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2. La dottrina di Martinès de Pasqually

G. Abramo:

Prima di passare ad esaminare gli eventi "storici" che ci interessano e che possono aiutarci a chiarire la tesi che vogliamo dimostrare non ci appare superflua qualche riflessione sulla dottrina di Martinès che, come è stato accennato, è contenuta nel Trattato della reintegrazione degli esseri nelle loro primitive virtù e potestà.

 

P. Mascetti:

Non soltanto nel Trattato ma anche nelle Istruzioni di Lione, nel manoscritto di Algeri, nei documenti della Biblioteca Nazionale di Parigi, nella Biblioteca di Grenoble, nel fondo Hermete, ecc. ecc., oltre a tutti gli innumerevoli commenti e pubblicazioni che sono disponibili per tutti.

 

G. Abramo:

Cominciamo con il precisare che – secondo il pensiero di Martinès – gli esseri emanati dal Primo Principio, furono "precipitati" a causa della "prevaricazione" di Adamo. Essi, pertanto, dovranno "riconciliarsi" con Dio, ma la cosa appare alquanto problematica data l'assoluta negatività del nostro mondo.

Tra l'uomo ed il suo "Maestro celeste" esiste tutta una gerarchia di esseri non materiali e, tra questi, ve ne sono anche di malvagi e di prevaricatori.

Per la sua salvezza "l'uomo di desiderio", oltre a divenire signore di se stesso, cioè della sua natura inferiore, focalizzando il suo essere verso il divino, deve anche combattere contro i tentativi delle entità decadute che cercano di asservirlo e di legarlo agli impulsi inferiori ed al mondo delle percezioni sensoriali.

I mezzi per la reintegrazione consistono: nello studio dei misteri cosmici e nella comprensione dello scopo da raggiungere; nei riti di riconciliazione appoggiati ai riti di purificazione e di servizio o di lotta contro la negatività.

Indicativamente si può dire che tutte le operazioni Cohen possono essere raggruppate in tre categorie:

  1. operazioni di purificazione dell'aura terrestre;

  2. operazioni di guarigione;

  3. operazioni di riconciliazione e di reintegrazione.

In definitiva la "via operativa Cohen" si avvale di una, diciamo così, tecnica iniziatoria, strutturata secondo tecniche magiche classiche e soprattutto di una tecnica cultuale, ritenuta idonea a realizzare le finalità espresse nella dottrina contenuta nel Trattato di Martinès.

A scopo meramente informativo riportiamo qui i culti propri dell'Ordine, sui quali poi torneremo per altre considerazioni:

  1. Culto di espiazione;

  2. Culto di grazia particolare generale;

  3. Culto operatorio contro i demoni;

  4. Culto di prevaricazione e di conservazione;

  5. Culto contro la guerra;

  6. Culto di opposizione ai nemici della legge divina;

  7. Culto per ottenere la discesa dello Spirito Divino;

  8. Culto di affermazione della fede e di perseverazione nella Virtù Spirituale divina;

  9. Culto per la fissazione dello Spirito Conciliatore Divino in sé;

  10. Culto di dedicazione annuale di tutte le operazioni al Creatore.

La tecnica cultuale è concepita secondo i canoni della teurgia. Nel corso del culto il Cohen prende contatto con forze sempre più sottili (elevate) che gli si manifestano secondo i "passi". Egli ascende quindi verso il Pleroma iniziale elevandosi di regione spirituale in regione spirituale. Questa "ascensione" (che dura tutta la vita) è guidata e confermata da manifestazioni dell'aldilà, i cosiddetti "passi" che sono dei glifi luminosi, delle Entità di cui sono le manifestazioni nella nostra dimensione, i cui segni sono contenuti in un repertorio generale che ne enumera circa 2.400, classificati secondo i loro rispettivi "ranghi" e "classi".

In tal modo il Cohen, mediante la interpretazione del segno corrispondente al glifo luminoso visto durante le sue operazioni, è in grado di conoscere il livello raggiunto nel suo ascenso e di controllare il progresso sul duro cammino della propria reintegrazione.

 

P. Mascetti:

Il termine “Pleroma” indica la totalità dei poteri di Dio ed è un elemento base della cosmologia gnostica. Ricorre anche in alcuni testi fondamentali del cristianesimo ma non mi è mai capitato di leggerlo in documenti originali relativi all’Ordine degli Eletti Cohen. Se un termine, specifico di una determinata corrente di penutilizzato in un contesto diverso e se questo impiego è funzionale ad migliore esposizione, ritengo che sia necessario chiarire il contesto altrimenti si ingenera soltanto confusione. Qui sembra che il termine Pleroma fosse di uso comune nell’Ordine mentre invece non è vero.

 

G. Abramo:

Dall'esame di quanto innanzi illustrato ci sembra che emerga – con sufficiente chiarezza – l'estraneità o la diversa sostanziale impostazione dalla "via" massonica. Tuttavia qualcosa in comune forse c'è, ma nella forma, più che nella sostanza.

Infatti questa forma è più propriamente cabalistica, si avvicina a teorie giudeo-gnostiche, ma per approdare ad una pratica magico-teurgica assolutamente estranea alla Massoneria e che affonda le sue radici molto probabilmente nel vecchio terreno teurgico egiziano e greco.

 

P. Mascetti:

Teorie giudeo-gnostiche nel 18° secolo? E quale sarebbe stato il nesso storico tra il periodo di formazione del giudeo-gnosticismo (ormai chiaramente indicato dai maggiori studiosi come una sorta di ebraismo ribelle e degradante) sviluppatosi tra il 1° ed il 3° secolo dell’era volgare con Martinès de Pasqually che è vissuto soltanto 15 secoli dopo? Ancora una volta copia senza riflettere e senza portare alcuna prova a sostegno di una teoria così assurda ma, comunque, molto in voga negli ambienti francesi dove però, grazie all’abitudine alla polemica e all’esercizio intellettuale, vi è almeno l’accortezza di definire un po’ meglio l’accezione dell’espressione “giudeo-gnostico” pur facendone un uso sconsideratamente inesatto e ambiguo.

 

G. Abramo:

Ciò premesso, se l'unico punto di contatto con la Massoneria può essere rintracciato nella Qabalah, che, a nostro avviso, più di tutte o quanto meno al pari di altre dottrine tradizionali, costituisce il fondamento del pensiero massonico, è necessario cercare di capire la Qabalah del Martinèsismo per poter poi andare a verificare se è esatto quanto abbiamo accennato e cioè che si tratta piuttosto di forma che di sostanza vera.

 

P. Mascetti:

Dunque la tesi sarebbe: la Massoneria è fondata sulla Qabalah e il Martinèsismo anche. Se si riesce a dimostrare che la Qabalah del Martinèsismo è spuria si riesce ad dimostrare che tra Massoneria e Martinèsismo non ci sono origini comuni quindi nessuna relazione. Ma per fare questo occorre conoscere la Qabalah e G. Abramo ha letto soltanto qualche libro come tutti coloro che non conoscono l’ebraico; ed anche coloro che lo conoscono, molto spesso non hanno le capacità intellettuali per addentrarsi in quell’ambiente “rarefatto” dove i materialisti non si trovano certo a loro agio. Per sua informazione, riporto dove può cercare la conferma che è tuttora in vigore l’interdizione “halakhica” relativa alla traduzione dall’ebraico di qualsiasi nozione di Qabalah: Ben Ish Hai, Rav Péalim, prima parte, Yoré Déah 56.

 

G. Abramo:

Martinès scrive:

Dio emana degli esseri spirituali, a sua gloria nella sua divina immensità.

E prosegue:

Ci si domanderà chi fossero questi esseri prima della loro emanazione divina, se essi esistevano o non esistevano. Essi esistevano nella immensità, nel seno della Divinità, ma senza distinzione di azione, di pensiero e di intendimento; essi non potevano né agire, né sentire se non per mezzo della sola volontà dell'essere superiore che li conteneva e nel quale ogni cosa era muta. In verità esistere così significa non esistere. Non vi sarebbe affatto un Creatore senza il regno infinito degli esseri che sono in lui innati e che egli emancipa per mezzo della sua sola volontà e quando piace a lui. E per mezzo di questa moltitudine infinita di emanazioni di esseri spirituali che gli compete il nome di Creatore ed alla sua opera quello di creazione divina, spirituale animale, spirituale temporale. [...]

Non credo che si debba fare molto sforzo per riconoscere in questo Dio di Martinès l'En Soph che contiene in potenza ogni essere creato. L'En Soph è l'essere infinito, libero, identico a se stesso, unito a sé, ma non deve essere considerato come l'insieme degli esseri, né come la somma dei suoi propri attributi. Ma senza questi attributi e gli effetti che ne risultano, vale a dire senza una forma determinata, è impossibile comprenderlo e conoscerlo.

Di qui alle Sephiroth – altro punto nodale della Qabalah – il passo è breve. Nell'Idra Zuta infatti si legge:

L'antico degli antichi è nello stesso tempo lo sconosciuto degli sconosciuti; egli si separa da tutto ma non è affatto separato; perché tutto si unisce a lui come a sua volta egli si unisce a tutte le cose e non vi è nulla che non sia in lui. Egli ha una forma e si può dire che non l'ha. Prendendo una forma egli ha dato l'esistenza a tutto ciò che è; egli dapprima ha fatto sorgere dal suo seno dieci luci che brillano per la forma che hanno da lui ricevuta e rispandono dappertutto un chiarore immenso così come un faro invia in ogni parte i suoi raggi luminosi. L'antico degli antichi, lo sconosciuto degli sconosciuti è un faro elevato che lo si conosce soltanto attraverso le sue luci che brillano ai nostri occhi [...].

Queste luci sono le Sephiroth, gli intermediari tra l'En Soph ed il mondo contingente. In effetti questo mondo è limitato ed imperfetto. Non procede quindi dall'Assoluto, ma questo deve esercitare necessariamente la sua influenza su di lui e se fosse altrimenti il mondo non potrebbe esistere. Da qui la necessità di un intermediario, l'insieme delle Sephiroth, che in virtù dell'intima connessione con l'En Soph costituiscono un tutto perfetto, ma che a causa della loro molteplicità sono necessariamente imperfette.

Passiamo ora a Martinès de Pasqually, la cui dottrina possiamo meglio capire con le premesse che abbiamo fatte.

Le Sephiroth sono i cosiddetti "Spiriti Denarii" e ad essi si applica tutto ciò che nella Qabalah si riferisce alle Sephiroth.

 Martinès, dunque, così scrive nella sua opera:

[...] I primi spiriti emanati erano innati nella Divinità, essi sono reali ed immortali, essi hanno una esistenza personale, assoluta ed eterna, essi esistono sempre nel cerchio divino. Sono detti Spiriti Superiori o Denarii perché dieci è il numero divino, origine di ogni essere spirituale maggiore, inferiore e minore e di ogni legge di azione sia spirituale sia spiritosa.

Senza continuare a ricercare tutti i passaggi che si riferiscono alle Sephiroth concludiamo con le parole di Le Forestier:

Il tema cabalistico delle sephiroth si impose così dispoticamente alla immaginazione di Pasqually che, per una volta, si allontana dalla prudenza con la quale ordinariamente dissimulava i suoi prestiti. Egli rimarca in effetti che la circonferenza divina che fa da supporto al Denario è chiamata "dominazione". Ora dominazione o reame è precisamente il nome della decima Sephirâ, Malchout che rappresenta nel sistema cabalistico la somma del mondo intelligibile (prima triade delle Sephiroth) del mondo morale (seconda triade) e del mondo fisico (terza triade) e che è l'armonia dell'universo.

Nel Trattato infine troviamo anche le 32 Vie della Sapienza (che – com'è noto – sono le 22 lettere dell'Alfabeto che costituiscono i "sentieri" dell'Albero della Vita addizionate alle dieci Sephiroth). Infatti Martinès dice che ogni Spirito superiore 10, maggiore 8 e minore 4 [...] al momento della prima emanazione aveva il suo soggiorno nella circonferenza divina.

Anche se abbiamo appena sfiorato il problema non v'è dubbio che la dottrina segreta di Martinès ha una radice, una base cabalistica ed infatti non ci sembra difficile andare a constatare che, nel Trattato, il parallelismo tra microcosmo-uomo e macrocosmo-Adam Kadmon si rivela ad ogni piè sospinto; tuttavia, – a nostro avviso – non ci sembra che si vada mai oltre certe abbastanza semplici e lineari impostazioni di base e non si arrivi mai a sviscerare o ad affrontare chiaramente la grande problematica cabalistica e tutta la sua più elevata e decisa speculazione.

 

P. Mascetti:

Per capire “la grande problematica cabalistica” è assolutamente necessario, come già detto, conoscere almeno l’ebraico, meglio sarebbe anche l’aramaico. Si consideri, ad esempio, che Etz Chaijm non è mai stato tradotto in italiano così come il Pardes Rimonim e moltissimi altri testi assolutamente fondamentali. Esistono, in quantità forse maggiore, delle traduzioni in inglese (ammesso che sia possibile tradurre dall’ebraico eliminando totalmente, nel processo di traduzione, la perdita di carica semantica propria di quella lingua, così come il soggetto cabalistico richiede), ma non ne conosco la qualità e non credo che siano state utilizzate dal nostro autore per capire “la grande problematica cabalistica”. È possibile avvicinarsi – senza però mai afferrarne completamente l’essenza –, ad alcuni grandi del pensiero cabalistico senza conoscere l’ebraico (ad esempio Ramhal, di cui alcuni testi sono stati tradotti in francese da un Istituto di ricerche di Gerusalemme per una circolazione ristretta) ma basare ogni ragionamento sulle poche pubblicazioni tradotte in italiano (tra cui quelle di G. Sholem che contengono alcuni madornali errori di fondo, successivamente ed opportunamente corretti da Moshè Idel) mi sembra veramente eccessivo, considerando anche e soprattutto che questo articolo è privo di una bibliografia. Inoltre, su cosa poggia tutta questa sicumera con cui afferma che le impostazioni sono semplici e lineari? Martinès de Pasqually non ha avuto il tempo necessario per sviluppare tutto ciò che avrebbe voluto e tra le cose incompiute, quelle che si dice essere rimaste “semplici e lineari”, c’è anche il Trattato.

 

G. Abramo:

Invece, molto si indulge in quella forma pratica della Qabalah che è teurgica, che è magia, che è arte trasmutatoria, e che – con i grandi Maestri cabalisti – non ci sentiamo di accettare.

 

P. Mascetti:

Ma da quando in qua l’arte trasmutatoria è teurgia, nonché una forma di cabala pratica e così via? Ma l’autore ha mai conosciuto un grande cabalista per farsi confermare una tale affermazione? Su cosa si è basato per fare una tale affermazione? In un ambito di questo genere, talmente complesso che talmudisti di chiara fama vi trovano difficoltà spesso insormontabili a riprova che l’erudizione qui non aiuta anche se è necessaria, perché scrivere tali affermazioni con ingiustificabile ed ostentata superiorità? Forse farebbe meglio ad approfondire quanto scrive e, a proposito della limitazione intrinseca dello sviluppo della pratica cabalistica dovuta alla scarsa qualità dell’umanità dell’attuale periodo storico, traduco per sua informazione un paragrafo della prefazione del testo di Rav Ya’aqov Hillel, La foi, la kabbale et la folie, Surnaturel et sciences occultes sous le regard de la Torah, Yeshivat Hevrat Ahavat Shalom (Jerusalem) / Pubblications Kodesh (Gateshead), 5749. “Il popolo di Israele ha conosciuto nel passato autentici cabalisti, uomini di pietà e di saggezza, capaci di usare ciò che viene chiamato Qabalah pratica per dominare ed utilizzare senza pericolo le forze in opera in questo mondo. Ciononostante, sia i maestri della Qabalah che quelli della Halakha (che spesso erano gli stessi) hanno, già da quattro secoli, formalmente interdetto ogni ricorso alla Qabalah pratica; secondo loro, in effetti, nessuno è più in grado di raggiungere il grado di elevazione spirituale richiesto per dedicarsi alla Qabalah pratica senza pericolo.” Quindi, non inconciliabilità intrinseca ed impossibilità di rapporti tra Qabalah teorica e Qabalah pratica, ma impossibilità per incapacità riconosciuta dei candidati a quel tipo di attività. Tutto ciò in ambito ebraico, ma Martinès de Pasqually aveva avuto una storia un più complicata, stando alle supposizioni fatte sulla base di alcune coincidenze storiche, da non confondere con le prove storiche e di cui in questa sede non è possibile dare conto in modo completo. Si può dire che la traccia che il ricercatore può seguire è quella delle tradizioni sapienziali conservate nell’ambito familiare di alcune comunità sefardite (ma anche italiane) nel 18° secolo, visto che testimonianze in tal senso se ne hanno di inconfutabili perfino nel 20° secolo. I testi, come ad esempio Rav Zécharia Zermati, Une Kabbale de verité, Editions Torat Emet, sono a disposizione di tutti i ricercatori e non sono riservati.

 

G. Abramo:

La dimostrazione di ciò sembra emergere, sia pure in maniera approssimativa ed immediata, già dalla semplice enunciazione delle operazioni della teurgia degli Eletti Cohen, anche se dobbiamo dire che, per una migliore intelligenza, sarebbe indispensabile uno studio profondo e dettagliato di tutto il "rituale" Cohen, il che, certamente esorbita da questo lavoro. Tuttavia, solo per chiarire il perché di certe "impressioni", pensiamo ad esempio a determinate "tecniche" che comportano:

  • gli esorcismi "destinati a stroncare l'azione demoniaca nel cosmo, ad ostacolare la loro azione sugli uomini, a distruggere il loro potere sull'operatore e i suoi discepoli, ad ottenere la fine o la limitazione di certi flagelli, ad annullare le operazioni di Magia nera";

  • gli scongiuri "destinati a stabilire un contatto con il 'Mondo Angelico' e (per effetto dell'influsso 'cristiano') con la 'Comunione dei Santi'. Tra questi ultimi l'operatore si sceglie dei 'patroni' particolari e, nel Mondo Angelico, dei Guardiani e delle Guide";

  • le preghiere "rivolte a Dio per ottenere la sua Grazia e la sua Misericordia, in vista della Reintegrazione. Esse sono integrate nei rituali di scongiuro che precedono e sono destinati a canalizzarle e ad ampliarle".

Ma non basta: accanto a queste "tecniche" si deve porre la conoscenza della Astrologia e la sua pratica per i necessari calcoli della posizione degli astri, la conoscenza delle analogie e delle sue pratiche applicazioni in ordine a strumenti, colori, vesti etc., le tecniche per la costruzione di cerchi operatori i cui elementi variano in rapporto allo scopo delle operazioni, ai tempi ed ai supporti impiegati.

 

P. Mascetti:

La conoscenza dell’astrologia e la sua pratica, la conoscenza delle analogie e delle loro pratiche applicazioni, la tecnica per la costruzione dei cerchi operatori, ovvero in termini massonici, rettangolazione e disegno del quadro di loggia, sono tutti argomenti che il fratello Ivan Mosca aveva sviluppato nelle istruzioni in loggia e nei Quaderni di Simbologia Muratoria, prodotto ultimo di quei seminari svoltisi negli anni ’70 e ai quali aveva partecipato lo stesso G. Abramo. Cambiare idea è lecito, rifiutare il proprio passato è altrettanto lecito ma non è lecito farlo senza darne adeguata e ragionata informazione e giustificazione perché, altrimenti, non si capisce come interpretare la sproporzionata adulazione che il nostro saggista avrebbe fatto del fratello Ivan Mosca nel corso della cerimonia di commemorazione di quest’ultimo a Villa Medici del Vascello nel 2007 (vedi media-teca del Grande Oriente d’Italia).

 

G. Abramo:

Ma forse più che continuare in questi esempi vale la pena di riportare il Culto Divino – quello segreto rivelato da Martinès – secondo la suddivisione di Le Forestier, ripresa dall'Ambelain (Alchimia Spirituale) ed ormai classica, che, come abbiamo già accennato, poteva suddividersi in dieci parti:

  1. Culto di espiazione. L'uomo manifesta il suo pentimento, tanto delle proprie colpe quanto della caduta del prototipo iniziale, l'Adamo primo, corego del coro delle Anime Preesistenti. Ne deriva una ascesi ed un rituale penitenziale (Sephirâ: Malcouth).

  2. Culto di grazia particolare generale. Operazioni che consistono nel sostituirsi all'insieme dell'Umanità terrestre del momento e nel farla partecipare ai frutti dell'Operazione individuale (Sephirâ: Yesod).Culto operatorio contro i demoni. Autori della degradazione all'inizio dei tempi, essi tendono a mantenere e ad aggregare il loro giogo su tutta l'umanità. Con degli esorcismi (le celebri "operazioni Equinoziali") il Cohen li combatte e li respinge fuori dell'aura terrestre (Sephirâ: Hod).

  3. Culto di Prevaricazione e di Conservazione. È il seguito della precedente. Questa operazione consiste nel combattere e nel punire i seguaci della magia nera e della stregoneria e soprattutto nel punire gli spiriti decaduti che ne sono i collaboratori (Sephirâ: Netzâ).

  4. Culto contro la guerra. Se l'omicidio è il più grave dei crimini, l'omicidio collettivo è evidentemente ancora più grave. Il Cohen lotta contro le Potenze dell'odio tra le Nazioni e tenta di sviare la loro azione (Sephirâ: Thiphereth).

  5. Culto di opposizione ai nemici della legge divina. Operazione teurgica che ha per scopo la lotta contro le azioni umane che tendono a diffondere l'ateismo, il satanismo, il luciferismo, sotto le forme egualmente umane (Sephirâ: Guebourâ).

  6. Culto per ottenere la discesa dello Spirito Santo. Operazione che ha per scopo la infusione dello Spirito Santo e dei suoi doni (Sephirâ: H'esed).

  7. Culto di rafforzamento della Fede e della Perseveranza nella virtù spirituale e divina. Operazione che ha per scopo la comprensione dei Misteri Divini, comprensione che permette all'emulo di rafforzare la sua fede in modo assoluto e definitivo (Sephirâ: Binâ).

  8. Culto per fissare in sé lo Spirito riconciliatore divino. È l'accoglienza totale dello Spirito Santo, la discesa delle "lingue di fuoco" della Pentecoste, l'illuminazione finale, con i privilegi che essa comporta (Sephirâ: H'cmâ).

  9. Culto di dedica annuale di tutte le operazioni al Creatore. Questa parte comprende l'insieme delle consacrazioni, delle benedizioni etc.

Non credo che sia necessario alcun commento, né ci sentiamo in grado di competere con quello di Ambelain. Facciamo solo notare che al di là di ogni collegamento, cabalistico, magico o quel che si vuole, chiaramente traspare da questi scritti l'impostazione moralistica e cristiana (e perciò stesso lontanissima da ogni visione massonica) dei "culti" Martinèsisti e la loro possibile vicinanza, più che a strette concezioni cabalistiche, a tematiche probabilmente classificabili come martiniste, volendo con ciò far riferimento ad una via mistico-religiosa, interiorizzata in opposizione al materialismo ed allo scientismo di alcune correnti dell'Illuminismo e, alla quale Martinès apportò un accento di scienza occulta, con programmi magici e teosofici.

 

P. Mascetti:

L’autore dell’articolo prima parla di impressioni, poi cita Ambelain il quale avrebbe dovuto, almeno per la carica di Sovrano Gran Commendatore che ricoprì dal 1946 al 1967, essere molto più riservato e comunque meno fantasioso e ondivago; legge, quindi, Le Forestier, che riporta pensieri altrui perché questo è il mestiere dello storico e non quello dell’esegesi teoretica. L’unico che non cita mai è il fratello Ivan Mosca, suo fratello di loggia, Sovrano Gran Commendatore dell’Ordine dal 1967 al 2005 nonché suo primo istruttore, che gli avrebbe senz’altro chiarito ogni dubbio dandogli la giusta chiave di lettura di quella intricatissima situazione, storica e ideologica, in cui si è trovato e si trova tuttora l’Ordine.

 

SEGUE

 

Saint Martin Martinez de Pasqually Gli Eletti Choen:un antica polemica

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