| Presso tutti i popoli antichi le feste erano generalmente collegate alle grandi epoche della Natura e al sistema celeste: si avevano quindi feste solstiziali e feste equinoziali. La più importante, dopo quella del solstizio d'inverno, in cui si celebrava la natività del Sole, era la festa dell'equinozio di primavera quando l'Astro raggiante, passando da un emisfero all'altro, riporta i lunghi giorni e col suo benefico calore rianima la vegetazione. Fu appunto questo assoluto bisogno di luce e di calore solare la cui mancanza avrebbe distrutta la vita, che ispirò agli uomini la istituzione di grandi feste per celebrare il ritorno del sole e il suo trionfo sul freddo e sulla caligine invernale.
I teologi delle antiche religioni, antropomorfizzando il Dio Sole, cercarono di assomigliarlo, nelle loro sacre allegorie, alla vita dell'uomo; e come avevano immaginata la natività dell'astro divino, e il suo crescere e decrescere periodico, idearono anche la sua temporanea morte in un sepolcro. Ed ecco in Babilonia la tomba di Belo, in Egitto quella di Osiride, in Creta quella di Giove, in Frigia quella di Atys, in Persia quella di Mithra, a Cadice quella di Ercole, in Fenicia quella di Adone, in Palestina quella di Cristo. Per la discesa di questa divinità nel sepolcro, si celebravano feste di grande importanza allo scopo di solennizzare il dolore per la perdita del Dio.
Fra i sepolcri delle varie divinità più importante era quello di Osiride, per il quale gli Egiziani eseguirono un progetto molto ardito. Essi fecero sì che il sepolcro, sotto la immensa mole di una piramide, divenisse - alla resurrezione del Dio - il suo maestoso trono. All’equinozio di primavera i fedeli genuflessi ai piedi della piramide, volgendo lo sguardo verso il piano inclinato della sua facciata boreale, contemplavano il grande Osiride, che pareva sorgere dalla tomba, dopo la discesa nelle regioni infernali, e sostare poi, radioso e trionfante, sulla cima della piramide.
Ciò accadeva appunto, allorquando per la speciale costruzione della piramide, i cui lati erano rivolti verso i punti cardinali, l'ombra spariva a mezzogiorno da tutte le sue facciate e per tutto il tempo in cui il sole soggiornava nell'emisfero luminoso. L'allegoria del Sole divinizzato non poteva in modo migliore essere rappresentata, all'equinozio di primavera, che con una festa che celebrasse la morte e la resurrezione del Dio. Infatti il Sole, unico riparatore dei mali prodotti dall'inverno, rimane ancora tre mesi in quella regione, attribuita al male e alle tenebre, prima di sormontare il famoso «passaggio» dell’equinozio di primavera che assicura il suo trionfo sulla notte e rinnova la faccia della terra. La festa dell'equinozio di primavera solennizzava quindi il «passaggio» del Sole Salvatore, nel nuovo emisfero: passaggio che, espresso dalla parola ebraica pesach, significava però, presso il popolo d'Israele, soltanto la liberazione dalla schiavitù faraonica. Il racconto biblico non sarebbe altro che una interpretazione tardiva di una festa antichissima ridotta alla semplice commemorazione dell’Esodo degli Ebrei dall'Egitto. Rimase però inalterata la tradizione di immolare, in quella festa, l'Agnello che si ricollega col mito solare.
È noto che lo Zodiaco, i cui segni, forse, per il loro carattere cabalistico hanno avuto grande fortuna come ornamenti sacri e profani, è quella zona di cielo, che, simile ad una larga fascia avvolge la Terra parallelamente all'orbita apparente che il Sole descrive ogni anno intorno a noi. Esso deve il suo nome (Zodiaco = contenente animali) alle figure predominanti formate dalle stelle che la fantasia degli antichi raggruppò idealmente in dodici costellazioni, corrispondenti ai mesi dell'anno. Queste dodici costellazioni furono dai nostri padri chiamate «le case del sole», perché, nel corso dell'anno il sole sorge successivamente, ogni mese, innanzi ad una di esse e ad ogni primavera ritorna all’inizio di questo celeste cammino. Dalla divisione dello Zodiaco - dice Luciano - ebbero nascimento le molte divinità animali adorate in Egitto. Se si pensa che l'equinozio di primavera coincise col primo grado dell'Ariete 2300 anni av. Cristo, e con l'ultimo del Toro, 4500 av. Cr., potrà sembrare più che curiosa la coincidenza degli animali sacri venerati in quei tempi, quali, ad esempio, il Toro e l'Ariete. Ora giova notare come il culto del Toro, rappresenta la parte principale nella teologia degli Egizi, dei Persiani, dei Giapponesi ecc., mentre in alcune immagini primitive si può osservare come, alle figure taurine, la testa dell'animale sia stata sostituita con quella di un Ariete o di un Agnello. Lo studio di queste coincidenze richiama il simbolismo solare poiché in luogo del Sole come astro in se stesso, si tratta del sole osservato nei dodici asterismi ch'esso sembra percorrere in un anno. Quando all'equinozio, che anticamente segnava il principio dell'anno, il sole entrava nella costellazione del Toro, era il Toro l'animale sacro di Rà, di Osiride, di Set e di Phta in Egitto, di Mithra in Persia, del Buddha arcaico in India, di Merodach in Babilonia. Quando invece, per il moto di retrogradazione dei punti solstiziali, il sole cominciò ad entrare, all'equinozio di primavera, nella costellazione dell'Ariete, l'animale eletto fu l'Ariete o l'Agnello. Molto complesso sarebbe esaminare caso per caso, la trasformazione dei simboli zodiacali nelle religioni primitive, ma parlando dell'Ariete appare più evidente la relazione che passa fra questo animale sacro, l'Agnello che gli Ebrei usavano sacrificare, e l'Agnello pasquale che nei primi secoli servì a rappresentare Gesù Cristo. L'affermazione di Clemente Alessandrino che «il Signore é la vera Pasqua»; di Ippolito Romano che «Cristo non mangiò l'agnello pasquale secondo la legge, perché egli era il vero agnello pasquale», e l'appellativo di S. Paolo che chiama Cristo «il nostro agnello pasquale» sembrano autorevoli testimonianze per identificare nel Dio venerato dai Cristiani, l’ultima immagine del Sole nel segno dell'Agnello, perché fin dal principio dell’Era attuale, noi siamo nell'età dei Pesci e così si spiega come Gesù fosse anche chiamato «Pesce» e, sotto questa immagine, venerato nelle catacombe. Pesce, in greco, è ictùs, di cui si conoscono i significati iniziali: Iesus Cristòs Teu Uiós Soter, Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore.
Esaminando la Pasqua come festività religiosa che commemora la morte e la resurrezione del Dio Sole (detto il Salvatore), sarà facile notare le analogie di queste festività che indicano, in quell'epoca, un movimento comune presso i diversi popoli. Mithra, il Salvatore persiano che nacque in una grotta il 25 dicembre, ebbe patimenti grandissimi prima di morire e i discepoli ne piansero a lungo, sulla tomba, la memoria. Annualmente poi, per sua glorificazione, nelle notti intorno all'equinozio di primavera, i sacerdoti dopo prolissi uffici funebri, rivolti ai fedeli annunziavano sempre: «Rallegratevi perché il vostro Signore é risorto da morte. Le sue pene e le sue sofferenze saranno la vostra salvezza». Magnifiche e coreografiche erano le cerimonie di salutazione: nello sfarzoso corteo che si dirigeva a levante verso l'Oronte per ringraziare Ordmuz, fonte di ogni benedizione, dal quale Mithra, il radiante, era stato mandato a rallegrare la terra ed a conservare il principio della vita, era simbolicamente rappresentato l'anno, generato dal sole, da 365 giovani vestiti di scarlatto che significavano i giorni e il colore del fuoco; seguiva il carro del Sole, vuoto, adorno di ghirlande e trainato da cavalli bianchi bardati in oro purissimo. Subito dopo seguiva un gran cavallo bianco, solo, tutto risplendente nella fronte di gemme, e un carro d'avorio e d'oro in cui si trovavano il Sovrano con i grandi dignitari di Corte. Chiudevano il corteo i notabili in ricchissime vesti, cavalcanti cammelli riccamente bardati. Giunti sulla sommità della montagna, si prostravano cantando inni al sole che frattanto era sorto.
Oro, il Dio solare egizio, incarnazione di Osiride, nato anch'esso il 25 dicembre da Neith, la vergine pura, glorificata negli inni come madre di Dio e Regina dei Cieli, dopo aver trionfato di Tifone - il serpente malefico - diventa il Signore della vita d'oltretomba e il giudice di tutte le anime. Il Dio, come Osiride, è il Sole che tramonta, ucciso nella lotta da Tifone, il principe del male e delle tenebre; come Oro, invece, è l'astro vittorioso che torna nuovamente a splendere nei cieli. In epoca quasi coincidente con le nostre Quattro Tempora tutto il popolo si abbrunava per quaranta giorni e faceva grandi lamentazioni in memoria della morte di Osiride; ed a Biblo, in Siria, ove pure annualmente la morte e la resurrezione del Dio erano commemorate in una caratteristica cerimonia nei sotterranei del tempio, la festa durava quattro giorni, dopo i quali tutti uscendo dall'oscurità dei sotterranei si trovavano nel bagliore solare e immaginavano che Osiride fosse risorto, e, dinanzi alla natura risvegliata dal tepore primaverile, lside fosse in allegrezza. Troppo numerose sono le varianti del cullo egiziano perché si possa, anche nei dettagli, ricostruire la celebrazione della morte e della resurrezione ideale di Osiride attraverso i secoli che vanno dall'antico impero menfita per il medio e il nuovo impero tebano alla restaurazione saitica, e della teatralità con cui venivano, di solito, mimate da sacerdoti e lamentatrici le scene in cui si svolgeva la passione, la morte e la resurrezione di Osiride.
Anche in Siria, e, prima ancora in Babilonia, nel culto di Thammuz - Adone, vi sono molte analogie con i riti di cui si é fatto cenno. Il Dio solare di Erido, il figlio unico di Ea e di Istar, la Dea che veniva glorificata come vergine e che, nelle preghiere, figura con i qualificativi di Signora della Terra e dell'Eden, veniva ogni anno, durante tre giorni, lamentato e pianto come morto. Si celebrava quindi, con letizia, in epoca coincidente con il nostro 24 marzo, la resurrezione del Dio, ed i sacerdoti, dopo aver toccato con l'olio santo le bocche del fedeli, dicevano: «O voi che ricevete comunione, abbiate fede nel nostro Signore; per la sua resurrezione a voi verrà dalla doglia, salvezza». Ed i fedeli radunati rispondevano: «Osanna alla colomba che restituisce la luce»! Questo rito doveva essere molto praticato dalla gente semita di Siria, non solo, ma - quale eresia - anche da alcune tribù del popolo eletto, poiché nel libro del profeta Ezechiele si trova rimprovero al rituale funebre degli ebrei in cui «le donne piangevano Thammuz».
Il culto di Ati, il figlio unigenito, il Salvatore frigio, era quasi identico a quello di Adone. Anzi molti autori antichi, per la grande somiglianza, fecero più volte delle due, una divinità sola. Il 22 marzo, mentre il sole passava l'equinozio di primavera si tagliava in un bosco un pino e lo si trasportava nel santuario di Cibele, ove poi era tenuto in adorazione come fosse la divinità medesima. Le cerimonie si iniziavano il giorno successivo ed avevano termine il giorno 24 marzo, nel cosiddetto giorno del sangue, in cui il gran Sacerdote, traendo sangue dalle proprie braccia, lo presentava come offerta. Durante la notte avveniva la cerimonia funebre in onore del Dio che s'immaginava morto, ed all'inizio del quarto giorno – 25 marzo – era l'Hilaria, la gran festa della gioia in cui si celebrava la resurrezione di Ati.
Bakab il Salvatore, rappresentato dagli antichi popoli del Yucatan, nella flagellazione e nella coronazione di spine che egli ebbe prima di essere crocifisso, risuscitò nel terzo giorno dopo la sua morte ed ascese gloriosamente al Cielo; così il Quetzalcoat delle genti Messicane, nell'iconografia e nella tradizione, ci appare come il Dio che morì crocifisso sullo Tzoupantli in espiazione dei peccati del genere umano, che discese alle regioni infernali e che, dopo essere resuscitato, salì anch'esso al Cielo.
Anche Baal-Sab o Samhein dell'antica fede celtica dell'Irlanda, era il Dio della vita d'oltretomba, poiché, morto, risorse dopo tre giorni a vita eterna, per giudicare e proteggere le anime dei defunti come il bianco e mitissimo Baldur, che morì per la freccia scoccata dal cieco Hoeder e che veniva ogni anno, durante quaranta giorni, pianto per la sua morte e poi celebrato con letizia nella sua ideale resurrezione. Egli rimane morto per 40 giorni, perché al 68° grado di latitudine, il sole rimane per 40 giorni invisibile.
I Romani celebravano i grandi misteri che ricordavano l'annuale trionfo del Dio Sole sulle lunghe notti dell'inverno e, dopo averlo pianto qualche giorno come morto, ne cantavano la resurrezione il 25 marzo, ovvero l'8 avanti le calende di Aprile.
Non molto diversamente dalle citate celebrazioni i Cristiani rappresentano tutt'ora la passione, la morte e la resurrezione del loro Dio, colui che Giovanni chiama «luce che illumina ogni uomo che viene al mondo» e che Malachia definisce elioterapicamente «Sole di giustizia, che risana con i suoi raggi». Ora se questo Salvatore ha il carattere del Dio Sole, adorato sotto una quantità di nomi e attributi differenti, vuol dire che i Cristiani, distrutte le antichissime cosmogonie, ne conservarono il simbolismo, sia perché la loro coscienza umana ne era saturata, sia perché non sarebbero stati capaci d'inventarne un'altra.
Affermare quindi che il Sole nell'infanzia dei popoli fu l'unico movente, per il suo corso, delle primitive celebrazioni annuali, non sarà certo cosa nuova. Benché l'allegoria di una divinità salvatrice nata da una vergine al solstizio d'inverno, che risuscita, a Pasqua, dopo essere discesa all'inferno; di un Dio che trae seco un corteggio di dodici apostoli, di un Dio vincitore del principe delle tenebre, che fa passare gli uomini nel dominio della luce e che ripara i mali della natura, sia già stata narrata, con molto più ingegno nei poemi su Bacco, su Osiride, su Ercole, su Adone ecc. non é forse inopportuno ricordare come nell'antichissimo mito solare trovi per l'appunto la sua origine la tradizionale festa di Pasqua. La quale se é stata l'ispiratrice, in ogni tempo, di poeti, di artisti e di pensatori, ha purtroppo rallentato l'avvento di una religione superiore, più degna del nostro progresso e della nostra civiltà, e perciò non costruita sull'ignoranza e su tradizioni inaccettabili, ma ispirata dall'infinito Mistero della Natura, attraverso il quale il nostro spirito - questo nostro spirito smarrito - procede nella ricerca di Dio.
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