivo i fondatori della religione monoteista avrebbero indicato Dio nel testo sacro con un nome al plurale? Avrebbero, al contrario, evitato tutto ciò che potesse fare allusione ad una pluralità di soggetti divini. Il monoteismo è in verità una idea, una parola greca, che è estranea al pensiero e al vocabolario ebraico. Sono i filosofi che hanno fatto del giudaismo un monoteismo, senza rendersi conto che un Dio monoteista non può che essere che un Dio mostruoso: spirito disincarnato, non è toccato da tutto ciò che è umano, benché sia responsabile della sua creazione, quindi anche del male e della sofferenza che vi regnano. Purificato da ogni attributo antropomorfico, è al contrario un Dio sociomorfico e cosmomorfico. Tanto ingiusto e crudele quanto le leggi spietate della natura o i tiranni che governano i popoli. Un dittatore è sempre un dio unico, un onnipotente, al quale nessun altro uomo può essere comparato. Berdiaev aveva ragioni da vendere quando scriveva che non esiste peggiore idolatria del monoteismo puro. É un Dio che non ha nulla di umano e che per questo stesso motivo, è l’essere più ingiusto che ci sia.

Un rabbino filosofo e anti cabalista accusava i Cabalisti ebrei di essere uguali ai cristiani: essi credono, diceva, non all’esistenza di tre persone divine, ma a dieci. É vero, e ne siamo fieri.

Ma l’idolatria non è dalla parte in cui pensa di trovarla questo avversario della Qabalah.

Il nostro Dio, per noi Cabalisti ebrei, il Dio di Israele, è un Figlio (Tiphereth, il Santo, benedetto egli sia) che ha una Sposa-Sorella (Malcouth, la Shekhinah) (le nostre anime nascono dalla loro unione, dai loro amori, dalle loro relazioni coniugali) e un Padre (H’cmâ) e una Madre (Binâ).

É un essere collettivo, un gruppo, una famiglia che rende possibile l’Amore, che, per definizione, esige almeno due persone.

 

Il nostro Dio, per noi Cabalisti ebrei, in cosa si differenzia effettivamente da quello del cristiano Miguel de Unamuno, che scrive:

 

“Più si ha personalità, ricchezza interiore, coscienza di gruppo, meno brutalmente ci si separa dagli altri. E il Dio rigido del deismo, del monoteismo aristotelico, l’ens summum, è un essere nel quale l’individualità, o meglio la semplicità estingue la personalità. (...) Questo Dio manca di ricchezza interiore, non è una collettività interna a lui stesso. Ed è quello a cui ha ovviato la rivelazione vitale con il postulare la Trinità, che fa di Dio una collettività, che fa di Dio un gruppo, ed anche una famiglia in se; e non soltanto un puro individuo. Il Dio della fede è personale; è una persona, perché include tre persone, e che la personalità isolata non comprende. Un individuo isolato cessa di essere una persona. In effetti, chi amerebbe? E se esso non amasse non sarebbe più una persona. Non potrebbe amare se stesso, restando unico e senza duplicarsi per Amore” [1].

“In ogni caso, il culto della Vergine, dell’eterno femminino, o meglio del divino femminino, della maternità divina, finisce per completare la personificazione di Dio facendo di lui una famiglia” [2].

Come nella Qabalah ebraica, con la visione della Shekhinah e dei dieci Sephiroth.

“Il mio me, è un me che è in realtà un noi; il mio me vivente, personale, non vive che negli altri, con gli altri e per gli altri; io provengo da una moltitudine di antenati e ne porto in me un condensato; e reco in me, in potenza, una moltitudine di discendenti; e Dio, proiezione all’infinito del mio me - o piuttosto me, proiezione finita di Dio - è al contempo moltitudine. E da questo ne consegue, che per salvare la personalità di Dio, cioè per salvare il Dio vivente, la necessità di fede - sentimentale e immaginativa - di concepirlo e di sentirlo come una sorta di molteplicità interna” [3].

L’idea filosofica del monoteismo è responsabile dei difetti rimproverati al popolo ebraico, e che sono causa di antisemitismo: il suo ripiegamento su se stesso, la sua volontà ostinata di isolarsi e di chiudersi al resto dell’umanità, la sua presunta idea di superiorità, la nozione di popolo eletto, il suo biasimo e la sua ostilità per i gentili, che si esprime nel termine spregiativo di “goym”.

Lo spirito cabalistico è tutto l’opposto, esso porta l’ebreo ad aprirsi, come nessun altro, a tutto ciò che è umano e divino, poiché questo gli è necessario per ritrovare, per ricostituire il nome di Dio nella sua pienezza. Rifiutare, escludere gli altri, è mutilare il nome, l’essere di Dio. Ed è per l’Amore che si include, che si integra, che si accede all’infinito dell’essere divino, che si realizza il divino nell’umanità.

Le citazioni di Miguel de Unamuno sono annoverate sotto due titoli:

- La creazione di Dio con l’uomo.

- Élohïm

Non vi è alcun dubbio che il lettore rimarrà meravigliato, come noi, scoprendo queste corrispondenze, tra Cabalisti ebrei e autori cristiani, a livello del pensiero teologico più profondo, più originale, più creativo, e benedirà, ringraziando l’Eterno per il favore, concessogli, di accedere alla conoscenza più straordinaria del Suo Nome, che rivela all’Uomo la sua divinità e l’umanità di Dio.

 

 Emmanuel LÉVYNE

Paris-Montmatre 18 Giugno 1979

 


 

[1] - “Il sentimento tragico della vita” pag.203 - 204.

[2] - Ibid. pag.205

[3] - Ibid. pag.206 - 207.

 

 

Torna a Indice Élohïm

Torna a Indice Emmanuel Lévyne