Introduzione Dal tempo più antico gli Ebrei sono abituati a tenere continuamente coperta la testa. Sicché lo zucchetto è diventato una familiare caratteristica di abbigliamento ebraico. Nella maggioranza degli Ebrei, si accetta senza dubbio che il capo debba essere tenuto coperto quando ci si trova in un luogo di preghiera come una sinagoga, o si sia impegnati in pratiche religiose, come lo studio della Legge, la recitazione - anche privata - di preghiere, o anche la partecipazione al pasto (nel Trattato «BERACHOTH» 55 a) la tavola alla quale gli Ebrei sono seduti per mangiare viene paragonata ad un altare davanti a Dio e così via. In realtà, non c'è un momento - nella vita Ebraica - nel quale non ci si trovi alla presenza del Signore (1); non c'è nessun aspetto dell'esistenza che consenta all'ebreo di considerarsi libero dall'obbligo di servire il Signore. AI Rabbi Joseph I. Schneersohn, il «Lubavitcher Rebbe» di Santa Memoria, fu rivolto un quesito sul senso del tenere il capo coperto: questo accadde poco prima della sua morte, ed il richiedente era un eminente personaggio ebreo. La risposta del Rebbe, più tardi ampliata dal Suo Successore, il «Lubavitcher Rebbe» attuale, Rabbi Menachem M. Schneersohn, è appunto la base della presente breve trattazione. Il Rabbi di Santa Memoria inizia la Sua spiegazione riferendosi al passo Talmudico (Berachoth 1,2): «Perché lo Scema' vien posto prima di ''Ve-hajà im shaniòa' tishme'ù? (2) Perché si deve accettare prima di tutto il "giogo" del Regno dei Cieli, e conseguentemente il "giogo" dei precetti.» Le parole della Mishnà enunciano chiaramente il principio che la sottomissione degli Ebrei al Regno dei Cieli e la conseguente accettazione dell'obbligatorietà delle norme di condotta in ogni atto, si devono realizzare così come la sottomissione del bove al suo padrone e la conseguente sua accettazione del giogo postogli sul collo. Il che vuol dire che nello stesso modo e nelle stesse condizioni in cui per portare il giogo non occorrono al bove spiegazioni rivolte all'intelletto, cui non arriva, così all'Ebreo non deve necessitare altra conoscenza oltre quella che si trova alla Presenza del Padrone dell'universo e che quello al quale deve dare esecuzione é un Suo Decreto. Per rafforzare le loro certezze, i Discepoli, i Saggi, i Filosofi ebrei hanno scritto volumi sulle intenzioni e sul senso da attribuire alle varie Mitzvòt. Ma qualunque spiegazione o ipotesi si possa avanzare perché il nostro intelletto comprenda la causa che ha determinato la promulgazione di questa o quella Mitzvà nella Realtà tali spiegazioni e tali ipotesi non hanno consistenza, né si può sperare che arrivino a rappresentare tutto il vero senso e fine del precetto; per osservare le Mitzvòt quello che è essenziale è che provengono da un Decreto Divino, al di sopra dell'umana ragione.
1. Ciò vale naturalmente per tutti gli uomini: qui si intende indicare la concezione ebraica della vital 2. I due passi, nella Torà si trovano appunto l'uno dopo l'altro: rispettivamente in . DEVARIM 6,4 (Parashà Va-etchannàn) e 11,13 (Parashà 'Ekev).
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