Le notizie sulla vita di Flavio Giuseppe sono desunte dalla sua autobiografia. Il suo nome ebraico era Giuseppe figlio di Mattia (Joseph Ben Matityahu); il nome romano Flavio fu da lui assunto in seguito, al momento dell'affrancamento e conseguente conferimento della cittadinanza da parte dell'imperatore Tito Flavio Vespasiano. Nato nel primo anno del regno di Caligola (37-38) da una famiglia della nobiltà sacerdotale imparentata con la dinastia degli Asmonei, Giuseppe ricevette una educazione tradizionale ebraica con un forte influsso della cultura greca e latina. In gioventù assunse posizioni vicine al movimento dei farisei, molto osservante della Torah, ma ostile ai nazionalisti ebrei ed in particolare agli zeloti. Tra il 63 e il 65, durante il periodo del grande incendio di Roma, si recò nell'Urbe, dove fu ospite alla corte di Poppea rimanendo impressionato dalla potenza militare e del livello di vita dei Romani. Durante la prima guerra giudaica, iniziata nel 66, fu governatore militare della Galilea per le forze ribelli. Quando i ribelli asserragliati a Iotapata, assediata dai romani,si accorsero dell'imminente espugnazione romana, Giuseppe li convinse dell'immoralità del suicidio e dell'opportunità che a turno si perdesse la vita per mano dei compagni; con uno stratagemma riguardante l'ordine delle successive morti fece poi in modo di rimanere l'ultima persona viva del suo gruppo di combattenti (Problema di Giuseppe) e, invece di uccidersi, si consegnò ai Romani. Durante l'incontro con il comandante militare romano Tito Flavio Vespasiano, Giuseppe gli predisse che sarebbe diventato imperatore: «In Giudea, mentre stava consultando l'oracolo del dio del Carmelo, le sorti confermarono a Vespasiano che avrebbe ottenuto tutto ciò che voleva e aveva in animo, per quanto fosse grande; ed un nobile tra i prigionieri di nome Giuseppe, mentre veniva messo in catene, affermò che lo stesso Vespasiano lo avrebbe liberato, quando fosse ormai [divenuto] imperatore» (Svetonio, Vita di Vespasiano, 5) Quando infatti Vespasiano dispose di mettere Giuseppe sotto custodia con ogni attenzione, volendo inviarlo subito dopo a Nerone, il prigioniero dichiarò che aveva da fare un annuncio importate allo stesso Vespasiano, di persona ed a quattr'occhi. Quando il comandante romano ebbe allontanato tutti gli altri tranne il figlio Tito e due amici, Giuseppe gli parlò: «Tu credi, Vespasiano, di aver catturato soltanto un prigioniero, mentre io sono qui per annunciarti un grandioso futuro. Se non avessi avuto l'incarico da Dio, conoscevo bene quale sorte spettava a me in qualità di comandante, secondo la legge dei Giudei: la morte. Tu vorresti inviarmi da Nerone? Per quale motivo? Quanto dureranno ancora Nerone ed i suoi successori, prima di te? Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio. Fammi pure legare ancor più forte, ma custodiscimi per te stesso. [...] e ti chiedo di essere punito con una prigionia ancor più rigorosa se sto mentendo, davanti a Dio» (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 8.9.400-402) Sul momento Vespasiano rimase incredulo, pensando che Giuseppe lo stesse adulando per aver salva la vita, ma poi, sapendo che anche in altre circostanze Giuseppe aveva fatto predizioni esatte, fu indotto a ritenere che ciò che gli aveva annunciato fosse vero, avendo egli stesso in passato pensato al potere imperiale e ricevendo altri segnali che gli presagivano il principato. Alla fine non mise in libertà Giuseppe, ma gli donò una veste ed altri oggetti di pregio, trattandolo con ogni riguardo anche per le simpatie del figlio Tito. L'anno successivo, quando Vespasiano fu acclamato imperatore dalle truppe di Giudea, Siria, Egitto, Mesia e Pannonia, ora che la fortuna era dalla sua parte e ne assecondava tutti i suoi desideri, rifletté sul giusto destino di essere stato fatto signore del mondo. Fra i molti presagi ricevuti da ogni parte a predirgli l'impero, si ricordò delle parole di Giuseppe, che aveva avuto il coraggio di chiamarlo imperatore quando Nerone era ancora in vita. Sapendo che Giuseppe era ancora in prigione, convocò Muciano assieme ad altri generali e amici e, dopo aver ricordato loro la sua perizia militare nell'assedio di Iotapata, accennò alle sue predizioni, che al momento aveva sottovalutato, ma che il tempo ed i fatti ne avevano dimostrato la bontà e l'origine divina. «Mi sembra vergognoso che chi mi ha predetto l'impero [...] sia ancora in prigionia con le catene» (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.7.626) Detto ciò, fece condurre Giuseppe al suo cospetto e diede ordine di togliergli i ceppi. Tito, che stava assistendo alla scena a fianco del padre, gli suggerì: «Padre è giusto che Giuseppe venga liberato, oltre che dei ceppi anche della vergogna. Se noi non slegheremo le sue catene, ma al contrario le spezzeremo, dimostreremo che egli non è mai stato incatenato. Così accade a chi è stato incatenato ingiustamente» (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.7.628) Vespasiano accolse la richiesta del figlio e la catena venne spezzata a colpi di scure. Così Giuseppe, ricevuta la libertà, poté godere del credito di profeta, e si legò alla famiglia del princeps, cambiando il suo nome in Flavio Giuseppe. Flavio Giuseppe venne usato dai romani a fini propagandistici, per convincere i ribelli ad arrendersi. Trascorse il resto della sua vita a Roma, scrivendo opere che avevano un carattere filo-romano, ma che spiegavano ai lettori anche la storia e le credenze degli ebrei. I suoi scritti sono estremamente importanti dal punto di vista storico, poiché sono la principale fonte di informazioni che abbiamo sulla Giudea del I secolo. Morì intorno all'anno 100. Mentre gran parte degli ebrei contemporanei considerarono Flavio Giuseppe traditore e apostata, taluni ritengono che egli, in un periodo nel quale le forze esterne minacciavano la totale distruzione del monoteismo ebraico, abbia perseguito con lucidità il fine della sua conservazione al prezzo di compromessi con il mondo vincente alessandrino/romano. Giuseppe Flavio Guerra dei Giudei Vol. I° Guerra dei Giudei Vol.II° Antichità Giudaiche Vol. I° Antichità Giudaiche Vol. II° |