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È strano come antropologi e storici della religione, per la ricostruzione del tipo dell’uomo primitivo, siano andati in ricerca affannosa delle sue caratteristiche dovunque tranne là dove potevano trovarne di autentiche e normali. Essi hanno dimenticato che, in fatto di evoluzione, una sola legge può giudicarsi forse sicura e degna di confidenza, ed è quella che l’ontogenesi riproduce la filogenesi [1]. Se essa può avere un valore anche solo ideale per ciò che riguarda la derivazione della specie umana dalle specie animali, in quanto potrebbe rappresentare solo la riproduzione della continuità ideale delle forme viventi, restando storicamente fra loro pur sempre distinte ed autonome; ha per contro un valore del tutto reale ed effettivo per ciò che riguarda la storia della stessa specie umana. La psicologia della fanciullezza normale può essere quindi il solo vero ausilio per rintracciare i caratteri normali ed originari dell’uomo, quale esisteva nell’infanzia della razza, la sola fonte che potrà dare il parallelo autentico - tenuto calcolo delle debite riserve e variazioni [2] tra il processo di sviluppo che conduce il fanciullo allo stato di uomo adulto, e l’altro che ha portato l’uomo primitivo allo stato di uomo civile e moderno [3]. Ora nessuna, nessunissima traccia di magia, di occultismo e di altro si riscontra nell’anima del fanciullo; e per contro essa é interamente dominata dalla visione animatrice, vivente, personificante delle cose e del mondo. E troppo noto l’abito del fanciullo di conferire un’anima ed una vita ad ogni cosa e di riguardarla come l’espressione della volontà di un essere personale, donde non solo e tanto il giuoco, così centrale nella sua vita, quanto l’attitudine di timore e di spavento alle volte, e di amichevole corrispondenza altre volte, che esso assume verso i fenomeni della natura e verso le cose anche del tutto inerti. Ora questo è il corrispondente esatto di quella attitudine mentale personificatrice, che esige la considerazione religiosa della natura. Se rispetto a questa attitudine la magia, fondata su la semplice associazione delle idee, fosse qualche cosa di più semplice, noi con forte ragione dovremmo riscontrarla nella ingenua psiche infantile. Per contro, la magia rappresenta il prodotto di una più complessa conformazione mentale. Innanzi, tutto essa presuppone una profonda esperienza della natura. La sicurezza assoluta del mago dell’esistenza di un ordine e di una uniformità inderogabile nella successione dei fenomeni non può in nessun modo essere un atteggiamento primitivo della mente umana di fronte al mondo. Essa si presenta come il risultato di una lunga osservazione del corso delle cose, come la conclusione a cui può giungere solo una mente che ha colto gli intimi legami degli eventi naturali, e la recondita legge di uniformità, di costanza, di necessità, che presiede alla loro apparente difformità, incoerenza e spontaneità. Il felice parallelo che il Frazer ha condotto tra la magia e la scienza, la dimostrazione da lui fatta dell’identità dei loro presupposti mentali, è già di per sé una prova lampante che tutto quel preliminare lavorio ideologico e sperimentale, di cui la scienza ha bisogno per sorgere, costituisce il fondamento stesso su cui la magia poggia. Ora, quanto non é più naturale, invece, più semplice, più consono alla mentalità di un essere primitivo, quel complesso di sentimenti che noi possiamo definire per esistenza ansiosa, e cioè la meraviglia, la sorpresa, il dubbio, l’incertezza, la speranza vaga e il timore di fronte ad una natura che a prima vista si mostra realmente dominata dall’imprevisto, dall’incoerente, da una variazione infinita nei suoi processi, nelle sue manifestazioni e nelle sue vie? E evidente che laddove la magia, dunque, parte dal presupposto di una conoscenza della natura, la religione naturalistica ha per suo punto iniziale la compiuta ignoranza sua, e si rivela appunto come un tentativo della mente umana di individuare i fenomeni, di interpretarli, dì coglierli nelle loro singole peculiarità e di rintracciare i legami di somiglianza, di coordinazione e di subordinazione che intercorrono sia tra essi loro, sia tra essi e la condotta umana. Tutte cose queste che per la magia sono, in un certo senso, di già acquisite all’uomo. In una parola: ciò che per la religione della natura è il faticoso e terminale punto d’arrivo, per la magia é, viceversa, il punto di partenza. Ma non basta. Essa ha per sua condizione psicologica una tale sicurezza, un tale senso di forza e di padronanza su la natura, che é consentito di poter affermare che essa può sorgere solo in una natura non ostile, non contraria e quindi non terrificante, non paurosa, non ispirante né soggezione né un senso di sgomento o di debolezza. Ora ciò si accorda benissimo con un ambiente naturale di già lavorato, conosciuto e dominato dall’uomo, e per contro è del tutto inconciliabile con un mondo vergine o non ancora interamente adattato ai fini umani. È così che è possibile dire che laddove la religione della natura si presenta come il più potente mezzo di adattamento dell’uomo alla realtà naturale che egli venera, la magia corrisponde essenzialmente ad un tentativo di adattamento della natura all’uomo e non già dell’uomo alla natura. Precisamente come nella scienza, l’uomo nella magia passa dalla difensiva all’offensiva su la natura, dalla propiziazione al tentativo di dominio [4]. Ora ciò corrisponde evidentemente ad una fase posteriore della vita. Uno dei risultati della psicologia genetica é che l’adattamento si inizia con la ricerca e con la fuga: movimenti vitali che corrispondono ai due sentimenti fondamentali, che possono denominarsi di gioia e di dolore nel loro aspetto subbiettivo, e di confidenza e di timore nel loro aspetto obbiettivo. La religione della natura si sposta continuamente fra entrambi questi due poli, e la confidenza e il timore sono in essa tanto più efficaci, ed operano quindi tanto meglio come mezzi di adattamento, in quanto raggiungono il culmine della potenza con la personificazione delle cose che ispirano fiducia e timore. La magia per contro ha il suo fulcro in uno solo di questi poli in vero modo: il desiderio e non la fuga, il piacere e non il dolore, la confidenza dominatrice e non il timore che cerca di propiziare e di placare. Come si vede l’adattamento qui é di già avvenuto, e non resta nella vita margine che per la ricerca confidente. E noi ci convinceremo tanto più della non primordialità di questo stato, ricordando il posto predominante che il timore, la timidezza, la paura hanno nell’infanzia, anche la più tenera, e come questi sentimenti «istintivi» ed «organici» vengano solo di poi e gradualmente eliminati e sostituiti appunto dalla confidenza, dalla fiducia, dalla simpatia, dalla dedizione, a mano a mano che la coscienza del fanciullo si viene adeguando all’ambiente. Ma volendo penetrare anche più addentro, sarà utile porre in rilievo alcuni caratteri meno comunemente noti della psiche infantile, di un valore eccezionale per decidere della priorità della magia o della religione della natura. Certo è che la volontà nel fanciullo non si afferma mai all’inizio come atto di deliberazione vera e propria, ma sorge come suggestione deliberativa: esprimentesi quindi con un atto irrazionale, spontaneo, che nasce dal conflitto degli impulsi. La sua motivazione perciò é del tutto inconsapevole, e il soggetto opera sotto la suggestione, la quale sarà tanto più viva se gli impulsi ad essa corrispondenti prenderanno corpo e vita con un processo di personificazione degli impulsi stessi. Inoltre mentre nell’adulto l’adattamento e la condotta mimetica verso l’ambiente è di carattere volontario e cosciente (quindi deliberativo), nel fanciullo l’imitazione è anche qui sempre di origine suggestiva, per cui in essa non é il fanciullo che opera verso l’ambiente, ma l’ambiente che domina ed opera sul fanciullo. E questa azione é esplicata tanto più efficacemente e più presto, quanto più essa deriva appunto da persone, oppure da oggetti che il fanciullo personifica. E solo molto tardi che le cose perfettamente inanimate, inerti o che non hanno subito una personificazione, riescono ad attirare l’attenzione del fanciullo e ad esercitare una influenza su di lui. Da tutto ciò risulta che se nella vita del fanciullo la suggestione occupa un posto centrale, e se essa consiste essenzialmente in un dominio del mondo esterno sul fanciullo, la religione della natura che si diversifica dalla magia appunto per essere una rappresentazione suggestionatrice della natura rispetto all’uomo, mediante la personificazione dei suoi fenomeni, e per essere una forma di dominio della natura personificata su l’uomo, a cui egli cerca di conformarsi (laddove la magia vuol essere una visione obiettiva, riflessa e cosciente dei processi naturali depersonificati, e inoltre una forma di dominio dell’uomo su la natura, mediante azioni esprimenti una volontà coercitiva), la religione della natura anche al lume della psicologia del fanciullo ed applicando la legge biogenetica, rappresenta una forma più elementare e primordiale di vita.
[1] Questo principio onto-filogenetico, del parallelismo cioè tra lo sviluppo dell’individuo e lo sviluppo della specie, ha un aspetto psicologico ed un altro morfologico ed embriologico. Il primo, posto in evidenza, più o meno chiaramente, fin dai secoli XVIII e XIX da scrittori come Lessino ed Herder, da un poeta come Goethe, da filosofi come Rousseau, Hegel, Comte, fu messo in piena luce dallo Spencer e poi fortemente affermato e utilizzato nelle sue conseguenze pedagogiche dallo Ziller; l’altro, intravisto dall’Harvey nel 1628, riaffermato da G. St. Hilaire, dal Merkel dal Von Baer, dall’Agassiz, dal Serres, fu scientificamente provato da Fed. Muller nel 1864, e innalzato a dignità di legge dall’Haeckel. Se la critica più recente ha sentito di dover molto attenuarne la portata, e precisarne i limiti di interpretazione, è concorde però nel riaffermarne il valore e il fondamento. È chiaro che qui a noi interessa solo il suo aspetto psicologico. [Torna al Testo] [2] Vedi il § 4 «Variazioni nell’ontogenesi », nel volume, fondamentale per queste ricerche, dell’insigne psicologo J. M. Baldwin, Le développement mental chez l’enfant et dans la race, trad. franc. Paris, 1897, e l’altra sua opera: Interpretation sociale et morale du développement mental, trad. franc. Paris, 1899. Cfr. anche SIKORSKY, Die seelische Entwickelung des kindes, Leipzig, 1908. [Torna al Testo] [3] Noi ci appelliamo alle autorevoli parole del Baldwin: «Lo studio del fanciullo è generalmente il solo mezzo che noi abbiamo per verificare le nostre analisi mentali. Se noi affermiamo che un certo fatto complesso è composto di elementi mentali più semplici, noi non possiamo appellarci che alla vita intellettuale del fanciullo per cogliere questa composizione nella sua genesi». Ma nessuna testimonianza scientifica potrebbe essere più decisiva contro il metodo usato dal Frazer, della seguente: «La psicologia del fanciullo è molto più utile alla psicologia dell’uomo che lo studio della coscienza animale. L’animale non sarà mai un uomo, mentre il fanciullo lo diverrà. Sotto certi rapporti gli animali sono più sviluppati dell’uomo, ma sotto altri essi restano ben lungi da lui. Studiando gli animali si è sempre assillati dal timore che l’analogia non sia che superficiale e che certi elementi essenziali allo sviluppo dello spirito umano manchino assolutamente alla bestia». Da ciò segue che «noi dedurremo le fasi della storia della razza da quelle dello sviluppo dell’individuo. Questa deduzione è d’altronde resa possibile dalla ricapitolazione, cioè dal riflesso delle fasi della storia della razza in ogni sviluppo individuale». [Torna al Testo] [4] Ciò ha riconosciuto molto bene il Reinach quando ha detto: «Grazie alla magia, l’uomo prende l’offensiva contro le cose, o piuttosto diviene come il direttore d’orchestra nel gran concerto degli spiriti che rumoreggiano ai suoi orecchi. Egli comanda loro e crede di farsi obbedire. Quando questa illusione sarà divenuta, anche in piccolissima parte, una realtà verificabile con l’esperienza, la scienza nascerà dalla magia». Cultes, mythes, religions, Paris, 1905, t. II, p. XV. [Torna al Testo]
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