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Il Sogno
All'interno della nostra
spazialità psichica esistono innumerevoli semi che cercano
espressione, manifestazione; e la mente è, appunto, il terreno
nel quale questi semi possono germogliare, prendere forma.
Ogni seme è un potenziale, una carica energetica allo stato
latente. Basta una condizione favorevole ed esso comincia a
estrinsecarsi. Possiamo dire che il nostro mondo psichico è
popolato da tutte le forme-immagini nate da quei semi. Nasciamo
con un certo "programma da svolgere", con certe possibilità
esplicative, con certe potenzialità che intendiamo sperimentare.
Così, senza sosta, la mente plasma immagini, una dietro l'altra.
Incessantemente, di giorno e di notte, l'individuo sogna e si
identifica al suo sogno. Plasmiamo una forma e... nasce l'io di
sogno inerente a quella forma; scompare questa e la materia con
cui essa era fatta serve a plasmarne una nuova alla quale il
sognatore daccapo si identifica.
Ci sono, quindi, due termini, due poli: da una parte il
sognatore (soggetto), dall'altra il sogno (oggetto).
Dice Pascal: «Poiché metà della vita la si vive nel sonno, e ciò
è un'evidenza, e se in esso quello che ci appare non ha alcuna
idea verace, essendo tutti i nostri sentimenti delle illusioni,
chissà se l'altra metà, nella quale pensiamo da svegli, non
debba costituire una specie di sogno differente dal primo...
intessendo così sogni su sogni?».
In pratica, si chiede: quello che
noi definiamo stato di veglia non potrebbe essere la
continuazione del sogno a un altro livello di coscienza?
Che differenza c'è, in fondo, tra le immagini dello stato di
veglia e quelle notturne? Sono tutte forme evanescenti, fantasmi
che appaiono e scompaiono al tocco di una "bacchetta magica". E
questo tocco magico è rappresentato dalla nostra coscienza.
Infatti, perché un dato esista occorre che si determini un
contatto, e la coscienza, simile a un filo, collega questi due
termini: il soggetto e l'oggetto.
Si parla di realtà-irrealtà del sogno. Mentre sogniamo, fino a
quando siamo identificati al nostro prodotto-sogno, finché la
nostra coscienza aderisce al dato oggettivo, per noi il sogno è
reale. Il fantasma-oggetto vive ed esiste realmente nella nostra
spazialità. Poi, ci svegliamo: il circuito si apre, il contatto
cessa e tutto si dilegua, riassorbendosi nella nostra mente.
Questo continuo entrare e uscire, queste continue modificazioni
mentali sono determinate da un impulso all'azione. L'azione è
moto, il pensiero è moto. Ma perché c'è questo flusso e
riflusso, questa espirazione ed inspirazione? Perché usciamo da
noi stessi?
Quando l'essere è compiuto, quando è in pace con se stesso, che
cosa mai può desiderare, a che cosa mai ha necessità di
appoggiarsi? Egli è giunto alla sintesi. Non esistendo più in
lui alcuna polarità, come potrebbe essere calamitato da un
qualunque oggetto? È uscito fuori dall'elettromagnetismo: è il
neutrone, senza alcuna carica. Per chi è non esiste moto
centrifugo. Egli è pienezza, è sat-cit-dnanda:
essere-coscienza-beatitudine assolute.
Il divenire, perciò, riguarda solo
chi "vuole essere", chi "desidera essere". Questo vale per
l'individuo, quanto per Iśvara. Si dice, infatti, che "la
volontà di essere e il desiderio di esistere spingono in
manifestazione sia il jiva cosmico (Iśvara
appunto) che il jiva individuato". La molla, quindi, che
determina il movimento é sempre la stessa.
Abbiamo detto che il moto produce la polarizzazione del soggetto
e la conseguente nascita dell'oggetto. Il dramma dell'uomo sta
proprio qui: il soggetto, senza il quale l'oggetto non
esisterebbe, diventa schiavo della sua "ombra". E questa l'inscienza
(avidya) che oscura l'intelletto e imprigiona. A livello
cosmico, tale inscienza è rappresentata dalla maya, con la
differenza, però, che il soggetto pensante (Iśvara) è libero da
essa e pur proiettando rimane fuori dal gioco proiettivo: egli
resta al centro.
Ma se il sogno – modificazione coscienziale-mentale – ha un
inizio e una fine, esso non è altro che fenomeno e come tale non
ha vita propria, reale, assoluta. Esso è relativo e contingente:
appare come un lampo per sparire subito dopo.
Il pensatore notturno sogna allo stesso modo del pensatore dello
stato di veglia, quindi entrambi gli universi da essi creati
sono semplici prodotti mentali, fenomeni, "apparenze".
Il sognatore, nel corso delle sue indefinite sperimentazioni
coscienziali, si accorge, a un certo punto, di sognare. Mentre
gioisce o soffre, in un attimo di illuminazione, riconosce: ma
questo è un sogno! Perché piango? Perché rido? Da quel momento
comprende l'assurdità della sua identificazione, la vacuità del
mondo che lo circonda, qualunque esso sia, e comincia a
discriminare tra vero e falso, tra realtà e illusione. È una
prima presa di consapevolezza, un primo atto risolutivo.
Tenta, così, di sganciare la sua coscienza da quel mondo, di
risvegliarsi. L'impresa, però, si dimostra piuttosto ardua. I
fantasmi che cerca di combattere sembrano invulnerabili: è la
sua stessa energia che non riesce ancora a riconoscere e che gli
si rivolta contro. Più vuole liberarsi, più quelli cercano di
dominarlo. È una lotta per la vita da ambo le parti, una "guerra
santa" che va condotta però non con la forza ma con calma
determinazione. Il segreto della vittoria sta nel non cedere, e
la discriminazione, in questa lotta, è essenziale.
Una forma-immagine si presenta ed egli discrimina: qualche
attimo fa non c'eri, quindi sei un'apparizione, un fenomeno. Io
ti ho dato la vita, tu dipendi esclusivamente da me. Se io ti
riassorbo nella mia mente, tu sparirai. Non ti temo più, sei
solo un fenomeno. Così, per molto tempo, questa opera continua
senza sosta; se, specie all'inizio, egli può essere colto di
sorpresa e cadere sotto l'influenza "dell'ombra", subito si
rialza e riprende la lotta. Con un avversario abile e scaltro,
l'azione deve essere condotta con grande intelligenza. È una
gara di abilità in cui ci deve essere continua presenza,
distacco, incessante riflessione, come durante una partita a
scacchi.
Ed ecco che, piano piano, svanisce un fantasma dietro l'altro
finché, a un certo momento, vicino ad essi avanza il vero
fantasma, l'individualità, il "guardiano della soglia". Si
accorge così che il soggetto che credeva di essere egli stesso
non è altro che una proiezione mentale, proprio come lo stesso
oggetto . Le figure irreali che egli ha affrontato prima erano
in fondo dei sottoprodotti, ora deve affrontare
l'avversario più forte, il più pericoloso, anche se evanescente
come quelli che lo hanno preceduto. Esso è pur sempre un
prodotto mentale, un relativo, un oggetto che non ha vita
autonoma, a sé. Se non lo fosse, a nulla varrebbe combatterlo.
Ma è un fenomeno, una proiezione, e come tale può riassorbirsi
nella mente, scomparire.
L'io è un seme che ha germogliato e fruttificato. È l'effetto
della distinzione, della separatività. Se l'essere si è
allontanato da una condizione di unità col Tutto, finendo col
circoscriversi, sarà necessario allora che egli spezzi questa
circonferenza, che si espanda comprendendo.
Come in qualunque sogno, l'io esiste finché esiste la proiezione
a esso inerente, finché la coscienza aderisce a tale proiezione.
Se ritiriamo la proiezione, distacchiamo la coscienza da essa,
come in un qualunque gioco prodotto da un illusionista,
l'io-sogno sparisce e ci ritroviamo finalmente liberi: il
fantasma non esiste più. Ci riconosciamo per quello che siamo e
che siamo sempre stati, vale a dire Soggetto coscienziale, Unità
indivisa priva di dualità.
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