Consideratosi il depositario dell'eredità asburgica, l'imperatore Francesco Giuseppe dovette senza dubbio mal tollerare le spine nel fianco che rappresentavano, per il suo impero, l'irredentismo trentino e triestino. In effetti, nonostante le repressioni poliziesche messe in atto, le fila dei movimenti nazionalisti delle due regioni si ingrossavano giorno per giorno in modo preoccupante, favorite da una propaganda che la stampa italiana conduceva ormai a tamburo battente. Oltretutto nella prima fase delle operazioni belliche l'Austria non si preoccupò di guarnire oltre misura un fronte come quello italiano che, non essendo ancora zona di operazioni, veniva considerato in second'ordine rispetto a quello russo e serbo, dove la guerra già divampava: l'irredentismo conservò perciò un certo margine di manovra, che fu di preziosissimo aiuto al momento dell'entrata in guerra dell'Italia. Oltre alle motivazioni di ordine strategico e diplomatico, il caso di Trento e Trieste rappresentava per l'opinione pubblica italiana una questione di ben maggiori dimensioni, le cui radici affondavano nel sentimento unitario nato col Risorgimento e che costituivano un propulsore psicologico di rara efficacia. Perciò, quando il generale Cadorna elaborò un piano d'offensiva che prevedeva l'avanzata italiana proprio in quelle zone, poté valutare come dato favorevole anche la collaborazione delle popolazioni locali e la buona disposizione dei soldati, fattori invece negativi per le forze austriache. "Il Fischietto", 16 gennaio 1915
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