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Stato e Sapienza Occulta
in Mazarino
É ormai ben noto
che, senza il Cardinale Richelieu, il sistema assolutistico in
Francia e, successivamente, nel resto d'Europa sarebbe stato
impossibile.
La Riforma, e la correlata e successiva “Notte di San
Bartolomeo” (23-24 Agosto 1572), azione dei cattolici contro gli
ugonotti di Parigi (1) sono un ridisegno geopolitico dell'Europa
con l'asse che va verso la Spagna (infatti la “Notte” avviene
poco dopo la vittoria di Lepanto) e la ristrutturazione interna
dell'area tedesca, che trova lentamente nella predicazione di
Martin Lutero un modello di unità politica e statuale (2).
Per la Francia, il nuovo modello assolutistico deve comprendere
sia l'autonomia dal cattolicesimo romano della monarchia
spagnola, in “nemico ad Ovest”, sia la differenziazione dalla
Germania luterana e, possibilmente, il suo smembramento. “Il
nemico ad Est”.
Sembra di leggere, secoli prima, la pianificazione strategica
della Francia gollista dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale, cessazione temporanea di quella “guerra civile
europea” (3) che si delinea nei modelli culturali, storici,
geopolitici proprio nel contesto della Guerra dei Trent'Anni.
L'Esoterismo assolutista serve a giustificare, fondare,
unificare questo grande progetto geopolitico e strategico della
Francia di Richelieu e, poi, di Mazarino.
Quindi Caterina DÉ Medici, appassionata di astrologia e magia
come tutti i membri dell'élite fiorentina del Rinascimento,
sposa di Enrico II, teme soprattutto il passaggio, che infatti
poi avverrà, dalla dinastia di Navarra a quella dei Borbone (4)
con Luigi XIV e dopo Enrico IV di Navarra, erede del trono dopo
la fine dei Valois-Angoulème che persero il trono dopo che,
sulla base della legge salica, “la legge di un popolo che non è
mai esistito” (5) a favore della oinea che da Roberto di
Clermont, figlio cadetto di Luigi IX il Santo, arriva ad Enrico
III di Navarra, primo Re capetingio della dinastia dei Borboni.
Quando il Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay, muore
bruciato sull'”Isola della Città” parigina, nel 1314, un luogo
di tortura e maledizione per gli ebrei, lancia la maledizione al
Re Filippo il Bello secondo la quale “un giorno un mio
discendente ucciderà il tuo discendente”. E fu così. La
ghigliottina per Luigi XVI era decorata, nella parte superiore,
con segni e simboli che non potevano essere casuali.
Due “corpi del Re” che si sostituiscono e che forse, proprio per
questo, vanno incontro ad un tragico destino (6)
Ma torniamo a Richelieu e a Mazzarino. Nostradamus è consultato
spesso dalla Regina di Firenze, ed è un Ebreo convertito (7).
E, malgrado le profezie negative di Michele “della Nostra Dama”
(la Madonna) Caterina dÉ Medici organizza le nozze tra sua
figlia, la principessa Margot, e Enrico di Navarra.
Ma la nuova moglie di Enrico fu ancora una Medici, Maria, e il
trono dovette essere attribuito al figlio della nuova unione,
Luigi XIII.
É in questo contesto di scambio dei “corpi del re”, che rende
del resto modernamente astratto l'assolutismo di Richelieu e
Mazarino, che occorre definire il ruolo, alla corte francese, di
Eleonora Galigai, sorella di latte di Maria de' Medici, maga e
occultista di notevole rilievo nell'ambiente europeo (8), legata
alla magia “operativa” delle tradizioni orientali che arrivavano
a Firenze dal Medio Oriente e dai mercati dell'Asia, e moglie di
Concino Concini (9), Maresciallo d'Ancre e uomo forte della
corte francese.
É tramite Concino Concini e la Galigai che Richelieu inizia la
sua carriera politica a corte, Concini viene ucciso da una
congiura, il 24 Aprile 1617, ed è proprio Luigi XIII ad
assumere, in un contesto di assolutismo non ancora moderno, il
potere appunto assoluto.
La Galigai viene processata e arsa viva come strega, nello
stesso anno in cui il consorte viene assassinato da questa
congiura probabilmente gestita sia dal Re che dalla madre, Maria
de' Medici, che continua ad influenzare il Sovrano anche dal suo
ritiro nel castello di Blois (10).
La magia, bianca o “nera”, viene letta come essenza del potere,
poiché tramite essa si opera a distanza sulle persone e le cose,
e si inducono stati di coscienza più o meno realistici, ed è
proprio questo il fine e il meccanismo del potere politico.
Il Potere, il “mana” delle tribù primitive, è appunto una azione
non-fisica a distanza che modifica il comportamento dei subjecti
(11). Il Sovrano, soprattutto se è Assoluto, è il custode dei
poteri pre-logici, pre-temporali, pre-razionali che muovono le
folle, sia nella “mentalità primitiva” di Lévy-Bruhl che nelle
civiltà moderne, o della “tecnica”, la quale, di per sé, non
modifica in nulla il sistema psichico delle masse e dei singoli
(12).
E lo psichismo primitivo, come ci ha spiegato un altro grande
antropologo francese, Lèvy-Strauss, permane intatto nell'uomo
moderno, è il suo nesso con il “cervello rettiliano” e con
quello dei mammiferi, prima del passaggio alla dimensione e alla
struttura cerebrale dell'homo sapiens sapiens (13).
Ma torniamo a
Richelieu, che ha letto bene il Machiavelli, e riesce quindi a
sopravvivere alla morte dei suoi maghi protettori, e mantiene un
legame con Maria e, in particolare, con un'altra “strega”, che
sostituirà la Galigai nel cuore della Regina-madre, Catherine
Hammon (14), calzolaia di Loudun e figura all'origine del
celebre processo per stregoneria reso ancor più noto da un libro
di Aldous Huxley che, all'inizio della “società dei consumi”,
legge con attenzione le origini “nere”, negromantiche, dello
Stato Assoluto e il nesso tra black magic e cultura pop
contemporanea (15). Magia sessuale, potere, comando tramite gli
istinti sui cittadini: il quadro psico-politico è modernissimo e
insieme antico.
Se la religione pubblica, cattolica o evangelica riformata, è la
credenza del popolo, il mana dell'uomo comune e l'essoterismo
del Vangelo, che viene ridotto inevitabilmente, nelle Chiese
ufficiali, a sistema normativo e paralegale, per le élites le
“religioni occulte”, siano esse “bianche” o altro, sono le
sapienze esoteriche, il mana delle classi colte, e gran parte
del problema politico-culturale, nell'età dell'Assolutismo ma
anche ai giorni nostri, consiste nel rendere coerente
l'essoterismo della religione popolare, l'accettazione, secondo
le regole tradizionali della Massoneria, della “religione del
luogo”, con l'esoterismo delle classi dirigenti (16). I due
“mana”, per funzionare entrambi, devono incontrarsi.
É proprio la calzolaia a lanciare un attacco anonimo contro
Richelieu, nel 1827, che il cardinale rintuzza mediando tra la
Regina Madre e Luigi XIII e, soprattutto, spingendo la monarchia
verso una lotta senza quartiere (la guerra dei Trent'Anni è
iniziata nel 1618) contro gli Asburgo d'Austria e di Spagna.
L'apertura, tramite l'esoterismo del potere assoluto, dello
spazio per la Francia egemone in Europa, contro due potenze
cattoliche e “meridionali”.
É lo stesso anno, il 1618, in cui si diffonde in tutto il
continente il “manifesto” rosacrociano, altro punto di snodo
della cultura politica e, diremmo, strategica dell'Europa
moderna.
É questo il momento in cui il Cardinale rompe con tutta la
tradizione esoterica di cui a quel momento si è nutrito.
Per i Gesuiti,
soprattutto per quel Pére Garasse che avrà una lunga
consuetudine intellettuale con Cartesio, anch'egli accusato di
essere un “Rosa+Croce” (17) la setta occulta è una emanazione di
quell'”ateo” di Lutero, ed è quindi questo il nesso politico tra
nuovo assolutismo, così come Richelieu lo ridisegna dopo la
crisi dei “diavoli” di Loudun, e le reti sapienziali che,
all'inizio della Guerra dei Trent'anni, ripropongono in forma
nuova e “coperta” quella connessione tra magia operativa e
politica che era stata caratteristica del Rinascimento.
Cambia così la geografia dell'occulto in Europa: se prima il
potere centrale era collegato a pratiche note di magia
operativa, oggi queste stesse attività vengono diffuse in reti
invisibili (è proprio uno dei termini con i quali i Rosa+Croce
si definiscono, l'”Accademia degli Invisibili”) che genereranno,
di lì a poco, le tradizioni massoniche, con l'inserimento dei
massoni “speculativi” nelle Logge “operative” e di mestiere
(18).
É interessante vedere come la propaganda della Chiesa di Roma
legga il Rosa+Croce come longa manus della Riforma, mentre nei
Paesi del Nord che accettano la nuova religiosità di Martin
Lutero la rete dei “sapienti incogniti” opera nello stesso modo
in cui agisce nei Paesi che rimangono cattolici (19).
Il Cardinale, qui, proprio nelle more del caso delle Orsoline
invasate di Loudun, se non ha alcuna difficoltà a reprimere
senza pietà il fenomeno, si pone il problema-chiave
dell'Assolutismo nuovo che, insieme al suo erede Mazzarino,
stabilisce il concetto “cartesiano” che è la Ragione la fiaccola
che rischiara il Principe nel governo di sé stesso e del suo
Stato (20)
Ma rimane un nesso, ben evidenziato da Cartesio nel suo saggio
sul Buon Senso (21): i Rosa+Croce erano forse dei “filosofi” di
vasto rilievo, che il teorico solipsista del “Discorso sul
Metodo” non condanna a priori. É finita, è proprio il caso di
dirlo, la “caccia alle streghe” dei Rosa+Croce.
La “ragione” rischiarata di Cartesio, però, arriva dopo un
processo al fondo dell'Io, dopo una analisi della realtà come
probabile finzione, che ha molto a che fare con una pratica
esoterica o con una tecnica, come direbbero oggi gli
psicanalisti, di “costruzione del sé” (22).
É il quadro in cui si trova ad operare il Cardinale Mazzarino:
da un lato, il prelato utilizza, come il suo predecessore, i
protestanti (e sarà un pastore riformato, Desaguliers, a fondare
insieme a Newton la Royal Society e la Massoneria “speculativa”
del 1717, mentre il mito occultista della “forza di gravità”
newtoniana si diffonde nel Primo Illuminismo) (23).
Il tema del cardinale Mazzarino sarà quello della correlazione
tra Visibile e Invisibile, con un punto di sutura che è quello
del Grande Monarca (24), che media tra il Re invisibile (che è
Dio, ma si tratta del “Dio dei filosofi”) e il Re visibile, che
usa la Ragione cartesiana per “tenere lo Stato”, secondo la
formula machiavelliana.
Il Mago Politico non è più, nella visione del cardinale
italiano, un mago “nero” (anche se può utilizzare, a fin di
bene, pratiche negromantiche) ma un sapiente che unisce il bon
sens cartesiano con la sapienza occulta di quelle reti che, a
partire dalla sconfitta dei Rosa+Croce e dal loro inabissamento,
sono alla testa del rinnovamento culturale europeo.
Così come la scienza matematica e fisica “copre” la sapienza
occulta di Newton e la sua teoria cabalistica (25) e magica,
così la sapienza politica di Mazzarino “copre” la sua gestione
sapienziale e occulta dello Stato, che è luogo di forze
invisibili che, come nella magia operativa, vanno comandate con
forze visibili.
Il legame tra i due livelli è quello delle nuove reti
sapienziali: la Massoneria, la teoria dello Stato assoluto di
Jean Bodin, anch'egli interessatosi alla magia in gioventù (26),
Stato che è un macroantropo come le immagini dell'Uomo
Originario della Cabala Ebraica, le reti dei nuovi savants che
l'Illuminismo costituisce come classe sociale a parte, le stesse
aree eterodosse (Compagnia di Gesù (27), cappuccini, teatini,
barnabiti, etc.) della Chiesa di Roma.
Non è un caso che la Compagnia fondata da sant'Ignazio di Loyola
faccia esplicito giuramento al Papa come Sovrano Assoluto.
Poussin, pittore principale per il Cardinal Mazzarino, lascia
segreti, cifre e frasi templari nei suoi dipinti (28) e qui il
templarismo è quello che sarà codificato nel Rito Scozzese
Antico e Accettato: la riscossa del Sovrano Assoluto legittimo
contro Filippo il Bello e la sua schiatta di “traditori”
capetingi.
L'Arcadia nasce come società di savants e letterati, ma si
trasforma rapidamente in una trama di saperi occulti, secondo
alcuni legati alla Massoneria (29).
Il nesso è, politicamente, chiaro: l'Arcadia dei pastori e delle
deità precristiane è il luogo dell'uomo rigenerato, che non ha
più bisogno delle sovrastrutture “razionali” ma collega
immediatamente, come deve fare il Sovrano Assoluto, raison et
coeur (30).
Il classicismo sta all'arte come la scienza visibile newtoniana
alle sapienze occulte che copre e disvela, e il classicismo sta
alla politica come la Ragione disvelata, ben piantata nelle sue
radici esoteriche, sta al comando casuale e irrazionale del
Principe machiavelliano, con il quale “li stati” nascono e
muoiono. L'Assolutismo è un grande progetto per costruire lo
Stato moderno, che infatti non si emanciperà mai del tutto da
queste tradizioni, che sopravvive alla società, ai Re e perfino
ai maghi.
Ma quale è propriamente la filosofia politica di Mazzarino?
Possiamo leggerla soprattutto nel suo “Breviario dei Politici”
(31). Per comprendere bene il “Breviario” occorre, a nostro
avviso, leggerlo in parallelo con il Principe del Machiavelli.
Per il Segretario fiorentino, la scienza della politica è una
teorica del raggiungimento del Potere, che in seguito deve
parere definitivo, stabile, quasi eterno e, soprattutto,
naturale nel suo funzionamento.
Il Potere deve parere stabile e eterno, mentre nella realtà
effettuale della cosa, sempre per usare una formula
machiavelliana, il Potere è quanto di più instabile e incerto vi
sia al mondo. E il Principe, arrivato a detenere il comando, lo
sa benissimo.
Il Principe machiavelliano prende il potere e poi riveste questa
sua vittoria da “principe novo” con i paramenti di un potere
antico, di una tradizione arcaica, di una razionalità quanto più
vicina a quella del popolo dominato e alle necessità che il
principe “novo” stabilizzi definitivamente il suo potere e lo
trasmetta ai suoi eredi, come se fosse la sua roba.
Per il cardinale Mazzarino, ministro di Luigi XIV e quindi di un
“principe antiquo”, il problema del politico non è arrivare al
potere ma detenerlo in modo assoluto, etimologicamente sciolto
da legami, fondamenti, autorità alternative, giustificazioni.
Ecco quindi la polarizzazione del “lavoro del politico” verso
due modelli, derivati entrambi dalla classicità (mentre per
Machiavelli i riferimenti degli exempla, nel “Principe”, vanno
dalla Bibbia ai politici a lui contemporanei):simula e
dissimula.
La riproposizione del criterio del Manuale di Epitteto, sustine
et abstine, “sopportati e astieniti” (32).
Come le belle arti riprendono il classicismo dell'età imperiale,
così la teoria politica di Mazzarino ricostruisce l'Assolutismo
a partire dalla filosofia greca e latina.
E, peraltro, la simulazione e la dissimulazione politica, arte
essenziale del Capo, sono la riproposizione di quel “conosci te
stesso” che è anch'esso all'origine della filosofia classica ma,
si noti bene, non della teoria politica greca e latina, che sono
teoriche del potere e della natura soggettiva e immodificabile
degli uomini destinati a detenerlo, quanto piuttosto dell'etica
privata.
Il Sovrano costruisce la sua teoria dello Stato Assoluto, agli
albori dell'Europa moderna, attraverso una filosofia dell'etica
privata, poiché lo Stato è il suo Privato (33), e la natura
della cosa pubblica è strettamente connessa alla sostanza del
suo Essere, al carattere e all'indole della sua persona.
In quegli anni, peraltro, la filosofia di Cartesio definisce la
nuova forma dell'Io: non più entità corporea e materiale, ma
fondamento del pensiero e dell'identità.
Non più, come nella tradizione prerinascimentale, soggetto
concreto, fisico, destinato al decadimento fisico e alla morte,
ma dimensione e fondamento non solo del Pensiero, di qualsiasi
pensiero, ma dello stesso mondo, che si definisce in relazione
all'Io che lo pensa (34).
Lo Stato Assoluto, legato alla Volontà astratta del Sovrano, il
suo Io puro cartesiano, non è destinato al decadimento, a meno
che il Capo politico non escluda dalle sue scelte di Stato
quella stessa soggettività materiale che Cartesio elimina dalla
definizione dell'Io.
Ecco quindi la necessità logica della simulazione e
dissimulazione raccomandate dal Cardinale Mazzarino. Il Principe
del Machiavelli è una persona fisica che arriva al potere e si
riveste di quei panni classici dei quali lo stesso Segretario
fiorentino si vestiva, almeno simbolicamente, quando studiava i
suoi amati classici (35), ma il Sovrano Assoluto è l'Io di
Cartesio (36), necessario e immateriale, invisibile e proprio
per questo fondamento della percezione.
Sia detto tra parentesi, è proprio con lo Stato Assoluto che
inizia una economia del surplus in Europa, che deriva sia dalla
capacità dello Stato Sovrano di raccogliere risorse come mai era
accaduto prima, nei secoli del particolarismo medievale e dei
piccoli Stati del Rinascimento italiano, evitando l'autoconsumo,
sia stimolando la produzione con investimenti che riguardano la
spesa in beni di lusso e simbolici del Re e le grandi
infrastrutture, soprattutto belliche (37).
Ma torniamo a Cardinale Mazzarino e al suo Breviario. “Conosci
te stesso” è quindi la stessa funzione, in una progressiva
reductio ad unum che ricorda da vicino la scarnificazione
dell'Io fisico e psicologico elaborata da Cartesio, della
dissimulazione, che è il modo con il quale il Sovrano o il suo
consigliere evitano che gli impulsi, le preferenze soggettive,
le passioni dell'anima (termine cartesiano (38)) modifichino e
deformino il perfetto disegno dello Stato Assoluto, che è
fondato sul Sovrano come persona fisica, ma anche e soprattutto
sul Principe come Soggetto Immateriale, mitico, eterno.
Non è un caso che, nell'arte di Poussin e dei pittori di corte
francesi, il Re sia mitizzato come figura antica e letteraria,
Ercole o altri Dei dell'antichità (39).
Il contrario dell'uomo perfettamente cosciente, e quindi capace
di simulare e dissimulare le sue passioni umane e unicamente
soggettive,carnali e concupiscenti, è il regno delle passioni
incontrollate, che sono caratteristiche di quella che il
Cardinale chiama la massa concitata.
Uomo singolo e razionale, perché collegato alla tradizione
eterna della filosofia classica (nella quale, sia detto per
inciso, e si tratta di un Cardinale di Santa Romana Chiesa, il
Cristianesimo ha scarsissimo influsso) e massa indistinta che,
proprio in quanto massa, in quanto insieme indifferenziato di
corpi e di desideri, è inevitabilmente dominata dalla
irrazionalità e dalla incapacità di moderare, nascondere,
ritmare e scandire nel tempo i propri bisogni. Un tema di
Leonardo da Vinci, “se sei solo sei uno, sei sei in due sei
metà” (40).
Ortega y Gasset parlerà, per il Novecento, di una età della
rebellion de las masas (41) in cui lo Stato è preda non della
volontà cristallizzata del Sovrano, soggetto moderato e “educato
al comando”, ma degli istinti incontrollati, immediati e
materiali delle masse, appunto.
Ma anche in questo caso, per lo storico spagnolo, si potrà
parlare di un “assolutismo popolare” non meno dispotico, anzi di
più, di quello del Sovrano tradizionale.
L'uomo completo e quindi il Sovrano è tale poiché ha raggiunto
la gravitas dei classici, e quindi è capace di usare quella
primaria virtù politica che, per Mazzarino, è la discrezione.
Se il potere si rivela, muore, si disfa, si consegna a regole ad
esso estranee, e si moltiplica in mille determinazioni fisiche
che non riguardano la sua essenza astratta, il suo Io
cartesiano; ma se il Potere, proprio in quanto assoluto, si
nasconde agli occhi pericolosi e semplificatorii delle
moltitudini, allora permane e si rafforza per sua stessa natura.
Per il cardinale Mazzarino, qui allievo di Richelieu, occorre
astenersi dal mostrare ciò che non è assolutamente necessario al
comando politico, ed è così che si realizzano gli obiettivi
profondi dello Stato.
Come dirà Nietzsche, ciò che è profondo ama la maschera (42).
Che non sono, gli obiettivi dello Stato, quelli di semplicemente
durare e trasformarsi da Principato Novo in Antiquo, secondo il
modello machiavelliano, che è mutuato su quello della Chiesa
Cattolica, ma di costruire progressivamente la razionalità
assoluta e cogente del proprio funzionamento.
Lo Stato Assoluto di Mazzarino (e di Richelieu) è ciò che
l'analisi matematica cartesiana è per l'equilibrio delle forze
reali.
E qui arriviamo alla questione del Segreto, che è essenziale
nella teoria politica dell'assolutismo.
Il secretum è, etimologicamente, ciò che viene prodotto
dall'interno di un organismo e ciò che non si vede, e per
Mazzarino le due etimologie si sovrappongono.
Il segreto del Cardinale permette di fingere in modo completo, e
quindi realizzare al massimo grado l'arte del governo, e di
intercettare gli intendimenti, le volontà, le scelte degli
altri, amici o avversari (ma per l'uomo di governo sono tutti
potenziali avversari) e quindi anticipare le mosse dei
concorrenti e dei temporanei alleati (43).
É il tempo la funzione primaria del Politico moderno, secondo il
Cardinale Mazzarino, e chi comanda il tempo comanda lo spazio,
proprio come nella fisica cartesiana. E chi comanda lo spazio
comanda i corpi che lo abitano, proprio come accade nelle teorie
sull'”animale-automa” di Cartesio (44).
Vale qui la pena di ricordare come, in anni a noi vicini, si sia
definita una “teoria politica della velocità”, o dromologia, che
consente di valutare nel pensiero, prima che si realizzino, gli
effetti di una scelta politica o economica (45).
Uno sperimentare “nella ragione” che ricorda da vicino le teorie
epistemologiche di Ernst Mach, fondate proprio sulla critica dei
dati di senso (46).
Ma torniamo, come dicevamo sopra, al secretum. Per il cardinale,
il segreto è l'essenza del politico, e vale sia per proteggere
il proprio lavoro che per analizzare il secretum altrui, che è
il principale materiale di cui si nutre l'agire politico dello
Stato Assoluto.
Il Potere e il Segreto si sovrappongono, e sarà solo con la
progressiva decadenza della Monarchia assoluta che il Potere si
separerà dal Segreto e dalle organizzazioni che lo tutelano e
che lo teorizzano (47).
Il potere è il segreto, e tanto maggiore è l segretezza di una
azione tanto maggiore è la sua politicità, il contenuto
oggettivo del suo potere, il suo potenziale di dominio. Tanto
più una decisione è segreta, tanto maggiore è la sua capacità di
sprigionare potere.
Il massimo della segretezza corrisponde al massimo di potere ma,
naturalmente, il potere non può non mostrarsi, e quindi non può
non sottoporsi a quel processo di lento decadimento che
corrisponde, nell'universo politico, al lento decadere degli
uomini con l'invecchiamento.
Solo il Re che non si vede, e che non si tocca, è simile
all'Eterno, e rende stabile indefinitamente uno Stato (48).
Se è vero che, come afferma Tocqueville, è stata proprio la
Rivoluzione Francese del 1789 a concludere il lavoro di
unificazione nazionale e di fuoriuscita dal particolarismo
medievale (che è anche tipico dello Stato del Rinascimento) che
era iniziato con la Monarchia Assoluta, allora si comprende
meglio la dislocazione del secretum dalle sole stanze del Potere
alle Logge rivoluzionarie della Massoneria (49). Dal segreto dei
Principi a quello degli Iniziati, che divengono, tramite la
Rivoluzione del Trinomio, detentori del Segreto Politico post-
assolutistico.
Il Cardinale definisce quindi il particolare tipo umano di colui
che sa detenere un segreto e scoprirlo negli altri: è un “uomo
da bene”, un termine che ricorda gli honnetes hommes,
paradossalmente, dei libertini del Seicento francese (50).
Un uomo che “si riconosce dalla coerenza e dal tenore della sua
vita”, e qui il valore della coerenza è un criterio strettamente
razionalistico e cartesiano, poiché anche il filosofo che scopre
l'Io astratto ritiene che le “passioni dell'anima” vadano
misurate, controllate e sottoposte alla Ragione (51), non mostra
caratteristiche specifiche (Cartesio le avrebbe definite
inclinazioni) nel parlare e nel porsi in relazione con altri,
del tutto estraneo alla malinconia e alla flemma.
La malinconia è tipica della natura artistica (52) la figura
classica del “maliconico” è Democrito e, nella storia dell'arte
sei-settecentesca, vengono definiti come malinconici i caratteri
estatici come quelli in cui viene ritratta Maria Maddalena, o
alcuni Santi nelle loro Visioni (53).
Il Principe Assoluto non ha visioni, non è lunatico o
intrattabile e imprevedibile, non fa arrivare le sue “passioni
dell'anima” al livello della coscienza.
Detto tra parentesi, è proprio l'individuo che non ha più
bisogno di moderarsi o controllarsi, poiché ha già stabilizzato
la sua psiche, ad essere il modello di “psicanalisi terminata”
per Sigmund Freud (54).
Il controllo delle proprie passioni, spontaneo e naturale,
equivale alla capacità di detenere il segreto e alla capacità di
esercitare il dominio sugli altri.
L'individuo “flemmatico” è anch'egli un individuo imprevedibile
non per il suo segreto, che deve essere il suo solo moto
razionale, ma per il suo carattere, lento e tardo nell'agire
(55), mentre l'individuo nato per il comando, secondo il
“Breviario” di Mazzarino, bilancia tutte le tipologie dell'animo
umano catalogate fin dall'antichità ( sanguigno, collerico,
flemmatico, malinconico56) e le compendia in un equilibrio che
ricorda molto da vicino l'”equilibrio assoluto del moto” in
Cartesio (57).
Bilanciare i
sentimenti come le membra del corpo: il testo del Breviario del
Cardinale Mazzarino è esplicito al riguardo: l'esercizio del
controllo sull'esterno, sul corpo, come già affermava
Sant'Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali, porta ad un
lento ma sicuro controllo sulle “passioni dell'anima” (58).
L'ultimo testo, incompleto, di Renè Descartes.
Viene da pensare all'uomo perfetto disegnato dal Cardinale come
ad un sapiente orientale esercitatosi nelle arti marziali, nelle
quali ha imparato la misura, la durata infinita dell'arte e,
soprattutto, il segreto della sapienza profonda, che non può
essere detto, ma solo indicato, poiché da solo si sceglie l'uomo
dal quale si farà portare, sempre con assoluta discrezione (59).
L'uomo perfetto, quindi, non è affatto un narcisista: non
sovrappone al segreto supremo dell'arte del governo la propria
ambizione personale visibile, che si diluisce e diviene tutt'uno
con la sopravvivenza e l'espansione dello Stato, non si mostra
per il solo piacere di farsi vedere, con il pericolo di essere
“tipizzato” e reso una semplice maschera, una figura da porre,
magari, al ludibrio dei più. L'uomo di Stato di Mazzarino non è
un super- uomo, nel senso delle teorie post-romantiche dell'”io
potenziato”, ma è un oltre-uomo, secondo la corretta etimologia
e traduzione del termine nicciano di “uebermensch”.
Poche parole, taglienti e che siano “come sentenze”, ovvero come
comandi impliciti, come consigli che non si possono trascurare,
come descrizioni di fatti essenziali.
É, tutto questo, il frutto di una pratica interiore del dominio
di sé che autorizza chi la eserciti in sommo grado ad esercitare
il dominio sugli altri.
Simulare, dissimulare, fingere, nel senso leopardiano e
filologicamente corretto, in latino, di “costruire con il
pensiero” (60). Ovvero, costruire un “animale politico”, lo
Stato, che non esiste in natura ma che è indubbiamente di
assoluta necessità naturale ed anzi, secondo il Cardinale, più è
ab-solutus, più è necessario.
É il modello, in altri contesti culturali, del Leviatano di
Hobbes. Modello, fra l'altro, che circola anche nel progetto
politico, per quanto poco abbozzato, dello stesso Cartesio (61).
Per il filosofo francese, la sostanza pensante e la sostanza
corporea sono due substantiae diverse (62). Per il teorico della
politica inglese, “io penso” e “io sono” sono la stessa identica
frase, e la sostanza materiale che fa da sostrato all'Io, al
Pensiero e alla Realtà è una e una sola.
In termini politici, il Sovrano Assoluto non ha limiti alla
propria soggettività, che è Legge, in quanto viene proposta dal
Sovrano, che pure garantisce, secondo il modello del Leviatano,
la vita e la tutela della proprietà dei Sudditi.
Tanto il Re garantisce la pura sopravvivenza e il mantenimento
delle proprietà dei sudditi, tanto più Egli ha diritto assoluto
di essere un Sovrano ab-solutus, sciolto da tutti gli altri
doveri verso i sudditi.
Per Mazzarino, e per Cartesio, invece, il Soggetto Pensante ha
le sue leggi interne e partecipa di una natura che è quella del
Pensiero, il modello tramite il quale è stato creato l'Universo
(e lo Stato).
Prudentia ciceroniana, derivata dalla tradizione stoica, contro
il materialismo esplicito di Hobbes, che non distingue tra
sostanza dell'Io e substantia mundi, e fa quindi correre al
Sovrano leviatanico il pericolo di farsi sommergere dalle
passioni e dagli appetiti che sono invece lontanissimi dallo
stile del Sovrano Assoluto del cardinal Mazzarino (63).
Il De Cive di Hobbes (64) definisce uno stato di natura retto da
leggi che valgono solo per la coscienza individuale, mentre le
leggi civili e artificiali garantiscono la sicurezza di tutti e
di ciascuno, e sono successive, anche se non contraddittorie,
con lo “stato di natura”.
Per Cartesio e Mazzarino, invece, dato che non vi è una sostanza
unica tra Natura e Io, le leggi dello Stato derivano dalla retta
razionalità dell'Io, che si rispecchia perfettamente nel Creato.
Diverse filosofie della conoscenza, differenti teorie politiche,
difformi progetti di Stato Assoluto. Ovvero, per l'universo
mentale dell'epoca di Cartesio, Mazzarino e Hobbes, di Stato
tout court, anche in relazione con le sue necessarie autonomie
rispetto alla Chiesa Cattolica.
La questione del comportamento pratico davanti ai Principi, e
dello stile da tenere nel comando delegato della cosa pubblica,
sono anche l'oggetto di un famoso trattato di Torquato Accetto,
Della Dissimulazione Onesta (65).
Per Accetto, segretario del Duca d'Andria, il cui trattatello fu
riscoperto da Benedetto Croce nel 1928, quando il fascismo
trionfante faceva pensare, appunto, a molti dissimulatori onesti
di origine liberale o nazionalista all'interno delle “falangi”
del regime mussoliniano (66), la dissimulazione viene definita
“il non far vedere le cose come sono”, mentre come Machiavelli
Accetto cita il verso 1, 209 dell'Eneide di Virgilio, quando
Enea rincuora i compagni anche se “spem vultu simulat, premit
alto corde dolorem”. Simulazione della speranza, dissimulazione
del dolore, sempre la polarità di Mazzarino ma, in questo caso,
volta alla propaganda e al sostegno psicologico dei compagni
d'avventura.
Beninteso, non delle masse, e nemmeno delle classi dirigenti che
diverranno tali dopo la Rivoluzione del 1789, e che comunque che
non hanno nessun ruolo nel processo politico immaginato da
Accetto (e da Mazzarino o da Richelieu) ma dai compagni
d'avventura, da coloro ai quali si affida la nave che, come
dettato dagli oracoli, dovrà condurre Enea e i suoi sodali sulle
coste del Lazio.
Il passaggio, detto tra parentesi, che negli anni in cui poeta
Virgilio sarà compiuto dalla statua sacra di Iside dall'Egitto a
Roma, verso le coste del Latium alle quali la “imago” della dea
egizia e poi greca, la vera deità unificante originaria del
Mediterraneo, Iside, arriverà attraccando nell'area marina
vicina ai Monti Lattari, nella zona in cui, in seguito, verrà
custodito, nel Santuario dedicato alla Vergine della Mentorella,
il cuore di Athanasius Kircher, il gesuita sapiente che
decifrerà, tra le sue tante azioni, i geroglifici egizi dei
monumenti presenti in Roma.
E il santuario della Mentorella è molto caro ai Papi, oltre che
attentamente osservato dai sapienti islamici attuali.
Per Accetto la dissimulazione vale non solo verso gli altri, per
una ovvia sapientia politica nei confronti della Corte, degli
altri collaboratori del Re, dello stesso Sovrano e della sua
famiglia, magari inadatta alla comprensione degli Affari di
Stato, tutti elementi di quella platea politica che forma il
vero pubblico dell'azione di un Segretario post-machiavelliano,
ma verso se stessi (67).
É qui il passaggio-chiave: mentre Richelieu, o Mazzarino,
collazionano tutto il sapere politico per poi rielaborarlo
secondo convenienza, e attenta valutazione razionale, Torquato
Accetto ripensa l'essenza della sapienza classica, il “conosci
te stesso”, per poi metterlo in azione secondo il criterio della
dimenticanza, dell'”occorre che in qualche giorno colui ch'è
misero si scordi della sua disavventura, e cerchi di viver con
qualche immagine almeno di soddisfazione”.
Una scelta che riguarda il collaboratore di un signore feudale,
non di un monarca che sta avviando la trasformazione unificante
dal particolarismo medievale, che il Sovrano vede solo come un
impedimento al suo potere assoluto, verso il novum dello Stato
Moderno, che peraltro lo travolgerà.
Pitagora, dice Accetto, “sapendo parlare, insegnò a tacere”, e
ripete, forse inconsapevolmente la formula di Giobbe che parla a
Dio: “non ho forse dissimulato? Non ho taciuto? Non mi mantenni
calmo?” (68).
É la rivolta tacita di un Segretario sapiente contro al suo
signore ignorante e volubile, non è il progetto politico di un
Mazzarino o di un Richelieu.
E sarà questa, probabilmente, l'essenza della Fronda, rivolta
borghese-parlamentare (dei parlements, politicamente ben diversi
dai nostri “parlamenti”, che funzionavano da suprema corte di
giustizia, per quel che riguarda Parigi, con ruoli di controllo
sugli editti reali) che unisce nella corte il principe di Condè
e alcuni elementi di alta e bassa feudalità.
Il processo di unificazione nazionale, centro dell'Assolutismo,
è ormai innescato e non può più fermarsi.
Ma la carriera di Mazzarino si incontra, spesso in modo
dialettico, con quella del Cardinale di Retz.
Il Prelato, citato da Hume per il suo scetticismo riguardo ai
miracoli (69), ritiene che “il mondo voglia essere ingannato”
(70) ovvero che l'inganno politico sia non solo necessario, ma
doveroso e richiesto dagli stessi ingannati, dai subjecti del
Potere, sia esso assoluto o, come si suole dire oggi,
“democratico” o pluralista.
E le parole, per il Cardinale fiorentino, sono spesso più
dannose, pericolose o feroci delle azioni, che durano
solitamente poco e non sono ben ricordate da chi le osserva.
In altri termini, il potere è un lungo discorso, e si svolge
tramite azioni che sono parole e parole che sono azioni.
L'inganno politico è continuo, naturale, spesso addirittura
involontario, ed è onnipresente sia nell'ingannante al potere
che nell'ingannato che subisce il comando del Sovrano.
Ed è accettato come si accettano le belle fole, le favole che
servono a rendere migliore, più bella la vita e la nostra
permanenza in questo mondo.
Un argomento che sarà tipico di Giacomo Leopardi, attento
lettore di Retz (71) e che riguarda la lettura che nel Seicento
si fa sia di Machiavelli che di Guicciardini: se il Segretario
Fiorentino viene utilizzato come tecnico del potere, come
maestro nella creazione di “principati novi” e quindi il
Principe viene letto come manuale per la costruzione o la presa
di uno Stato (72), il Guicciardini viene studiato come maestro
dello scetticismo, come teorico dell'inganno necessario del
Politico che corrode sia il dominante che il dominato (73).
La questione, nella teoria dell'assolutismo mazzariniano, è
quella della limitazione del potere della nobiltà: per il
cardinale, gli aristocratici sono i veri nemici del Re, coloro
che, seguendo magari le regole machiavelliane, possono prendere
il potere contro il Sovrano o inibirne l'esercizio al Re e,
nella logica del Cardinale, inibire una parte del potere vuol
dire inibirlo completamente (74).
Per Mazzarino, il Potere è come l'Io di Cartesio o la sostanza
universale di Hobbes: è di per sé un intero, non è mai
separabile in varie parti, a meno di non distruggerlo, e quindi
si deve incarnare in un Io supremo, il Sovrano, che rappresenta
non la Nazione, ma il Potere tale e quale, che dura oltre la
vita terrena del Re e si condensa nella sua volontà, nelle sue
leggi e nei suoi editti.
É in questo senso che Luigi XIV, consigliato da Mazzarino,
allontana i nobili dai loro feudi e li concentra a corte, a
Versailles, per controllarli, per permettere una gestione
fiscale ottimale dei terreni e delle risorse periferiche del
Regno e per evitare che uno o più nobili si uniscano tra di loro
per determinare la costituzione di un “principato novo” di forma
machiavelliana contro il Sovrano Assoluto.
L'inganno primario viene posto in essere proprio verso i nobili
francesi, con una tecnica propriamente machiavelliana: sedotti e
attirati nella Reggia di Versailles. Sedotti e attirati con il
linguaggio che, per la prima volta, diviene ricercato,
raffinato, complesso. In una parola: barocco.
La bella vita, gli svaghi, gli amori, i giochi faranno da corona
all'analisi attenta, da parte di Mazzarino, di ogni mossa, di
ogni frase, di ogni atteggiamento che gli aristocratici francesi
terranno nei confronti del Re Sole, una analisi che formerà la
vera e propria prassi di governo del Cardinale.
E una attività di rottura del secretum altrui che è pari alla
tutela del secretum del Re e del Cardinale, veri e propri
strumenti di governo indipendentemente dal valore e dal
significato di ogni singolo segreto.
Per la prima volta, e ciò accade nell'età dell'Assolutismo, il
potere diventa potere delle parole e sulle parole: gli editti
reali, le discussioni di Corte, gli inganni e gli autoinganni
messi in atto da parte dei nobili di Versailles per sedurre il
Re, sedurre il Cardinale, ingannare gli altri nobili, sedurre il
Potere.
Potere come Seduzione, inganno come tecnica di gestione stabile,
non-violenta e costante del sistema (75).
E, soprattutto, potere come Discorso del Potere che evita di
nominarsi come Potere, ma si ridenomina come rituale cortigiano,
gioco letterario, danza, gioco, passione amorosa, musica.
Un processo simile avverrà in Prussia dove, grazie alla Riforma
luterana, le terre della Chiesa verranno spartite tra gli
Hohenzollern e alcune famiglie aristocratiche, e i giovani
nobili saranno costretti ad abbracciare la carriera militare,
come peraltro avviene anche nella Francia di Mazzarino (76).
Il potere assoluto accumula ricchezze che, in gran parte,vanno
al Centro, e servono alla vita dispendiosa, eminentemente
simbolica, del Re e della sua corte, ma servono anche per
sostenere i nuovi commerci internazionali e le azioni militari
contro gli altri Paesi europei.
Come accade nella storia romana, l'Imperator è, principalmente,
un capo militare e distribuisce le ricchezze accumulate nelle
guerre (77). É il capo di una “massa di distribuzione” che
rimane unita solo e unicamente se vi sono ricchezze da
distribuire (78).
Altro ruolo viene pensato, nella Francia di Mazzarino e di Luigi
XIV, per la borghesia: essa viene elevata ai più alti ruoli
pubblici, ma viene subordinata allo Stato e accentrata anch'essa
nelle professioni urbane e nei commerci autorizzati dal Sovrano.
La Borghesia, come classe sociale autonoma, nasce contro la
nobiltà ma in stretto rapporto con l'Assolutismo, e questo
avverrà anche nella liberale Gran Bretagna, dove la crescita
della borghesia produttiva sarà subordinata alla espansione del
commercio internazionale e alla sconfitta militare degli
avversari- concorrenti europei (79).
Fu Keynes a calcolare che i metalli preziosi acquisiti dalla
Gran Bretagna con la pirateria contro il Regno di Spagna
rappresentavano, a interessi composti, proprio la differenza di
reddito tra Londra e Madrid al tempo in cui lo stesso Keynes
scriveva (80).
Quindi: accentramento del potere, derivante concentramento della
ricchezza per dare inizio al capitalismo commerciale delle
“compagnie” coloniali, militarizzazione della nobiltà e
creazione di un esercito strutturato, gerarchico, forte e
unitario.
É il capitale coloniale, che genera nuove tipologie di
consumo(si pensi al caffè o al tè, oppure alla costrizione
militare, da parte di Federico II di Prussia, alla coltivazione
delle patate) che produce successivamente il capitalismo
industriale, un sistema che sostiene i consumi di massa e
sviluppa una serie di economie di sostituzione proprio rispetto
ai beni di importazione, fortemente tassati e di difficile e
rapsodica reperibilità (81).
Il problema è, in questo modello, il fisco: se il ricarico
fiscale sui consumi è troppo elevato, dato che serve a mantenere
la somma assolutistica di potere centrale+sistema
militare+regime delle concessioni reali per la borghesia, allora
la macchina statuale dell'Assolutismo lentamente crolla sotto il
peso del sottoconsumo e quindi del deperimento delle stesse
entrate fiscali (82).
La domanda dei ricchi per i beni di lusso è insufficiente a
sostenere l'economia, e a creare la “base materiale” per la
crescita economica e la fuoriuscita dal ciclo agricolo, salvo
protezioni violente dei mercati o crisi di sottoconsumo per le
classi popolari, ma intanto è proprio la domanda da beni di
lusso che genera il primo boom ciclico delle entrate fiscali del
Regno di Francia, con Luigi XIV (83).
É sul sistema fiscale che, come è noto, si genera la rivolta
delle Tredici Colonie britanniche nella Costa Est dell'America
del Nord, che reagiscono ad un sistema di doppia fiscalità che
chiude il mercato della madrepatria inglese ai prodotti
americani e protegge, proprio con tecniche di mercantilismo
assolutista, le industrie non nascenti, ma mature della Gran
Bretagna. L'Assolutismo è la forma politica del Protezionismo in
condizioni di mercato internazionale incontrollato e
assolutamente privo di regolatori monetari e fiscali comuni.
Il costo ulteriore della elevatissima corruzione parlamentare
londinese sarà, poi, l'innesco per la rivolta militare delle
colonie nordamericane (84).
David Hume, che pure polemizza contro la Rivoluzione Francese
del 1789, da lui ritenuta priva di “radici” e “astrattamente
razionalista”, sarà invece a favore della rivolta delle Tredici
Colonie, che ritiene la riaffermazione di un diritto naturale
all'autogoverno e alla giusta tassazione (85).
E inoltre, il sistema assolutistico si mantiene, sul piano
economico, grazie ai consumi di lusso che la Corte reale ritiene
indispensabili e ai quali costringe di fatto la borghesia
nascente: se si vanno a vedere i calcoli delle importazioni di
beni voluttuari in Francia e in Gran Bretagna nel Seicento e nel
Primo Settecento, si scopre che buona parte degli scambi
internazionali si basa su tali prodotti (86).
Le economie di sostituzione interne, il capitalismo che
nell'ottocento verrà detto “manchesteriano”, si fondano sulla
produzione di massa, a prezzi contenuti, di beni di qualità
media o addirittura bassa rispetto a quelli di importazione.
La manifattura inglese non produce filati della qualità elevata
tipica dei prodotti italiani, ma sostituisce in massa le
importazioni dalla Penisola o, in parte, dalle Fiandre, creando,
al posto del consumo voluttuario delle classi elevate, che si
fonda su una raccolta fiscale ciclica e tendenzialmente
insufficiente, e che è caratteristico dell'Assolutismo, un
mercato di massa che sostituisce il consumo ristretto delle
classi elevate di Corte. É questo, sostanzialmente, il passaggio
dalla produzione capitalistica tradizionale, che nasce proprio
nell'età dell'Assolutismo, al “capitalismo della borghesia”,
come lo chiamerà Marx.
La teoria economica dell'Assolutismo è un modello
dell'equilibrio naturale tra i fattori di produzione e consumo,
sia di quelli agricoli, che generano, secondo il modello proprio
di Say, e del “Tableau” di Quesnay (87) il surplus primario, che
esiste sempre e comunque, ed è una teoria economica che
favorisce il consumo dispendioso, simbolico, inutile, fatto per
rimarcare l'unicità del potere, la sua inarrivabilità, la sua
insostituibilità. Come accade oggi, e come ciclicamente succede
nelle economie moderne, un “mito economico” (la base naturale
dell'agricoltura in Quesnay, il socialismo dei produttori in
Marx, il liberismo radicale in Von Mises e Hayek, e potremmo
continuare) viene costruito dal linguaggio e viene, nei momenti
di crisi dei mercati, sostituito simbolicamente dal linguaggio e
dal mito che lo ha creato.
Per l'Assolutismo, fu il caso del modello di Quesnay nel quale
l'agricoltura è sempre l'unico settore con surplus economico
fisso, per il socialismo marxista, è stato il caso
dell'impossibilità di calcolare i reali costi di produzione,
dato che non vi era mercato dei fattori produttivi, per il
liberismo alla Von Hayek, vi è stato il mito dell'onniscenza del
mercato contro la partial rationality degli Stati.
In tutti i casi, un mito linguistico tecnicamente barocco,
eufuista, volutamente complesso, esteticamente raffinato e
capace, per la prima volta nella storia culturale d'Europa, di
“catturare tutti i sensi” (88).
Le cariche pubbliche, come è noto, vengono messe in vendita dal
Re, che utilizza queste risorse economiche per mantenere la sua
vita di Corte: ma le cariche durano a lungo, e i costi di
Versailles sono continui e rilevantissimi..
Il sistema dell'Assolutismo è un meccanismo che genera
sovracosti strutturali in un contesto di progressivo
depauperamento della produzione agricola, che proprio durante il
regno di Luigi XIV comincia a calare in tutta la Francia (89).
La Rivoluzione Francese sarà il punto di arrivo di questo
modello economico: bassa produttività agricola, elevato costo
della macchina amministrativa, crisi fiscale dello Stato
innescata dalla partecipazione francese alla Guerra di
Indipendenza, in termini antibritannici, delle colonie americane
(90).
Detto tra parentesi, sembra che la storia si ripeta oggi: un
sistema di economie mature che cerca di espandere i propri
mercati esteri con notevoli difficoltà, mentre i Paesi
cosiddetti “terzi” imparano rapidamente, come le Tredici Colonie
nordamericane, a produrre quei beni che l'Occidente cerca di
esportare, mentre la Cina vende al mercato-mondo, imitando il
boom delle “tigri asiatiche” alla fine degli anni Novanta,
l'unico bene di cui ha sovrabbondanza: la forza-lavoro a
bassissimo prezzo.
In altri termini, senza meccanismi assolutistici, che oggi
chiameremmo impropriamente “totalitari”, è molto difficile
andare verso una guerra economica o uno scontro militare,
l'Assolutismo è una fase di comando politico dei fattori di
produzione che è inevitabile, ma che poi diviene economicamente
ingestibile, per inflazione o sovra-produzione (91).
Ma la Cina protegge la sua manodopera e la composizione dei suoi
fattori di produzione, oltre che la propria moneta, ed agisce
quindi, sia pure da una posizione di forza, come una potenza
assolutistica nei confronti di periferie economiche in crisi
che, proprio come nello Stato Assoluto, sono caratterizzate da
una “economia dei consumi” e non da una forte “economia della
produzione”.
É questo, con ogni probabilità, il punto strategico debole di
Pechino oggi, che non può espandere il proprio mercato interno e
non ha la possibilità di far assorbire all'Occidente la propria
sovrapproduzione relativa (92).
Si potrebbe addirittura affermare che il modello dello Stato
Assolutistico, che tenta di trasformarsi senza mai riuscirvi in
uno “stato commerciale chiuso” (93) è una tentazione ciclica
dello Stato moderno, e si ricollega a momenti di sottoconsumo di
massa in cui, però, proprio come avveniva nella Francia di Luigi
XIV, si realizza un consumo eccessivo di beni voluttuari nelle
classi elevate.
Una polarizzazione economica e sociale che produce, con il
sottoconsumo di massa e l'eccesso di produzione strutturale, le
condizioni per la propria crisi finale (94).
Ma torniamo al
Regno di Luigi XIV, al quale Voltaire dedica uno dei suoi più
lucidi saggi storici (95).
Creazione della politica moderna come discorso, per affascinare
e irretire le masse ma soprattutto le classi dirigenti, con i
“fiori del barocco” (96), creazione parallela dello Stato come
fenomeno autonomo e autoreferenziale, assoluto poiché non più
fondato né sulla Religione né sul potere violento e militare,
creazione di un sistema burocratico che, per la prima volta,
vede la borghesia degli affari arrivare al potere e sostituire
la nobiltà incasermata a Versailles. Che sarà finalizzata al
vecchio “feudalesimo necessario”: la guerra (97).
La nobiltà feudale, anche quella che riesce a rimanere sulle
proprie terre, viene fortemente limitata nei suoi poteri di
“alta” e “bassa” giustizia, che viene attribuita direttamente
alla gerarchia amministrativa reale, controllata da una
vastissima rete di informatori e di polizia segreta (i
meccanismi con i quali si controlla la nobiltà a Versailles
sono, in fondo, gli stessi con i quali si controlla il popolo).
Luigi XIV, poi, limita fortemente i poteri dei parlamenti
cittadini, che oggi potremmo definire dei municipi, e non
convoca mai gli Stati Generali, che saranno aperti, su ordine di
Luigi XVI, solo all'inizio del processo rivoluzionario del 1789.
Come ha osservato Furet, le rivoluzioni francesi sono non una,
ma quattro (98): la prima, è quella ben nota della borghesia
produttiva contro la rendita monarchica e feudale, secondo il
classico modello marxista di interpretazione del 1789 ( i
rivoluzionari bolscevichi si erano soprannominati, durante la
presa del potere, con i nomi dei vari “rivoluzionari di
professione” della Francia rivoluzionaria) la seconda è una
rivolta popolare, una jacquerie come tante ve ne erano state
(99), che unifica la lotta contro i “ricchi” con quella contro i
“nobili”, la terza è la rivolta della piccola nobiltà contro
l'aristocrazia centrale, e ne abbiamo echi in Tocqueville (100)
e la quarta è la rivolta dei ceti urbani contro le campagne,
contro quelli che, nobili o contadini, “nascondono il pane per
poi rivenderlo a carissimo prezzo” (101).
Una tematica che ritornerà, costantemente, nella propaganda e
nella prassi politica della “riforma agraria” leniniana prima e
staliniana poi (102).
In tutte e quattro le Rivoluzioni individuate da Furet, nessuna
è di per sé in contrasto con il modello assolutistico che,
disponendo di maggiori risorse e di una visione più ampia,
avrebbe potuto integrare e riassorbire le quattro rivolte,
separandole tra di loro.
Il problema è che Luigi XVI non è già più un Sovrano Assoluto,
ma un Re debole, in mano agli intrighi di corte che si elidono
tra di loro e, quando convoca gli Stati Generali, mostra a tutti
che, appunto, il Re è nudo.
Gli Stati Generali sono i rappresentanti dei Tre Ceti, elemento
essoterico di quella tripartizione indoeuropea e antichissima
delle Tre Funzioni sociali (l'agricoltura, la difesa, il
sacerdozio) (103) e sono il modo in cui, anche sul piano
esoterico, il Sovrano Assoluto separa e insieme unifica le sue
Funzioni primarie: capo degli eserciti (la nobiltà,
militarizzata proprio da Luigi XIV) capo simbolico dello Spirito
della Nazione (il sacerdozio) e garante, come anche accadeva
all'imperatore assoluto cinese, della stabilità e della
accettabile quantità dei raccolti.
Il Trinomio Rivoluzionario di Libertà, Eguaglianza, Fraternità,
deriva da quell'assolutismo che pure distrugge: la libertà del
citoyen è modellata sulla piena autonomia del Sovrano non dalle
sue leggi, ma dai poteri coercitivi altrui, l'Eguaglianza dei
cittadini deriva dalla assoluta parificazione dei subjecti di
fronte all'autorità reale, la Fraternità è ricalcata sulla
benevolenza del Sovrano verso i suoi sudditi e la sua necessaria
“grandezza di cuore” plenitudo cordis. .
Il sistema della Rivoluzione del 1789 ha però un elemento
unificante che, per molti aspetti, è un novum nella cultura
politica europea: la Nazione.
É la comunità dei cittadini, che li sovrasta propria come il
Sovrano Assoluto, e determina la necessaria limitazione delle
libertà quando occorra, la Nazione, quella immagine mitica che
sostituisce il Re ucciso ritualmente con la vendetta per un
Capeto erede inevitabilmente di quel Filippo il Bello che aveva
fatto uccidere il Gran Maestro dei Templari.
Paradossalmente, è proprio la progressiva laicizzazione del
comando politico che l'Assolutismo pone in essere fin dai suoi
esordi, che permette poi la sacralizzazione della Nation al
posto del “sacre” del Re, del suo intoccabile, sacro e
taumaturgico corpo.
Senza la gallicizzazione (104) della Chiesa Cattolica francese,
paradossale successo politico di due Cardinali della Chiesa di
Roma, non vi sarebbe mai stato il laicismo rivoluzionario, il
mito della Nazione come Ente Supremo, lo stesso Ente Supremo,
senza ulteriori specificazioni storiche, che diviene, con
Robespierre, religione di Stato, sia pure per breve tempo, e
nemmeno l'ateismo di fatto che serpeggia nelle culture politiche
moderne e contemporanee (105).
Il culto della Dea Ragione è una religione che imita la presenza
salvifica nella Storia degli uomini della Madre di Dio, che
intercede tra i peccatori e la Trinità, e soprattutto è un culto
nel quale tutti gli uomini, secondo la vecchia formula di
Cartesio (“le bon sens est la chose mieux partagée parmi les
hommes”) ritornano uguali, è il fondamento metafisico proprio di
quella eguaglianza che permane nel Trinomio rivoluzionario.
Il Re assoluto unificava nella sua persona le funzioni del
Trinomio, era l'unico davvero libero, era eguale a sé stesso in
quanto detentore dell'unico potere, era poi, proprio perché
segnato da Dio e rappresentante con il suo stesso corpo della
Nation, l'exemplum della Fraternitè.
La Rivoluzione del 1789 separa queste funzioni, le rende
disponibili a tutti i cittadini della Nazione, nuova deità
laica, e permette il mantenimento, secondo la lunga tradizione
di separazione tra Stato e Chiesa dell'Assolutismo, della
laicità della “Nation” e della stessa società francese.
La questione della religione, in effetti, è di straordinaria
importanza per comprendere il fenomeno rivoluzionario e il suo
precedente assolutista.
Il Barocco è una cultura della soggettività e della sensibilità,
nella poesia e nell'arte barocca, per la prima volta, si unisce
la soggettività sottile dell'artista, il canone tecnico della
sua arte e la necessità propagandistica dei suoi manufatti.
I Gesuiti trasformano le facciate delle loro chiese in “quinte”
teatrali, rielaborano i canoni del teatro sacro e profano,
costruiscono, nella certezza della Salvezza che data dalla
Resurrezione di Gesù Cristo, la soggettività profonda e
sensibile nella quale si inserirà la tradizione laicista dell'Io
moderno (106).
L'Io di Kant, appassionato seguace dei fatti e delle teorie
della Rivoluzione Francese, non è l'Io di Cartesio: per il
filosofo di Koenigsberg l'Io è una funzione che unifica le
categorie dello spazio, del tempo e della percezione, e si
tratta di un Io che non è separabile dalle sue funzioni, non
vive separatamente dalle categorie che apprende di volta in
volta (107).
L'Io di Kant non è la Ragion Pura, che non esiste fuori
dall'appercezione categoriale.
Per Cartesio, invece, l'Io è il punto di arrivo di una
autoanalisi profonda nella quale tutto, comprese le categorie
della percezione e lo stesso mondo esterno, vengono posti in
discussione. Potrebbero essere le creazioni di un “genio
maligno” che mi vuole ingannare, come afferma lo stesso
Descartes (108).
Questa metafora del malin gènie è rivelatrice: l'Io si rivela in
fondo non alla fuoriuscita dal peccato, che è un concetto
estraneo a Cartesio, che pure andrà in pellegrinaggio alla Santa
Casa di Loreto, ma è il segno che il mondo esterno, se non si
arriva all'Io come fondamento assoluto, è il Regno del Male.
Residui catari e albigesi in Descartes? É probabile, dato che il
filosofo francese frequenta, soprattutto in Olanda, circoli
cabalistici e gruppi esoterici che, nel clima più libero dei
Paesi Bassi, potevano operare in relativa tranquillità (109).
In Kant, la questione è diversa: l'Io naturale è già perfetto,
ed è eguale in quanto ognuno, anche coloro che non hanno potenti
capacità intellettuali, comprendono il mondo tramite le stesse
categorie, che sono inseparabili dall'Io concreto che è peraltro
inseparabile dall'Io astratto della Mente.
Immanuel Kant elabora, nelle sue puntualissime passeggiate nel
centro di Koenigsberg e nelle sue discussioni con i mercanti
inglesi che lo frequentano, l'equivalente filosofico della
teoria politica di Rousseau, che è, ancora, il frutto della
traslatio imperii dalla perfetta eguaglianza dei subjecti
nell'Assolutismo alla assoluta eguaglianza dei cittadini dentro
la Nation.
Goethe, invece, leggerà la Rivoluzione Francese, per usare una
terminologia contemporanea,”da destra”: quando un messo
dell'Arciduca di Weimar torna dalla Parigi in subbuglio per i
moti del 1789, il Geheimrat, Consigliere Segreto e Maestro della
Loggia “Amalia” di Weimar, si farà beffe del Re Luigi XVI appena
ucciso, meravigliandosi, con una vasta risata, che dopo la morte
del “cittadino Capeto”, con il voto determinante di suo cugino
Filippo d'Orléans detto “Egalitè”, il “sovrano sia il popolo”.
Siamo noi, gli Illuminati, i sapienti, coloro che hanno diritto
da sempre al comando politico, non le masse ignoranti o i re
incapaci privi dei migliori consiglieri (110).
Per Goethe, dal quale inizia l'involontaria critica a Kant che
terminerà con l'accusa nicciana al filosofo di Koenigsberg di
essere un rappresentante della niaiserie allemande, la modernità
è la ricostruzione, dopo la fine dell'Assolutismo, di un
individuo assoluto e completo, perfetto nella sua sapienza e
capace anche di “giocare” con il peccato, che la Rivoluzione del
1789 ha abbattuto insieme alle grandi personalità della Sapienza
politica: Mazarino, Richelieu, e in letteratura Bossuet o Racine.
Dentro la classicità goethiana, il rifiuto del soggetto che
liberamente si esprmie creando i propri canoni, vi è il ritorno,
dopo la caduta del Re francese, al legame necessario,
inevitabile, tra “società dei sapienti”, organizzazioni segrete
e circoli iniziatici, e l'Autorità assoluta e centrale.
Sarà poi Nietzsche, sempre in polemica con l'”illuminismo”
kantiano, a magnificare la Roma barocca del potere assoluto dei
Papi, splendida nelle arti e nella sapienza politica, (sapienza
che è scienza+esperienza, elaborate da individui superiori) di
contro alla cupezza medievale e ossessiva della Riforma (111).
Europeismo e universalismo, eredità della monarchia assoluta,
contro la Nazione ( si ricordi la continua polemica di Nietzsche
contro i tedeschi, popolo chiuso e provinciale, fino a far finta
di discendere da un nobile polacco) soggetto completo e sapiente
nella sua interezza, come il Consigliere del Sovrano dei Re
Assoluti, di contro al “soggetto eguale” dell'appercezione
kantiana e dei “diritti universali” della Rivoluzione Francese,
cinismo necessario del Politico, che jenseits von Gut un Boese,
al di là del bene e del male, come i Cardinali di Luigi XIV, di
contro al moralismo, anche se talvolta si maschera di ipocrisia,
della Politica democratica delle grandes nations uscite dai vari
processi rivoluzionari antiassolutistici in tutta Europa,
insomma, i fondamenti della cultura contemporanea, per quel che
riguarda la lunga scia che va da Nietzsche al decadentismo e al
postmoderno, sono la riproposizione degli ideali
dell'Assolutismo dopo la crisi delle Rivoluzioni egualitarie.
Il soggetto spirituale dell'età assolutistica, come per esempio
accade in Bossuet (112) è una personalità potenziata che si
realizza nella sua apertura al mondo, che non è mai definitiva,
e si ricollega ad un forte senso non del peccato, ma del destino
degli uomini senza una guida che li porti fuori da quello che
proprio Kant chiamava, parlando dell'Illuminismo, “lo stato di
minorità costruito da sé stessi”.
l'”uomo eguale” delle Rivoluzioni è un soggetto che, sulla base
di una pretesa eguaglianza di fatto e di diritto con tutti i
suoi connazionali ( e ci sarà, nella cultura della Rivoluzione
Francese, la questione dei cittadini delle colonie (113) come il
massone rivoluzionario e indipendentista Louverture) scambia il
proprio potere, alla pari, con quello degli altri cittadini,
ricreando il Macroantropo del Sovrano Assoluto; mentre
l'Individuo potenziato dell'Età dell'Assolutismo, quando è
vicino alla sapienza occulta del Potere, non è eguale a nessun
altro ed anzi coltiva, come nel modello di Goethe, la propria
assoluta soggettività.
Ancora, eredità della cultura politica dell'Assolutismo nelle
polemiche contro la “democrazia livellante” che vanno da
Nietzsche fino ai Futuristi, e terminano in uno Stato politico,
quello dei nazionalismi guerrieri del Novecento, che sono sia
eredi dell'Assolutismo classico che prosecuzioni, con altri
mezzi, del mito rivoluzionario e “sociale” della Nation.
Quando Mussolini ordina di sostenere l'”Alzamiento” di Francisco
Franco contro la Repubblica, gran parte degli intellettuali di
regime si rivolta, ritenendo che, se occorreva sostenere
qualcuno, era proprio la Repubblica laica, rivoluzionaria e
socialista che occorreva aiutare (114).
Una sintesi, quindi, nelle “rivoluzioni” o più esattamente nei
colpi di stato da quello bolscevico fino alla Marcia su Roma e
alla presa del potere, pur se formalmente legale, di Adolf
Hitler, tra il Sacro del potere nelle sue determinazioni
assolutistiche, che riguardano la Volontà libera del Capo
rivoluzionario, e cultura della eguaglianza rivoluzionaria, nel
mito della Nazione che diviene il Sacro opposto alta tradizione
religiosa.
Una religione laica, quella dei nazionalismi, che si scontra con
la tradizione profonda dei popoli europei, un errore che
Mazarino non avrebbe mai fatto, eredità dei miti rivoluzionari
dell'ottantanove, e la desacralizzazione materialistica della
vita, sia nel bolscevismo sovietico che nelle teorie
biologistiche della razza fasciste e naziste.
La razza è un concetto che non sarebbe mai venuto in mente a
Mazzarino o a Richelieu, per i quali le differenze tra gli
uomini sono ben più profonde di quelle fisio-biologiche e
riguardano la separazione, irreparabile, tra “uomo potenziato”,
il Sapiente che conosce l'occulto e la politica visibile e li
usa entrambi con assoluta libertà di coscienza, e l'Uomo Comune,
il subjecto del Re e il beneficiario dei suoi poteri pressoché
incommensurabili.
E quindi, sarà possibile un ritorno, nelle nostre società di
democrazia di massa, di concetti, pratiche, modelli di gestione
del potere che ricordano la grande tradizione dell'Assolutismo?
Si e no.
Si, perché è ormai evidente che lo strumentario della prassi
elettorale porta al suo contrario, ovvero all'emergere, in tutta
Europa ma anche altrove, di miti e prassi politiche del tutto
opposte alla stessa democrazia che potremmo definire “kantiana”
(115).
E allora, sarà da pensare, fuori dalle tradizioni pur
nobilissime della tecnocrazia globale, ad una nuova filosofia
politica che giustifichi l'”uomo potenziato” senza renderlo un
dittatore, maschera e volto dell'uomo comune che da lui viene
subornato.
No, perché ormai il processo di laicizzazione della società e
della politica, che ha messo in crisi parallela sia la Chiesa
Cattolica che le tradizioni sapienziali esoteriche, ha tolto
alla radice il nesso tra Sacro della Politica e Sacro dell'Uomo
che è il fondamento della “mistica del potere” assolutistica” e
della grande civiltà europea che, proprio nel Grand Siécle di
Luigi XIV, prende lentamente ma stabilmente forma.
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