È certo tuttavia che l'autonomia della Loggia restava limitata nella stessa misura in cui si determinava, nel nuovo sistema, il suo assoggettamento alla volontà unitaria della Gran Loggia. Ma ciò non dovette procurare difficoltà rilevanti dal momento che il sistema collegiale corrispondeva probabilmente ad una scelta necessitata anche in rapporto ad una esigenza di democrazia interna, che attendibilmente non fu secondaria nell'impulso riformatore dei fondatori della Gran Loggia.
Una tale esigenza risulta espressa (ancora una volta in maniera contraddittoria) con accenti quanto mai vivaci dallo stesso Anderson, il quale nell'articolo X dei Regolamenti Generali scrive: «La maggioranza di ogni Loggia particolare, quando riunita, ha il privilegio di impartire istruzioni al proprio Maestro e ai Sorveglianti prima che si riunisca il Gran Capitolo o Loggia per le tre Assemblee Trimestrali, in prosieguo menzionate, ed anche per la Gran Loggia Annuale, essendo il Maestro e i Sorveglianti i suoi rappresentanti e supposti esprimere il suo pensiero».
Addirittura, poi, nell'art. XXXIX, attribuendo alla Gran Loggia Annuale il potere di fare nuove norme, prescrive «che esse siano presentate all'attenzione di tutti i Fratelli, per iscritto, anche al più giovane apprendista; l'approvazione e il consenso della maggioranza di tutti i Fratelli essendo assolutamente necessaria per rendere le medesime vincolanti e obbligatorie».
La stessa concezione dominante ricompare nel «Post scriptum», laddove, formulandosi la procedura per la costituzione di una nuova Loggia, si stabilisce che il Gran Maestro nomina il Maestro di Loggia «avendo richiesto e ottenuto l'unanime consenso di tutti i Fratelli», così come si prescrive che il neo Maestro di Loggia nomina i due Sorveglianti dopo averli «presentati al Gran Maestro per la di lui approvazione e alla nuova Loggia per il suo consenso».
Tutto ciò conferma il rilievo che la Gran Loggia fosse fondata decisamente sul principio rappresentativo e assembleare, tale che la Loggia particolare restasse sostanzialmente titolare e fonte di autorità, e dimostra altresì che, a loro volta, le stesse cariche verticali della Loggia particolare, il Maestro e i Sorveglianti, non risultavano investiti di un potere proprio, delegato in bianco dai membri della Loggia o conferito dall'alto, ma basavano la loro autorità sulla volontà di tutti i Fratelli.
In ultima analisi può dirsi che il sistema collegiale rappresentava uno strumento di tutela dell'autonomia della Loggia, sia in relazione alla sovrana determinazione della propria volontà, e sia in relazione al potere di concorrere liberamente alla formazione della volontà unitaria della Gran Loggia.
Ma bisogna anche porre in netto risalto che il nuovo ordinamento, radicato su queste fondamenta, proclamava implicitamente quanto perentoriamente la propria assoluta incompatibilità con un sistema di gerarchie verticalmente e irreversibilmente ordinate.
E certamente in ragione di ciò doveva aprirsi il processo che dava luogo alla ingarbugliata e travagliata vicenda dei Riti. Sta di fatto che la iniziativa di istituire sistemi di Alti Gradi, strutturati sullo schema degli ordini cavallereschi o simili, non si sviluppò che all'esterno del corpo amministrativo della Gran Loggia, la quale, anzi, ribadì nel tempo sempre più decisamente la propria indipendenza dai Corpi Rituali fino a farne un principio base di regolarità di ogni comunione massonica (15).