Pochissimi sanno che le epigrafi fatte porre dal Marchese Massimiliano Palombara in diverse parti della sua villa in Piazza Vittorio, in realtà erano sei. Di esse, cinque (quelle del casino e quelle poste all'ingresso secondario) sono andate perdute; mentre la sesta, quella incisa sulla porta magica di Piazza Vittorio Emanuele in Roma, è stata oggetto di analisi nei due lavori che precedono. Delle epigrafi perdute, tre sono da attribuire, con certezza, allo stesso Marchese e due al famoso "pellegrino" di cui il Marchese racconta nei suoi scritti alchemici. Prima Epigrafe Sopra la porta d'ingresso della sala centrale del pianoterra del casino, dalla parte interna, dentro un disco sostenuto da due geni alati, si leggeva: AQUA A QUA HORTI IRRIGANTUR NON EST AQUA A QUA HORTI ALUNTUR L'acqua con la quale i giardini sono annaffiati non è acqua dalla quale sono alimentati. Questa è una allusione ai fermenti alchimici, o chimici, e al potere dell'elettricità sulle piante. Seconda epigrafe Sopra la porta laterale, alla destra di chi entrava, nella detta sala, si leggeva: CUM SOLO SOPHORUM LAPIS NON SALE ET DATUR SOLE SILE LUPIS Accontentati (sile) del solo sale (cioè dei sapere) e del sole (cioè della ragione). La pietra filosofale non e data ai lupi, cioè agli avidi, ai concupiscenti. In altre parole, l'iscrizione dice: Ti basti avere sapienza e scienza. Più chiaramente Sprezza le ricchezze e il sensualismo. Terza epigrafe Sopra l'altra porta laterale, alla sinistra di chi entrava nella sala, v'era quest'altra iscrizione: QUI POTENTI HODIE PECUNIA NATURAE ARCANA EMITUR SPURIA REVELAT NOBILITAS SED MORTEM NON LEGITIMA QUAERIT SAPIENTIA Colui che svela gli arcani della natura al potente (alla persona influente), cerca da se stesso la morte. In questo caso la morte significa la depressione morale, che trae seco la morte fisica. Ogni iniziato che svela i Veri dei quali é entrato in possesso, a chi é immeritevole di conoscerli, compie opera turpe, perché fa sì che altri li polluisca, li insozzi. E questa criminosa azione trae seco non la riconoscenza altrui, ma l'odio più feroce, la persecuzione più violenta, l'assassinio o il suicidio. Tutti i grandi iniziati - Crisna, Mosé, Pitagora, Orfeo, Gesù, Cagliostro pagarono con la vita questo reato, da loro commesso in prò dell'umanità ignara e sofferente. Oggi col danaro si compra una fittizia nobiltà, ma non il vero sapere. Quest'ultimo, difatti, si consegue solo per mezzo dell'iniziazione. Nell'antichità e nel medio evo fare l'alchimista non significava eseguire soltanto praticamente le operazioni trasmutatorie. Si trattava di ben altro. Dedicarsi alla crisopea significava entrare a far parte d'una società di saggi, di un monacato laico. L'alchimista, per esser veramente tale, doveva essere virtuoso, segreto, intelligente e coraggioso. In altre parole, egli doveva saper mettere in pratica il dettame esoterico: Sapere, Volere, Osare, Tacere. Chi, per caso, si lasciava vincere - mentre studiava - dal sensualismo o dalla venalità, si involveva, si materializzava di nuovo, e da quella caduta non si rialzava più. Immagine di tali disgraziati é "il Folle" o àmens del Tarocco (lamina XXI). L'abbandono della Scienza Sacra portava con sé la perdita del dono della divinità, cioè del talento. L'involuto non era più assistito dall'Altissimo nei suoi lavori; ed egli cessava, per quel fatto, di far parte della schiera degli eletti, per ingrossare quella dei souffleurs (dei soffiatori), cioè dei chimici, dei ciurmatori e dei monetari falsi, quali il Capocchio e il Griffolino di Dante (Inferno XXIX, 136-139; Idem, XXIX, 118-120). Quarta epigrafe L'iscrizione seguente stava affissa al muro esterno del casino; ma non si sa a quale delle quattro pareti. Però molto probabilmente stava su quella d'ingresso. Essa ha riferimento, in generale, all'amenità della Villa; però, quando se ne legge la seconda parte, che va fino alle parole claudit Vellus, si é indotti a credere che essa non sia altro che la traduzione latina del discorso tenuto dal Marchese Palombara all'ignoto pellegrino. Continuandone la lettura, poi, fino alla fine, si rileva chiaramente che la sua terza parte è la risposta data da quest'ultimo al suo generoso ospite. É quindi fuor di dubbio che l'epigrafe, che si componeva di tre parti, sia un componimento poetico del pellegrino, anziché del marchese o di altra persona. Diceva così: [1] (HOC IN RUBE, CAELI RORE, FUSIS AEQUIS, PHYSIS AQUIS, SOLUM FRACTUM, REDDIT FRUCTUM, DUM CUM SALE NITRI, AC SOLE, SURGUNT FUMI SPARSI FIMI. ISTUD NEMUS, PARVUS NUMUS, TENET FORMA SEMPER FIRMA, DUM SUNT ORTAE SINE ARTE VITES, PYRA, ET POMA PURA. HABENS LACUM, PROPE, LUCUM, UBI LUPUS NON, SED LUPUS SEPE LUDIT; DUM NON LAEDIT MITES OVES, ATQUE AVES; CANIS CUSTOS INTER CASTOS AGNOS FERAS MITTIT FORAS, ET EST AEGRI HUJUS AGRI AER SOLUS VERA li SALUS, REPLENS HERBIS VIAS URBIS. SULCI SATI DANT PRO SITI SCYPHOS VINI. [2] INTROVENI, VIR NON VANUS. EXTRA VENUS. VOBIS, FURES, CLANDO FORES. LABE LOTUS, BIBAS LAETUS MERI MARE, BACCHI MORE. INTER UVAS, Sl VIS, OVAS, ET QUOD CUPIS, GRATIS CAPIS. TIBI PARO, CORDE PURO, QUICQUID PUTAS, A ME PETAS. DANT HIC APES CLARAS OPES DULCIS MELLIS, SEMPER MOLLIS. HIC IN SILVAE UMBRA SALVE TU, QUI LUGES, NUNC SI LEGES NOTAS ISTAS, STANS HIC AESTAS, VERA MISTA; FRONTE MOESTA NUNQUAM FLERES, INTER FLORES SI MANERES, NEC MANARES INTER FLETUS, DUM HIC FLATUS AURAE SPIRANT, UNDE SPERANT MESTAE MENTES INTER MONTES, INTER COLLES, INTER GALLES, ET IN VALLE HUJUS VILLAE, UBI VALLUS CLAUDIT VELLUS. [3] BONUM OMEN, SEMPER AMEN ETIAM PETRAE DUM A PUTRE SURGUNT PATRE, ITA NOTAS, HIC VIX NATUS, IN HAC PORTA, LUTO PARTA, TEMPUS RIDET, BREVI RODET. Quest'iscrizione dissilaba è un giuoco letterario. Il latino - sebbene decadente - ha una assonanza che riesce gradita all'orecchio, come ad esempio in: LABE LOTUS BIBAS LAETUS MERI MARE BACCHI MORE Quando sapremo chi fosse il pellegrino, non ci meraviglieremo di questo tour de force letterario. Egli sacrificò talvolta la grammatica all'eufonia, per ottenere la rima di questi allegri versi, che fanno dell'epigrafe un gioiello. Ma, qual gelida verità non sprizza dall'ultime quattro parole dell'iscrizione? In mezzo alle gioie, ai godimenti, all'ammirazione di quanto ne circonda, la gelida morte ci afferra, s'impadronisce di noi, e noi ci dissolviamo in un attimo. TEMPUS RIDET BREVI RODET L'iscrizione è poco intelligibile e il Cancellieri, che la riporta, si esime dal darne - come di tutte le altre - la traduzione in italiano. La versione seguente è dovuta a un mio amico, esimio latinista. in questa villa dalla rugiada celeste, dai piani arati e dalle acque correnti, il suolo dissodato dà frutto; mentre che, nel salnitro e pel sole, dallo sparso letame s'alza fumo. Questo bosco, di poca entità, conserva sempre identico il suo aspetto; mentre sono nati spontaneamente i tralci delle viti, i peri e i meli sinceri. Vicino al lago v'e un boschetto, dove spesso scherza non già il lupo, ma la lepre ; scherza senza offendere le miti pecorelle e gli uccelletti. Il cane custode de' casti agnelli, mette in fuga le fiere; e la sola aria di questa campagna ridà la salute all'infermo. Questa tenuta riempie d'erbaggi le vie della città. I solchi coltivati danno, per la sete, coppe di vino. A questo punto termina la descrizione della villa; e sembra proprio che il marchese di Pietra Forte indirizzi la parola al pellegrino, nei disillabi che seguono. Difatti l'epigrafe continua in questa guisa: Entra, uomo modesto! Che Venere stia lontana! A voi, ladri, chiudo le porte. Bevi allegramente, a profusione, vino puro, a mo' di Bacco. Gioisci (a stare) tra i vigneti e prendi liberamente ciò che più ti aggrada. A te preparo schiettamente quanto mi chiedi. Qui le api producono a dovizia dolce miele, sempre tenero. Salute a te, che piangi all'ombra della selva! Ora, se tu comprendessi questo, che qui l'estate é mista alla primavera, non piangeresti mestamente. Se tu restassi qui, in mezzo ai fiori, non staresti a piangere, perché qui spira l'effluvio dell'aria. Perciò le anime melanconiche sperano tra i monti, tra i colli, tra i sentieri e nella vallea di questa villa, dove l'ovile recinge le pecore. A questo punto il pellegrino, che aveva ben motivo d'esser mesto e di piangere sui suoi casi, così risponde all'ottimo suo ospite Ti faccio buon augurio: Che sia sempre così! Ma tu, appena ti sarai levato, segna qui, su questa [soglia di] porta, che il fango (la malta) ha generata [la porta del casino], - perché le pietre (i minerali) nascono dalla putrefazione, - che il tempo scherza noncurantemente, ma che in brev'ora tutto distrugge. Quinta epigrafe Sull'arco d'accesso alla villa, in via Merulana, fu posta l'iscrizione seguente, rammentante la fabbricazione dell'oro, da parte del pellegrino, e non già il rinvenimento dell'erba, come ha affermato l'abate Cancellieri. Secondo quanto assevera questo autore, l'iscrizione fu composta dall'ignoto visitatore. VILLAE IANUAM TRANANDO RECLUDENS IÀSON OBTINET LOCUPLES VELLUS MEDEAE. 1680 Oltrepassando la porta di questa villa, lo scopritore Giasone (cioè il pellegrino alchimista) ottiene vello di Medea (oro) In gran copia 1680. Questa lapide rimase al suo posto fino all'inverno dell'anno 1801, nel quale cadde a terra e si infranse. Sicché venne portata dentro gli Orti Palombaro. In seguito se n'è perduta ogni traccia. |