1 - La sessualità nella Bibbia ebraica
2 - La sessualità in Filone e nel giudaismo rabbinico
3 - Tendenze sessuofobiche nel giudaismo
4 - La concezione negativa della sessualità in Maimonide e la reazione della Qabalah
Mi propongo di esaminare come nel pensiero ebraico l'originaria concezione della sessualità che emerge dalla Bibbia sia stata progressivamente abbandonata a favore di concezioni filosofiche di matrice gnostica, greco-ellenistica e, a Medioevo inoltrato, aristotelica le quali hanno gettato in maniera crescente una luce negativa e pessimistica su questa dimensione fondamentale dell'essere umano. Questo processo è iniziato abbastanza presto, già ben presente in Filone Alessandrino (ca.20 a.e.v.-50 e.v.), parallelamente all'insinuarsi nel giudaismo rabbinico di linee di pensiero misogine non presenti nella Bibbia, ed ha raggiunto il suo culmine con l'affermarsi della filosofia aristotelica, nella mediazione operatane da Maimonide. La concezione della sessualità viene radicalmente snaturata in senso negativo rispetto alla sua positiva caratterizzazione biblica. È la mistica ebraica del sec. XIII che si assume il compito di contrastare questo incredibile snaturamento della sessualità riaffermandone la positività a partire dal concetto di creazione, come realtà positiva in cui l'uomo - lungi dall'esprimere la sua più bassa animalità - realizza l'immagine divina.
Dunque, le questioni generali a cui dovremo cercare di rispondere sono le seguenti: quale posto occupa la sessualità nella rappresentazione - o meglio nelle molteplici rappresentazioni - di sé elaborate dall'ebraismo nel corso della sua trimillenaria vicenda? Come sono state integrate queste dimensioni fondamentali dell'essere uomo e donna nelle varie immagini che di sé l'ebraismo ha elaborato e proposto nel corso dei secoli? Sono esistite forme di misoginia o di sessuofobia anche in esso? La sessualità necessariamente allontana da Dio, o può essere una via per avvicinarsi a lui? Oggetto particolare della mia indagine, dunque, è un'operetta costituita da un breve trattato in forma di lettera che ha avuto una grande fortuna e una vasta diffusione nel mondo ebraico, circolata in molti manoscritti ed edizioni a stampa con titoli diversi: Sha'are ha-Tzedeq (Le porte della giustizia), Sepher Qedushshah (Libro sulla santità), Iggeret ha-Qodesh (Lettera sulla santità) Sod ha-chibbur (Il segreto dell'unione sessuale), 'Inyan chibbur ha-Adam el ishto (L'unione sessuale dell'uomo con la sua donna) e Chibbur ish we-ishto (L'unione sessuale fra l'uomo e la sua donna).
1. La sessualità nella Bibbia ebraica
Se prendiamo in considerazione la Bibbia ebraica,certamente è chiaro come la dimensione erotico-sessuale sia stata perfettamente integrata nella sua Weltanschauung, del tutto libera da visioni pessimistiche e negative del sesso e della corporeità, mentre non trova posto in essa alcuna forma di sessuofobia, grazie ad un'antropologia profondamente ancorata alla dottrina della creazione compiuta da Dio, in cui tutto è "molto buono". "Nell'ebraismo il rapporto sessuale è considerato generalmente come il segno del vincolo che assicura l'unione di due persone per tutta la vita nel reciproco sostegno, nel piacere, nella procreazione e nell'educazione dei figli. Non c'è nell'ebraismo l'ossessionante concetto che i rapporti sessuali siano, in qualche modo, peccaminosi. Il corpo umano non è stato né divinizzato né rinnegato.(...) Il fatto che la pratica del sesso sia accompagnata da intenso piacere è, per il credente, un'ulteriore prova della bontà di Dio" 1 .Nel giudaismo del periodo post-esilico soltanto le correnti apocalittiche elaborano la dottrina del peccato originale in una conseguente visione di una natura umana decaduta e in potere del male; ma le altre linee del pensiero giudaico non condividevano tali visioni negative e pessimistiche dell'esistenza umana, che è invece vista dipanarsi in un rapporto dialettico tra osservanza e non osservanza dei precetti nel quale si gioca la fedeltà all'alleanza con Dio. Nei testi della letteratura profetica e nel Cantico dei cantici, la dimensione erotica diviene uno degli ambiti privilegiati dell'esperienza umana scelti al fine di illustrare alcune dimensioni fondamentali del rapporto stesso fra Dio e Israele. Scrive a questo proposito Moshe Idel: "Si tratta evidentemente di una parte del mito nazionale che trasfigura la nazione nella sua interezza in un'entità che intrattiene una relazione sessuale con l'altra entità, la divinità. Questa relazione mitica ha poco a che vedere con una mistica". Una dimensione percepita e vissuta in una luce di insospettata positività, in un atteggiamento naturale e disinibito che, anzi, vede nella dimensione erotica e sessuale uno degli aspetti della vita umana più adatti ad esprimere qualcosa della realtà divina. Se è fuor di dubbio che l'esegesi ebraica tradizionale del Cantico è stata - come anche quella cristiana - di carattere allegorico, ciò nulla toglie alla valorizzazione dell'esperienza erotica e sessuale dei due amanti protagonisti del poema, con la descrizione della bellezza del corpo della donna, esaltato anche nei suoi particolari: "L'erotismo di cui è permeato il Cantico dei Cantici, è considerato dalla Bibbia normale e degno della massima considerazione in quanto è alla base di varie forme di corteggiamento finalizzato al matrimonio. Nella Bibbia sono presenti frequenti esempi di erotismo per così dire teologico. I Profeti si servono spesso di immagini erotiche per descrivere il rapporto tra Dio e Israele". Nella Bibbia ebraica o, con le debite distinzioni, nell'Antico Testamento non esiste alcuna concezione pessimistica della sessualità o della corporeità. La prima è certamente considerata come intrinsecamente funzionale ad un valore percepito come fondamentale dal giudaismo: la procreazione di figli per perpetuare il popolo. In questo senso alcuni episodi mostrano, oltre a una concezione della sessualità assolutamente disinibita e senza tabù, anche un atteggiamento che non si pone particolari problemi etici su rapporti sessuali atipici e perfino proibiti, il cui risultato positivo è una procreazione ritenuta importante. Si pensi all'episodio delle figlie di Lot che, non avendo marito, ubriacano il padre e si uniscono con lui per suscitare una discendenza (Genesi XIX,30-38) o a quello dell'astuzia di Tamar che per avere una discendenza, essendole morto il marito e rifiutandosi il cognato Onan di fecondarla spargendo il suo seme per terra, si traveste da prostituta e concepisce dal suocero Giuda (Genesi XXXVIII,13-18). Il Qohelet, col suo cinico realismo sulla vanità del tutto, ha espressioni durissime sulla donna: "Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci" (Qohelet VII,26): così afferma mentre dice di non aver trovato una sola donna perfetta (cfr. Proverbi XXXI,10) fra tutte. Forse il predicatore - che verosimilmente qui pensa più alla straniera o alla prostituta che alla donna in generale - comincia a preconizzare quel nuovo atteggiamento di misoginia che investirà non molto tempo più tardi come una vera ventata culturale il vicino oriente antico, sfiorando anche il giudaismo. L'affermazione testé citata sembra in perfetto contrasto con quella del Cantico che definisce"l'amore ('ahavah) forte come la morte, tenace come gli inferi è la gelosia (qin'ah) ... le grandi acque non possono spegnere l'amore,una fiamma del Signore" (Cantico VIII,6-7): la forza travolgente e positiva dell'amore del Cantico, paragonabile per la sua dirompente energia solo all'ineluttabilità della morte, è divenuta in Qohelet la seduzione dei lacci della donna,definita più amara della morte. E tuttavia la saggezza disincantata di questo sapiente sa indicare all'uomo come buono godere delle gioie della vita e del piacere sessuale finché è giovane, prima che l'amarezza della vecchiaia oscuri ogni desiderio: "Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti concede sotto il sole,perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole" (Qohelet IX,9). Queste espressioni richiamano da vicino quelle della sapienza antica dei Proverbi in cui leggiamo: "Sia benedetta la tua sorgente; trova gioia nella donna della tua giovinezza; cerva amabile, gazzella graziosa, essa s'intrattenga con te; le sue tenerezze ti inebrino sempre; sii tu sempre invaghito del suo amore! (Proverbi V,18-20)".
2. La sessualità in Filone e nel giudaismo rabbinico
All'interno di una violenta polemica contro l'immoralità pagana in campo sessuale, Filone alessandrino si fa interprete di un nuovo atteggiamento negativo nei confronti della sessualità, considerata come la fonte di tutti i mali, mentre quello sessuale è il più grave di tutti i peccati. All'interno di una nuova grande sintesi fra giudaismo e filosofia ellenistica, Filone documenta l'ormai avvenuta identificazione, nel giudaismo medio e tardo, tra il concetto di impuro e quello di moralmente cattivo, con una conseguente visione negativa della sessualità, il cui unico scopo diviene la procreazione. Filone esclude ogni elemento di piacere, condanna i rapporti sponsali nei periodi infecondi della donna, equiparando l'incontinenza all'adulterio, all'interno di una visione negativa della donna come "oggetto di piacere", definito quest'ultimo come "la fonte di tutte le ingiustizie". È in questo clima che la verginità diviene, con un vero ribaltamento della visione biblica classica, una via di perfezione che ritroveremo negli esseni e nel cristianesimo. Il rigorismo di Filone, la sua visione negativa della sessualità non saranno recepiti dal giudaismo rabbinico, ma troveranno il loro terreno più fertile per svilupparsi nei pensatori cristiani, che vedranno nel giudaismo alessandrino e nella versione dei Settanta un prezioso antecedente della loro nuova fede con cui si sentiranno in profonda sintonia.
Nel giudaismo rabbinico non esiste la concezione del peccato originale, che avrebbe fatto decadere la natura umana e per il quale ogni uomo nasce lontano da Dio, posseduto da Satana e schiavo della concupiscenza: per i Rabbi, al contrario, il comportamento umano è la risultante tra due pulsioni fondamentali che Dio stesso ha posto nell'uomo: l'istinto cattivo (yetzer ha-ra') e l'istinto buono (yetzer ha-tov), dove è significativo che anche quello cattivo è stato posto nell'uomo dal creatore. Sembra, dunque, esserci una misteriosa necessità anche dell'istinto cattivo, suggestione che pare in qualche modo anticipare di diversi secoli la dottrina cabalistica della necessità del male nel processo di manifestazione sefirotica delle emanazioni divine, successive al ritrarsi di Dio per far posto alla creazione. A parte alcune correnti (come la comunità di Qumran, la setta dei Terapeuti e il movimento di Gesù nella misura in cui è uno sviluppo interno al giudaismo), il giudaismo di regola non giunse a considerare l'astinenza sessuale come un valore o a gettare sulla sessualità l'ombra del disprezzo, in maniera analoga alla sessuofobia che ha caratterizzato alcune tendenze del pensiero cristiano fin dai primi secoli. Le eccezioni testé menzionate trovano la loro spiegazione in vari fattori: una forte coscienza escatologica di essere giunti oramai alla fine della storia; la convinzione che l'intervento di Dio fosse imminente; un conseguente deprezzamento del valore della procreazione come perpetuazione di Israele nei secoli, poiché ormai la storia è giunta al capolinea e, infine, l'evoluzione nel giudaismo di quest'epoca del concetto di porneia che tende a connotare il peccato sessuale come l'essenza stessa del peccato che contamina l'uomo non più in senso ontologico senza connotazioni morali, ma come infrazione - culmine e fonte di tutte le altre - essenzialmente etica; ciò parallelamente allo svilupparsi di una visione negativa della donna, che si colloca fra una crescente misoginia 5 e la rappresentazione di essa come incarnazione della potenza del male e della seduzione diabolica. Nel Nuovo Testamento ed in Paolo dei due ultimi sviluppi concettuali menzionati è maggiormente rilevabile il primo (il compimento gesuano della dottrina giudaica sul puro e l'impuro è una radicale eticizzazione dello stesso, riportandolo alla centralità delle opzioni fondamentali che l'uomo opera nel suo centro decisionale più profondo: il cuore), mentre la concezione della donna resta negli scritti neotestamentari altamente positiva.
La sessualità nell'ebraismo - seppur con alcune eccezioni anche di rilievo a cui accennerò - è stata in genere integrata positivamente nel rapporto fra Dio e l'uomo; nulla di più estraneo ad esso del sospetto che il rapporto sessuale tra l'uomo e la donna possa ledere o rendere meno pieno il rapporto dell'uomo con Dio (lo sposo o la sposa non sono qualcosa di alternativo a Dio o in competizione con lui),oppure dell'idea che il legame matrimoniale crei nell'uomo una divisione interiore, difficilmente componibile, tra amore per Dio e amore per la sposa, secondo quanto afferma Paolo (1Cor. 7,32-34: "Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!"), suggerendo conseguentemente come più perfetto e migliore uno stato di astinenza e di consacrazione totale a Dio, meglio atto a realizzare una relazione più piena ed indivisa con lui. È nota la convinzione tradizionale ebraica che, nel momento dell'unione sessuale fra uomo e donna, se questa è compiuta in santità, la divina presenza o Šekinah scende, incombe sul loro amplesso e vi partecipa come terzo partner nella procreazione. L'unione fisica, lungi dall'allontanare l'uomo dalla divinità, nel pensiero rabbinico e nella mistica ebraica è uno strumento per richiamarla vicino alla vita umana e per collaborare alla procreazione, i cui partner nella tradizione ebraica sono, come abbiamo rilevato, tre: l'uomo, la donna e Dio.
Occorre precisare che la proibizione contenuta in alcuni passi della Bibbia ebraica di accostarsi a una donna prima di una battaglia o, per i sacerdoti, prima di celebrare atti di culto, non possono essere intesi come indecorosa e inopportuna contaminazione di tipo morale, bensì come una forma di depotenziamento dell'uomo, che, al contrario, deve affrontare questi impegni nella pienezza del suo vigore. Nella concezione dell'Israele antico, originariamente il concetto di impuro non riveste alcuna connotazione di tipo morale. Il contrarre qualsiasi forma di impurità, sia nella sfera della vita (mestruazione, polluzione ecc.) sia in quella della morte (contatti con cadaveri o malattie), nell'ideologia dell'Israele antico, non ha nulla di etico, essendo connotato come un fatto ontologico incolpevole. La contaminazione deriva da un contatto diretto con entità che non sono alla portata dell'uomo, trattandosi di realtà infinitamente più potenti di lui, in stretta relazione con Dio (vedi la convergenza fra i concetti di sacro-impuro), e che potrebbero annientarlo, allo stesso modo in cui nessuno puo' vedere Dio e restare in vita. Le impurità relative al ciclo vitale (la puerpera, il flusso mestruale, l'atto sessuale,il sesso stesso e la proibizione dei rapporti sessuali durante il periodo mestruale) sono connesse al "principio vitale" sentito come appartenente alla sfera del divino 6 . Certamente, anche questo concetto ha subìto una evoluzione nel pensiero ebraico dal periodo antico al sorgere dell'apocalittica, soggiacendo ad una certa ambiguità di interpretazioni, sfociata in due concezioni che hanno avuto differenti sviluppi.
3. Tendenze sessuofobiche nel giudaismo
Se una valutazione meno pessimistica della sessualità sembra costituire la linea di pensiero prevalente, non sono mancati anche nell'ebraismo movimenti e tendenze che hanno avuto dei problemi ad integrare positivamente all'interno della loro visione il sesso e la donna. Si pensi ad esempio ad una certa misoginia entrata già nel giudaismo rabbinico in forme più marcate dei cenni rilevabili in alcune affermazioni sopra menzionate di Qohelet o dei Proverbi, e a movimenti pietisti del periodo medievale e moderno, che mostrano una certa affinità con l'attitudine più problematica del pensiero cristiano verso il corpo e la sessualità. È risaputa la pratica diffusa fra alcuni di loro per cui marito e moglie si uniscono sessualmente nel tempo più breve attraverso un foro praticato in un lenzuolo, in modo che le altre parti del corpo non vengano a contatto fra loro e non si veda la nudità del partner. Questi movimenti, sviluppatisi nell'Europa centro-orientale dal Medioevo avanzato all'epoca moderna, con aspetti di continuità che giungono fino ai nostri giorni, secondo alcuni autori potrebbero essere stati influenzati, oltre che da tendenze pietiste, anche da Maimonide e dalla sua sintesi fra filosofia aristotelica e giudaismo. Essi, comunque, non costituiscono la linea di pensiero prevalente all'interno della tradizione ebraica, mentre mostrano per alcuni aspetti una certa convergenza con l'attitudine del cristianesimo verso la sessualità. È stata la qabalah rifiorita nel sec. XIII ad assumersi il compito di esprimere con maggiore ricchezza la valorizzazione della dimensione sessuale nella costruzione del suo sistema simbolico, prendendone le difese contro il suo deprezzamento operato dalla filosofia nella sua forma neoplatonica ed aristotelica, entrata quest'ultima con Maimonide in maniera massiccia nel giudaismo.
4. La concezione negativa della sessualità in Maimonide e la reazione della Qabalah
Maimonide riprende la valutazione negativa aristotelica del senso del tatto nella Guida degli smarriti (II,36), dove egli afferma che esso fa parte del livello puramente animale dell'uomo, e loda l'affermazione del filosofo greco che nell'Etica a Nicomaco afferma che esso è una vergogna per noi; il senso del tatto è puramente animale e non ha nulla del livello specificamente umano. Così facendo, Maimonide esprime un giudizio negativo sulla corporeità di natura metafisica e, come bene osserva Mopsik, "è il rapporto sessuale stesso che è considerato come un atto puramente animale, senza alcuna valenza propriamente umana e, meno ancora, senza alcun rapporto con qualcosa di divino". Mopsik rileva, in proposito, come su questa stessa linea di pensiero si ponga l'atteggiamento prevalente della Chiesa dell'epoca della redazione della Lettera, citando un'affermazione di papa Innocenzo III (1216) per cui: "L'atto sessuale è esso stesso così vergognoso da essere intrinsecamente malvagio". Nel Commentarium in septem psalmos poenitentiales papa Innocenzo a proposito del Salmo L (LI),7 (nel peccato mi ha concepito mia madre ) scrive ancora: "Chi non sa che il rapporto coniugale non avviene senza l'ardore della lussuria, senza il sudiciume del piacere, per cui il seme concepito viene insudiciato e rovinato?".
La Lettera sulla santità è altrimenti nota anche come Porte della giustizia e Il segreto dell'unione sessuale. Non si può affrontare lo studio di questo testo, che considero un piccolo gioiello della rappresentazione che l'ebraismo della fine del sec. XIII ha dato di sé sotto l'impulso del rinnovato interesse per le dottrine esoteriche, senza rifarsi al magistrale studio che gli ha dedicato Charles Mopsik, apparso nel 1986. L'operetta è stata quasi unanimemente attribuita a Mosheh ben Nachman o Nachmanide (1194 -1270), fino a che Gershom Scholem nel 1944 ha proposto di attribuirla al cabalista castigliano, discepolo di Abulafia, Yosef Gikatilla (1246 ca.-1325) che si è dedicato al mistero dell'unione sessuale anche nella sua opera Ginnat egoz (Il giardino delle noci).
La Lettera, probabilmente composta tra il 1290 e il 1310, conobbe una larghissima fortuna, come attestano i manoscritti e le varie edizioni a stampa. Essa presenta appunto la forma letteraria della lettera, strutturata in sei capitoli "come i bracci del candelabro", strutturata in una specie di dialogo tra il maestro-autore ed un fittizio fratello-discepolo-lettore.