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TY$ARB La proiezione del movimento creatore nell’uomo Secondo Carlo Suarès
Prima meditazione: B = 2. Due! tale è il numero che appare con la semplice percezione del fatto che ho constatato qualche cosa: un oggetto, l’Universo, un granello di polvere, non importa cosa. Due ancora, quando la coscienza si auto pone come quesito. La coscienza cosciente d’essere è il suo stesso interrogativo. Il due appare all’origine, dalla radice di ogni atto di coscienza. Prima del due non si pone nessun problema.
Seconda meditazione: R = 200 Interrogandomi sulla mia stessa coscienza cosciente d’essere, costatandomi due; e, collocandomi nel cosmo, ancora come due; constato, da quanto, il due nella coscienza e nel cosmo. Questa meditazione diviene sempre più amara perché rende sempre più percettibile lo stato d’isolamento della coscienza individuale. Vengo, così, a riscontrare, in maniera inaccettabile, che il “me è prigioniero dell’universo”, che non esiste via d’uscita. Il me, in quanto nodo, si oppone apertamente al 200 che è la sostanza stessa dell’universo, impenetrabile alla coscienza di colui che cerca la conoscenza. Se mi adattassi a questo stato, non andrei più oltre. Al contrario, pervengo ad una tensione estrema e questa crisi mi consegna alla disperazione. La coscienza individuata si oppone apertamente alla percezione inesorabile e incomprensibile dell’esistenza dell’universo, come un prigioniero che si fracassi la testa contro i muri della sua prigione. Ogni tentativo d’unione con un principio superiore appare come un semplice conato di evasione. E ugualmente è per ogni attività tendente a farmi perdere la mia individualità nel sociale. Il me isolato tenta, attiva, tutti gli espedienti per “uscire” dal suo isolamento. La mia meditazione mi riconduce sempre con rigore all’esame di questi tentativi. Quando mi rendo conto che sono illusori, mi ritrovo di fronte a me stesso e “mi constato”. L’accettazione di questo fatto può provocare un rilassamento.
Terza meditazione: A = 1 Questo rilassamento, dovuto alla percezione chiara del fenomeno della coscienza isolata, può generare una spinta interiore (simile a quella del pulcino che frantuma il guscio venendo alla luce). Questa spinta interiore è espressa dalla cifra 1. É l’inizio di una nuova vita, una ripresa, un rinnovamento, un rinnovo, un pensiero creatore sentito, percepito ma non pensato, che non si auto conosce, che non sa ciò che diverrà.
Quarta meditazione: $ = 300 All’angoscia, al disagio di una coscienza prigioniera di se stessa è subentrato un fremito di felicità inattesa. É una felicità, per così dire, proiettata davanti a se stessa, in uno stato creativo in cui la coscienza ha la possibilità di percepire il suo essere in quanto processo in movimento. Questa felicità non è fondata sul computo dei possessi di cui l’io crede di aver bisogno per confermare la percezione che egli ha di se stesso. É al contrario, una specie di “vuoto in movimento”. É il movimento di relazione tra l’esistenza e l’essenza; tra i numeri e l’infinito: tra l’Universo e la Coscienza. É il movimento cosmico di tutti i contrari che reciprocamente si generano e si distruggono. Questo movimento creatore è il perpetuo atto di creazione cosmica: il 300.
Quinta meditazione: Y = 10 E la sua impronta nel mondo dell’umano è il 10. Perché l’uomo, in cui si produce questo rinnovamento, diviene creatore nel mondo degli uomini. Questa nuova vita è il 10, la realizzazione dell’immanente, impronta dell’azione che compie la spontaneità immanente nel mondo delle contingenze.
Sesta meditazione: T = 400 E allora appare l’irriducibile forza di resistenza dell’universo, la persistenza dell’imperituro “c’è”, sulla danza di morte di tutto ciò che esiste. E per quanto infimo, sia l’uomo, polvere su questo granello di sabbia che è il globo terrestre, perduto nell’inimmaginabile immensità del cosmo, essere agente, cosciente della potenza creatrice dell’universo, realizza, rende attuale e reale questa energia, per il fatto che egli è così piccolo.
Commento La parola Berèchith con la quale inizia la rivelazione del movimento creatore e di cui l’universo è il palcoscenico, ha per scopo di proiettare in me stesso questo moto creatore, cioè di proiettarmi nel suo seno. Nulla c’è più sterile, quindi di nocivo, per delle coscienze dormienti, che insegnarsi reciprocamente: “In principio Dio creò i cieli e la terra”. Questo principio, questo Dio, questa creazione, non ha nessuna realtà, essendo inconcepibili. La conoscenza reale è più pretenziosa. Affinché nasca, è indispensabile che muoia per esplosione interna la coscienza individuale isolata nel proprio intelletto. É con l’intendimento di provocare questa esplosione interna, che la parola Berèchith è stata composta. Dal 2 al 200, dallo 1, a 300, a 10, a 400 offre alla meditazione delle vibrazioni che, dall’interno al cosmico, interiormente al cosmico, dall’attuale al cosmico, sono di tale portata da provocare una vera e propria lacerazione della coscienza. A questo punto la meditazione deve pervenire a un sufficiente grado di intensità. Questa intensità non può essere ottenuta artificialmente. Essa è frutto di una predisposizione. Come le armoniche che generano i rintocchi di una campana, questa prima iniziazione al Berèchith genera in me l’eco della creazione della coscienza e dell’universo. A partire da questo, posso entrare nella lettura del Libro, perché il Libro può penetrare in me.
Riepilogo Avendo superato la soglia di Berèchith, sono giunto a sintetizzare il processo che mi ha condotto fin qui, il quale è il solo preludio possibile, il solo processo che si offre alla coscienza cosciente d’essere. Non ve ne sono altri. Che si tratti dell’individuo umano e del suo mondo personale o della coscienza in quanto fenomeno cosmico e dell’universo intero, non appena la consapevolezza si pone essente, è la B il 2 che è là. Sotto qualsivoglia forma si auto percepisce, è il contenente della mia coscienza che si dichiara coscienza.
ARB La creazione
Riprendendo dunque la mia meditazione dall’inizio, e permeabilizzata al flusso creatore dell’universo, incontro la parola Bara, cioè 2, 200, 1 o meglio 1000, essendo la A (l’Aleph) lettera finale. Questa successione di numeri vuol dire creazione, cioè lo scaturire dello 1, e, nel cosmo di 1000. Il 2 auto percependosi, genera un passaggio interno di consolidamento, il quale costituisce la sua stessa affermazione. Affermazione doppia poiché 2 è percezione di se e 200; constatazione del 2 cosmico e percezione del cosmico nel particolare. É il doppio movimento misterioso della coscienza che, per auto constatarsi, crea, accerta, “inventa” l’universo: Bara vuol dire creare e separare.
OYHLA Il dramma della coscienza d’essere
La parola Bara mi offre così una occasione di contemplazione. L’Aleph finale, il 1000 è inconcepibile. Il pensiero riconquista i suoi diritti, ritorno allo 1, al fremito interno della nuova vita che cerca di nascere in me, che è nata in me, che reclama la sua realizzazione. Questa attuazione può conseguirsi. Eccola descritta, spiegata, ed ecco lo strumento, il processo, la forma o meglio le forze innumerevoli come appaiono: è la terza parola, 1, 30, 5, 10, 40 o 600. Questa parola si legge Élohïm.
Élohïm è lo scaturente creatore, che proietta nel mondo contingente, attuale, concreto, il grande movimento cosmico che si era rivelato nella parola Berèchith. Questo movimento dialettico di tutto ciò che è vivente si rende visibile, carnale e nello stesso tempo esaltato nella Lamed di Eloh (30), seguito da Hè (5), che è il segno dell’armonia, della vita stessa nella sua essenza, cioè nel suo essere.
Riepilogo Prima di spingerci oltre nell’esame della parola Élohïm, comprendo che è utile riepilogare le parole HLA ARB TY$ARB in quanto il OY finale, che esprime il maschile plurale, non assumerà tutta la sua portata che nel momento in cui avrò integrato HLA in funzione del posto che occupa in questa successione di numeri. Il riepilogo 2-200-1-300-10-400-2-200-1000-1-30-5, esige che contemporaneamente percepisca e concepisca. In altre parole che viva intensamente il dramma della coscienza d’essere, isolata nella sua individuazione. Che si percepisca in quanto dualità, e che da questa condizione lanci una sfida all’essere cosciente con questo grido: “Se sono separato da te, quantunque infimo possa essere, la tua totalità non è”. Questa non sottomissione, questo rifiuto della dualità creatura creatore, è la radice, la sorgente della posizione ebraica. La coscienza cosciente d’essere si percepisce senza dimensioni, senza misure, senza condizionamenti spazio-temporali, e si constata nello stesso tempo individuata, particolarizzata all’estremo, per il fatto che non rinunciando a nessun possibile, essa tende verso l’improbabile. Qualsiasi altro processo gli appare come regressivo, ogni abbandono, tradimento, ogni rinuncia, suicidio. Non vi è né discesa dello spirito nella carne, né ascesa della coscienza individuale verso una vita universale, ma spinta irreversibile della vita creatrice in stato di creazione. Lontano dal sentirsi soffocato dall’immensità dell’universo visibile, l’uomo estrae argomento dalla sua esiguità per affermare che se la coscienza d’essere è pervenuta a percepirsi essente, in questo minuscolo granello di polvere che è l’uomo, è perché ha raggiunto la meta del suo tragitto, alla stessa maniera in cui un raggio luminoso incontrando una superficie riflettente in fondo ad un pozzo ne è riflesso. Attraverso tutta l’evoluzione della natura e delle specie conosciute e sconosciute (qualunque ne siano stati i processi) la coscienza cosciente d’essere si risveglia, si restituisce, si riflette nell’uomo, con l’uomo. Il Berèchith lo esorta a ricercare il dialogo da coscienza a coscienza, cioè da eguale a eguale. Ma all’inizio, in maniera preliminare a tutto, c’è l’identificazione della mia coscienza con il 2. Ed è questa sfida dell’individuale all’universale, che, esasperata fino all’esplosione, potrà frantumare il mio guscio individuale. A tale proposito appare lo 1 il quale è molto pericoloso perché la sua interpretazione, prima ancora della sua enunciazione, proietta lo psichico in una o l’altra delle due direzioni opposte, contraddittorie, antinomiche, entrambi reali: l’unità universale e l’unità individuale. Ricercare la prima, significa amplificare la seconda, e rifiutare questa, è distruggere la prima. Abbandonare il mio io individuale per il me universale, è estendere questo io alla scala dell’universo e, lungi dal frantumare questo guscio, lo pietrifica. Rinunciare a ricercare l’universale, è perdersi nel labirinto di una piccola vita imperniata su se stessa.
In verità lo 1 può prendere principio o, al contrario, essere sostituito con le mille e una illusioni spirituali. Egli può essere là e non essere percepito, perché ciò che è percepito appartiene al mondo limitato dei sensi. Berèchith afferma che è il 300 che giudicherà se il 300 è garantito, che è il 10 che lo testimonierà se il 10 è voluto in atti, che è il 400 che lo consacrerà se il 400 si afferma. Tale è il riepilogo di Berèchith, che permette alla coscienza cosciente d’essere di farsi penetrare con il misterioso Bara in cui lo 1 diviene 1000, a tutti eternamente inconcepibile. E comunque è nell’inimmaginabile che a partire da là deve aver luogo il fenomeno, il processo di coscienza tramite il quale questa diviene Eloh. La parola Élohïm è una soglia difficile da superare. É relativamente agevole spostarsi, nella parola Berèchith, dallo 1 al 300, perché questo grande movimento cosmico era pensato prima di essere constatato. É più difficile passare da 1 a 30, perché il 30 deve essere constatato e non pensato. E come constatare, nel mondo percettibile delle forme, la rinuncia eterna del 3? Se tutto ciò che vive muore, se tutto ciò che è fatto si disfa, se tutto ciò che è costruito si distrugge, dove e come ritrovare l’essenza vivente di tutto ciò che è, la vita in perpetuo rinnovamento, il 3 nel manifestato, cioè il 30. Che gli uomini costruiscano degli edifici, che consolidino il loro potere o che affermino la loro personalità, che preparino il domani per salvaguardare il patrimonio del passato; che si insedino nelle loro usanze, i loro costumi, le loro tradizioni, ogni loro attività tende ad attecchire nella loro coscienza, la coscienza di essere qualche cosa. Là è il grande iato, la grande separazione tra l’uomo così come è e l’uomo Eloh, cioè l’uomo contingente, condizionato e la sua essenza nella quale sono salvaguardate tutte le possibilità dell’essere non condizionato. É in questo iato, all’interno stesso di questa separazione che si colloca 1, 30, 5: HLA.
TY$ARB La casa dell’Universo
Se ora, riordino ancora una volta, in una meditazione senza pausa e approfondita, i rapporti della coscienza e quello con cui essa si afferma essente, constato che la parola TY$ARB è costituita da TYB che circonda, contiene $AR: TY- ($AR)-B. Lo scopo e l’epilogo di TY$ARB si mescolano nella etichettatura visibile di TYB = casa, contenente $AR la testa, il principio. Questa lettura ci indica che TYB: 2, 10, 400 circonda, contiene, riveste $AR, 200, 1, 300. Essendo questi numeri già ben conosciuti, afferro immediatamente il senso di questa indicazione. In effetti $AR il principio, la qualità intrinseca dell’universo è organizzata con la sua dualità, con lo 1 inafferrabile, inconcepibile, dell’origine di ogni vita e nello stesso tempo con il 300, il quale esprime il grande movimento vitale trinitario, che anima il mondo. Il 200, R si ripresenterà nel corso dei primi versetti nella JRA (terra), XWR (soffio), TPXRM (il movimento di questo soffio), RMAYW (del verbo parlare, dire), e, infine RWA che è la luce, ed è là che, meglio, si rivela il suo significato. In effetti, la luce è contemporaneamente la più grande velocità (il più grande movimento) di cui è suscettibile l’universo, e la più grande resistenza che oppone l’universo ad ogni cambiamento di velocità. La luce fa’ massa in ciò che oppone, ad ogni intervento, la costante della sua intensità. Se potessi immaginare un infinito di velocità che animi un soffio divino, dovrei nello stesso tempo immaginarlo domato, ridotto alla velocità della luce, che gli concede l’universo. L’universo gli concede il numero della luce e non più. E il fatto stesso che l’universo esiste, proverebbe in questa metafora, l’accettazione del soffio infinito. L’universo non può di più, il soffio non vuole di meno. La luce è il compromesso, il patto tra la coscienza e il suo contenente. Il “non di più” da una parte e “il non di meno” dall’altra, manterranno questa tensione in una costante. E questa tensione sarà il cuore stesso del mito ebraico, dal versetto del Genesi: “che la luce sia”, fino al Vangelo di S. Giovanni. La parola RWA (1, 6, 200) esprime in maniera eccellente, questo carattere doppio, antinomico, contraddittorio della luce. Senza perdere di vista la parola Berèchith, che mi trattiene ancora, lascio la mia meditazione posarsi liberamente sul vocabolo chiave, sull’avvenimento che rappresenta RWA la luce. Questa apparve, che tutti lo sappiano, molto tempo prima della creazione di tutte le sorgenti luminose. In verità gli astri saranno considerati come gli abitanti del mondo della luce fisica, piuttosto che come generatori di luci. E Giovanni che riprende la tradizione ontologica, rinnovandola, può spingersi fino a trascurare completamente l’aspetto fisico della luce, e persino ad identificarla con quello che usualmente si indica Verbo o Parola, questo stesso Verbo coesistente con il Berèchith (che ancora una volta lo si snatura traducendolo “in principio era il Verbo”). Questo Verbo creatore, dichiara Giovanni, e sottinteso nel Berèchith è “la luce degli uomini”. Di cosa si tratta? Si tratta, ancora e sempre, unicamente del tema essenziale della tradizione ontologica, cioè dei rapporti della coscienza cosciente d’essere e del suo contenente. Dico a ragione contenente e non contenuto. La psicologia moderna ci parla ampiamente del contenuto della coscienza. Ma non può trattarsi per questa scienza che della coscienza cosciente d’essere qualche cosa. Questo qualcosa è precisamente il suo contenuto, cioè l’accumulazione dei sedimenti stratificati di memoria. Questa memoria spingendosi fino agli abissi ancestrali sfugge alla percezione. Il contenuto della coscienza, sotto qualsiasi forma si esamini, è frutto del passato memorizzato.
La tradizione ontologica postula un essere cosciente d’essere, cioè una coscienza cosciente d’essere, un perpetuo rinnovamento, uno zampillare atemporale e costante, quindi increato, senza passato, dunque senza contenuto. Ma questa coscienza ha un contenente: la luce. Non la luce intesa come prodotto di una sorgente particolare, ma la luce intesa come lo choc della coscienza e di ciò con cui essa si riconosce essente, in altre parole l’equazione di un universo finito. Presa di coscienza, percezione, parola, sono un solo fenomeno. Il contenente, TYB la casa si manifesta. La coscienza può negare, rinnegare, rifiutare o disconoscere ogni contenuto, ma è obbligata ad ammettere, di constatare, di riconoscere il “c’è”. Il “c’è” è la sua dimora, la quale esiste. TY$ARB con quanto genera la coscienza. Nella sua percezione è il suo nome. E il suo nome è la coscienza d’essere.
E questa è l’Élohïm creatore in YHWH, realizzazione dell’immanenza. Tramite questo atto magico, che è la vita interna della coscienza cosciente d’essere, polve-rizza, disatomizza gli elementi della sua casa. L’infinito contenuto nel numero non cessa di trasfigurarla. É in questa trasfigurazione e non in una fuga verso l’illusione di una trascendenza che si gioca il dramma del mito ebraico.
Ritorno ora, una ultima volta a TY$ARB in quanto $AR contenuto in TYB. Il 200, 1, 300 di $AR è divenuto completamente leggibile, con l’effetto della mia meditazione sul 200. Il “principio” contemporaneamente causa ed effetto dello universo, suo elemento, sua essenza, sua materia, suo movimento, tutto questo è fatto di 200, 1, 300. Tutto ciò che è, tutto ciò che esiste, interiore a se come la coscienza, o esteriore a se come il corpo, e le relazioni reciproche di tutto ciò che c’è, di tutto ciò che c’è stato e di tutto ciò che ci sarà; lo spazio e il tempo come il continuum spazio temporale, il principio e la fine, il divenire e l’essere nella loro coesistenza, tutto questo è $AR: 200,1,300.
E consustanziale a tutto questo è il suo contenente, TYB la sua casa = 2, 10, 400, la quale è dualità, realizzazione concreta del movimento creatore e forza cosmica: patto tra l’infinito e il numero.
Posso testimoniare questa serie di meditazioni constatando che la parola: TY$ARB nella misura in cui mi si rivela (per il fatto che mi consente di rivelarmi a me stesso) può farmi compartecipare al processo della vita universale, auto generata, auto alimentata, e auto cosciente.
JRAX TAW OYM$H TA La perfezione della forma
Mi immergo di nuovo nella percezione della coscienza cosciente d’essere, in quanto dualità, contemporaneamente atemporale, immensurabile e come prigioniera nel creato. Percepisco, provo ancora con forza l’inesorabile condizione di “quello che non può eliminarsi”, “di ciò che non può non essere”. E, nello stesso tempo percepisco nell’intimo di questa “compressione” un sorgere, un fremito sconosciuto in via di scaturire, remoto possibile, eterna nascita.
Torno infatti a riesaminare le parole OYHLA ARB TY$ARB e, giungo, oggettivamente, a questo TA: 1-400, che introduce la spontaneità immanente dello 1 e l’ostinazione formidabile di tutto ciò che è, dell’universo nella forza della sua materialità, il 400. Ciò che è in questo stato di percezione, è la coscienza umana tale come lo è al giorno d’oggi, in questo momento, in se stessa. Essa sarà definita molto più avanti nel corso del racconto in cui, l’uomo espulso dalla matrice prenatale, simbolizzata dal Giardino dell’Eden, sarà divenuto “come uno di noi”, dirà Élohïm nel testo della Volgata. Sapendolo, conoscendo questo HLA questo 1-30-5, mi raccolgo su questo sorgere dello 1; su questa realizzazione del 3, del movimento creatore in me, e su questa vita, 5.
Comprendo che il 5, la H fa’ anche funzione di articolo (il, la, gli); ma mentre in italiano, non fa’ che indicare, nella tradizione ontologica ha ben altro significato (e lo si vedrà nel secondo capitolo, quando apparirà HWHY , l’essere essente). Perché indicare è affermare che quello è, e quello non è quello, se quello è indicato. In-somma, per la coscienza cosciente d’essere, non esiste differenza, e non esiste iato tra indicare e creare. Continuo, dunque, la mia lettura. Che cosa si esprime dopo TA OYHLA ARB TY$RB.
Si esprime OYM$H. Comprendo la H creazione-indicazione ed affronto OYM$: 300-40-10-600, che il testo della volgata traduce con “cieli” (quando questo non è il cielo), non sapendo che OYM altro non indica che le acque al plurale (maschile). Queste sono quelle acque che ritroveremo alla fine del secondo versetto. Ciò che viene in essere, è evidentemente, e innanzi tutto, il grande movimento cosmico del 300 (la $) al quale si aggiunge OYM cioè la medesima contraddizione che si trovava nella percezione acutissima di TA 1-400, ma travasata nella creazione e attualizzata; poiché esistendo, le due categorie, ovviamente, si rincontrano nel mondo concreto: il 400 divenendo 40, e lo 1 divenendo 10. Ecco il YM il grande mescolamento preliminare della contraddizione 4 e 1, la quale ha per conseguenza il 600 cosmico di tutto quello che esiste, il processo vivente che compongono insieme il 2 e il 3.
TAW
Il 6 si proietta evidentemente nella coscienza. Eccolo che esiste, e, mentre nella nostra lingua non assume altro valore che quello di congiunzione copulativa, e (si legge, i cieli e la terra), la W qui (e in seguito in HWHY) è concretamente copulativa. Mentre queste parole non sono che dei simboli, qui, ogni lettera è vivente, funzionale, reale, creativa, si potrebbe osare dire: magica.
C’era OYM$H e c’era inoltre JRAH TA. C’era TAW TA: “questo”, il quale, grazie alla propria realtà, fa che vi sia anche “quello”. Perché se è vero che OYM$ è completo e totale, (in quanto contiene il grande movimento cosmico creatore del 300 nelle realizzazioni concrete dei 10 e 40, le quali fanno apparire il 600) dove sono io, in che cosa sono io? Io che quantunque sia tutto Eloh; non sono che un uomo, infima polvere su un granello di polvere? Quale è il contenente di questa coscienza? Di cosa è fatto? Da dove emana? Quale è la sua essenza?
Io percepisco in me, ora, l’esistenza del 6. In me si opera l’eterna copulazione del 2 e del 3; da questo terriccio fecondo sorge lo 1 imprevedibile, inafferrabile: la libertà iniziale che sfugge a tutto, e per prima a se stessa... e ecco, ancora, sempre, brutalmente, il 400 inesorabile, l’incomprensibile ostinazione di tutto quello che c’è ovunque, dell’indistruttibile esistenza di tutto quello che muore... potrò mai uscire da questa prigione?
JRAH
Questa prigione, mi suggerisce il testo, non è vera prigione. Il tuo contenente, il tuo corpo, la terra di cui sei fatto, questa polvere che è la tua casa, è fertile. La prima lettera che chiama JRA è la A primordiale, lo 1 dei germi che germinano in libertà. Così JRA è in movimento, o, più esattamente, contiene nelle sue profondità il germe della spontaneità immanente, mentre la sua sostanza è il 200 della resistenza cosmica, la costante luminosa che si oppone ad ogni variazione. L’antitesi 1-400 di TA diviene 1-200 (all’interno del quale verrà a collocarsi il 6 fecondo, per formare la luce: RWA = 1-6-200). E questa antitesi in atto, genera il 900 della perfezione della forma, del compimento femminile. Noi siamo qui, non bisogna dimenticarlo, nel dominio dell’atemporale. Il mito non è ancora salpato nel divenire. Questo non appare che a partire dal momento in cui i nomi delle essenze sono modificati; non per effetto di una volontà detta divina (chi dice volontà dice desiderio, ma è necessario ritornare indefinitamente sul carattere puerile delle religioni?), ma per causa di una necessità interna, che possono rivelare solo i numeri. Il passaggio si farà nel momento in cui Élohïm assocerà a JWA (luce) la parola OWY (giorno) e a D$X (tenebre) la parola HLYL (notte). Per il momento, siamo dunque nell’atemporale di JRA. La perfezione 900 non vi è, conseguentemente, presente se non nella maniera in cui l’albero è presente nel seme; l’attuale è ancora a venire, poiché l’uomo non è ancora là. L’uomo, alla sua apparizione, sarà definito “spontaneità immanente essendo germogliato nel sangue”; ODA, perché OD vuol dire sangue. Non è che nel secondo capitolo del Genesi che la Terrà diverrà la Sposa nel sangue: JRA si trasformerà in HMDA. Questo sarà il preludio del dramma umano. Questo dramma, ciascuno di noi lo vive, a differenti gradi di coscienza, e la storia di ODA ci ispirerà sul soggetto. Per un istante saremo soddisfatti di sentirci assicurare che JRA non è costituita da una sostanza corrotta in origine, essa non è né incompleta, né incapace di rispondere alla realtà creatrice dei movimenti perpetui. Ma così come si presenta alla mia coscienza, essa non possiede ancora nessun valore di realizzazione: i numeri che la descrivono sono astratti o cosmici. In effetti, questo 1-200-900 è descritto come:D$XW WHBW WHT cioè 400-5-6- e 6-2-5-6 e 6-8-300-500 cosa che torna semplicemente a ricordarmi che, quantunque vaga indeterminata e oscura possa essere JRA essa contiene in indicazione-creazione-fecondità la potenza dell’universo, cioè la dualità. |