Ritornato alla presidenza del Consiglio il 30 marzo 1911, Giolitti caratterizzò subito il suo programma come espressione di un moderato riformismo, che a iniziative socialmente molto avanzate affiancava la rigida tutela degli interessi dei ceti dominanti. Tra le proposte di maggior spicco figuravano l’allargamento del suffragio alla quasi totalità dei cittadini maschi (già proposta da Luzzatti ma su scala più ridotta), in modo da portare il numero degli elettori da tre a quasi nove milioni, e l’istituzione di un’adeguata Cassa per la vecchiaia e l’invalidità per i lavoratori attraverso la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita. In forza di queste aperture socializzanti Giolitti si assicurò la collaborazione dei socialisti, forza che egli riteneva necessario coinvolgere nella gestione del potere fin dal 1903. Contemporaneamente, operò per garantirsi la fiducia dei conservatori, che tendeva invece a coagularsi intorno a un’opposizione guidata da Sonnino e Salandra. Da qui l’ironia della sinistra, che presenta all’opinione pubblica un Giolitti bifronte mentre cerca, quasi fosse un Fregoli ante litteram, di presentarsi a ogni fazione nell’abito e nell’atteggiamento adatti, facendo del trasformismo non più un gioco politico ma una costante della propria personale immagine pubblica. Un paio di mesi più tardi ancora "L’Asino" presenterà il capo del governo col codino nobiliare e il berretto rivoluzionario, rispolverando l’iconografia di Crispi che anni addietro aveva avuto un notevole successo. In effetti sia la politica di Crispi sia quella di Giolitti erano accomunate da un’apparente equidistanza nei confronti dei due blocchi sociali, dietro alla quale traspariva però il vero interesse preminente: la conservazione di una solida base di potere a vantaggio di un regime sostanzialmente moderato. "L’Asino", 14 maggio 1911
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