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I NTRODUZIONE
Togliendo dall'oblio le tre vecchie opere sulla alchimia, che risplendettero del nome di S. Tommaso d'Aquino, siamo preparati alle molte critiche che certamente ci saranno mosse. Del resto, è perfettamente inutile ripeterle ancora una volta, poiché esse datano da ben due secoli. Queste critiche noi le conosciamo e tuttavia non ci hanno impedito di intraprendere il nostro lavoro. Esse non sono affatto inconfutabili dal momento che uomini sapienti le hanno confutate. Potremo accontentarci dunque di rinviare i critici alle opere di quelli, oggi assai rare, ma nessuno si prenderebbe la briga di consultarle, e ciascuno conserverebbe la propria opinione preconcetta. Poiché l'esperienza ci obbliga a ricominciare il lavoro dei nostri maggiori, ricorderemo brevemente i capi principali della controversia. La grande, la sola obiezione che si possa fare contro l'autenticità del libro di San Tommaso, non è basata su alcun fatto, atto, anacronismo, contraddizione che costituiscano una valida prova in paleografia o in bibliografia. Essa si riassume cosi: «Essendo l'alchimia (secondo l'opinione dei critici moderni) opera del demonio, o almeno una pietosa fantasticheria, un santo, un genio possente e forte come San Tommaso d'Aquino, non può avervi prestato fede». Tale è, effettivamente, il fondo puerile e specioso dell'interminabile dissertazione che Naudé ha scritto su questo soggetto (1). Rigorosamente si potrebbe non rispondere a un autore che ha voluto provare, nella medesima opera, che né Zoroastro, né Pitagora, né Plotino, né Porfirio, né Giamblico, né Gerolamo Cardano, né Geber, né Arnaldo di Villanova, né Ruggero Bacone, né Tritemo e neppure... gli stessi re Magi siano mai stati iniziati alla Magia. Ma poiché egli rappresenta bene l'atteggiamento d'un gran numero di menti che meriterebbero di pensar meglio, esamineremo seriamente la sua critica. Incomincia (cap. .XVII) con questa frase straordinaria:
«Non ho il minimo dubbio che la falsità così manifesta di queste calunnie non sia altro che una congettura del giudizio che dobbiamo dare di questi libri delle immagini di negromanzia, dell'Arte Metallica, dei segreti dell'Alchimia e de essentiis essentiarum, che sono divulgati e si vendono tutti i giorni sotto il nome di San Tommaso d'Aquino, soprannominato, a buon diritto, da Pico, splendor Theologiae, da Erasmo, vir non sui saeculi, da Vivés, Scriptor de schola omnium Sanissimus, e per giudizio di tutti gli autori, e per quello della Chiesa, fedele interprete di Aristotele e delle Sacre Scritture, la base e il fondamento della Teologia scolastica, e per dirla in breve, il dottore Angelico. Ma ditemi un po' quali sono le apparenze che potrebbero far credere che questo grande spirito, canonizzato nel 1322 e la cui dottrina fu approvata da un decreto dell'Università di Parigi nell'anno 1333 e da tre grandi pontefici, Innocenzo V, Urbano VI e Giovanni XXII, si sia dilettato di Magia o di tutte le stranezze degli Alchimisti!?...»
Questa chiacchierata si riassume così:
«Mi dispiace di credere S. Tommaso alchimista. Dunque, non è possibile ch'egli abbia scritto opere di alchimia».
La base del ragionamento consiste, come si vede, nel sostituire alle prove evidenti un apprezzamento personale. Per dirla in altre parole, è l'anarchia in materia di logica. Noi potremmo servirci dello stesso procedimento e rigirare semplicemente la frase dicendo: «Essendo la scienza occulta, la più sublime o meglio la sola scienza, è naturale che un uomo straordinario come S. Tommaso la abbia conosciuta e praticata, ed essendo il papa un Mago o almeno un uomo animato nelle sue decisioni, dallo spirito di magia, non ha potuto che approvarlo».
«Ma, prosegue Naudé, gli Alchimisti non dimenticano, in verità che una sola cosa per attribuirselo e per annoverarlo nelle loro file: che è da sopprimere e da eliminare, come fanno gli eretlci, questo punto dei suoi Commentari sul dodicesimo libro del Maestro delle Sentenze, (Distinct. 7, quaest 3, art. 1, ad. 5) dove egli combatte formalmente la possibilità della loro trasmutazione metallica».
Ma Naudé si é ben guardato dal citare il testo di questo passo, perchè ci saremmo potuti accorgere che esso non appoggiava affatto le sue teorie, e che San Tommaso non «combatteva formalmente» la possibilità della trasmutazione. Ma noi, più preoccupati della verità, lo riferiremo qui integralmente. Il passo si trova nell'enorme volume intitolato: Sancti Thomae Aquinatis in quatuor libros sententiarum Petri Lombardi. Parigi, 1659, in - folio. - Apriamo il Lib. IL Distinct. VII. Quaest. III Solutio 6, pag. 74, e troviamo le seguenti parole: «(Sicut) Alchy mistae faciunt aliquid simile auro quantum ad accidenta exteriores: sed tamen non faciunt verum aururn: Quia forma substantialis auri non est per calorem ignis, quo utuntur alchymistae sed per calorem solis, in loco determinato ubi viget virtus numeralis: Et ideo tale aurum non habet operationem consequentem speciem: Et similiter in aliis, quae per eorum operationem fiunt».
Ora, chi non si accorge alla lettura di questo passo che esso attesta da parte del suo autore una conoscenza: profonda delle leggi e delle teorie dell'Alchimia? Prima di tutto non si tratta di sapere se San Tommaso ha condannato l'alchimia, ma se egli l'ha, studiata. Ora questo passo ne è la prova; egli sa in che cosa consiste la sua pratica; conosce l'essenza intima dei metalli; rivela pure il grande segreto, nelle parole che abbiamo sottolineato, col perfetto linguaggio d'un alchimista. Queste frasi non possono essere state scritte che da un adepto. Ecco dunque una cosa certissima: San Tommaso conosceva l'alchimia. La condanna egli formalmente? Se Naudé avesse letto qualche trattato d'Alchimia con spirito imparziale, avrebbe constatato con meraviglia, che anche gli adepti usano sovente nei loro trattati un simile linguaggio. Insigninum medicinarum nomina clangunt, dice Weindenfeld, iis ipsis incognitis et cortices dantur pro nucIeis (2): Egli avrebbe ritrovato nel Paracelso, nel presidente d'Espagnet ed anche nel trattato che ora traduciamo ciò che costituisce una grande prova della sua autenticità.
Qual'è dunque la teoria di San Tommaso? Che gli alchimisti non fanno dell'oro, ma cambiano solamente gli accidenti esteriori dei metalli. Vuol dire questo condannare l'alchimia? Egli insegna che non si può trasmutare la materia né cambiarne la natura intima. Essa, é infatti intrasmutabile poiché è una. Ma riconosce che non si cambiano che gli accidenti, le specie per dirla in linguaggio scolastico. Gli alchimisti hanno mai insegnato diversamente? San Tommaso, dunque, prende qui in considerazione i tiramantici come hanno fatto tutti gli alchimisti. Dicendo tale aurum non habet operationem, consequentem speciem, egli si riferisce all'oro dei tiramantici che essi ottengono con il calore del fuoco: per calorem ignis. Ma poiché dice lui stesso che il vero oro si ottiene per calorem solis in loco determinato, non è evidente che colui il quale conoscerà ciò ch'egli desìgna con le enigmatiche parole di calor solis, cioè a dire la luce astrale, e che conoscerà pure il locus determinatus ub viget virtus mineralis, ossia l'athanor (3) costruito, derivando le sue regole da quelle principali date dal grande athanor della natura, non è quindi evidente che colui potrà produrre il verum aurum quod habebit operationem consequentem speciem?
Mi si permetta qui di citare e comparare Paracelso (4). «Ora, egli dice, l'opera del corso celeste è ammirabile, poiché, quantunque il lavoro dell'artista sia stimato per se stesso meraviglioso, tuttavia è cosa degna di grande ammirazione che il Cielo cuocia, digerisca, assorba, dissolva, e riverberi assai meglio dell'Alchimista, in modo tale che il corso del cielo guida il corso e il regime del fuoco nell'arcano che si vuol preparare». Non c'è qui con una diversa fraseologia lo stesso pensiero di S. Tommaso? Questa similitudine tra il Grande Maestro della medicina occulta e il Grande Maestro della filosofia scolastica metterà in imbarazzo gli scettici e gli increduli; per noi essa costituisce un considerevole appoggio. Dom Pernety (5) cita un autore anonimo il quale dice che per conoscere la materia del fuoco filosofico basta sapere come il « fuoco elementare» prenda la forma del fuoco celeste. Il dizionario ermetico attribuito a Salmon (6) ci dice che il principio di tutti i movimenti del mondo è la luce del sole accompagnata dal suo vivificante calore. Senza voler prolungare queste citazioni constatiamo soltanto che tutti gli alchimisti hanno proibito l'uso del fuoco ordinario e che S. Tommaso attribuendolo loro, si riferisce senz'altro ai tiramantici. E Naudé aggiunge con la sua solita grazia :
«Testimonio, senza ingolfarmi in una infinità di prove, (egli non ne aveva data alcuna) sì fa parlare il sommo dottore cosi puerilmente, nel libro de Essentiis Essentiarum, che bisognerebbe ignorare le sue opere come le possono ignorare i Margagiassi e i Tipinambù (7) per credere che dei concetti così bassi e tortuosi possano venire da uno spirito così nobile e sublime».
Orbene, in ciò non vi é che un apprezzamento di quel diciasettesimo secolo, ammirabile sotto altri aspetti, ma che adattava porte greche di cattivo gusto alle cattedrali gotiche e per conseguenza non poteva comprendere interamente S. Tommaso che incarna il Medio Evo. Inoltre l'argomento non ha alcun valore; supponendo che la differenza fra l'opera alchimistica e l'opera teologica di S. Tommaso d'Aquino sia molto sensibile, sarebbe la prima volta che una contraddizione di questo genere appare in un uomo di genio? Basta conoscere un po' l'umanità per non far uso di tali argomenti. Non dimentichiamolo; un punto incontestato e incontestabile, d'altronde, é che S. Tommaso è stato il discepolo più illustre di Alberto Magno. Ora, sarebbe ben difficile e ben paradossale voler discolpare quest'ultimo d'aver praticato la magia e l'alchimia, se tuttavia in ciò vi può essere colpa. E sarebbe forse più incredibile ancora., pretendere che un maestro, il quale annetteva una così grande importanza alla scienza del mistero, non ne abbia dato al suo discepolo almeno qualche nozione. Il libro che traduciamo sarebbe dunque il prezioso riassunto di questi insegnamenti che S. Tommaso avrebbe raccolto dalla bocca stessa del suo venerato maestro. Nulla si oppone alla verosimiglianza di questo fatto.
Ma, si dirà, quella è un'opera della giovinezza, che S. Tommaso ha più tardi sconfessato! Oltre al fatto che egli non ha, mai scritto questa ritrattazione, non è compito dell'autore il dare un giudizio sulla propria opera poiché egli quasi sempre s'inganna. L'esperienza acquistata dopo una lunga pratica, l'evoluzione costante del suo spirito gli fanno sempre guardare alle sue prime opere come a dei giuochi di fanciullo, anche quando queste opere appaiono belle a coloro che si sono dedicati ad altri studi. Il trattato De Lapide Philosophico, a qualunque epoca della vita di S. Tommaso appartenga é certamente, secondo ogni probabilità, di questo autore, e quando una tradizione costante conferma questa probabilità essa diviene una certezza. Naudé si sforza di dimostrarci la sua inferiorità, ma noi non sappiamo che farcene del suo apprezzamento. Ciò che gli domandiamo é di darci la prova precisa della sua non autenticità. Questa prova egli non ce la può dare, come non lo possono coloro che vorrebbero adottare la sua opinione. A noi basta questa constatazione. Non è inutile soffermarci qui sul vero ruolo sostenuto dall'alchimia nel Medio Evo. Si é propensi a credere che essa fosse oggetto d'orrore, d'anatema e di maledizione quanto malefici, gli avvelenamenti e gli omicidi. Niente è meno esatto. «La pietra filosofale, come fa giustamente osservare il commentatore di Bonaventura Des Perriers (8), costituiva nel Medio Evo quasi un articolo di fede». Non staremo a citare tutti gli autori ecclesiastici che ne parlano con vera, ammirazione; ci accontenteremo di accennare a Marbode (De Lapidum); a Giacomo da Voragine nella «Legenda aurea» a Pietro de Natalibres nel «Catalogus Sanctorum» che, nella vita di S. Margherita, dice come la Pietra abbia il potere di cacciare il demonio. Era l'alchimia una delle scienze più esatte di quest'epoca. Quantunque non appartenesse alle «sette arti», per il suo insegnamento d'iniziazione tuttavia veniva studiata a quei tempi come l'aritmetica, la cosmologia, la fisica e la musica di cui restano trattati di Alberto Magno, di Santa Ildegarda, di Hucbald di Sant-Amand ed altri.
L'invenzione dell'alchimia non veniva attribuita al demonio, come non gli venivano attribuite le scienze del Trivio e del Quadrivio. Per parlarne in senso generale era la «chimica» di quest'epoca. Faceva parte del patrimonio scientifico di ogni uomo veramente erudito. É ammissibile che una scienza così importante, così feconda per i suoi punti di contatto con la metafisica coltivata dai personaggi più gravi, sia sfuggita allo studio di S. Tommaso, e che egli abbia trascurato di applicarvi quel possente spirito d'investigazione che lo caratterizzava? E mentre avrebbe prestato attenzione al corso degli astri, alla formazione delle meteore, ai fenomeni del movimento, il vasto campo d'osservazione delle trasformazioni della materla, l'avrebbe lasciato indifferente? S. Tommaso ammette d'altronde l'alchimia in parecchi punti della sua opera: Si veda la Summa Theologica, 2, 2, quest. 77, art. 2. Et Lib. 4, Meteorum initio. In un'altra opera egli tratta dell'astrologia giudiziaria; ben lontano dal condannarla, ne disapprova solo gli abusi. (Opusculum XXVI: De judiciis astrorum, 1857; in 8°, Tomo 3).
Quest'ultima opera di cui nessuno contesta l'autenticità é dedicata ad fratrem reginaldum ordinis praedicatorum. Ora questo fratello Reginaldo o Rinaldo è precisamente quello stesso cui è dedicato il secondo dei tre trattati d'alchimia che troveremo nelle pagine che seguono. Altrove (Opuscul, de regimine principium Lib. II, cap. VII) S. Tommaso insegna che un re deve possedere grandi quantità di ricchezze in oro e in argento. Teoria di un alta portata politica, ma che è molto difficile applicare senza supporre il tacito appoggio dell'Alchimia. «Senza ricchezze è difficilissimo l'arricchire dice enigmaticamente Lao Tseu». Sembrerebbe uno scherzo, effettivamente, comandare ad un uomo di essere ricco senza facilitargliene i mezzi. E se si avvicina quest'asserzione all'uso seguito dagli adepti di rimettere il loro segreto nelle mani dei potenti, dei re o dei papi, per il bene di tutti, si avrà la certezza che S. Tommaso, con queste parole misteriose, vuol indicare la grande Opera.
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Le assurde negazioni di Naudé non potevano restare senza risposta. Il R. P. Giacomo d'Autun, predicatore cappuccino, qualche tempo dopo pubblicò: L'incredulità sapiente e la credulità ignorante intorno alle magie e ai sortilegi con la risposta a un libro intitolato Apologia di tutti i grandi personaggi che sono stati falsamente supposti di magia. Lione. Giovanni Molin, 1671, in-4°. Questo eccellente libro è disgraziatamente quasi inutile nella questione che ci occupa, malgrado quanto sembra promettere il suo titolo. Effettivamente non essendo S. Tommaso fra gli autori più vivamente attaccati da Naudé, Giacomo d'Autun non gli ha dedicato che qualche riga (pag. 1090) lasciando completamente da parte l'Alchimia. Un appoggio assai più prezioso ci sarà dato dal R. P. de Castaigne religioso dell'ordine di S. Francesco, dottore in teologia, abate di Sou, consigliere, elemosiniere ordinario del re e nominato vescovo di Saluzzo da Luigi XIII, di cui nessuno metterà in dubbio l'ortodossia. Nelle sue Opere sia medicinali che chimiche (Parigi, Giovanni d'Oury. Seconda edizione, 1661), dedicate a Francesco Favre, vescovo d'Amiens e gran maestro dell'Oratorio del Roy, troviamo (II parte pag. 4) un avvertimento riguardante l'Opera filosofica di Giovanni Saunier, così concepito : «Ma che diremo di questo grande Dottore Angelico, San Tommaso d'Aquino, dell'ordine dei Venerabili Padri Predicatori, il quale pure fece la santa opera dell'oro Potabile. Io stesso ho fra le mani l'originale, scritto di suo pugno in latino e che comincia: Sicut lilium inter spinas. E con queste Sante Opere di misericordia soccorreva i malati. Non sarà per questo incorso nel disprezzo di qualche medico invidioso di quel tempo? Si: ma non se ne curò affatto». Ma l'abate Langlet di Fresnoy è l'autore che sembra aver maggiormente compresa l'opera Alchimistica di S. Tommaso e che gli ha reso la più completa giustizia 9.
«Ammetto, egli dice, che uno, zelo indiscreto abbia fatto, andare sotto il nome di questo uomo illustre alcuni trattati non suoi; ma ve ne sono altri che, a stento gli si potrebbero contestare. Quello sulla natura dei minerali (de esse et essentia mineralium), il terzo dei trattati che di seguito vengono presentati, non è degno in verità di un così gran filosofo come pure il commentario sulla Turba che gli si attribuisce. Tuttavia nel suo tesoro d'Alchimia indirizzato al Fratello Rinaldo, suo compagno ed amico, è evidente la pratica d'una filosofia singolare e segreta ch'egli ha veduto almeno esercitare da Alberto Magno, il quale è citato in questo libro come suo maestro in ogni cosa e sopra tutto in questa scienza... «... Questo piccolo trattato non contiene che otto pagine ed è ciò che, di migliore ho visto in questo genere per chi lo sa intendere». Tale la preziosa opinione di uno dei più sapienti storici dell'ermetismo.
Effettivamente, il piccolo trattato dedicato al frate Reginaldo potrebbe bastare, senza il soccorso d'alcun altro maestro, al completamento di tutta l'opera. É meglio, quindi, far tacere ogni altra obiezione accettando un'autenticità tradizionale simile a quella della maggior parte delle opere antiche, e che, lungi dall'offuscare la gloria di S. Tommaso, non fa che aggiungervi maggior luce aumentando con questo mirabile, piccolo trattato la serie incomparabile dei capolavori che egli ha legato alla Chiesa. Ad ogni possibile contestazione noi opporremo l'esempio del Liber eruditionis principium, pubblicato per la prima volta nel 1857, sotto il nome di S. Tommaso (10) d'Aquino e scoperto nella Biblioteca Vaticana. Nessuno ne ha mai messo in dubbio la autenticità: nondimeno nessun cenno se ne è mai fatto prima e nessuna prova poteva farlo attribuire a S. Tommaso se non il fatto che all'inizio dell'opera troviamo scritto il nome del grande Dottore. É precisamente il caso del Trattato della Pietra. Ivi, il nome di S. Tommaso è scritto per tradizione e se la prova è sembrata sufficiente durante sei secoli per attribuirgli un manoscritto sconosciuto, a maggior ragione lo sarà per questa opera, d'alchimia, che ha ben altri precedenti. Aggiungiamo che nessuno dei trattati ermetici di S. Tommaso figura nell'indice del concilio dl Trento.
I tre trattati che presentiamo, per la prima volta, in lingua italiana, si trovano riuniti nel Volume III del Theatrum Chemicum (Argentorati, in 8°, 1613) sotto il titolo generale di: Secreta Alchimiae.
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Prima d'intraprendere la lettura di questi trattati ricordiamo che gli iniziati raccomandavano la preghiera e sopratatto la purezza di cuore. Gli increduli meditino queste parole della Scrittura: Aitissimus DE TERRA creavit medicamentum quod sapiens non despiciet (Eccl. c. 38, v. 4) ad esse non si può attribuire che un significato alchimistico. E queste altre: (Proverbi, cap. III, 16). La saggezza ha nella sua destra la lunghezza dei giorni e nella sua sinistra le ricchezze e la gloria! Definizione ammirabile della pietra filosofale, che é insieme, seguendo tutti gli autori, una medicina che prolunga la vita e una sorgente inesauribile di ricchezza, mentre la scienza per mezzo della quale vi si arriva é la saggezza per eccellenza. G. M.
1. Apologia dei grandi uomini supposti di magia. Scritto da Naudé, Parisien, in-12°, 1712. 2. Segeri Weindenfeld. De Secretis audeptorum liber. Hamburg, 1555. 3. Forno di riverbero in cui si ottengono diversi gradi di calore. 4. Paracelso: I-XIV libri dei paragrafi di Paracelso. - Bombast, Parigi, 1631, in-4°, discorso sull'alchimia. Terzo fondamento della medicina paracelsica, pag. 13. 5. Favole egiziane e greche, T. I, p. 170, Parigi, 1786. 6. Parigi, 1695, in-8°-p. 7. Margagiassi e Topinambù, nomi di popoli appartenenti a una colonia del Brasile. 8. Edizione Garnier, 1872. 9. Storia della Filosofia Ermetica, 3 vol. in-121, 1742. Vol. I pag. 132. 10. Opuscolo di S. Tommaso, Parigi, Vivès, 1857, vol. IV.
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