Dopo i sanguinosi eventi del 1898 la palma dell’impopolarità fu a lungo contesa, agli occhi dell’opinione pubblica, tra il duro generale Bava-Beccaris e l’allora capo del governo Di Rudinì, cui non fu mai perdonato di aver autorizzato questo e altri massacri di dimostranti. Più che la sua ambigua figura politica, aveva urtato l’estrema disinvoltura con cui l’uomo politico aveva anteposto a ogni altra considerazione di ordine morale e umano la difesa a ogni costo dell’ordine costituito, un ordine imposto e mantenuto con la forza delle armi. Oltretutto, già da allora la metropoli milanese, protagonista dell’episodio insurrezionale e patria del giornalismo più critico nei confronti del regime, non celava certo un’endemica insofferenza verso atteggiamenti che calavano dall’alto del potere romano, dei quali l’ex presidente del Consiglio fu impareggiabile interprete. Così, in occasione di una malattia del Di Rudinì, "L’uomo di pietra" si fece interprete dei sentimenti della cittadinanza di Milano, il cui augurio per la salute dell’uomo politico è ben messo in evidenza da questa spietata vignetta. "L’uomo di pietra", 20 giugno 1908
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