Se gli rappresenta la Donzella, dalla quale vien confortato, e passando per una spelonca pervengono ad una fabricatura.

Trascritta con tal ordine la lunga polizia, restai admirativo per il molto numero delli scrittori, non ostante, che trascorso non haveva se non tre di quattro parti di questogrande claustrale, poi cominciai a contemplare la maravigliosa fabricatura, per quale passar mi conveniva volendo dar fine al mio viaggio, e così levando gli occhi fuori della porta, vidi di nuovo verso me venire la mia tanto desiderata Donzella; laquale fattasi vicina con grave, e honeto decore cominciò a dire.Peregrino? e io a lei, Donzella, senza il tuo aiuto non è, non spero pervenire al fine del mio cominciato viaggio; Et ella con grate parole, sappi che alcuno non ha saputo mai venire, si in questo luogo; come al mio ricchissimo palaggio, il qual è posto nella sommità di questo nobile monte, se prima non è stato ammaestrato della cosmografia di quell'oscuro viaggio, per alcuno di quelli pendenti libri, già composti per molti cittadini del Rgno nostro, e positi in questo loco come Archivio secreto dilla cancellaria nostra, e consacrati al suo compositore come ad un nume. Queste parole mi strinsero talmente il cuore, che non sapeva che mi dire, che mi fare, ne men che modo prendere, per commuovere la gentil Donzella a qualche compassione delle mie passate fatiche, e non lasciarmi più andar vagando per le lunghe, e oscure spelonche, e cavarmi da tanto faticoso studio delli ritrovati libri: vedendomi la benigna Donzella così d'animo smarrito, e quasi di speranza privo di poter giongere al desiderato fine, con volto giocondo mosse queste parole. Peregrino se meco verrai, dicoti che senza trascorrere le tante, e tante lettioni de' figurati, e enigmatici libri, pieni d'oscuri detti, veder farotti il misterioso fine del tuo faticoso viaggio, nelquale da te stesso non senza stenti, studio lungo, solleciti pensieri, e pena, havresti potuto vedere: Però seguitami per questa via.

Caminato che havessimo per due miglia circa l'arduo monte lasciassimo (non senza pena, e stenti) la tormentosa via, e poi entrati di nuovo in una oscura spelonca; quasi ivi restato sarei per il travaglioso viaggio, nel quale intollerabili fatiche sostener mi conveniva, se la gentil Donzella fusse stata della salute mia men procuratrice. Usciti adunque di questo intricoso loco, mi ritrovai non molto lungi dalla sommità dell'altissimo monte, sopra la costiera d'un dilettoso colle, ove una amena pianura causata da un verdeggiante praticello, pieno di varij, e odorati fiori circondava una certa cinta di muro fatto di finissimo marmo: Gionto all'entrata della solenne fabricatura vidi nel suo centro un grande, altissimo portico rotondo di otto archi, sostenuti da quattro colonne di bellissima corniola, e da quattro altre di splendidissimo porfido; Questo portico era di diametro circa cubiti venti, e sosteneva per sua cuba una maravigliosa machina, simile ad un celeste, e sferico globo, il quale misteriosamente rivolgendosi dal levante, al ponente, si vedeva il corso del Sole per i dodici sogni del zodiaco, con tutte le stelle fisse,che ciò pareva il sereno cielo. Fattomi vicino, la benigna Donzella veniva mostrandomi un grande, e trasparente loco (ma molto ben chiuso) situato sotto questo rotondo portico: In questo loco era un spaventoso animale a modo di venenoso Dracone, ilquale havria spaventato ogni valoroso passaggiere. Gionto appresso, con gran strepito abbattendo l'ale, e fricolando il becco di ciascun capo, havrebbe spaventato i leoni; cominciò dipoi quietarsi, e con dolci parole così dire, prima però impostogli con lusinghe dalla cortese Donzella .

 

Il mostro inastato dalla Donzella disse molte parole del suo stato.

Odi, vedi, e intendi il mio dire, e ogni cosa scolpisci nel intimo del cuore, perché dirotti quello che molti ricercano, pochi trovano; quello che molti fanno, e conoscono, ma poco intendono; vedendomi molti, e conoscendomi pochi. Hor odi, e intendi se tu puoi, perché il tutto havrai, io son la Gallina, o vero il Dracone pessimo, e feroce, permanente in ogni tempo; resuscitando per me stesso da morte, io occido la morte, che mi occise. Faccio resurgere i corpi da me creati, vivendo in morte, mi occido, di cui poi vi rallegrate; senza di me, e di mia vita non vi potete rallegrare. S'io porto nel capo il veneno, nella mia coda (quale di rabbia mordo) consiste tutto il rimedio, chi pensa di giocar meco, per il mio penetrante occhio, li convien morire; Se qualcuno mi morde prima deve morderete se stesso, o se lo mordo, la morte lo morde prima nella testa, perché prima deve mordere me, stante che il mordere è medicina del mordere. Se ne gl'alti monti faccio mia quiete, e riposo nelle pianure, valli della terra, e anco ne i stercolinij abito; Se nell'acqua vaporosa son concetto, nel aere, e fuoco è il mio nutrimento; il mio sudore sente di sepulcro; chi ciò non intende, di me non harà notitia alcuna. odi, io son noto a tutte le genti, popoli, e tribù, così a poveri, come a ricchi, i quali mi chiamano poco precio, e con altri infiniti nomi e epiteti, ma chi ben mi conoscesse mi chiamarebbe assai precio. Io son estraneo nella mia patria, e son per i climi del mondo noto per essere io communi a tutti; Chi mi vide, o mi ha veduto, non mi ha però conosciuto, e chi non mi vede, ne conosce, mi ricerca il mio padre, e mia madre, mi hanno generato, e io di prima generai quelli. Io son padre e figliuolo; Io son madre, padre, e figliuolo; Io son invisibile quando volo, e impalpabile quando fuggo per aria: Ma toccandomi son visibile, e palpabile. Adunque conosci me, e occidi me, e sappi che di spada, o d'altra arma non posso morire; Ma presentandomi il risplendente specchio, per me stesso m'occido, onde poi se in foco mi nutrirai, per fina che sian prima i membri miei in altra forma mutati, e poi il corpo mio purificato dal mortale veneno; et poi quando il corpo, l’anima, e il spirito insieme vedrai congiunti: allhora farai maggior del mondo, chi mi ode e non intende, consuma il viaggio e la fatica, e spende il tempo senza altro fine.

 

La Donzella narra la qualità del mostro, e delli ovi suoi.

Con tali parole si tacque il mostro: Onde vedendomi la benigna Donzella di meraviglia mosso, per le oscure parole del Dracone, dissemi; Sappi Peregrino che questa Gallina nostra non è volgare, perché vola con i volanti, si quieta con i riposanti, si bianchisce con i bianchificenti, e si rubefa con i rubeficenti, e si rallegra con i rallegranti: Et eccoti sei ova da lei partoriti, un rosso, un croceo, un cenericio, un nero, e un bianco.

Questo Dracone nostro, o Gallina, è preciosiss. e maravigliosa, perchè da sé si congionge, concepisce, s'impregnai, e partorisce; et questo é, perché questa Gallina non è solamento gallina, ma anche Gallo, e quantunq; sia un Gallo, e una Gallina, e il Gallo, però sono tutti in un solo. Doppo dicoti che il loro ovo non è tanto ovo, ma Gallina, perciò che la Gallina è anche l'ovo; Adunq; l'ovo Gallina, e gallo sono tre in uno, ciò è in una operatione. Di ciò ti potrei addur gl'essempi delli sodetti tre padri; Et sappi che quelli, e questi essempi sono la introduttione Alfabetica della nostra arte, e divino magisterio: Et io a lei, benigna Donzella fammi più chiaro di quanto desidero; e essa disse, vedi io prendo quello croceo ovo nostro puro come fu partorito dalla Gallina antica nostra; con questo veder farotti cose mirabili pero che io penerò esso con la madre sua, o simile altra delle Gallina nostre, e con il gallo, di modo che mettendo la gallina l’ovo, e il Gallo, nel suo nido temperatamente caldo, Io chiuderò il nido, acciò che lo spirito, la voce, e il sudore della gallina, e gallo nostro, non escano fuori insieme con l’essentia del nostro ovo, e anche acciò che non restasse (come ho detto) l’ovo senza il paterno, e materno vigore. Poi del nostro solo fuoco, o calore, nutrisco (come salamandra) la Gallina, e Gallo nostri, perché quasi di simile fuoco, o calore sono nati, di modo che vinta la Gallina d'un arida sete, e fame, e tutta convertendosi in ira, e sdegno, con rabbia infinita va poi divorando il gallo, e conseguente l’ovo nostro: Doppo cominciando essa essere percossa da un'asmo, e intrinseco sudore, pareratti (vedendola) convertirsi in una putrida, e fetente acqua, o liquore; poi con crearsi e prendere quasi forma d'un nero corvo, o serpe, poi d'un cigno poi d'un variato pavone, e finalmente tutta convertirsi in uno più eccellente, miracoloso fanciullo del mondo: ilqule doppo che sarà nutrito del purissimo latte fraterno, sarà atto ad acquistare un grandissimo Regno già equale a quello del suo splendidissimo fratello, e padre. Questo se sarà stato nodrito del latte del fratello padre suo, d'ivenirà tutto splendido, e con bionda chioma, ma, nodrito del latte della sua sorella, madre, figliuola, sarà di bianca chioma simile alle candide trezze della pudica sorella, o di Diana Et sappi che questo è un alto misterio solo noto a i Cittadini del regno nostro .

 

Saliscono sopra un'alto monte, ove trovarono uno antico castello.

Havendo per le parole della grata Donzella, posto l'animo mio in tale confusione, che quasi volendo prendere audacia de dimandargli l'epositione della detta operatione comincio la benigna Donzella prendermi per mano, e condurmi per una stretta via, che tendeva verso la sommità dell'altissimo monte; Onde entrati in un certo, e precipitoso calle, a pena tollerar poteva questo diavoloso viaggio, si per la foltezza delle intricate frondi, e rami, si per i grossi sassi del calle, come per i pungenti spini, delli quali con grande fatica andava io diffendendomi; Hormai gionto sopra questo arduo monte, la benina Donzella ogn'hor confortandomi a pacientia, mi conduccua per lungo la costiera, ove gionti ad uno delicioso bosco, vidi quello pieno di Aranzi, Cedri, e d'ogni fruttifero Albero, e quivi dico il timo, e la mortella con i suoi bellissimi fiori empivano l'aria d'un suavissimo odore; Entrati noi nel detto bosco cominciai vedere (non poco da lungi) una grande fabricatura, a modo d'uno antico castello, il quale si vedeva in quattro parti ornato di quattro torrette, dalle quali uscivano fumi.

Giunti più vicino, non poteva saciarmi di guardare il loco, per essere le mura fatte d'una certa durissima mistura, laquale con certi compartimenti di fogliature, fatte di certe lucidissime pietre (nel mezzo loro stabilite) rendeva amenissimo il loco. Quanto poi alla entrata essa era solenne, e magnifica, perciò che era di corinto artificio fabricata. Nel fregio della detta porta erano queste note isculte.

EX: IL QV: GE: FV: SV: SP: CO: ET: DV: PA: OC: FV: SV : LA: NV. AC: RE: VI: PR: FR: FI: SV: ME:

Dalle quali note non potendo (per la loro brevità) interpretare il sogetto, stuva tutto admirativo; Dilché chiedendo alla nobile Donzella il significato, rispose, non senza qualche misterio il fabricatore di questo luogo, ha collocato nel freggio di questa entrata quel breve ordine di note, le quali dimostrano che il pregioniero di questo luogo, è 'Re è possente, con la sua origine, e però si finge che parli il detto Re in tal modo.

Ex illa, quam genui, fui suo spermate conceptus; e dum parentibus occisus, fui suo lacte nutritus.

Ac Rex resurgens virtute propria fratres filios supero meos.

Et questa è la espositione delle note. Intesa la grata risposta, restai tutto sodisfatto. Hor acceso un lume, e entrati di dentro, vidi esso fabricato di rotonda architettura, con tre colonette. Queste sostenevano una trasparente, artificiosa machina, a modo d'un vaso di vetro, il cui diametro poteva essere cinque o sei cubiti, e l'altezza circa nove, oltra su poco di piramide, per la quale era la chiusa entrata: Il diametro poi di tutto il principale loco, poteva essere cubiti dodici, con la sua proportionata altezza. Non poco ivi stato era che io sentei un calore, che mi parcea d'essere entrato in una ben ordinata stuffa. Hor stando in questo spettacolo, e ben considerando, vidi dentro sedere due donne, una vestita di bianca, e l'altra di croceo, ciascuna poppava un fanciullo, cioè uno coronato di Regale corona d'argento, l'altro di corona d'oro, con le loro chiome risplendenti più che il Sole, e la Luna.

 

Narra come erano le Donne, e i due figliuoli, poi ritrovasi ove era una nicchia.

Somma maraviglia mi faceva, che quelle donne mai prendendo alcuno, cibo, ogn'hor si convertissero in latte, e di latte in nutrimento per i fanciulli, iquali si come disse la mia fida scorta, in poco tempo sorgevano grandi, forti, possenti, e virtuosi, da far stupire il mondo, vincendo, e superando tutta la pessima stirpe de suoi fratelli.

Ecco all’improvviso sopraggiungere un dotto pastore, e da una sua sonora lira cantare i seguenti versi.

Qui cupis abstrufae χµήας cognoscere normam,

Aspice quae pastor carmine dixit Amon.

Initio calcina bene, mox adde medelam,

Misce, ac dissolve, coque, descende, cape.

Sit tingens medicina,durans, penetransque, figensque,

Vi solida tractu, liquida tamen erit.

Ve quando Galatea novum mihi ferre butirum

Gaudet, haec solum protulit illa mihi.

Appena havea veduta questa maraviglia, e odito i dotti versi del pastore che mi sparve questo spettacolo, e entrato in un altra visione, parve che mi ritrovassi fuori di questa fabricatura, e inviassemi con la nobile Donzella al bosco di questo altissimo monte. Seguendo queso gratissimo viaggio gionsi sopra un dilettoso colle, pieno di soavissimi fiori, ove ritrovai un maraviglioso sasso escauto a modo di nicchia, nellaquale era una solenne figura virile, nuda, di fino alabastro, e vestita d'una pelle di Leone, alle spalle, e con una mazza in mano: Questa essendo sopra un finissimo pedestale di bianco marmo, e con quella pelle di Leone dimostrava la effigie d'Hercole Egittio. sopra l'arco di questa nicchia eran queste parole isculte.

MULTI PER DIVERSA HUC PERVENERUNT ITINERA.

Nel quadramento del piedestale vidi isculta la figura del cane cerbero, la qual cosa cominciò travagliarmi molto: Dappo un'intima cogitatione, e un breve discorso giudicai questo non voler altro dimostrare, che termine di qualche attione, per il detto dicendo, che molti per diverse vie sono ivi pervenuti. Considerando più oltra, e tra me investigando di sapere che termine fusse questo, e non potendomi quietar l’animo, ecco la benigna Donzella presaga del mio intimo discorso, cominciò dire Peregrino non vedi che questa è opra hieroglifica? All'hora svegliandomi la cognitione, e discorrendo queste figure, mi rallegrai molto, vedendo che (secondo Egittij) quella figura o statua, significava virtù collocata sopra il vero fondamento del fermo piedestale di filosofia, dimostrata per il cane cerbero. Per questo da un canto, per esser fin quivi pervenuto mi accendeva di somma allegrezza il cuore,e dall’altro canto confusione mi tormentava ogn'hor più l’intelletto per non haver più profondamente compreso i passati magisterij. Onde la benigna Denzella presaga del animo mio, vedendomi così travagliato; disse; Peregrino sappi che l'animo tuo ha da lasciare questi tuoi occulti proponimenti, perché nel ritorno nostro meglio tu potrai sapere questi secreti. Io dal disio vinto pregaila che hormai desse fine a questo faticoso viaggio; Et ella disse chionque è pervenutosin a questo felice termine, si può chiamar contento di quanto fortuna lo favoreggia. Hor andiamo più altra che veder farotti la fonte legale del nostro Re. Inviatisi noi per la descendente via, e solicitando i passi, haveva io fatta una dimanda della esplatanatione di quanto heveva, per avanti veduto, e ella apparecchiandosi per risolvermi deltutto, ecco che si scoperse all’improviso sopra di noi una nebbia folta per cagion della quale io perdei la mia scorta onde mi ritrovai allhora tutto confuso, e gramo, perché non sapeva anche qual via tener mi dovessi per ritrovar la Regale fonte: pur seguendo oltre e essendo pervenuto sopra un colle, vidi la avanti un togato sedersene sopra un sasso: Fatto io vicino conobbi ch'era il Conte di Treves, ilquale nel fin del passato sogno promesso mi haveva di esplanarme il grande Magisterio, cosi dattoli il condegno saluto, esso tutto maraviglioso disse, che via hai tenuta per pervenir fin qui? Et io, la sorte, e il desiderio, ma son tutto fuor di me havendo persa la fida guida mia, che già s'era inviata per condurmi al Regale fonte, la ove apieno sarei sta istrutto di questo divino magisterio; allhora, disse il Conte, essendo tu pervenuto fin qui, non è stato senza divina gratta, studio forte, e fatica, e conosco che tu hai ben comprese le mie parole, che ti dissi poco fa, però sedi quivi, che ti dimostrarò con parole un simile fonte che cerchi ritrovare, e sappi che questo fonte è tutto parabolico, e sotto questo velo di fonte, si copre il tutto; Ma tu che hai intese (come io penso) le instruttioni mie, anche intenderai il sequente mio dire; Et doppo se ti piacerà, tu potrai andartene al detto fonte, la dove effettualmente il vedrai.

 

Il Conte con parabola d'un fonte, figura la pratica del Divino magisterio.

Hor tu dei sapere, doppo ch'io hebbi studiato tanto ch'io mi sentiva un poco letterato, io incominciai a cercar genti vere di questa scienza, disprezzando la basso, e ignara plebe settatrice de sofistici inganni: perche un'huomo sapiente può emendar un'insipiente, e non il contrario, e per conclusione ciascun desidera ilsuo simile. Io me n'andai, e passai per la Città di Pulea, ch'è in India, e udì dire, che vi era uno de' gran letterati del mondo in tutte le scientie, ilqual’havea sospesa una gioia per disputa; e quest’era un bel libretto picciolo di finissimo oro, cioè li foglij, la coperta, e tutto il detto libretto:questo era sospeso per tutti quelli che vi venivano, e che ne sapevano argumentar, e disputare. Allhora andando per la Città, e tuttavia desiderando di pervenir a quest'altezza d’honore, che maggior al mondo impossibile parmi a desiderare, e sapendo che senza mettermi avanti, e haver buon'animo io non potrei mai venire a laude, e honore per qualunq; scienza ch'io havesse: Cosi io pigliando animo da un valent'huomo, mettendomi al camino mi messi in ordine, e me n'andai alla disputa; e in presenza di tutto il popolo guadagnai il libretto di finissimo oro, avanti tutti gli altri disputanti, e mi fu presentato per la facultà di filosofia; e tutto il popolo mi cominciò a riguardare molto forte. Allhora me n’andai pensando fra me stesso per l’ample, e spatiose campagne, perciò che io mi vidi esser stanco da studiare. Una notte avenne che io dovendo studiare per disputar il di sequente; Io trovai una picciola fontana bella, e chiara circondata tutta d'una bella pietra. Questa pietra, era di sopra d'un ceppo di quercia concavo, e tutto a torno era circondata d'una muraglia, acciò che le vacche, e altre bestie brutte non ne bevessino, e che gli uccelli non vi si bagnassero. Allhora io havea tanta voglia di dormire, ch'io mi misi a sedere sopra della detta fontana, e ivi vidi ch'ella apriva per disopra, e era fermata. Stando così a sedere vi venne a passar un venerabile sacerdote d'antica, e grave età. Alquale io dimandai, Perché questa fontana era così serrata di sopra e di sotto, e d'ogni banda: Egli come benigno, e gratioso cominciò a dir così.

 

Il Conte comincia la parabola della filosofale opra.

Sappi Signor mio caro, che questa fontana è di più maravigliosa virtù, che nissun altra che sia al mondo: e ch’ella solamente per il Re di questo paese, iliqual conosce essa, e essa lui. Perilche mai questo Re non passa per di quà, ch’ella non lo tiri a sé, e sta nella detta fontana a bagnarsi per lo spacio di 282. giorni, in modo ch'ella fa diventar questo Re tanto giovine, che non vi è huomo che lo possa vincere, e così vi passa il suo tempo: Ma. questo Re fa serrar la detta fontana prima d'una pietra bianca, e tonda come voi vedeti, e è la detta fontana così chiara come argento fino, e di celeste colore. Doppò perché cavalli, né altre bestie brutte, vi caminino sopra, v’è elevato un ceppo di quercia concavo, e diviso per mezzo, che prohibisce il Sole, e l'ombra di lui: Poi come vedete tutto attorno è di grossissima muraglia ben serrata, parché prima ella è chiusa in una pietra fina, e chiara, poi in concavo legno di quercia rotundo diviso per mezzo. Et quest’è perché essa fontana è di così terribile virtù, che s'ella fusse infiammata la penetraria il tutto, e s'ella se ne fugisse noi saremmo tutti ruinati. Adonque io gli dissi. Havete voi veduto questo Re li dentro e egli mi riospose, si ch'io lo veduto entrare, ma dopoi ch'egli vè entrato, e che la sua guardia l’hebbe dentro serrato, egli non si vede mai fin’à 140. giorni, Allhora egli comincia ad apparire, e risplendere, e il guardiano gli scalda il suo bagno continuamente per conservar il suo calor naturale, che occultato di dentro in quell'acqua chiara, e lo scalda continuamente dì e notte senza mai cessare. Allhora dimandandolo io di che color era questo Re, egli mi rispose, ch'era vestito di drappo d'oro da prima, e che dapoi havea un giupone di velluto nero, e una camicia bianca come neve, e havea la sua carne rossa come sangue. Et io desideroso di sapere di queslo Re gli dissi. Quando queslo Re vien alla fontana mena egli gran compagnia di gente strani, e di popolo minuto con esso lui? Rispose egli piacevolmente sorridendo un poco. Certamente il Re quando egli si dispone venire alla fontana, egli lascia tutte le sue genti strane, e non s'accosta altro che lui a questa fontana: e niun ardisce accostarvisi se non una sua guardia ch'è un simplice huomo, e il più simplice del mondo vi potria esser guardiano, perché egli non serve ad altro se non a scaldar il bagno, ma questo tale non si accosta punto alla fontana. Allhora io lo dimandai: è egli amico di lei, o ella di lui? Risposemi: l'un e l'altro s'amano maravigliosamente: e la fontana tira lui a sé, ma lui non tira già essa, perch'ella gli è come madre. Et io il dimandai. Di qual generation è questo Re? e egli mi rispose. Avertisci bene che questo Re è fatto dalla fontana, perch'ella l'ha fatto tale qual’egli è senza altra cosa, Anco io il dimandai; Tien egli gran corte? E mi rispose eh'egli tiene se non sei persone sole, lequali aspettano, che s'egli potesse morir una uolta, essi haveriano il reame così bene come lui; e però questi lo serveno, e amministrano, perch'essi aspettano ogni bene da lui. Di nuovo dissi io: è egli vecchio? e egli disse. Egli è più vecchio che la fontana, e più maturo che nissuno delle sue genti che son sotto di lui. Adunque (dissi io) perché questi sei compagni, e soggetti non lo mettono a morte, conciosia ch'essi aspettano tanti beni per la morte sua, massimamente essendo egli così vecchio? Allhora egli rispose. Egli è ben vecchio, ma non è nissuno delle sue genti, e soggetti che patesce tanto il freddo, il caldo, vento, pioggia, e altre pene, e fatiche, come patiria lui, e io gli dissi; perché non l'ammazzano essi o mettono a morte? e esso rispose. Che né tutti sei insieme, né tutta lor forza, né qual si voglia da per sé lo saperian amazzare. Et io gli dissi. Come dunque haveranno essi il suo regno, non potendolo havere se non da poi la morte sua, e non potendolo amazzare? Allhora egli mi disse. Tutti sei sono della fontana; e ne han havuto il lor bene così ben come lui, e perch'esso procede dalla fontana per questo ella lo tira e piglia a sé, e essa l'amazza, e lo mette a morte. Poi egli viene risuscitato da lei medesima, e poi della sostanza del suo regno, laqual è trasmutata in più gran parti, ciascuno ne piglia la sua parte, e quantunque minutissima portone ciascun n'habbia, è però così ricco come lui, e tanto l’uno quanto l’altro.

 

Segue il Conte dir la parabola ponendo il Re per la materia.

Vedendo che li sacerdote s’era fermato dal suo ragionamento io li dimandai fin a quanto bisogna ch'eglino aspettino; e lui si mosse a ridere dicendo. Sappiate che il Re come v'ho detto vi entra solo, e niuno delle sue genti, né strano entra nella fontana, quantunque; ella gli ami molto, però essi non v'entrano, perché non hanno anchora meritato. Ma nondimeno quando il Re v'è entrato, prima egli si spoglia della sua robba d'oro fino battuto in fogli, tutta coperta, e la dà al suo primo huomo, ch'è Saturno; Adunque Saturno la piglia e la custodisce quaranta o quaranta dui giorni al più, quando una volta esso l'ha avuta; Doppo il Re si cava il suo giuppone di buon velluto nero, e lo dà al suo secondo huomo, ch'è Giove, e egli lo custodisce trenta giorni buoni; Giove per commandamento del Re lo dà alla Luna ch'è il suo terz’huomo, bello e risplendente, ilqual lo custodisce trenta giorni; in tal modo il Re resta nella sua pura camicia bianca come neve, e vero fiore, più che sal fiorito; Allhora egli si spoglia la sua camiscia bianca e fina, e la dà a Venere laquale finalmente la custodisce quaranta giorni, e alcune volte quarantadue, Doppo essa Venere la dà, a Marte flavo non chiaro, e egli la cusdisce quaranta giorni; poi vien'il Sole bellissimo e sanguineo, il quale la piglia ben tosto, e così esso la guarda, e conserva del tutto fin'a tanto che sia del bello colore del papavero campestre, o del zaffrano. Et io gli dissi, che si fa, doppo tutto questo? Apresi la fontana, egli rispose, poi che lui gli ha dato la camiscia, il giuppon, e la veste; La fontana s'apre, e ella tutta in un tempo da a lor la sua carne sanguinea vermigliosa, e eccellentisima a mangiare. Et allhora essi hanno tutti i lor desiderij. Io gli dissi: Aspettano essi fin a questo tempo? e non puon essi haver ben nissuno fin alla fine? Et egli mi disse. Quando eglino han la camiscia quattro di lor se volesse potria trionfare, e far allegrezza: ma essi non haveriano se non la metà del Regno: e così per un poco di vantaggio, eglino voglion più presto aspettar il fine acciò siano coronati della corona del suo Signore. Et io li dimandai. Non vi s'accosta mai nissun medico, o altri? Non dic'egli, altro non v'è che un sol guardiano, ilquale fa di sotto calor continuo, circular, e vaporo senz'altra cosa. Et io gli dissi: Adunque questo guardiano non ha molta fatica: egli mi rispose ch'egli ha più fatica nel fine che nel principio, perché la fontana tuttavia s'infiamma, e io gli dissi. L'hanno veduta molte persone? egli mi rispose tutto il mondo, l'ha innanzi a gli occhi, e non la conosce: e io li dimandai: Fanno eglino più oltre doppo? e egli mi disse: Se questi sei Re vogliono, essi lo purgan'anchora per tre dì nella fontana circondando, e continuando il fuoco, e mettendo al contenuto della continenza contenuta come da prima: Dandogli il primo dì il suo giuppone, il dì seguente la camicia, e il dì doppo la sua carne sanguinea. Et io gli dissi, A che serve questo? Egli mi disse. Dio fece uno, e dieci, e cento: mille, e diecimilla, e cento milla doppo, e dieci volte tutto multiplico: e io gli dissi: Non intendo questo; e egli mi disse, non te ne diro più, perché egli mi vien in fastidio. Allhora vidi io ch'egli era veramente fastidiato, e ancor io havea voglia di dormire, per haver studiato il giorno avanti. Io me n'andai seco e gli feci compagnia, e fino: e anchora perch'io haveva gran voglia di dormire, lo gettai nella fontana: Onde fui attonito smarrito, e in gran maraviglia, perché io lo voleva confermar per la gloria del mio honore, con che io l'haveva guadagnato. Adunque io cominciai a riguardar dentro la detta fontana, e perdei la vista del detto libretto totalmente. Allhora io cominciai a cavar la detta fontana, la cavai si bene che non vi restò se non la decima parte d'esso insieme con le dieci parti della detta fontana. Et io volendola tutta cavare, esse erano troppo forte radunate, e affaticandomi io a far questo, vi sopragionsero genti all'improviso talche non potei più cavare.Ma avanti ch'io me n'andasse, io haveva benissimo serrate tutte le aperture, accioche non si potessero accorgere, ch'io havesse cavato niente della detta fontana, né anchora ch’iol'havesse veduta; e accioche lor non mi rubassero il mio libretto. Allhora il calor del bagno che v'era attorno per bagnar il Re, si riscaldava, e s'accese, e io fui in prigione per un delitto quaranta giorni: ma al fin delli quaranta giorni, io ne fui liberato, e venni a riguardar la fontana: Io vidi nebule nere, e oscure che duravan per lungo tempo. Ma, finalmente io vidi tutto quello che il mio cuor desiderava e non hebbi troppo fatica. Così tu non gli havrai se tu declini da queste male vie, e erronee, e seguiti l'opere che la natura richiede. E ti dico in verità che ciascuno che leggerà questo mio dire: s'egli non l'intenderà con questo parlare, mai non l'intenderà per nissun’altro, faccia ciò che si voglia: perhé nella mia parabola tutta ci è la prattica dell'opera, i giorni, i calori, il reggimento, la via, la dispositione, la continuatione, e tutto in miglior modo ch'io ho saputo fare, per la nostra degna riverentia, e anchora per pietà, e carità, et compassione delli poveri operanti in questa preciosa arte.

Io voleva sopra la presente parabola qualche espositione dimandare.

Quando in un subito si mosse un malissimo tempo con tuoni, e frequenti fulgori, che pareva volesse la terra aprirse; la onde preso di terrore volendo io fuggire, e retirarmi insieme col Conte in una picciola concavità del colle, per coprirsi noi dalla vehemente furia del maligna, e tempestuoso aere, e svegliandomi in un tratto, non solamente perdei la dolce conversatione del Conte, ma insieme qualche espositione sopra la parabola sua, laquale mi fu un stimulo di vedere molti trattati del divino magisterio della filosofale medicina, da i quali havendo fatto un breve estratto, delle cose più secrete, e notande, presto il darò in luce, sotto il nome della concordantia di Filosofi, insieme con la pratica figuratamente descritta, dove si vede tutti i gradi, e termini della pratica d'esso divino magisterio.

FINE

Trasmutazione Metallica Sogni Tre

Il Terzo Sogno

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Capitolo 19 - 26