l Rāmāyana ([raːˈmaːjana] dal sanscrito रामायण, lett. il viaggio - ayana- di Rama), insieme al Mahābhārata è uno dei più grandi poemi epici della mitologia induista, oltre ad uno dei testi sacri più importanti di questa tradizione religiosa e filosofica.
Narra le avventure di Rama, avatar di Visnu, ed è una delle Itihasa, le scritture epiche indiane.
L'epos rāmaico consta di 24.000 śloka (versi), 86.000 in meno rispetto al più complesso Mahabharatha, suddivisi in oltre cinquecento sarga (sezione di testo) distribuiti in sette libri (kānda), di cui il primo (Bāla-kānda) e il settimo (Uttara-kānda) sono considerati, a giudizio unanime della critica, delle addizioni posteriori.

Il nucleo originario dell'intera opera è costituito dai kānda II-VI, e seppure siano anche qui individuabili evidenti interpolazioni e aggiunte, non si può non notare la coerenza, l'omogeneità e l'organicità di stile, di contenuto e di struttura, a tal punto da fare pensare ad un unico autore, ipotesi per altro accreditata dalla tradizione che ha sempre attribuito al saggio Vālmīki la paternità dell'opera. La redazione definitiva del poema si fa risalire al I-II secolo d.C.: esso, infatti, è anteriore alla redazione definitiva del Mahābhārata, ma si ritiene che la sua forma originaria possa risalire al IV - III secolo a.C. (epoca Maurya), se non addirittura al VI secolo a.C.

Il Rāmāyana, proprio come i poemi omerici, può essere considerato come un serbatoio o una raccolta dell'insieme delle conoscenze e dei modelli culturali di un'intera civiltà. L'epos rāmaico pertanto svolge una funzione educativa adempiendo in pieno, essendo depositario del sapere collettivo, al suo compito didattico-paradigmatico. Eppure questo deposito o "sedimento ereditario", trasmesso dalla tradizione orale, non va inteso come patrimonio onnicomprensivo, ma piuttosto come stratificazione e sovrapposizione progressiva di un materiale storico, mitico, aneddotico e geografico che nel corso dei secoli è stato ricucito in una raccolta organica divenuta sintesi e simbolo dei contenuti culturali, religiosi e filosofici di un'intera civiltà.

In questo senso Rāma, non è solo il protagonista dell'epos narrato, bensì il nome dato ad un codice di comportamento morale, religioso, politico, e sociale che appartiene ad una fase precisa della civiltà indiana. Ciò significa che il poema rāmaico non solo “descrive", ma "prescrive", attraverso il fulgido esempio di Rāma e Sītā come archetipi di perfezione e di adesione al dharma, un modello di condotta morale e etica da imitare e interiorizzare. La narrazione di questi eventi mitici ci è giunta grazie alle eleganti strofe di Vālmīki che, con il suo stile raffinato ed erudito, sembra anticipare gli elaborati componimenti di epoca classica (Kāvya), ossia un particolare tipo di letteratura caratterizzata da lunghissime descrizioni, sorprendenti paragoni e metafore, giochi di parole e ostentazioni di dottrina, rime interne e tutto un repertorio di ricercatezze formali e ornamenti stilistici (alamkāra) che inducono gli studiosi ad ipotizzare una matrice di natura aristocratica e a individuare nelle corti e nelle cerchie di intellettuali il luogo privilegiato di irradiazione di questo nuova e sapiente produzione letteraria. Anche gli indologi sono unanimi nell'accettare il dato della tradizione che assegna al veggente (rishi) Vālmīki la composizione del poema o, almeno, di quello che è ritenuto il suo nucleo originario, nonostante il nome del veggente venga citato solo esclusivamente nelle due sezioni, la prima e la settima, notoriamente considerate spurie.‎ In ogni caso il celebre rishi non avrebbe fatto altro che rielaborare e ricucire gli antichi materiali relativi all'eroe Rāma, tramandati dai bardi o cantori itineranti (cārana, kuśīlava), dei quali abbiamo traccia anche in tradizioni esterne alla cultura brahmanica, come quella buddhista e quella jaina‎.

Il Rāmāyana è giunto a noi in tre recensioni, ossia l'edizione di Bombay, probabilmente la più antica e detta, dallo Jacoby (C), la bengalese o Gauda (B) e la Kaśmiriana o nord-occidentale (A). Tutte e tre le recensioni, seppure differiscano per intere sezioni e persino per discrepanze di contenuto, sono suddivise in sette kānda e offrono ad ogni modo una visione omogenea e coerente dello svolgimento dell'azione principale. Ogni kānda origina il proprio nome dalla natura della materia trattata.

Il poema narra la storia di Rama, settimo avatar di Visnu, sovrano ideale e guerriero valoroso, e della sua sposa, Sita. Rama, principe ereditario del regno di Koshala viene privato ingiustamente del diritto al trono ed esiliato dalla capitale Ayodhya. Rama trascorrerà 14 anni in esilio, insieme alla moglie Sita ed al fratello Lakshmana, dapprima nei pressi della collina di Citrakuta, dove si trovava l’eremo di Valmiki e di molti altri saggi, in seguito nella foresta Dandaka, popolata da molti demoni (rakshasa). Lì Sita viene rapita dal crudele re dei demoni, Ravana, che la conduce nell’isola di Lanka. Rama e Lakshmana si alleano con i Vanara, potente popolo di uomini-scimmia, ed insieme ai guerrieri scimmia, tra i quali c’è il valoroso e fedele Hanuman costruiscono un ponte che collega l’estremità meridionale dell’India con Lanka. L’esercito affronta l’armata dei demoni, e Ravana viene ucciso in duello da Rama, che torna vittorioso nella capitale Ayodhya, e viene incoronato re. Rama, per rispettare il dharma, è costretto a ripudiare Sita, a causa del sospetto che abbia ceduto alle molestie di Ravana. Per dare prova della sua purezza, Sita accetta di sottoporsi alla prova del fuoco, ed esce indenne dalle fiamme.