Le Caratteristiche della Massoneria Napoletana ● L'immagine effettiva della Libera Muratoria settecentesca ● Le contestazioni degli informatori diplomatici ● La supplica di S. Severo a Benedetto XIV ● I Testi ammessi al carteggio vaticano ● «Regolamento» a stampa ● «Maniere di preparare gli Aspiranti» ● «Le obbligazioni» ● Due Gradi Scozzesi Collegamenti europei A proposito della Massoneria fiorentina il Francovich nota che «se ha un carattere razionalista, con tendenza al deismo e al materialismo, non senza venature libertine, ciò é dovuto all'influenza degli inglesi che ne furono i fondatori e che raccolsero intorno a sé gli elementi locali più affini e più disposti ad accogliere le loro idee». Questa dipendenza europeistica é da affermare per tutte le fondazioni massoniche pullulate nel bacino mediterraneo e in genere nel continente europeo. Non sono rari i casi in cui le «filiali» europee mantennero le titolazioni originarie in lingua inglese e in lingua francese. Questa «trasmissione» massonica dalla Loggia Madre a tutte le altre, é un fatto assodato. A noi stessi é accaduto di poter documentare, su documenti dell'archivio di Propaganda Fide, persino la presenza di emissari inglesi che non collegavano la loro militanza latomistica con la professione di emissari diplomatici o commerciali, ma si trovavano «in missione» esclusivamente per diffondere il verbo massonico; questo, almeno in rapporto all'Asia Minore, all'arcipelago egéo, all'Egitto. (5) In Napoli la fondazione e la fioritura latomistica fu promossa dai diplomatici, dagli ufficiali, dai funzionari inglesi, austriaci, francesi, e soprattutto svizzeri, nel caso del Cavaliere di Lussy ossia di H. Theodor Tschoudi. Le caratteristiche fiorentine non sono certo assenti da Napoli, ma si può affermare che i caratteri prevalenti della Latomia regnicola sono l'interesse per la scienza e l'alchimia, l'eretismo, l'occultismo, l'attenzione ai mutamenti e aggiornamenti del pensiero religioso, come pure le impostazioni preromantiche veicolate dagli alti gradi dello scozzesismo. I rituali, i discorsi, i libelli inviati da Napoli a Roma perché fosse accelerato l'iter della condanna, e fosse poi istituzionalizzata l'inimicizia cattolico massonica, confermano un'osservazione che il Francovich fa anche senza conoscere i testi inediti da noi studiati ed esibiti in appendice: «Tutta questa fioritura di alti gradi, si riduce poi in sostanza a due tipi principali: i gradi di vendetta, che sviluppano il mito di Hiram e fanno vivere all'iniziato la vendetta contro gli assassini dell'architetto del Tempio di Salomone (e, aggiungiamo noi, favoriscono il nascere di leggende e calunnie presso i... profani); ed i gradi cavallereschi, ispirati alla leggenda creata da Ramsay, che fa risalire la Massoneria ai Cavalieri crociati» (Ivi, 89). Ci sarebbe, in proposito, da discutere fino a che punto il richiamarsi a questi fasci tradizionali sia in regola con l'autenticità cristiano medievale tramandata dagli Antichi Doveri e canonizzata dalle Costituzioni di Anderson (1723), che dalla Massoneria Operativa passano a quella Simbolica. Tali richiami infatti sembrano mettere in discussione il Landmark fondamentale della tolleranza religiosa e politica. Ma queste «tentazioni» antimassoniche, presenti in numerosi momenti storici e in diversi ambiti geografici della Massoneria, sono una costante che, specialmente nei paesi latini, hanno avuto più o meno ampio spazio e ancor oggi faticano ad essere eliminati. Queste deviazioni spiegano, se non giustificano le ripetute condanne a cui l'Ordine massonico andò incontro sia da parte delle autorità politiche che di quelle religiose. Tali condanne trovano la loro cerniera e la fonte della loro stabilizzazione ecclesiale proprio nella enciclica Providas (18-V-1751) di Benedetto XIV. L'immagine effettiva della Libera Muratoria settecentesca Che si pervenga per la seconda volta, e in termini irreversibili, alla scomunica della Libera Muratoria e di ogni tipo d'associazionismo libero, suppone un giudizio negativo inappellabile e presumibilmente fondato su prove inconfutabili. Allo storico incombe l'impegno di confrontare i capi d'accusa contenuti nei documenti di condanna con la costituzione e con la vita della società scomunicata. Non ultimo, fra gli addebiti rivolti alla Massoneria dalla letteratura pontificia e da quella curiale, c'é la cattiva reputazione che i Liberi Muratori godono presso le persone dabbene e presso le popolazioni. Tale «statuto sociale» negativo é dettato dalle notizie che vengono sparse a proposito delle finalità perseguite dall'Ordine e delle riunioni che gli adepti fanno in segreto. C'é allora da domandarsi se effettivamente le persone e i circoli responsabili fossero del tutto privi di elementi a favore della Massoneria, e se questa eventuale ignoranza fosse invincibile. In caso affermativo, la condanna resiste alla critica e all'usura del tempo, in caso negativo, si rischia di chiamare in causa la deficienza d'informazione, e qualora l'informazione ci fosse, s'impone il discorso relativo al coraggio degli ottimati, e persino la loro buona fede. Le constatazioni degli informatori diplomatici Il marchese Gaetano Brancone, segretario degli affari ecclesiastici di Carlo III inviò, nei momenti caldi della polemica antimassonica, un esposto all'ambasciatore regnicolo a Roma, Duca di Cerisano, incaricandolo di assumere ogni possibile informazione e di raccogliere ogni genere di testi e pezze d'appoggio perché il Re avesse la possibilità di valutare la situazione «compiutamente e non già a spezzoni» e, se del caso, «prendere le segrete e adeguate misure per sradicare affatto questo nascente male». Da parte sua nota che benché siensi di slancio lette le loro Costituzioni, le quali non pregiudicano né la nostra SS. Religione, né la fedeltà dovuta al Sovrano, anzi la prescrivono», il Re dubita però «che possano esservi segrete istruzioni, né convenendo parimente per ragion di Stato, che qui vi sia una unione senza l'intelligenza ed approvazione del Sovrano, e perciò illegittimo ed illecito» (Arch. di St. Roma, Affari Esteri, v. 528). Nel mese di maggio, mentre il testo benedettino compie il suo iter curiale, lo scambio di messaggi fra il Nunzio Gualtieri e il Segretario di Stato Valenti ha il suo epicentro proprio in questo problema doxologico. Il 9 Gualtieri scrive a proposito del principe di S. Severo, che non ha mai nascosto la propria identità e dignità iniziatica: «Non fa segreto d'essere capo di tal Loggia, con tutti esagera che non vi é niente contro la Religione, ma tutti gli atti di carità, confessando però il sommo segreto» (ASV, Napoli, v. 234, ff. 64-65). Tra il segreto massonico e quello di Stato, perseguito in maniera rigorosa tanto a Napoli che a Roma, non c'é differenza, ma i dirigenti ritengono legittimo quello delle autorità, illegittimo quello degli associati liberi. Il Segretario di Stato risponde che «Branconi all'incontro dice, che sebbene in detta setta non sia niente di male, tuttavia il Re pensa seriamente alla medesima per darvi la dovuta provvidenza; ma io credo più al detto dei primi che al secondo. Da qualcuno ancora si va spargendo, che quando la S. Sede nel Pontificato passato messe la scomunica sopra tal setta, non sapeva precisamente in che la medesima consistesse» (ASV, Napoli, 234, 84-85). In una relazione anonima sopra i Liberi Muratori di Napoli si afferma che tutti coloro che vengono indicati come massoni sono tra le persone più ragguardevoli per nascita, censo, e soprattutto per vita irreprensibile. Da parte dei dirigenti ecclesiastici e politici si ordina di negare i fatti e di rigettare la verità emersa: «Non invenio causam... Corripiam». Pilato però perviene al «dimittam», mentre qui si condanna fino in fondo. Scrive il Gualtieri: «N.N. sacerdote e confessore napoletano, attendendo alla salvezza delle anime, si é incontrato a confessare un non piccolo numero di Liberi Muratori, si dei primi signori, come d'altra gente di più bassa condizione. Tra questi non pochi de' suoi penitenti già conosciuti da anni, ma ingannati sulla sicurezza di non esservi male alcuno, né contro della Religione, né del buon costume, né del Principe, di qualunque maniera si considerino; né tampoco d'esservi scomunica se non condizionata...». Il confessore espone al Nunzio la situazione, e questi «rispose da Prelato zelante, com'è, ed impegnato per la S. Sede, che l'avessi esclusi con dirli le seguenti parole: Non si fanno patti con la Chiesa, quale vuole l'obbedienza cieca a' suoi ordini; e poi non spetta a loro giudicare; se vi sia o non vi sia male, ma il Vicario di Gesù Cristo, che dopo un minuto discernimento l'ha già condannati. Subito esso confessore eseguì l'ordine sì doveroso, e li licenziò con escludere li loro patti impropri ed impertinenti» (ASV, Nunz. Napoli, 234, ff. 209-210). Numerose altre testimonianze, accuratamente ricercate e conservate negli archivi ecclesiastici, entrano nel merito dei documenti costituzionali massonici e immancabilmente constatano la totale assenza di corpi del reato, senza peraltro domandare mai una revisione o una remora all'iter di condanna. La supplica del Principe di S. Severo a Benedetto XIV La figura di Raimondo di Sangro, principe di S. Severo s'impone come una delle più rappresentative del secolo in Europa, per scienza, arte, mecenatismo, e per gli interessi ermetico occultisti. Certo, egli apprezzò straordinariamente Benedetto XIV e ne fu ricambiato cordialmente, almeno per quanto attiene la cultura e l'eleganza dello scrivere, particolarmente in latino. Non fece mai mistero della sua appartenenza all'Ordine massonico, e della carica suprema che in esso rivestì: egli infatti é considerato il primo Gran Maestro della Massoneria in Italia. La crisi suscitata dalla Providas Romanorum Pontificum lo tirò in piena tempesta, perché egli godeva di enorme prestigio tanto a Corte che negli ambienti elevati e colti della capitale. Egli non volle nascondersi né sottrarsi alle sue responsabilità, ed anzi affrontò apertamente la questione compiendo passi coraggiosi sia presso Carlo III che presso il Pontefice. Attraverso il Nunzio inoltrò al Papa una supplica latina che questi elogiò ampiamente in una lettera a Carlo III e a proposito della quale il cardinale Valenti scriveva al Nunzio: «Devo inoltre significarle di essere piaciuta alla Santità Sua la lettera del Sig. Principe di S. Severo, avendo molto gustato il S. Padre li di lui buoni sentimenti che dimostrano il di lui solo e vero ravvedimento, se ne congratula per tanto cuore, e desidera che il Signore Dio, che gli ha dato grazia di conoscere il suo errore, gli darà altresì costanza per mantenere i di lui buoni propositi» (ASV, Napoli, 235, f. 88). In realtà la lettera é una vera apologia della Massoneria, espressa nei soli termini che la situazione ambientale consentiva: minimizzare il significato simbolico dei lavori di Loggia, chiamare in causa dei correi altolocati come lui, avanzare ogni genere di attenuanti, dal momento che obiettivamente il principe si trovava in esplicita ribellione nei confronti della gerarchia cattolica. Il P. Rinieri, commentando la lettera pontificia che elogia il principe, nota che nel 1788 egli era nuovamente massone militante. La traduzione del De Blasis, il testo latino é in Origlia (v. Bibl., pp. 352364; l'originale in ASV, Bullae Consistoriales Benedicti XIV, T. 19, ff. 194-196). In primo luogo il principe espone le circostanze dell'iniziazione: «Compie questo mese di luglio appunto un anno, SS. Padre, da che un ragguardevolissimo cavaliere della Corte di re Carlo di Borbone, col quale avevo gran dimestichezza, segretamente parlandomi, m'invitò ad iscrivermi fra coloro, che volgarmente son chiamati Liberi Muratori. Stupii a prima giunta per sì fatto invito; poi rifiutai fermamente in diversi modi. Ma dopo alcuni giorni l'amico m'interpellò di nuovo con parole così dolce, che, deposta già ogni ira, si venne a ragionare, e la conclusione della disputa fu questa, che non esiterei ad entrare nella Società sempre che rimanessero integre la religione cristiana ortodossa e l'autorità regia. Intanto un nuovo dubbio mi assalse, poi che ricordai avere il Sommo Pontefice Clemente XII, tuo predecessore, condannata la società. Ma, avendomi l'amico rassicurato che nulla di male v'era nella cosa, io non poteva immaginare che fosse quella condannata e proibita ai cristiani» (Cfr. Sposato, pp. 5-6). Raimondo accettò dunque l'ipotesi positiva, ma non senza ricorrere ancora alla consulenza di «altri, insigni per dottrina e pietà, i quali ugualmente reputarono innocente la cosa, se essa rispondeva ai detti». A questo punto il principe narra la cerimonia dell'iniziazione: «Accolto benevolmente, con sorpresa mi vedo tra onestissima gente. Quindi interrogato dal presidente o Maestro dell'Ordine se voleva serbare religiosamente l'arcano segreto della Società, risposi affermativamente, con voce chiara e sonora, purché non derivasse danno alcuno alla fede cattolica cristiana, né all'autorità del Romano Pontefice, né alla podestà del Re; a cui avendo consentito il Presidente e altri confratelli, son ricevuto tra loro il 22 luglio dello scorso anno». Il principe espone quindi il senso dell'esperienza fatta direttamente, ed è qui che emerge l'aspetto più raffinato del suo intervento: «Dopo intervenni a parecchie assemblee, e trovai veridiche e fedeli le proteste già fattemi dall'amico. Imperocché, così Iddio mi ami, o Pontefice Massimo, nulla vidi di vizioso; piuttosto molte cose ridicole ed insulse, cioè certo enigmi coi quali si nascondono le più piccole inezie. Per modo che presto cominciai a stomacarmene e sarei andato via dall'assemblea se non avessi temuto di essere tacciato di leggerezza. Deliberai dunque di rimanervi per qualche tempo, sopra tutto perché fra tanti delirii e tante chiacchiere puerili, mi pareva lodevole questo, che uomini di ogni condizione, messe da parte la nobiltà della nascita e l'altezza degli officj, si riunissero familiarmente e si impegnassero a scambievole aiuto in caso di bisogno; ottima cosa, specialmente pei nobili e giureconsulti, i quali maneggiano tutti gli affari dello Stato, stanno in guerra perpetua tra loro, come vi sarà noto: da cui derivano le discordie e le sventure dei napoletani ed il discredito presso le altre nazioni. Però reputai che in questa occasione si potesse recare grandissimo beneficio alla patria col riunire gli animi dei più potenti cittadini e dei giureconsulti. Mentre a ciò pensavo, trenta giorni dopo la mia ammissione, fui eletto ad unanimità presidente o, per dir meglio, Gran Maestro dell'Ordine nel Regno di Napoli, e così mi si offrì l'occasione di mettere in atto la mia idea...» (Ivi, 6-7). L'attenzione all'apologia del Di Sangro é di rigore, dal momento che essa é perfettamente confermata da tutte le testimonianze coeve, comprese quelle dell'autorità inquirente, che pronunciò per la seconda volta la condanna contro i Liberi Muratori. I testi annessi al carteggio vaticano Non é improbabile che i testi annessi al fascicolo contenente il carteggio tra Benedetto XIV e Carlo III siano stati visti dopo e non prima della redazione della «Providas». È comunque fuori dubbio che ne furono visti molti altri, o questi stessi, in altra redazione o provenienti da altre direzioni, che sono riportabili in tutto e per tutto a questi. Infatti le fonti primigenie che in quegli anni erano reperibili non erano differenti da queste: rituali, testi costituzionali, catechismi, discorsi di Loggia. Papa Lambertini afferma esplicitamente di averne veduti diversi, inviati da vari principi, e domanda spiegazioni soprattutto su qualcuno di questi che qui pubblichiamo (6). Inoltre, è ancora una volta fuori dubbio che testi di questo genere continuarono a fare scuola nella Chiesa a tutti i livelli, dai vertici sommi alla pastorale d'arrivo. Dobbiamo dolorosamente rilevare che in tutta questa letteratura tutto sommato molto modesta, non esiste nessun appiglio consistente avverso alla fede e alla morale; ne esistono al contrario moltissimi, il complesso del discorso fatto, che raccomanderebbero la società massonica come esemplare sotto ogni punto di vista. A meno che non si consideri condannabile l'impegno di assumere pariteticamente ogni credenza cristiana, proibendo addirittura in Loggia qualsiasi discorso religioso e imponendo la tolleranza come dogma quotidiano. Si comprende che in una Chiesa come quella del Settecento il parlare di tolleranza e di latitudinarismo non fosse piacevole e nemmeno ammissibile. Ma l'affermare malizie intrinseche e ontologiche, come abitualmente si faceva anche nei documenti di maggior impegno, che comminavano la scomunica, é fuori luogo, e la lettura degli opuscoli latomistici lo dimostra. È assai più legittimo parlare di mediocrità, ingenuità, gratuità, fortuità, fantasia e persino di poesia; ma non crediamo ci sia spazio per l'eresia. «Regolamento» a stampa È conservato nell'ASV (Principi, vol. 236, ff. 230-245). Il titolo completo é «Regolamento di ciò che dee praticarsi da' Fratelli Introduttori, Esaminatori, e Terribili, nelle ricezioni de' nuovi Fratelli». Composto di 4 articoli. Seguono gli Statuti preliminari, composti di 5 articoli. Il tutto si riferisce alla prima iniziazione massonica, quella del 1° grado, Apprendista, o apprendente. Essa sarà poi seguita dal grado di Compagno e da quello di Maestro, che corona l'iniziazione. Il testo non tace i lati deboli dell'istituzione latomistica. L'art. 2, p. 5 parla espressamente di quello che nella storia verrà sempre indicato come mutuo soccorso fraterno, nell'intento di incoraggiare il candidato «per l'acquisto di qualche Impiego, o di qualche potente Protezione, o d'essere inaspettatamente salvato da Carcerazioni, Confiscazioni di beni, e finanche dalla perdita della Vita, ecc.». La condizione di fondo degli Statuti (art. 1, n. 9) è la seguente: «Chiunque aspira ad essere ammesso nel Rispettabilissimo Ordine dee prima d'ogni altro promettere, e solennemente giurare, e inviolabile zelo per la Religione, pel suo proprio Sovrano, e per quello, che regna nel Paese, com'altresì pure pe' buoni costumi». Ricalcando poi gli Antichi Doveri, gli «Statuti» settecenteschi affermano le ragioni della tolleranza religiosa, per la verità ancora in termini abbastanza timidi, in quanto che intendono permanere in clima cristiano, mentre in seguito i lavori latomistici saranno estesi a ogni confessione religiosa: «Gli Atei dichiarati sono affatto esclusi dall'Ordine, a meno che non abbiano prima abjurato le loro bestemmie in piena assemblea; e così pure ne sono affatto proscritti gli Ebrei, i Turchi, e i Gentili; dovendo tutti i Membri d'esso essere solamente Cristiani, cioé professanti qualcuna delle varie Comunioni Cristiane» (art. 2, p. 10). Nell'art. 3 si delineano le qualità morali dirimenti, in ordine all'accettazione del candidato in Loggia: «Chiunque è menomamente sospetto di vizj infami, e contra natura, é affatto incapace d'essere ammesso nella Rispettabilissima Società, a meno che non abbia date per lo spazio di tre anni pruove assai chiare della sua innocenza, o almeno ammenda, e del suo rispetto pel bel sesso» (art. 3, p. 10). Nei due articoli seguenti (p. 11) vengono respinti «tutti coloro, che allogano la loro felicità nel bere, nel mangiare, o in ogni altra forma di crapule»; come pure i vanitosi: «Chiunque é stato solito d'esser bizzarro Idolatra della sua propria figura, del suo Tuppé, e de' suoi acconciamenti». Nell'art. 8 (p. 12-13) si prescrive una vita di pace e di concordia: il candidato infatti dev'essere «affatto incapace di poter mostrare il minimo risentimento, o prendere la minima vendetta contra qualsivoglia de' Confratelli, così dentro come fuori delle Logge...». Ugualmente, viene escluso chiunque fa discorsi cattivi, scrive satire e motti, crea malessere; esclusi i mentitori «essendo la Bugia un vizio intrinsecamente distruttivo dell'Umana Società» (art. 10, p. 15). Il tutto dev'essere confermato dal giuramento sulla Bibbia: il volume riproduce per intero il prologo giovanneo, che dev'essere aperto in Loggia, pena l'invalidità dei lavori. Il cerimoniale e il catechismo hanno lo scopo di drammatizzare e pedagogizzare queste scelte di fondo. « Maniere di preparare gli Aspiranti » Il testo é in ASV, v. 236, ff. 248254: il titolo completo é «Maniera di preparare gli Aspiranti, la quale sta solamente accennata nello scritto stampato sotto il titolo Regolamento di ciò che dee praticarsi...» (v. Regolamento a stampa). È dunque una chiosa al testo precedente e c'é da credere che sia elaborata in ambiente napoletano. Poiché allo scrivente non sfuggono le dicerie e le malevole interpretazioni relative a certe cerimonie d'iniziazione, egli ne spiega qualcuna. Il candidato per esempio «dee togliersi di dosso il giustacuore, e camiciola, e restare coi soli calzoni, e camicia, la quale dee esser situata in modo che tutta la spalla sinistra, e mammella sinistra, resti scoverta, e veggasi la nuda carne». Il motivo: «E questo si fa, perché non accada che s'introduca qualche donna per essere ricevuta». A proposito dell'esclusione della donna dai lavori di Loggia, questi testi e forse con maggior impegno il seguente, compiono ogni sforzo per giustificarla, esprimendo ogni rispetto per il gentil sesso, e mantenendo comunque la sua esclusione: la ragione addotta é che la loro presenza in Loggia danneggerebbe la severità dei lavori, ed offrirebbe pretesti ai detrattori dell'Ordine. Naturalmente non si può dimenticare la discendenza dei lavori simbolici da quelli dei muratori operativi medievali, i quali in cantiere non avevano donne. Il «denudamento metallico» é anch'esso spiegato accuratamente: «Dee l'Aspirante togliersi tutt'i metalli, che ha sopra di se visibili, come sono tutte le fibbie, bottoncini, anelli, e cose simili; indi scuoprirsi il ginocchio sinistro in maniera che si veda nudo» (f. 248). La ragione di questo rito é nel fatto che il candidato deve distaccarsi dai valori di questo mondo, particolarmente dalla ricerca del denaro e del prestigio. «Le obbligazioni» È un manoscritto giustamente ammirato dal P. Raníeri, che ha scritto in proposito: «è manoscritto, ma in maniera così chiara che si direbbe litografia» (Della rovina..., p. 606n). Conservato in ASV, 236, ff. 258-495, ha un titolo descrittivo: «Le obbligazioni d'un Franco Muratore estratto da gli Antichi archivi delle Loggie sparse sopra la superficie della terra, per essere lette allora quando si fa un nuovo Fratello, o quando il Maestro le giudica a proposito. Discorso preliminare, tradotto dal francese secondo la lettera accioché non si prendano equivoci». L'autore nota in apertura che i candidati per il fatto stesso di aver bussato alle porte dell'Oriente «é una pruova certa che voi digià possediate le qualità necessarie per divenirne membri, cioé a dire l'Umanità, la Morale pura, il Segreto inviolabile ed il gusto delle belle Arti». Si tratta quindi di persone dell'élite che intendono costruire un mondo più umano rispetto a quello circostante: La violenza militare e l'esaltazione d'un Popolo sopra d'un altro, non an potuto divenire universali, né convenire al gusto, al genio, ed agl'interessi di tutte le Nazioni. La Filantropia non era già alla loro base. L'amor della Patria mal inteso e spinto all'eccesso distruggeva sovente in queste Repubbliche guerriere l'amore e l'umanità in generale. Gli uomini non sono già distinti essenzialmente per la differenza delle lingue che parlano, degli abiti ch'essi portano; né della dignità delle quali essi sono rivestiti. Il mondo intero non é se non una gran Repubblica di cui ciascuna Nazione é una Famiglia e ciaschedun particolare un figlio. È per far risorgere e spargere queste essenziali massime prese dalla Natura dell'uomo, che la nostra Società fu tosto stabilita» (ff. 258-260). I Liberi Muratori di tutti i tempi, dice l'oratore illustrando un costume massonico costante e che può indicarsi come una specie di ecumenismo storico, «erano non solamente abili Architetti, che consacrar volevano i loro talenti ed i loro beni nella fabrica de' Templi esteriori, ma erano parimente Principi Religiosi e guerrieri che volsero illustrare, edificare, e proteggere i Templi viventi dell'Altissimo, ed è ciò che vado a dimostrarvi in sviluppandovi la storia o più tosto il rinnovellamento dell'Ordine» (f. 273). Nel delineare l'identità del Libero Muratore l'autore si rifà ai testi medievali che non sono soltanto di ispirazione cattolica, ma addirittura di derivazione monastica; lo stesso superamento del nazionalismo e del razzismo, presente in questo testo e nell'intera tradizione latomística, sono anch'essi da riportare all'universalismo medievale, così splendidamente rievocato di lì a pochi decenni da Novalis. Due Gradi scozzesi Sono due manoscritti (ASV, Ivi, ff. 498-524) che illustrano rispettivamente il grado di Maestro Scozzese e, molto brevemente, quello della Sublime Filosofia: tutt'e due furono svillaneggiati nei rapporti diplomatici e nei dispacci partiti da Napoli all'epoca dell'enciclica benedettina. Lo scrivente vuol giustificare la mancanza di pomposità finalmente affermatasi nell'iniziazione di questi alti gradi. «Impercioché, egli dice, quanto più si fa dell'avvanzo nel Muratorismo più si va a discoprir la verità, la quale solamente esser dee l'obietto della nostra ricerca, e de' nostri desiderj, é semplice; poiché tutto il suo splendore si contiene in essa medesima indipendentemente dagli ornamenti esteriori» (f. 498). Questo concetto attraversa tutta la trattazione, che continuamente invoca il rinnovamento del rito, col «bandire tutti quegli abusi che in questo Grado eransi introdotti» (f. 499), come pure nel grado di Maestro Inglese «che non é consistito mai in quella farragine d'inezzie estranee alla verità, che per lungo tempo han così sfigurato il sublime Grado dello Scozzesismo» (f. 500), e simili. Si spiega con abbondanza di dettagli il mito di Hiram, la cerimonia della «ricezione», con richiami ascetici di sapore monastico. Il candidato deve essere «purificato, e che dipoi faccia il sagrificio della sua volontà, e del suo cuore, affinché la prima sia totalmente sottoposta a' suoi Fratelli e l'altro non respiri, che l'amor de' suoi Fratelli» (f. 505). Nella formula del giuramento: «Io giuro a' piedi del Potentissimo Maestro, ed in presenza di tutt'i Rispettabili Fratelli qui presenti, sotto le medesime pene, che un'altra volta io pronunziai in tempo de' i miei primi voti, di essere fedele a tutte le mie obbligazioni...» (f. 506). Nella presentazione del Grado della Sublime Filosofia é espressa la gerarchia e la finalità dei lavori di Loggia: «Il principal loro studio consiste nell'applicarsi alle sette arti liberali, che sono la Statica, l'Aritmetica, l'Ottica, l'Architettura, la Geometria, la Pittura, e la Musica. È necessario parimente per la dovuta perfezzione di quell'opera Morale, ch'essi pretendono di formare con innalzare nel lor cuore un Tempio alla Virtù, simbolo del Tempio materiale di Salomone... E giacché la loro anima esser dee senza dubbio questo Tempio, che altro è l'ornamento dell'anima, se non la scienza e lo studio?...» (f. 524). Note 5 Cfr. C. FRANCOVICH, Storia della Mass. in Italia dalle origini alla Riv. Francese, Firenze, La Nuova Italia, 1974, 87, passim; R. F. Esposito, I primi Massoni in Medio Oriente, «Riv. massonica», A. LXX, n. 5, luglio 1979, 231-236. [Torna al Testo] 6 Nel dispaccio del 14 agosto 1751, il nunzio Gualtieri dà al cardinale Valenti alcuni dei titoli correnti in Napoli: «La Corte ha poi radunati diversi libri, che parlano di tal Setta, e specialmente il Muratore tradito, il Dizionario di Pipiani, un certo libro tedesco detto la Candela, ed un'altro intitolato lo Smoccolatore, stampato in Venezia, che è contro la Candela, che qui non si trovano; e la Regina aveva intenzione di farli tutti tradurre e stampare (il che però non sa ancora se verrà eseguito) credendo, che manifestandosi il segreto, se pure si sa di tutti i gradi delle Logge, potesse finir tal Setta, giacché in detto segreto consiste ogni loro arbitrio» (ASV, Nunziautra, vol. 235, ff. 39-40). Nel medesimo messaggio si legge che «il Re ha comprato per 700 scudi la stampa, che teneva in Casa il Principe di S. Severo, e l'ha posta nella Regia; e ciò è seguito con Dispaccio onorifico al medesimo Principe, e come se la M.S. fosse invaghita dei rari caratteri, che la componevano». [Torna al Testo] |