L'argomento del Secondo Sogno vien compendiato dallo stesso autore in questi versi:

Qui non son Bozze, o registri di foto.

Lnnarie, gumme, ò dediti istromenti

Ma quella, che natura a poco a poco

Produce insieme co i quattro elementi,

Ella n'insegna, acciò ch'à tempo, à loco

L'huom di tanta bontà, goda e contenti:

Et a chi per trovar pone ogni cura,

I gran secreti mostra la natura.

Incomincia l'autore a narrare che ripensando sulla veridicità o meno del precedente sogno, s'addormenta nuovamente e gli pare di trovarsi in una verdeggiante e silenziosa valle ai piedi di un monte tutto selvoso.

Entrato in questa selva per uno strettissimo colle onde salire sulla cima del monte, dopo un breve cammino, perde il sentiero ed incomincia ad ascendere e discendere per scabrose ed incerte vie finquando si trova (per bontà divina) alla sommità del precipitoso monte dianzi da lui veduto, ove, fra certi densi mirti, vede un alto piedistallo di alabastro giacere su di una quadrata pietra e sul piedistallo una rotonda pietra di lapislazzuli con delle venette di oro che la intersecavano a cerchi.

Da quattro sentenze scritte sulle quattro faccie del piedistallo egli arguisce di esser nel paese delle umane azioni. Ma quivi incontra una mostruosa donna cavalcante un mostro dalla coda di serpe ed il corpo di testuggine, che cerca ferirlo con una freccia, ma egli si para dietro un albero fin quando il mostro si allontana seguito da una numerosa turba la cui insegna era: Vatia art vatiam hic situs est. Allora egli si convince che in questo mostro era raffigurata l'accidia e non si meraviglia che volendo egli proseguire l'incominciato viaggio nella regione del magisterio reale usuale (necessario all'uomo) gli si fosse parato dinanzi quell'ostacolo di fronte a cui rimangono paralizzati tanti e tanti.

Uscito dal nascondiglio per continuare il cammino incontra una Donzella che per poco gli sembra fosse quella falsa del primo sogno, ma che è altra invece, giacchè richiesta essa dell'esser suo così gli favella: «Peregrino, tu dei sapere ecc, che la tua Donzella, la quale perdesti nella folta turba è mia sorella per parte di padre.... e siamo (se non sai) tre sorelle, cioè due legittime et una naturale, le quali tutte quasi si assomigliano.Il padre nostro fu il «Discorso humano», il quale essendo ardentemente innamorato della «Esperientia», la prese e per forza la violò, dalla quale poi ne nacque la falsa Donzella chiamata per nome Sofistica, la quale per fare un'infinità di profferte, et attenderne pochissime, e quasi ninna, non si trova in suo pari. Io fui la seconda figliuola, nata di legittimo matrimonio a questo modo: Vedendo il Discorso padre mio haver generata una figliuola tanto fallace, un giorno disperato volendo eradicarla dal mondo, la volse uccidere; ma lei vitiosa avedutasi del fatto, fuggì insieme con sua madre. Questa poi si maritò nel Lunatico, et pazzo figliuolo della Avaritia, la quale possede molti Regni. Essendo quella fuggita dalle vendicatrici mani del padre, essa si maritò con l'arte reale della quale io fui concetta e mi chiamo Reale usuale. Mio padre maritommi con il Studio figliuolo della Fatica et mi donò in dote questo solenne paese. In oltre vedendo la Dea Minerva, che di me il mondo era soddisfatto et delle attentioni mie l'huomo a gloriar si cominciava, per questo l'Arte madre mia fu da essa Minerva rapita et da Giove fatta Semidea. Mio padre di novo (per voler de i Dei) si maritò con la Filosofia, dalla quale fu concetta la terza sorella nomata Reale Filosofica, la quale si maritò con il Sapiente, et questa è la tua tanto bramata Donzella, la quale perdesti nella folta turba et per ciò mossa da compassione, son da te venuta, acciò che non errasti la via et non ritornasti nelle mani della bugiarda mia sorella.......................................

La moltitudine della gente ti fece errare la felice porta, dove entrando ritroveresti quanto brami. La rustica e oscura porta doveva essere l'introito tuo, il quale se di nuovo ritrovar vorrai, tu puoi per tuo piacere trapassar questo mio lungo paese, et seguendo questo stretto colle sicuramente entrando in una felice via pervenirai a quella desiderata porta. Però seguita animosamente, perchè correndo vado incontro a quello che là di lungi vedi discendere al basso, acciò che dall'orido mostro non sia offeso».

E senza che l'autore avesse potato esprimere i suoi sensi di grazia la Donzella lo lasciò.

Prosegue egli quindi per lo stabilito viaggio e si trova dinanzi ad una alta fabbrica nel cui centro s'eleva un piedistallo cinque faccie di diaspro verde su cui è eretta una colonna di corallo con la base ed il capitello di corniola e su cui poggia; una perla in forma di Minerva, dea e inventrice delle arti.

Sopra ciascuna faccia del Piedistallo vi sono cinque figure di marmo rappresentanti i cinque pianeti: Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, come prigionieri attaccati a quella Colonna, sotto i cui piedi rispettivi si leggono delle scritte che, a giudizio dell'autore, pare vogliono significare la trasmutazione di essi pianeti.

Uscito da quel luogo e riposatosi sotto un arboscello vede prima sull'albero un uccello che canta melodiosamente a molteplici voci, poi sente un'altra sonora armonia di zampogna e s'accorge che sono Pan e Silvano che alternativamente danno alle Ninfe molta consolazione.

Levatosi ed avvicinatosi a quelle Deità ne riceve incoraggiamento di proseguire nel viaggio con pazienza e perseveranza e si commiata da essi per rimettersi in cammino. Giunse ad un fiume che attraversa in una navitella guidata da un vecchio nocchiero, denominato Tempo ed è sbarcato dinanzi un'oscura spelonca su cui vi è una nerissima pietra di paragone (per saggiare l'oro e l'argento) su cui si vede scolpito questo sentenzioso

detto: Hac itur ad artem, quae citra fortunae laborat opem! Mentr'egli è soffermato a considerare che «per quest'introito si passa alla divina arte, vede ritornare la navicella e sbarcare in mezzo a molte graziose Ninfe la Donzella detta Reale usuale che gli dice:

«Peregrino, se fortuna t'ha favorito per fino a questo solenne porto nel quale senza il tempo mai havereati possuto pervenire; dico anco che entrando in quella oscura entrata senza grida non saresti mai per uscire: Pericle cacciò tu conosca che da leale e veridica Donzella io procedo verso gl'ingredienti peregrini, di non lasciarti negli occorrenti pericoli senza qualche guida, son da te venuto con festinante camino e pigliare questa mia carissima Ninfa per tua scorta la quale mediante quest'ardente facella, sempre sarà tua compagna e maestra».

La Donzella riparte ed egli rimane estatico a contemplare la bellezza della Ninfa datagli per guida, fin quando questa lo scuote e lo invita a seguirlo nell'oscura caverna facendo luce con la face della cognizione in mano.

Appena fatti quaranta passi vede una tomba rotonda, nel cui mezzo si erge un alto piedistallo di pietra varia con sopra una piramide rotonda di bellissimo alabastro è sul piedistallo è scolpito questo detto: Sensus est singularium, scientia vero universalium.

E la Ninfa lo avverte dicendogli: «Ecco che hormai entreremo nella speculatione dei secreti di natura e vedrai sotto queste caverne cose da te non pensate».

Cammin facendo soffermasi a guardare in una grandissima rottura ove dall'alto stillavano gocce d'acqua pietrificate e divenute di svariati colori. E la Ninfa, richiestane in proposito, gli spiega la natura delle acque sotterranee. Poscia perviene vicino ad un'urna lustrale e la Ninfa lo intrattiene sulla composizione e colore dei metalli aggiungendogli che se ha desiderio di saper di deve leggere molti scrittori Greci e Latini, i nomi dei quali sono scolpiti in tre marmorei quadri ivi esistenti e che l'autore si affretta a trascrivere fin quando la Ninfa lo interrompe: «Peregrino, non più autori, perché la gran copia confonde il cervello, ma seguiamo più oltre!».

Entra infatti con la Ninfa in una lunga ed oscura spelonca, tendente verso la sommità del monte, ma come s'inoltra si accorge d'aver perduto la sua scorta che non vede e si trova solo all'aperto sulla sommità di un ameno colle, ove si riposa fra l'olezzo di svariati fiori ed il canto di svolazzanti uccelli.

FALSI ALCHIMISTI

Ripreso il cammino, gli accade di assistere a vari spettacoli raccapriccianti consistenti in cozioni di carni umane, mercè cui vengono raffigurate alcune operazioni di trasmutazione metallica, finchè, perduta definitivamente la Ninfa che aveva ritrovata, s'incontra di nuovo col Conte di Treves che così testualmente lo istruisce sulla trasmutazione:

«Per fraternal'amore chi mi vorrà credere, credendomi egli farà suo profitto, e chi non mi vorrà credere, se ne avedrà nelle sue operationi, e da se medesimo si castigerà, non volendosi per l'altrui essempio castigare. Non ti curare delli falsi Alchimisti, ne di quelli che su lor credeno, e non pratticare con loro: perchè tutto quello che potresti trovar di buono nelli libri, essi te disviarebbono, per loro affirmationi, solamente con dire se ben non sapessero altro che dire, io l'ho fatta, ella è così. Et io ti dico, che se tali non fugi mai non gustarai niente di buono: perchè quello che i libri narrano da un canto, essi levano dall'altro, per loro affirmationi, e sacramenti. Conciosia che in verità io stesso, quando hebbi questa scientia, avanti che l'havesse isperimentata, ò messa in opera, l'haveva avuta nei libri dieci anni avanti, ch'io la facesse. Ma come te dico, quando per forte questi ingannatori maledetti ladri degni delle forche, e abominevoli mi venivano à trovare, essi mi sviavano da lavorare nella buona openione, nella qual'i libri m'havean messo, facendo mille sacramenti, e giurando alcuna volta d'una cosa vera, dove io sapeva ben'il contrario ; perchè l'aveva già nella mia pazzia provato. Però non poteva mai venire à confirmare la mia opinione, fin'à tanto ch'io nò li lasciai totalmente, e mi diedi à studiar sempre de di in di, e di bene in meglio, sopra questa materia; perchè chi vuol'imparare deve pratticare con li savii, e non con ingannatori; che li savii, per li quali si può imparar senza i libri, sappi ch'essi la mettono in strani nomi, e parole oscure. E sappi che mai niun libro la dichiararà in parole vere, et aperte, se nò per parabole, ò per figure. Ma l'uomo dove vedere, e riveder, quanto più sovente sia possibile de la sentenza, e riguardar l'operationi che la natura drizza nelle sue opere. Onde io concludo, e credemi. Lascia le sofisticationi, e tutti quelli che li credeno: fugi le lor sublimationi, congiontioni, separationi, congelationi, distillationi, preparationi, concussioni, e altri inganni: e taciano coloro ch'affirmano altra tintura, che la nostra esser vera, ne vera, ne apparente, ne recar'alcun profitto: Et tacciano coloro, ch'affermano altro solfo che il nostro, il qual'è occulto nel ventre della magnesia; e che vogliono tirar'altro argento vivo che dal servitor rosso, e altra acqua permanente che la nostra, la qual'in niun modo si congiunge se non in sua natura, e non bagna, e non ha bisogno di cosa alcuna, che non sia di sua natura e unita di sua natura» ............................................

PRIMA MATERIA

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«Dicendo che li metalli non son'altra cosa, che argento vivo, coagulato per uno de gradi di decottione, per lungo tempo prodotti nelle vene della terra: Et nondimeno non son nostra medicina esistenti essi in forma metallica, perch'essi non sono anchora la nostra pietra, mentre restano in forma metallica: Perch'egli è impossibile, ch'una materia abbia due forme.

Come si dirà dunque ch'essi siano la pietra, ch'è una forma media, fra metalli e mercurio, se primieramente quella forma non gli è tolta, et ridotta nella sua prima materia? Et però dice Aristotile, e Democrito al libro della filosofia al terzo delli Metheori. Faccciano gli artisti come vogliono, essi non imiteranno mai la forma de metalli, se da essi non è fatta riduttione nella sua prima materia ....................................

Per haver intelligentia adunque di questa materia, bisogna saper prima, che Dio fece nel principio una materia confusa, e disordinata, che si nominò Chaos: La quale vi fu ripiena per volontà di Dio di molte materie: e di questa egli cavò i'quattro elementi; de i quali egli fece bestie, e creature diverse, mescolandoli: ma alcune creature fece egli intellettive, alcune altre sensitive, e altre vegetative, e altre minerali. Le intellettive sono create de'quattro elementi. Le sensitive sono ancora mediante i quattro elementi: ma il fuoco e l'aria vi sono di maggior dominio che gli altri: Il fuoco però vi è abbassato; percioche l'aria è così figurata in essa cosa come lui: come sono le bestie, i cavalli, gli asini, cani, uccelli, e tutte le altre sensitive bestie. Le altre creature vegetative sono create de'quattro elemeti, le quali crescano, et saugmentano, e hanno vita, ma non hanno sensi, ne intelletto: e queste son composte dell'aria, e dell'acqua che vi han dominio: ma già l'aria vi è abbassata della sua dignità per l'acqua: per una sutile sostanza terrestre vaporosa. Doppò i minerali, che son creati di terra, e d'acqua. la dignità dell'acqua è più terrestre che acquatica: Et in questi minerali sono diverse forme, e mai non si puon multiplicar, se non per riduttione alla prima sua materia. L'altre creature antedette hanno le lor semenze nelle quali è tutta la virtù mutiplicativa, e tutta la perfettion finale della cosa composta: Ma la materia metallica si fa di solo mercurio freddo e humido crudo: e come ho detto tutte le cose si fanno de'i quattro elementi: Così nel mercurio ch'è nelle vene della terra, sono i quattro elementi, cioè freddo, humido, caldo, e secco: Ma i doi, cioè freddo, e humido vi dominano, e il caldo, e secco son soggiogati e dominati. Così quando per il calore del movimento celeste, il calor penetra per tutto intorno alla terra, delle dette vene; il calor continuo del detto movimento celeste, è tanto poco ch'è impercettibile; ma però continuo, cioè che sebben è notte esso calor naturale non resta per questo d'esservi: Perchè questo calore non vien dal Sole, come vogliono dire alcuni pazzi: Ma egli viene dalla reflessione della sphera del fuoco, che circonda l'aria: e così dal movimento de'corpi celesti, si genera il calor continuo, tanto lento, ch'appena si può solamente immaginare, ò intendere; Che se il Sole fusse causa del calor minerale come dice Raimundo Lullo, Aristotile, e altri vi sarebbe sempre calor continuo, parche la terra è circondata dal Sole continuamente: Ma questa opinione è contraria, però dicano Aristotile, e Raimundo, ciò che vogliono; perchè il Sole non è ne freddo, ne caldo, ma il suo movimento è continuamente caldo».

MERCURIO

«Adunque quel calore menato da i movimenti de'corpi celesti và continuamente alle vene della terra: non già ch'egli scaldi, come si persuadono alcuni pazzi, dicendo che la miniera è calda, perchè se fosse calda di qualunque minimo calore attivo, qual vi fusse continuo, essa non metteria dieci anni à cuocere il mercurio alla perfettion del Sole; al quale effetto essa mette più di mille anni, com'è manifesto, perchè la terra è fredda, e secca, e le minere stanno nel centro della terra. Bisognaria dunque dire, che avanti che il calor del Sole passasse alle minere, ch'esse sentessero realmente il calor del Sole, quantunque picciola ch'egli fosse, e che noi i quali siamo sopra la terra morissimo di caldo Perilchè saria necessario che noi sentissemo quel caldo avanti ch'egli passasse l'aria, e la terra fin'à i luoghi minerali: ilche saria tanto ardente, e si eccessivo che la natura umana nol potria tollerare. E s'egli non fusse molto vehemente, la fragidità, dell'acqua, e la spessezza, e, grossezza della terra lo ammorzariano: E così niuna bestia, ò creatura potrebbe vivere sopra la terra, se fasse vero questo che dicono. Ma vedi come il mercurio è composto naturalmente di quattro elementi, il quale quando gli elementi si muoveno, e si scaldano, il mercurio fa questa motione per natural calore; e così il fuoco, ch'è nel mercurio, e l'aere si moveno, e si levano à poco à poco, perchè essi sono più degni elementi, che non è l'acqua e la terra del mercurio; nondimeno la fragidità, e l'humidità ha il dominio; percioche il calore, e la siccità sono più degni elementi, e vogliono vincere gli altri doi, cioè il freddo, e l'humido che dominan nel mercurio: per questo al natural movimento de'corpi celesti si muoveno ancora i quattro elementi del mercurio, cioè le quattro qualità.

Bisogna sapere che quando i quattro elementi si moveno, scaldano il mercurio: quali dominano à tal modo e per lungo tempo. Et prima la siccità del mercurio pretende vincer un grado della sua humidità, e lo fa piombo, doppò essa ne vince ancora un'altro grado et lo fa stagno. Onde poi il calor del mercurio comincia à consumar un'altro grado d'humidità, et di fragidità, et lo fa argento: Così le due qualità del mercurio, le quali avanti solevano star sottoposte per il freddo, et humido, adesso consumano, et sottometteno l'altre due in modo che il detto caldo, et la siccità dominano: e queste due qualità che prima soccombevano cio è caldo, e secco umido cominciano a mostrarsi, cioè il solfo, però dominano la frigidità, e humidità d'esso mercurio, e resta superiori il caldo, e secco ch'è il solfo del mercurio. Così bisogna intendere, cioè che il solfo non è una cosa separata, o divisa dall'argento vivo, ma solamente è quel calor, e siccità, che non domina ancora alla frigidità, et humidità del mercurio, il quale doppò domina, e digerisce l'altre due qualità, cioè la frigidità e humidità, e vi imprime della sua virtù, e per questi diversi gradi delle decottioni, si fanno le diversità de'metalli, il che per isperienza riguarda al piombo, egli è volatile per lungo fuoco continuo, perchè le due qualità, cioè il freddo, e l'humido del mercurio, non sono ancora state alterate per il caldo, e secco: e il caldo e secco non vi dominano ancora per modo alcuno, che sessi vi dominassero, non se ne fuggirebbe à patto alcuno di sopra al fuoco quantunque grandissime, il che il mercurio sarebbe perfetto fuoco, così bene com'è esso fuoco: e non lo fuggirebbe, ma vi si goderebbe dentro come nel suo simile: e tutti gli altri metalli lo fuggono (eccetto il Sole) perché sono anche freddi, e umidi, tenendo l'uno più, meno che l'altro della frigidità, e humidità. Adunque essi fuggono il lor contrario, il quale non puossono sofferire, dilche ne volano: perchè ogni cosa fugge il suo contrario, e si gode nel suo simile».

SOLFO

«Onde seguita che il Sole non è altro che puro fuoco nel mercurio, perde mai non se ne fugge dal fuoco, sia quanto grande si voglia, e tutti gli altri metalli non lo ponno sopportare, e uno più, e l'altro manco, secondo ch'essi son più propinqui alla complessione del fuoco; d'onde si può comprender la complessione de i metalli, e lor minere, perchè il solfo non à altra cosa che puro fuoco, cioè caldo e secco occultato nel mercurio, il quale per lungo tempo nelle minere per il natural movimento dei corpi celesti si muove, e opera sopra gli altri corpi, cioè freddo, e humido del mercurio, e li digerisce secondo i gradi dell'alterationi in diverse forme metalliche. Delle quali la prima è piombo, e la manco calida negra: o la seconda è stagno, la terza argento, la quarta rame, la quinta ferro, e la sesta oro, il qual è nella sua perfettione di tutta la natura metallica, e è puro fuoco digesto per il solfo, ch'è nel mercurio.

Tu hai veduto chiaramente che il solfo non è una cosa separata dalla sostanza del mercurio, e non è solfo volgare, perchè s'egli fusse solfo volgare, io vorrei dire che la materia de'metalli nò sarebbe d'una materia homogenea. Il che è contro i detti di tutti i filosofi. Ma i tilosofi hanno chiamato questo, solfo, percioche questa qualità, domina in una cosa infiammata, come solfo caldo e secco, e per questa similitudine 1'han chiamato solfo, non che sia solfo volgare, come alcuni goffi si persuadeno. Così tu vedi chiaramente che la forma metallica, non è creata altrimenti che per natura, e ch'è di pura sostanza mercuriale, e non estranea. Et questo dice Geber apertamente nella summa, così. Nel profundo della natura del mercurio, è il solfo, ò sia fuoco che lo cuoce, e lo fa perfetto per lungo spacio di tempo, nelle vene delle minere della terra. Lo dice anche Moriene, e Aros à questo modo. Nostro solfo, non è solfo volgare, ma è fisso, e non vola punto, e non abbrucia, e è di natura mercuriale, e non d'altra cosa; però dicono essi: Facciamo noi come la natura, perchè la natura non ha nella, minera altra materia per operare, se non pura forma mercuriale: perché nel detto mercurio è il solfo fisso, e incombustibile, il quale compisce la nostra opera senza ricercarvi altra sustanza, che pura sustanza mercuriale. Medesimamente dice Calid, e Beudegid, e Maria profetessa chiaramente così, la natura fa i metalli in puro calor e siccità superar il freddo e humido del mercurio alterandoli: non che altra sostanza li supplisca, e li conduca à perfettione. Questo appar chiaramente per tutti i filosofi che saria lungo à raccontarli. In oltre alcuni sciocchi vi sono che si persuadono che nella procreazione di metalli vi sia una materia sulfurea, estranea: ma i filosofi dicono tutti chiaramente, che dentro il mercurio quando la natura opera, vi è solfo rinchiuso, ma egli non domina, salvo che per il movimento calido, il detto solfo altera li duoi altri elementi del mercurio: e la natura, per esso solfo, nelle vene della terra, fa secondo li gradi dell'alterationi, diverse forme di metalli. Così parimenti noi imitando la natura, non mettiamo cose istranee nella nostra materia, ma nel profondo del nostro argento vivo, è il suo solfo fisso incombustibile, e mercurioso, il quale però non domina ancora. Perchè l'umidità, e frigidità del mercurio volatile, li domina, per continua attione del calore, ch'è sopra esso; così l'argento vivo nostro perseverando il fisso, ch'è mescolato per tutto il mercurio volatile, domina e vince la frigidità, e humidità del mercurio. Et il calore e siccità del fisso che sono queste qualità, comincian'à dominare: Et secondo i gradi di questa alteratione del mercurio per il suo solfo, si fanno diversi colori metallici, ne più ne meno, che la natura fa nelle minere».

I COLORI

«A prima alteratione è nigredine saturnale: la seconda è bianchezza gioviale: la terza Lunare: la quarta è Venerea: la quinta Martiale: la sesta Solare: e per la settima noi mettiamo un grado con nostra arte, più perfetto, che la natura non l'ha fatto in perfettion metallica, in modo che la facciamo un grado nella perfettion metallica più perfetta, in rossezza sanguinea, eccellentissimo. E così essendo più perfetto che la natura, non l'haveria saputo fare, esso può far perfetti gli altri. Et s'egli non fosse perfetto se non in quel grado che la natura fa perfetto, à che mi servirebbe pigliar la fatica di questo tempo di nove mesi e mezzo '1 Perchè noi pigliaressimo essi bene quel corpo come la natura l'ha creato. Ma come per avanti ho dimostrato, bisogna che il corpo masclino sia più che perfetto, per l'arte, che imita la natura. Et così per la sua grande, e alta perfettione esso potrà far perfetti gli altri imperfetti, per la sua abondante, e piena radiatione, in peso, in colore, in suono, e in sustantia, nella sua radice de i principii minerali. Però saria simplicità, à pensar di perficer quello che cerchiamo far perfetto, per altre cose estranee, dove non è ponto di commistione in sua radice, come dice la Turba. Dove la verità è remota da tutta la falsità, là bisogna tenirsi; e anco dice Aristeo filosofo, che fu governator per quindici anni di tutto il mondo per la sua grande scientia, e intelligentia, il quale era Grego, e fu ragunator de i discepoli di Pitagora, il qual Pitagora come si legge nelle Croniche di Salomone, fu uno de'più savii dopo Hermete; Et si legge che mai non fu trovato mendace, perd egli si chiama in alcuni libri d'Astrologia il veridico Pitagora. Quest'Aristeo dice nella Turba de' Filosofi, che la natura non s'emenda, se non in sua propria natura. Come adunque si vuol emendar la materia, se non nella sua propria natura ? Riguarda ancora quello che Parmenide parla, perchè io dico in veritià, che egli fu il primo, che mi cavò de'miei errori, e false operationi, dicendo che la natura metallica non si emenda se non nella sua natura metallica, e non in altra cosa, sia qual si voglia. Et per la nostra arte noi assolveremmo in nove, over in dieci mesi quello in che la natura metterà mille anni: perchè prima il calor naturale nelle viscere della terra è quasi niente; perchè se il calor vi fosse egli si faria presto: ma nella nostra opera noi habbiamo calor duplice, cioè del solfo interiore, e del fuoco esteriore, aiutante l'uno all'altro».

IL FUOCO

«Non già come dice Costantino, e Empedocles; che il fuoco sia de la sustanza della materia ch'augmenti l'opera, perchè ne seguirebbe che la materia pesarebbe de di in di più, il che è una cosa piena d'errore.

Inoltre io ti dico che il fuoco è tutta l'arte, della quale si serve la natura, Perilchè noi non gli possiamo, ne sappiamo far'altra cosa. Et però saria che il fuoco, et freddo non altera, ne l'uno ne l'altro, et così il fuoco grande l'impedisce d'aver movimento l'un con l'altro, e fa che non si mescolino l'un con l'altro. Ma faciasi fuoco vaporoso, digestivo, continuo, non violento, suttile, circondante, aeroso, chiuso, chiaro, non comburrente, e alterante, ma penetrante, e unico: Et in verità questo che ho detto è tutta la maniera, e modo del fuoco. Ricapitula bene, essamina bene queste cose,à parola per parola, e vederai che questo medesimo appare per tutti i detti della Turba de filosofi. Et à questo proposito vedi, che ciò dice il grande Rosario. Guardati di non far la nostra solutione avanti il tempo debito, perchè questa festinatione saria causa di privatione della congiontione: Però dice egli, sia fatto il vostro fuoco perseverante, e dolce in grado della natura, e amicabile al corpo, e digerente, dessiccante, e escludente la frigidità. Anche à questo proposito dice Maria la profetessa. Il fuoco forte, impedisce di far la congiontione, ma dopoi la congiontione il fuoco forte tinge il bianco in rossezza di papavero campestre, e di zaffrano, il che tu puoi imaginare da te medesimo il modo, come io stesso l'ho fatto. E più ti dico, ch'io l'ho messo in calore del fimo, e non valeva nulla, in fuoco di carboni senza misura, e la mia materia si sublimava, et non si dissolveva niente, ma col fuoco; com'io l'ho detto; vaporoso, digerente, continuo, non violente, suttile, circondante, aeroso, chiaro, chiuso, non comburente, alterante, penetrante, e unico, tu ridurrai à perfettione la materia. E se tu farai huomo tale quale dei essere, e vero figliuolo della sapientia, e studioso, tu intenderai per queste parole quale deve esser'il fuoco. E medesimamente riguarda la Turba de filosofi senza alcuna invidia, l'esperientia artificiale ti mostrarà quale deggia esser'il fuoco. Guarda ancora quel che dice il luminare d'Aristotile. Il mercurio si deve cuocere in triplice vaso filosofale. et questi si fa per far evaporare, et convertire l'attività, della Riccio, del fuoco, nell'humidità vaporosa dell'aere corrumpente e circondante la materia. Vedi al proposito quello dice Geber, e Seneca affermando che il gran fuoco non digerisce la nostra materia, ma il suo calor alterante, e buono, il qual'è stuffato, e secco, per arte fatto hmnido: e di questo ho voluto parlar'un poco, perchè è il fuoco che la fa perfetta, e che la distrugge: come dice Aros, e Calid: In tutta la nostra operatione il mercurio nostro, e il fuoco ti bastano al mezzo, e al tine, ma nel principio non è così, perchè questo non è ancora il nostro mercurio, il che è buono da intendere».

IL PESO

«Dice anchè Moriene: Sapiate che il nostro metallo è rosso, ma non non ne habbiamo niuna utilità, fin ch'egli non sia fatto bianco. Et sappi che l'acqua tepida lo penetra, e imbianca, com'essa è bianca, e il fuoco humido, e vaporoso fa il tutto. Vedi anche quel che dicono Bendegid, e Giovanni di Meum, e anco Ali: Così voi che tutte le notti, e giorni cercate, spendeti la vostra pecunia, consumate i vostri beni, perdete il vostro tempo, vi rompete i vostri cervelli, e studiate in tanta suttilità de libri. Io vi faccio sapere, e vi notifico in carità, et pietà come fa il padre al suo unico figliuolo, ch'imbiancate il lathon rosso per l'acqua bianca riscaldata, e tepida, e tanto l'imbiancate, e scaldate, e intepidite fin che il bianco si rubifichi: e poi rompete, e stracciate tutti i vostri libri, tanti regimini, tante sottigliezze, e credi à me, altrimente facendo non ti sarà se non rompimento di cervello, perchè tutti al fine si riducano à questo che ti dico.

Se tu voi anche sapere (che questa parola è una delle miglior parole che sono state dette) guarda il Codice della verità. Biancheggiante il rosso, poi rosseggiante il bianco, che questa è tutta l'arte, il principio e il fine. Et io ti dico, che se tu non sarai negro prima, tu non potrai biancheggiare, perchè il principio dell'imbiancar'è far negro, qual'è segno vero di putrefattione, d'alteratione, che il corpo è penetrato, e mortificato, e al mio proposito dice Moriene il savio Filosofo Romano. S'egli non è putrefatto, e nero, egli non si dissolverà, e s'egli non è dissoluto, la sua acqua non lo puà per tutto penetrare, ne imbiancare; Perchè vi è bisogno prima di mistione, avanti che vi sia unione, e ci bisogna alteratione, avanti che vi sia mistione, e vi bisogna corruttione, avanti che vi sia generatione, e così per questi gradi la nostra materia è fatta all'essempio della natura in tutto e per tutto, senza altro, ne più, ne manco, come tu puoi veder, e intendere le mie parole. Ma perchè alcuni potriamo parlar del peso della nostra materia, e ancho come la natura piglia esso peso: Io ti rispondo, che nelli luoghi delle minere non vi è peso alcuno, come io ti dico; perchè all'hora si ricercaria il peso, quando vi fossero due cose, ò più, ma quando vi è una cosa sola, e una sola sostanza non bisogna guardar al peso; ma il peso è per rispetto del solfo, che è nel mercurio perchè com'io ho detto l'elemento del fuoco: che non domina nel mercurio crudo; è quello che digerisce la materia, e però che è buon Filosofo, esso va bene quanto l'elemento del fuoco, è più suttile che gli altri elementi, e quanto esso può vincere in ciascuna compositione delli tre altri elementi, e così il peso è nella compositione primaria elementare del mercurio, e in niun'altra cosa».

LA PIETRA FILOSOFALE

«Però quello che vuole assimigliare la natura in tutte e per tutte l'opere, deve proportionare il suo peso ad esso elemento della natura, e non altrimente, e a quello proposito vedi quello che dice il Codice della verità, che se vuoi fare compositione senza peso, la tua operatione sarà tarda, e ti farà perder l'animo, se tu non lo saperai, anche a questo proposito dice Ambigascar che fu maestro di Platone e Abagazel in questa scienza. La potenza terrena sopra 'l suo restistente, secondo la resistenza è differentiata dall'attione dell'agente, in questa materia resistente. Le quali parole sono parole vere, e rfiantate per il fondamento del peso ; e mi ricordo che altre volte io l'ho ben ponderate, onde chi non è letterato non l'intenderà, così presto; ma se tu non sei letterato fatele esponer per un sapiente, e discreto. Io medesimo te l'esponerei, senza che tu andassi per le mani d'altri, ma io ho promesso, e fatto noto à Dio, e alla ragione, e alli Filosofi, che mai per me in parole chiare, ò volgari non sarà messo il peso, ne la materia, ne i colori se non per parabole, e parole paraboliche; le quali tu havrai presto. E ti dico bene che queste parabole son tutte vere, senza diminutiò alcuna, né superfluità seguitando 'l costume delli savii.

Tu hai inteso con che via hai trovata quest'opera, e ti dico che l'ho fatta quattro volte questa benedetta pietra. Pero non creder alla moltitudine de gl'ingannatori, perch'io ho speso con gli ingannatori tutto 'l mio bere: i quali m'han fatto spender nove mina scuti. Per il che nò creder à tanti sofisticatori, i quali si persuadeno di far la nobil pietra, come di sangue, d'urina, di uova, di capilli, di cervelli d'homo, e di molt'altre infinite cose, perchè io te ne aviso. Ti dico anchora, ch'io l'ho havvuta doppo 'l principio fin'al fine, e àvevo ben settantaquattr'anni avanti ch'io la sapesse, et haveva cominciato quando haveva diciasette anni solamente. Ma s'io havesse letti i libri buoni, che doppoi ho havuti, io nò vi havrei messo tanto; ma io non tardava per altro, che per mancamento di libri buoni, perch'io non non leggeva se non ricette e libri falsi, e non conversava se non con genti false, ladre, e ignoranti, e maledetti da Dio, e da tutta la filosofia. Ma doppo'ch'io ho havuta questa scientia, io ho pratticato con quindeci persone che la sapevano veramente. E fra gli altri, v'era un Barbaro il quale quando noi ne parlavamo insieme, però io l'havea havuta già duoi anni ; ma non l'haveva anchor fatta, e quando per ventura mi scappava una parola nel disputare, che scopriva eh'io non l'havea fatta, questo Barbaro all'hora mi voleva sviare o disturbare; ma io la sapeva così bene, come lui; e noi ne disputavamo come da fratello, a fratello, e la più gran cosa di che noi parlavamo era di celar questa scieza preciosa. Perilchè come dico, lappò ch'io l'ho saputa, ho avuta assai prattica con quelli che la sapevano per avanti ch'io l'havesse fatta, e parlavamo chiaramente; ma quanto al fuoco, e maniera di quello, essi eran diversi l'un da l'altro; ben che il fine fosse tutto una cosa: come dice la turba di Filosofi. Fate che il Fasano non se ne voli più tosto di quello che lo seguita, Perilchè il fuoco si fa in molti modi, come l'homo vuole, e chi l'ha fatto, così l'ha veduto, Onde conchiudo adesso; et intendemi; che la nostra opera è fatta d'una radice, e di due sostanze mercuriali, prese tutte due crude, tirate dalla minera nette, e pure, e congionte per fuoco administrato, come la materia lo richiede, cotte continuamete fin a tànto che due si faccino una. Ed in quest'ultima, quando esse si son mescolate, il corpo è fatto spirito, e lo spirito s'è fatto corpo».

MOLTIPLICAZIONE

«Adunque; da vigor'al tuo fuoco, fina tanto che il fisso tinga il suo corpo non fisso, nel suo colore, e nella sua natura: E sappi che quando egli si è ben mescolato esso supera tutto, e riduce tutto a lui, et alla sua virtù, e dapoi egli tinge e vince, mille volte mille, e dieci volte centomillia, onde chi l'ha veduto lo crede. E così si multiplica in virtu e in qualità come il venerabile, e veridico Pitagora, e Ismidrio, e il Codice di tutta la verità ne parla eccellentissimamente, e sappi che mai in niun libro, io ho trovata la multiplicatione se non in questi sette libri cioè nel gran Rosario, nelle Pandette, di Maria profetessa, nel Veridico, e nel testamento di Pitagora, nella benedetta turba, in Moriene, in Avicenna, e in Klenbugasal che fu fratello di Bendegid, e di Iesis, che era della Citta di Costantinopoii; Et s'in altri libri ella vi era, mai non l'ho saputo comprendere.

Anchora io ho veduto un della Marca d'Anchona, il qual sapeva benissimo la pietra; ma della moltiplication non sapeva nulla. Egli mi seguitò per sei anni; ma egli non la seppe mai per me, perch'egli haveva così bene i libri come io.

Io t'ho parlato di tutta la speculativa, e t'ho informato de i principii minerali, e hotti instrutto delle ragioni necessarie, per le quali tu puoi elevar l'intelletto tuo, e conoscere le falsità appresso alla verità, essere informato e sicuro in questa opera.

Hora io ti voglio particolarmente mostrar la prattica in una bellissima (quantunque oscura) parabola in che modo io l'ho fatta, e composta quattro volte: o ti dico bene che chiùq; haverà il presente discorso esso sarà, ò doverà esser fuori di tutte le angustie e doveri sapere la verità compita senza alcuna diminutione; Perchè in verità del mio creator Dio, io non ti saprei più chiaramente parlare, s'io non te lo mostrasse effettualmente, ma la ragion no 'l vuole: Perchè tu istesso quando lo saperai io ti dico da vero, che tu lo tenerai occulto, anchora più che non faccio io: o che tu sarai in sdegno di ciò ch'io ho parlato così apertamente. Ma la voluntà di Dio è così come dice la Turba de Filosofi in tutto e per tutto. Però non pigliarai di me admiratione alcuna. Et disponiamosi passar oltre questo passo che di là ti esplicarò il tutto».

Ma accingendosi l'autore a dar questo passo periglioso, non si regge, e per poco non cade giù per il monte, per cui pieno di spavento si sveglia dal lungo e fantastico sogno.

Trasmutazione Metallica Sogni Tre

Introduzione Primo Sogno Secondo Sogno Terzo Sogno