PIETRO BORNIA Il Guardiano della Soglia Introduzione di Giuliano Kremmerz Libreria Detkem & Rocholl Piazza del Pebliscito - NAPOLI - 1898
INTRODUZIONE Con questo volumetto che riproduce un attraente studio di P. Bornia sul Zanoni del Bulwer, tanto letto e tanto poco compreso, iniziamo una collezione di attraenti pubblicazioni in cui si alternano scritti spiritualisti di ogni fede. Mentre il secolo XIX si spegne, dai ruderi del materialismo arido risorge la mistica Psiche, e, dal fanciullo al sacerdote, dal medico al matematico, dalla credente alla donna peccatrice, la certezza di un'ora migliore dell'umanità diventa universale. Chi sei tu che leggi? un curioso che sogni vagamente di sentire la tua anima nel tuo pensiero? oppure un predestinato all'iniziazione ed ai secreti della natura animistica? o una creatura satolla di mondanità che cerchi per istinto la tua patria ideale? - Chiunque tu sii, leggi attentamente gli scritti che si pubblicheranno in questa biblioteca esoterica, vi troverai in ogni libro, certamente, una riga che si astrae dalla sudiceria della materia e in quel sogno di un minuto, forse di un palpito, sentirai o intuirai una parola o un saluto di Elia, quell'Elia, spirito di Luce, che i Rosacroce salutavano come nunzio della Intelligenza di Dio. Ricordati però che quelli che tu non intendi, non deriderai: i classici, cioè quelli che sono scritti in linguaggio chiuso ai grammatici volgari, hanno bisogno di essere meditati nel silenzio; affinché, come si legge nei salmi, sulla tua pietra la verga di Mosé batta e l'acqua zampilli! Queste pubblicazioni, conchiudendo, sono una opera buona che librai coraggiosi danno in pasto all'attività degli intelligenti - ed io le raccomando a tutti gli spiritualisti italiani, la unione dei quali in una sola Luce ideale io aspiro di raccogliere come in una famiglia sola, pel bene della società abrutita dall'egoismo selvaggio della materia. Spa, 26 Agosto 1898. Giuliano Kremmerz
...Cemis custodia qualis Vestibulo sedeat? facies quae limina servet? (Eneide, VI, 574) (Vedi qual guardiano è assiso all'ingresso? quale terribile fantasma veglia sulla soglia?)
Meno conosciuto di Walter Scott è in Italia Edward Bulwer Lytton, altro scrittore inglese esoterista. Le sue più accreditate opere sono Gli ultimi giorni di Pompei e Rienzi; delle altre se ne parla poco o punto. Tra queste ve ne sono tre che non meritano l'oblio al quale sono condannate; esse sono Alice, od i Misteri, che tratta dell'elisir di lunga vita. La casa incantata, che pare abbia relazione col soggiorno di Damiotti a Londra e Zanoni, splendido esempio d'una maniera spiritualistica di scrivere, che non tutti i lettori gustano ed intendono. «É troppo oscuro», sentiamo dirci. Il pubblico non ha torto: il Zanoni è oscuro, è vero; ma lo è perché noi che lo leggiamo siamo troppo attaccati alla terra: eleviamoci col cuore alle sublimi altezze dell'amore spirituale ed allora il linguaggio dell'autore inglese ci parrà chiaro ed intelligibile. Egli in quell'opera lumeggia tre affigliati ad un'oscura ma celebre società segreta dell'Occidente: Clarence Glyndon, il neofita che fallisce la prova decisiva e non può più avanzare; Zanoni, l'iniziato che ondeggia ancora tra la scienza e l'amore terreno, tra il mistico Adon-Ai e Rosa Pisani, la gemma della ridente Napoli; e Megnur [i], l'iniziatore che vive solamente per la scienza ed è morto al sensualismo, l'adepto ch'è indifferente verso l'umanità, non aspirando che alla comunione con Dio. La Società alla quale costoro appartengono è la Fama fraternitas Rosae - Crucis, l'Ordine dei Rosi-cruciani, del quale al giorno d'oggi non ne esiste ancora che un piccol numero in Germania. Prototipi del romanzo son Rosa e Zanoni; ma noi non possiamo fermarci sui loro amori e sulla loro infelicissima fine. Accenneremo solo di volo che Zanoni, dopo molta oscitanza tra l'adorazione di Dio ed il culto della donna, si appiglia al sublime partito di riconquidere se stesso, dando la sua esistenza per salvare quella della sua amata sposa e trova l'apoteosi sul palco ferale della ghigliottina, a Parigi, l'ultimo giorno del terrore. Se si sfronda l'opera della parte romantica, che pure spira un senso soave d'italianità, ci si accorge d'aver sott'occhio un trattato di scienza occulta. Glyndon, il giovane pittore inglese, giunto a Napoli stringe amicizia con Zanoni e con Megnur, e riceve da quest'ultimo i primi insegnamenti della Scienza Sacra. L'Autore infiora di sentenze i dialoghi e le lettere tra i tre R + C. Noi riporteremo qui le più salienti ed i gentili lettori giudicheranno da sé stessi della loro spiritualistica importanza.
Qui Pietro Bornia riassume in parecchi punti gli insegnamenti mistici e metafisici contenuti in Zanoni. Giacché siamo interessati a che il lettore ne profitti il più esattamente e chiaramente possibile, abbiamo pensato di «rielaborare» la prosa abbastanza antiquata del Bornia, esponendo in modo più moderno ed esplicito le direttive spirituali che Bulwer Lytton ha condensato nel famoso romanzo.
1) «Sonvi quattro cose, che gli uomini desiderano mentre vivono: l'amore, la fortuna, la gloria e il potere. Io (dice Zanoni a Glyndon) non posso darti più il primo; gli altri tre sono a mia disposizione:... (Zanoni, Traduzione francese, vol. I, pag.192). Glyndon però in cambio di questi quattro doni, che abbagliano la generalità del genere umano, sceglie la Scienza Sacra, la Magia [ii]; Zanoni così l'ammonisce: 2) «Io non posso rifiutarmi dall'iniziarti, ma debbo darti un avvertimento. Il desiderio d'apprendere non implica sempre la facoltà d'acquistare la scienza. Io non posso darti che il maestro; il resto dipende da tè. Sii savio [iii]... 3) «Interessa che noi, che cerchiamo di raggiungere quelle sublimi altezze, ci studiarne anzitutto di abbandonare le nostre carnali affezioni, la fragilità dei nostri sensi, le passioni che son dominio della materia; importa poi che apprendiamo mediante quali processi ci sia dato d'elevarci gradatamente fino alla cima della spiritualità pura, uniti alle potenze superiori, senza delle quali non potremo pervenire alla cognizione delle cose celate ed a quelle della magia che opera veri miracoli. Questa citazione riassume tutto il programma dell'istruzione esoterica. 4) «L'arroganza dell'uomo (disse Megnur a Glyndon) è in proporzione della sua ignoranza. La tendenza naturale dell'uomo è l'egoismo. L'uomo ancora nell'infanzia della scienza [iv], opina che tutto il creato sia fatto per lui...» (Idem, II, 27). L'astronomia ha rettificata questa illusione dell'umana vanità... Accennato lo scoglio degl'iniziandi - l'egoismo - veniamo alle regole per divenire mago operante [v]. 5) «L'idea deve staccarsi completamente da tutto ciò che preoccupa e turba gli uomini; essa dev'essere sgombra da ogni desiderio, da ogni odio, sicché l'ambizioso, l'amante e l'invidioso sono esclusi dall'ascesi». 6) «Tu (Glyndon) hai scelto da tè stesso la tua strada (la scienza); hai rinunziato all'amore, hai disprezzato le ricchezze, la gloria e le pompe volgari del potere. 7) «Se la felicità esiste (così parla ancora Megnur al neofita) bisogna bene che risieda in un mondo interno, dal quale sia bandita ogni passione». 8) «Il solo bene imperituro dell'uomo è il suo pensiero. Ogni pensiero è un'anima». 9) «Perfezionare le tue facoltà; concentrare le tue emozioni; ecco ormai quale dev'essere il tuo unico scopo!». Ecco ora alcuni consigli d'indole morale: 10) «Non ti stupire di nulla». 11) «Non affliggerti di nulla». 12) «Hai detto mai a tè stesso: nasca quel che ha da nascere, voglio attenermi alla virtù?». 13) «La risoluzione è la prima vittoria». 14) «Vieni (così scrive Megnur a Zanoni), strappa tè stesso a tutti i legami che incatenano la tua debolezza, essi non hanno altro potere che quello d'oscurare la tua vista. Affrancati dai timori, dalle speranze, dai desideri, dalle passioni. Vieni... Lo spirito soltanto può essere profeta...». 15) «Non comprendi dunque (scrive il Maestro a Glyndon) che occorre un'anima temperata, purificata e preparata non già mediante filtri, ma dal suo proprio merito e dal suo sublime valore per vincere il nemico (Lucifero)?». Citiamo da ultimo le massime magistrali: 16) «Colui il quale vuoi fare delle scoperte deve incominciare con l'abbandonare ogni soggettivismo, e saper riconoscere e rispondere ai valori eterni». 17) «I sensi dovranno essere gerarchizzati e sottomessi alla ragione; non una passione deve far sentire il suo mormorio. Può ben darsi che tu sii di già maestro di cabbala e di alchimia, ma ti occorre pur sapere, ritornare al «luogo della Pace e della Gioia» che è sempre in tè, ad ogni deviazione della tua natura «decaduta». 18) «La fede è qualcosa di più savio, di più felice e di più divino di tutto ciò che vediamo su questa terra». 19) «Non è senza motivo, che si è prescritto la castità, il digiuno e la contemplazione come sorgenti d'ispirazione. Quando l'anima è così predisposta, la scienza può venire elargita direttamente da Dio in suo aiuto, la vista è resa più acuta, i nervi sono resi più sensibili e la mente più pronta ed aperta; e perfino l'elemento aereo, lo spazio, può diventare, in seguito a certi processi dell'alta scienza, più palpabile e discernibile». I processi dell'alta scienza sono: l'esercizio continuo della virtù, la preghiera e l'uso di speciali alimenti. La virtù produce la tranquillità della coscienza. 20) «Il rimorso è l'eco della perduta virtù, ma il pentimento è necessario, in quanto implica la virtù chiave, l'umiltà; e l'uomo si trova in conspectu dei». 21) «La fede innalza i più sublimi tempii. Attraverso le volte (degli edifizi) sale la scala misteriosa degli angeli, la preghiera». Si sa che la scala misteriosa di Giacobbe rappresenta l'evoluzione e l'involuzione ed il legame mistico tra En-Sof e la creatura umana, quindi dalla massima ora enunciata emergono chiaramente l'importanza e l'officio della preghiera [vi]. Le conseguenze di queste virtù sono i sogni [vii], Vestasi. 22) «É dai sogni che principia la sapienza umana». 23) «L'iniziazione dell'uomo è Vestasi».
Interrompiamo a questo punto l'esposizione del Bornia, perché crediamo che i nostri lettori possano essere interessati a leggere una descrizione di estasi dovuta ad uno dei Maestri spirituali contemporanei. La traduciamo da un raro testo in nostro possesso. Questa descrizione si riferisce alla contemplazione della Luce Divina Increata.
«La luce Increata è l'Energia divina. Chi la contempla risente dapprima la presenza del Dio vivente. Questa sensazione dell'Immateriale è immateriale, intellettuale, ma affatto mentale. Essa rapisce l'uomo in un altro mondo con tanta potenza e sottigliezza che egli non si accorge del momento e non sa più se è nel suo corpo o al di fuori. Tuttavia, egli ha del suo essere una coscienza più forte e più lucida, più profonda; nello stesso tempo, preso dalla dolcezza dell'amore divino, dimentica se stesso e il mondo; in ispirito, afferra l'Inafferrabile, vede l'Invisibile e Lo respira. «A questa sensazione sopra-mentale del Dio vivente si aggiunge la visione di una luce fondamentalmente differente, per natura, dalla luce. fisica. L'uomo resta allora in questa luce, vi si identifica e non avverte più la sua propria materialità ne quella del mondo. «La visione sopravviene in un momento in cui non la si aspetta e in un modo incomprensibile; non si può dire se ella provenga dal di fuori o dall'interno, ma penetra ed avviluppa ineffabilmente lo spirito e lo trasferisce nell'irraggiamento della Gloria divina. «É Dio che agisce; l'uomo riceve. Egli non conosce più allora ne tempo ne spazio, ne nascita ne morte, ne sesso, ne età, ne condizione sociale o gerarchica, ne altre definizioni o limitazioni di questo mondo. «Il Signore, Luce eterna, è venuto, nella Sua misericordia, a visitare l'anima pentita. «Colui che non ha mai contemplato con potenza e certezza la Luce Increata non è pervenuto alla teologia vera. Colui che, prima di aver visto la Luce Increata, osa sondare i misteri divini con la «sua propria intelligenza» si erge un ostacolo sulla via di questa visione. Non incontrerà d'altronde che maschere e spettri della verità, emersi dai suoi abissi interiori, vale a dire creati da se stesso o portati dalle forze delle fantasie demoniache. «La contemplazione autentica viene dall'alto, dolcemente e senza sforzo. É di una qualità del tutto diversa dalle più intese intellezioni. É la luce della vita accordata dalla benevolenza di Dio e la via organica verso di essa non è né il ragionamento, né la «psico-tecnica» ma il pentimento. «Vita eterna, Regno di Dio, Energia increata, la Luce divina non è inclusa nella natura creata dell'uomo, essendo di un'altra natura, non può essere svelata in lui da sforzi ascetici: malgrado le apparenze, è sempre un dono della Misericordia di Dio». Nel testo citato, abbiamo visto che le «tecniche spiritualizzanti» (dello Yoga, mistiche o sciamaniche) da se sole non possono condurre alla vera contemplazione, ma possono essere utili solo come avviamento, ma a condizione che siano praticate per «ubbidienza», cioè sotto il controllo di un vero direttore spirituale, e questa obbedienza al Maestro rappresenterà, d'altronde, un aspetto dell'obbedienza alla Volontà divina e dell'abbandono della propria. Spesso i veri Maestri - ma è difficile trovarne ormai - mettono essi stessi alla prova il discepolo, per affermarlo nella vera comprensione e pratica dell'obbedienza e, d'altra parte, nel caso che egli fallisca nella prova, per mostrargli i pericoli cui va incontro continuando ad affidarsi a se stesso. Il discepolo, che crede di poter sondare i «misteri divini con la propria intelligenza», come dice il testo sulla Luce Increata citato più sopra, «non incontrerà nelle sue esperienze che maschere e spettri della verità, emersi dagli abissi interiori, vale a dire creati da se stesso o portati dalle forze demoniache». Bulwer Lytton in «Zanoni» descrive in modo romanzato, dunque servendosi della propria fantasia, una esperienza negativa di Glyndon, che, infatti, non riesce a vincere la tentazione di «anticipare», servendosi dei suoi propri mezzi intellettivi, la contemplazione, prova cui lo sottopone Megnur, Qui l'oggettivazione dei contenuti psichici di Glyndon, sfruttati anche dalle forze demoniache, prende l'aspetto di un mostro minaccioso, che Bulwer Lytton e P. Bornia, che ha riassunto in questo libretto il romanzo esoterico del grande scrittore, chiamano «Il Guardiano della Soglia», come cioè se queste tentazioni aggettivate e in cui intervengono potenze inferiori, fossero i «guardiani» del Regno di Dio e intervenissero per impedirne l'accesso ai discepoli non degni di questo Regno e li allontanassero più o meno definitivamente a seconda del modo cui assimileranno la legione, o anche come se queste forze di natura inferiore tentassero ad ogni costo di deviare la vocazione propriamente spirituale dell'uomo per tenerlo prigioniero della materia ed impedirgli di ascendere al ciclo. In tal caso, il «Guardiano della Soglia» è l'anima della Terra. Naturalmente tutta la descrizione che segue del Lytton è simbolica e romanzata.
Ed ecco come continua il riassunto di P. Bornia: Glyndon, poco tempo dopo, abbandona Napoli e si reca in un castello di quei dintorni dove aveva preso stanza Megnur. Il maestro si dichiara soddisfatto dei suoi progressi nella scienza spirituale, e finge di partire per sottoporlo alla prova. Egli, prima di congedarsi, così gli dice: «Continua i tuoi lavori, continua, a domare l'impazienza...» sì dicendo gli consegna la chiave del suo appartamento, invitandolo in pari tempo a non farne uso. Vana speranza! Glyndon di nottetempo traversa il corridoio che separa la camera sua dalle stanze del Maestro, apre la porta proibita ed entra nel laboratorio: «... tutto era al suo posto: solo sopr'una tavola, ch'era nel mezzo della stanza, trovavasi un libro aperto. Il neofita s'appressa a quella e getta l'occhio sui caratteri del libro; essi sono cifrati, ma gli studii fatti gliene forniscono la chiave. Senza molta difficoltà crede comprendere il significato delle prime frasi, che spiega in questo modo: «Bere a lunghi sorsi la vita interna è vedere la vita superiore: vivere a dispetto del Tempo è vivere la vita universale. Colui il quale scopre l'elisir, scopre ciò ch'è nello spazio [viii], perché lo spirito che vivifica il corpo [ix] fortifica i sensi. Nel principio elementare della luce [x] v'è attrazione. Nelle lampade del Rosi-cruciano il fuoco è il principio puro ed elementare [xi]. Accendi le lampade [xii] mentre apri il vaso che contiene l'elisir e la luce attirerà verso di tè quegli esseri [xiii] pei quali ell'è vita. Diffida della Paura. La Paura è nemica della scienza». Quest'ultima frase non bastava forse da sola a spiegargli il segreto per ottenere l'esito felice della grande operazione... Sembrava che Megnur avesse lasciato con uno scopo il libro aperto a quella pagina [xiv]... Glyndon voltò alcuni fogli, ma non ne poté decifrare il significato fino a che non fu giunto a questo passaggio: «Allorquando il discepolo sarà iniziato preparato in tal modo, apra la finestra, accenda le lampade e si bagni le tempie coll'elisir. Ma si guardi bene dal bere lo spirito volatile ed igneo. Gustarne prima che le inalazioni ripetute abbiano gradualmente abituato il corpo al liquido estatico sarebbe esporsi alla morte, anziché procurarsi la vita. Egli non poté penetrare più innanzi nelle istruzioni; la cifra cambiava nuovamente. Girò attorno attorno alla stanza uno sguardo sicuro e scrutatore. Il chiarore della luna penetrava tranquillamente attraverso la finestra, ch'egli 'aveva aperta in quel momento istesso, e lambendo il pavimento ed illuminando le pareti sembrava simbolizzare con la sua presenza una potenza lugubre o soprannaturale. Egli dispose le nove mistiche lampade attorno al centro della camera e le accese. Una fiamma azzurro-argentea irradiò da ognuna d'esse ed illuminò la stanza d'una luce calma, ma abbagliante. Bentosto quel chiarore divenne più blando e velato. Una lieve nuvola grigiastra, leggiera come una bruma, riempì gradatamente tutto l'ambiente, un brivido glaciale colpì di repente il cuore dell'Inglese, che si sentì tutto invaso da un freddo mortale. Conscio istintivamente del pericolo che correva, si trascinò con gran fatica (sentendosi di già le membra rigide e pietrificate) fino allo scaffale in cui erano conservati i vasi di cristallo: aspirò in fretta l'elisir e si bagnò le tempie col fluido scintillante. Una sensazione di forza, di giovinezza, d'allegria sostituì istantaneamente il torpore letale, che l'aveva colpito nel focolare medesimo della vita. Egli si drizzò e colle braccia incrociate sul petto, ardito ed intrepido aspettò. Il vapore avea già preso la densità e la consistenza di una nuvola di neve; le lampade scintillavano a traverso di essa come stelle. In quel momento egli vedeva distintamente delle figure,, che rassomigliavano pei loro contorni a quelle umane, passar lentamente con regolari evoluzioni attraverso la nuvola. Esse sembravano esangui, i loro corpi erano trasparenti e s'allungavano o si ripiegavano come gli anelli d'un serpente. Durante la loro maestosa processione, egli intese un suono appena percettibile, quasi fosse l'ombra d'una voce, che ciascuna raccoglieva e rinviava alla seguente; intese un suono velato, ma armonioso, che sembrava l'espressione d'una gioia d'un'ineffabile serenità. Nessuna di quelle larve sembrò accorgersi della presenza di lui. Il suo intenso desiderio di avvicinarle, d'essere del loro numero, di prender parte a quel moto d'aerea beatitudine, giacché egli lo giudicava tale, lo spinse a stender il braccio ed a gridar ad alta voce; ma solo un inarticolato mormorio sfiorò le sue labbra ed il movimento ciclico e l'armonia continuarono, come se nessun mortale fosse stato presente. Esse fecero lentamente il giro della stanza seguendosi l'un l'altra nello stesso ordine solenne, fino a sparire dall'aperta finestra e a dissolversi come nebbia al vento. Allora gli occhi di Glyndon che le seguivano videro d'un tratto la finestra oscurata d'un oggetto dapprima indistinto, ma che pur bastava colla sua misteriosa presenza a cambiar in terrore il sentimento di delizioso benessere, ch'avea risentito fino a quel momento. Poco alla volta l'oggetto si delineò alla sua vista. Lo si sarebbe potuto dire una testa umana coperta da un velo nero, a traverso del quale brillavano di uno splendore livido ed infernale occhi tali che gelarono il neofita fin alle midolla. Ecco quello ch'egli poté distinguere del volto del mostro due occhi dallo sguardo insostenibile. Ma il terrore sovrumano ch'avealo invasato centuplicossi quando, dopo un istante di riposo, il fantasma entrò lentamente nella stanza. La nuvola indietreggiò innanzi a lui; le lampade scintillanti impallidirono ed il loro bagliore vacillante tremolò al vento del suo passaggio [xv]. La figura generale del mostro era velata come il viso; essa non si muoveva come i fantasmi che rassomigliano ai viventi, ma sembrava invece strisciare come un immenso e deforme rettile. Alla fine fermossi ed accoccolossi vicino alla tavola sulla quale posava il mistico volume; poi attraverso il velo semitrasparente, fissò nuovamente gli occhi dardeggianti sul temerario che l'avea, a sua insaputa, evocato. L'immaginazione più fervida e più fantastica di monaco, o di pittore dei primi secoli dell'arte strana dei popoli nordici non sarebbe stata capace di dare al volto d'un demone quell'espressione di fatale malizia, che con quei due soli occhi parlava all'anima spaventata di Glyndon. Tutto il resto del corpo era oscuro ed avviluppato da un velo o piuttosto da un lenzuolo fluttuante e vago, e rassomigliava alle larve [xvi] dagl'indecisi contorni. Ma in quello sguardo sì fulminante, e sì livido e pur nondimeno sì vivente vi era un non so che d'umano nell'espressione d'odio e d'ironia che manifestava; aveva qualche cosa che provava non essere l'orribil'ombra un semplice spirito, ma avvicinarsi alla materia così da farsi riconoscere dalle creature mortali per loro esiziale nemico. Glyndon colla strozza serrata dal terrore appoggiò convulsamente la mano al muro per non cadere; e co' capelli irti e gli occhi schizzantigli dalle orbite, non riuscì a staccare lo sguardo da quello spaventevole del mostro. E, mentr'era inchiodato in quel posto, l'immagine gli parlò! Fu l'anima, piuttosto che l'orecchio di Glyndon, quella che comprese le parole pronunziate: «Tu sei entrato nella regione illimitata. Io sono il guardiano della soglia. Che vuoi da me? Non rispondi? Hai forse paura di me? E che, non son io l'amor tuo? Non è per me ch'hai rinunziato alle gioie della tua specie? Vorresti forse la sapienza? Io possiedo la sapienza d'innumeri secoli! Baciami, mio mortale amante». E, dicendo queste parole, l'orribile fantasma si trascinò fin presso di lui, strisciò al suo fianco e col proprio alito gli sfiorò la guancia! Glyndon diede un acuto grido, cadde a terra tramortito e perse la conoscenza di quanto avveniva intorno a lui. L'indomani, a giorno inoltrato, aprì gli occhi e si trovò nel proprio letto [xvii]. Fallita la prova alla quale l'aveva sottoposto, Megnur non credette prudente iniziarlo davvantaggio e, senza farsi rivedere, gli scrisse una lettera di rimprovero e l'abbandonò a se stesso [xviii]. Ecco Glyndon perseguitato dì e notte dallo spettro fatale; che riesce a vincere solo dopo aver ricevuti dei consigli da Zanoni, il quale lo libera in pari tempo dagli sbirri di Robespierre e la fa fuggire [xix] da Parigi: così l'Inglese si mette in sicuro. Che avvenne di Glyndon dopo che fu tornato in patria? Quest'è quanto i lettori della versione francese dello Sheldon, pubblicata a Parigi nel 1867 per cura della Libreria Hachette, non possono sapere, perch'essa fu privata, non si sa per qual motivo, della prefazione. Noi suppliremo a quest'omissione. Tornato a Londra, egli visse agiatamente ma solitariamente, in una sua casetta sita presso il villaggio di Highgate [xx] e scrisse in sigle tutta la storia che ha dato origine al libro del Bulwer. Quest'ultimo incontrossi con lui nella bottega d'un tal D [xxi]..., antiquario, posta nei dintorni di Covent-garden [xxii]; poté fare la sua conoscenza e riceverne molti insegnamenti esoterici. Alla morte di lui, poi, n'ebbe in legato il manoscritto e le chiavi crittografiche, ed in tal modo poté dedicarsi alla sua traduzione in caratteri volgari. L'edizione inglese di Zanoni fu pubblicata verso il 1842. Ma allora quest'opera del Bulwer non è un semplice romanzo e tutte le fantastiche storie narrate una pura invenzione di scrittore, senza alcuna realtà vera? E Clarance Glyndon è realmente esistito? Quali prove s'hanno di ciò? L'A., nella citata prefazione, scrive d'aver fatta la conoscenza d'un old gentleman (vecchio Signore) dimorante ad Highgate e di essersi recato a visitarlo. Parlando poi della casa che quello possedeva, aggiunge: «Le pareti delle stanze principali erano ornate da pitture di rarissimo pregio, pitture di quell'altissima scuola artistica, che non è compresa se non in Italia. Rimasi sorpreso di sentire che quei quadri eran tutti dovuti alla mano del proprietario». Come non riconoscere nel vecchio signore il Glyndon del romanzo? O, per lo meno, è lo stesso Bulwer che vuoi fare intendere ai lettori, che il suo amico ed il personaggio del suo capolavoro esoterico non sono che una sola persona. Più avanti, nella medesima prefazione si legge: «Sembrava ch'egli (il vecchio signore) avesse vedute molte cose e segnatamente che fosse stato testimone «oculare della rivoluzione francese». Per qual ragione l'A. avrebbe insistito tanto nel dimostrare indirettamente l'identità dei due personaggi, se realmente tra di loro non fosse esistito legame alcuno? Egli avrebbe raccolto maggior plauso dai lettori se costoro avessero saputo che il Glyndon del romanzo non era che una creazione tutta sua, anziché una copia. E che fa egli? svia i suoi ammiratori da quest'ipoteosi, che può esser nata nelle loro menti, e contro il suo stesso interesse fa intendere urbis et orbis che ciò che ha scritto non è tutta farina del sacco suo e ch'egli non ha avuto altro merito, che quello di popolarizzare, abbellendolo, il tipo dell'apprendista R + C. Per questi motivi noi propendiamo a credere che Clarence Glyndon sia realmente esistito. Altro punto controverso è la rivelazione dei misteri rosicruciani, fatta dal Vecchio Signore al Bulwer. Sia questo fatto vero o no, è positivo che lo scrittore inglese appartenne a quell'ordine, perché lo dice lui medesimo alla pagina 130 del primo volume della sua opera [xxiii]: «O venerabile società (la R + C, fondata circa il 1400 da Cristiano Rosenkreuz) tanto sacra e tanto poco cognita, i cui segreti e preziosi archivi m'han forniti i materiali per questo racconto, e che avete conservato durante il lungo trascorso dei secoli tutto ciò che della scienza venerabile ed augusta [xxiv] il tempo ha risparmiato, è in grazia vostra che oggi, per la prima volta, il mondo verrà a conoscenza, sebbene imperfettamente, dei pensieri e delle azioni d'un membro del vostro ordine [xxv] i cui titoli non sono ne falsi ne presi a prestito dagl'altri. Più d'un impostore ha usurpata la gloria d'appartenere a voi, più d'un pretendente mentitore è stato creduto essere dei vostri, dall'ignoranza pedantesca [xxvi] la quale fino ad oggi è stata costretta dalla propria impotenza a confessare che non sa nulla della vostra origine, che non conosce affatto i vostri riti e le vostre dottrine, e che non sa neppure in qual parte della terra esistiate. «É mercé vostra che io [xxvii], unico della mia nazione, e nel secolo presente, sono stato ammesso a varcare, sebbene con piede indegno, la soglia della vostra misteriosa accademia, che ho ricevuto facoltà e mandato di mettere alla portata degl'intelletti profani alcune delle radiose verità che scintillavano alla grande Scemata [xxviii] della sapienza e che gettavano ancora luminosi sprazzi attraverso alla Scienza oscurata dei vostri più recenti discepoli [xxix] cercanti come Psello e Giamblico [xxx] di ravvivare il fuoco che ardeva negli Hamarin orientali. «Noi cittadini del mondo vecchio e ghiacciato, abbiamo perduto - è vero, - il segreto di quel coro che, secondo gli antichi oracoli della Terra si precipita nei mondi dell'infinito; ma possiamo e dobbiamo segnalare la rinascenza degli antichi Veri in ogni nuova scoperta degli astronomi e dei chimici. Le leggi attrattive, elettriche e dell'Energia ancora più misteriosa del gran principio vitale - il quale, se sparisse dal cosmo in cambio dell'universo lascerebbe un sepolcro - tutte quelle leggi costituivano il codice, in cui l'antica Teurgia [xxxi] attingeva le regole per comporre, come fece, una legislazione ed una scienza propria. «Tentando di esporre, con parole che pure non rendono completamente il pensiero, i frammenti di questa storia [xxxii], sembrami d'aver percorso, in una notte solenne, le mine d'una vasta città della quale non rimangono che sepolcri. E dall'urna cineraria e dal sarcofago sembrami anche d'aver evocato il genio della Face estinta [xxxiii]: l'apparizione che mi si erge dinanzi sembrami rassomigliar tanto ad Eros [xxxiv], che per alcuni istanti non so quale dei due m'ispiri... l'amore... o la morte [xxxv]!». Le ricerche eseguite dal compianto Stanislao de Guaita per sapere a quale branca della R+C appartenne l'autore inglese riuscirono infruttuose. Uno degl'intimi amici suoi, al quale il riorganizzatore dell'ordine s'era indirizzato per notizie, non seppe dare che i seguenti particolari. «Credo che gli studi astrologici che fece l'avessero lasciato molto indifferente, per non dire addirittura scettico, per questa scienza tale qual'è al giorno d'oggi». «Egli, per molteplici ragioni, che nella presente operetta occuperebbero troppo spazio per essere esposte completamente, avea - per lo contrario - molta fiducia nella geomanzia». «Io l'ho sentito talvolta burlarsi di taluni Cabalisti moderni. D'altra parte era senza dubbio versatissimo nella letteratura e nelle tradizioni di tutte le filosofie mistiche». «Egli avea studiato profondamente alcune parti della Magia, e possedeva alcuni doni naturali eccezionali. Il de Guaita da del Bulwer questo giudizio: «La sua esattissima conoscenza delle segrete tradizioni dell'Ordine ci permette d'affermare ch'egli ebbe relazioni dirette». Disgraziatamente però il chiarissimo scrittore francese non s'è peritato di dire al pubblico quali potevano essere queste relazioni, sicché poca luce ha portato sulla questione che ci preoccupa. Anche una sua semplice supposizione, un suo semplice parere avrebbero porto ai lettori un indizio quasi sicuro! E a noi non è permesso fantasticare su di un argomento sul quale il Guaita ha taciuto. In quanto all'opera l'A. nella più volte citata prefazione, dichiara di aver ricevuto in legato un manoscritto di 940 pagine cifrate, che non furono da lui tradotte tutte, perché gli mancarono alcune chiavi crittografiche. Quelle pagine erano scritte - egli soggiunge -, «in prosa rimata». Ora per qual ragione avrebb'egli fatto conoscere ai suoi lettori tutti questi particolari, se non presentassero un fondo di verità? Nel passaggio sulla R + C, egli due volte accenna - come vedemmo - al suo lavoro chiamandolo prima racconto e poi storia. Nella prefazione è più esplicito. Riportando l'ultimo discorso che tenne col pittore, fa dire a se stesso: «- La vasta opera (il manoscritto originale) è un romanzo?». E fa rispondere al suo interlocutore: «- É e non è romanzo: è verità per chi sa comprendere, è stravaganza per tutti gli altri [xxxvi]». Qual migliore giudizio di questo si può dare dello Zanoni? Noi, ripetendo ciò che dicemmo di volo, concludiamo quanto segue sull'opera dell'illustre occultista inglese: che la parte esoterica del libro è seria; che i fatti riferentisi a Glyndon ed a Zanoni hanno certamente un fondo di verità; e che tutto il resto è invenzione poetica del suo autore, o trascrittore.
[i] Megnur va pronunziato col g dolce. [ii] Mondo Secreto, aprile 1897, pag. 8. [iii] Distinguesi savio o saggio, virtuoso, da sapiente, dotto. Gli antichi iniziati, e per esempio i sette savi della Grecia, erano ad un tempo savii e sapienti. Il savio è il prudente. [iv] É sottinteso occulta. La scienza ufficiale non rappresenta che una piccola parte svelata della scienza degli antichi maghi e degli antichi ierofanti. [v] I francesi scrivono magiste. [vi] Confrontisi ciò con quanto il D. Kremmerz scrisse riguardo alla pittura del braccio monacale e del braccio divino nei nostri conventi (Mondo secreto. Febbraio 1898 pag. 73, linea 28 e seg. e pag. 77 linea 4) e, col decennario, X, del quale spesso è fatto parola nei libri di occultismo (Saint Yves d'Alveidre Mission des Juifs, p. 38). I materialisti potranno porre mente al significato della X algebrica. [vii] Qui intendiamo parlare dei sogni profetici. Aggiungiamo, ritenendola del caso, una breve delucidazione. I Francesi hanno due parole per esprimere «sogno» réve e songe. Réve corrisponde al nostro «sogno» ed indica un sogno prodottosi meccanicamente («Mystères des Sciences Occultes» par un Initié, p. 152) songe non può essere ridato in italiano che dal binomio sogno profetico ed indica quei sogni che si fanno poco prima di destarsi e che presentano al cervello le scene e le immagini illuminate da una luce fulgida, simile a quella solare. Noi riteniamo che i primi non ci porgano che «immagini del dì guaste e corrotte», e che i secondi sieno invece vere uscite astrali e perciò che meritano d'essere accuratamente studiati. [viii] Scopre l'etere. [ix] L'idrogeno, o gas metallico, che tutte le stelle possiedono (Guiymiot: «Idées cosmiques, nell'Initiation» di novembre, 1897). Gli antichi chiamavano fuoco empireo. [x] Nell'etere. [xi] Il fuoco è l'etere [xii] Erano nove e contenevano l'olio di nafta. [xiii] É l'idrogeno dell'olio di nafta quello ch'attira gli elementali, perché è l'unico corpo semplice che si conosca e quindi è l'etere. [xiv] Zanoni, II, pag. 38. [xv] Glyndon aveva evocata l'anima della Terra, cioè era corso coll'anima propria fino alla plaga celeste in cui è il guardiano della soglia, il gnostico Ialdabaoth. [xvi] Mondo segreto; aprile 1897, pag. 64 nota 1. [xvii] Zanoni, III p. 44-46 (Edizione francese). [xviii] Idem p. 67-69. [xix] Idem, pag. 174. [xx] Su una collina, a nord di Londra. [xxi] Sarà un cognome di quattro lettere? [xxii] Mercato di frutta e verdure nel Belford-Square. [xxiii] Zanoni - Edizione francese. [xxiv] La Cabbala ebraica. [xxv] Glyndon, e non altri: così lascia immaginare il contesto. [xxvi] La storia ufficiale. [xxvii] É il Bulwer che parla, non già alcuno dei personaggi del romanzo. [xxviii] La Grande Sinagoga d'Esdra, concilio religioso-politico e giuridico sociale. Quel consesso, perciò, riuniva in sé i poteri degli antichissimi Consigli degli dei e di Dio ed anche quello politico. I suoi mèmbri erano chiamati Soferim. [xxix] Gli alchimisti e gli ermetisti. [xxx] Michele Psello - (Psellos) - (psellus) - Celebre autore del Diàlogus de energia et operatione Daemonum. Giamblico, filosofo neo-platonico (?-333 d. Cr.); autore di: De Vita Pithagori e De Mysteris Aegyptiorum. [xxxi] Mondo Secreto - Aprile 1897, pag. 74. [xxxii] Questa frase esclude il dubbio che l'A. parli qui di altro R + C, che non sia lui stesso. [xxxiii] Nome dato dai Neoplatonici mistici alla morte. (Nota del traduttore francese). [xxxiv] Amore, uno dei due fattori dell'eternità del cosmo o, - come direbbe Bulwer, - del gran Principio vitale. Difatti amore e morte suonano trasformazione, parola sinonima di vita eterna. [xxxv] Concludiamo col Bulwer: Amore è morte. Questa massima può essere interpretata nel modo seguente: Chi molto ama ha la forza di sacrificar se stesso pel bene altrui. Occorre un esempio? - Gli eroi di Villa Glori avevano per ideale: Roma o morte! e Roma è l'anagramma d'Amor! Il Bulwer nell'ultimo periodo della riportata citazione allude forse alla morte di Zanoni. [xxxvi] Quest'ultima parte del nostro studio è dedotta dalla sesta appendice (Pag. 177-224) al libro del Guaita «Au Seuil du mystère»
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