Giovanni Lanza in divisa di carabiniere, come nella vignetta, rispecchia fedelmente l’immagine che dello statista piemontese si era fatta l’opposizione. Eppure Lanza aveva ricoperto solo per pochi mesi l’incarico di ministro dell’Interno essendo noto soprattutto come presidente della Camera, ministro dell’Economia, presidente del Consiglio. I «matti da catena», cioè i repubblicani, come usavano chiamarli i filomonarchici, non si limitavano alle sferzanti critiche con le quali ammettevano l’intransigenza della Destra soprattutto in fatto d’avversari, ma ricorrevano anche a quei «progettacci», come diceva Vittorio Emanuele lI, eversivi. La caccia al ‘semiarmato’ fu accanitamente perseguita da Lanza per gran parte delle sue 14 ore di lavoro quotidiano. Il 16-17 maggio 1870, un gruppo di borghesi sovversivi fu sorpreso, di notte, dai carabinieri nella Garfagnana e subito sgominato con morti, feriti, prigionieri. Gli autori della piccola rivolta erano solo pesci di taglia minuta, ironizza " Il Fischietto" del 7 giugno, non certo i mostri sacri come Mazzini o Nathan. L’idea del ‘pesce’ non sembra né forzata né peregrina. In una lettera inviata dalla presidenza del Consiglio al ministero dell’Interno il 14 aprile 1870 si legge tra l’altro: «... La deportazione da Lei proposta sarebbe senza dubbio un mezzo efficace e radicale. Fino dal 1865 io vi pensai e si intrapresero delle ricerche in mari lontani per trovare un sito adatto. Si ripigliarono in questi ultimi tempi e le ultime notizie danno a credere che siasi trovata qualche isola tra la Cina e il Giappone». "Il Fischietto", 7 giugno 1870.
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