L’accostamento della Massoneria alla Teurgia sembra un controsenso, e spingerebbe ad approfondire più

le ragioni dell’apparente controsenso, che quelle di un confronto anche semplicemente dialettico.

Come è possibile infatti la coniugazione di due termini, che indicano due attività operative basate su

principi speculativi dello spirito umano che appaiono contrapposti e forse antitetici, l’uno basandosi su

una ricerca progressiva della verità, che è prima di tutto esercizio della ragione - la ragione pratica che

approda poi a principi universali concreti, a volte finendo per riconoscere solo sé stessa - l’altro basandosi

sulla possibilità di stabilire un contatto con un mondo occulto, superiore all’uomo, con il quale l’uomo

stesso interagisce, in uno - stato illuminativo o trascendentale del suo essere, aprendosi una finestra -

per così dire - sull’infinito e sul divino?

Il  lavoro che presentiamo ai nostri Ospiti è opera d'ingegno dell'amatissimo e carissimo F... Amedeo De Giovanni, passato all'Oriente Eterno nell'anno di Vera Luce 5999. 

Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non riflette di necessità  la visione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto. 

© Amedeo De Giovanni

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L’accostamento della Massoneria alla Teurgia sembra un controsenso, e spingerebbe ad approfondire più le ragioni dell’apparente controsenso, che quelle di un confronto anche semplicemente dialettico.

Come è possibile infatti la coniugazione di due termini, che indicano due attività operative basate su principi speculativi dello spirito umano che appaiono contrapposti e forse antitetici, l’uno basandosi su una ricerca progressiva della verità, che è prima di tutto esercizio della ragione - la ragione pratica che approda poi a principi universali concreti, a volte finendo per riconoscere solo sé stessa - l’altro basandosi sulla possibilità di stabilire un contatto con un mondo occulto, superiore all’uomo, con il quale l’uomo stesso interagisce, in uno - stato illuminativo o trascendentale del suo essere, aprendosi una finestra - per così dire - sull’infinito e sul divino?

Nella definizione - piuttosto ardua, come sappiamo - di “massoneria”, l’esoterismo e il metodo simbolico del suo insegnamento sembrano rivolti fondamentalmente, sin dall’origine dell’Istituzione moderna, verso la costruzione di un uomo “etico” in senso assoluto e “libero” in senso assoluto, libero anche verso sé stesso e i propri convincimenti, se così si può dire.

Questa libertà completa e totale - da ogni dogmatismo, da ogni fideismo, ma anche da ogni innamoramento ideologico, che possa comunque spingere l’uomo a una scelta di parte, all’immersione nel particolare, ed anche ad una contrapposizione di principio tra una ragione e un torto -, è una forma essenziale di anarchia dello spirito, che non è tuttavia qualunquismo intellettuale, ma distacco ragionato e coerente dal contingente, essenziale per il riconoscimento e il rispetto della sostanziale dignità delle idee di ciascun appartenente al consorzio umano, e pertanto è anche condizione essenziale per l’eticità dell’iniziato, costituisce nello stesso tempo la radice della sua tolleranza e la ragione della solidarietà.

Perciò, la nostra definizione del profano che bussa alla porta del tempio, è quella di un uomo libero (nel senso “assoluto” che dicevamo prima) e di buoni costumi (cioè “etico”), un profano che, in una parola, è già “massone”, per cui l’iniziazione altro non è che un riconoscimento. Il lavoro successivo che quest’uomo, ormai iniziato, è chiamato a compiere non sembra quindi altro che il perfezionamento e la conferma della sua libertà e della sua eticità, in una sintesi della personalità iniziatica che si esprime nella conclusione e nello scopo del lavoro libero­muratorio: elevare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio, lavorare al bene e al progresso dell’umanità.

La “teurgia” invece, che si definisce come un “richiamo del divino”, a certi fini, evoca aspetti più complessi della realtà che ci circonda e della personalità umana in essa, aspetti che sembrano legati ad astrazioni e convinzioni quasi visionarie e metalogiche, se non illogiche, comunque lontane dalla operatività pratica del massone, che dovrebbe privilegiare la ragione e non la considerazione e la penetrazione di un occulto non definibile e non accertabile razionalmente.

Ragionando sulla linea, di Popper, la “massoneria” potrebbe essere scientifica, pur essendo teoretica, come la filosofia, la “teurgia” certamente no, appartenendo alle cose non verificabili sperimentalmente o, come lui dice, falsificabili scientificamente.

Se io affermo che il diavolo esiste e che l’ho visto - diceva Popper - chi può darmi torto, dimostrandomi sperimentalmente, cioè scientificamente, il contrario?

L’opera teurgica infatti è indimostrabile, ma lo è come la stessa profondità dell’anima umana - dobbiamo dire -. Essa è sostanzialmente l’evocazione di forze, di energie superiori (il “divino”, per intenderci) di cui si postula l’esistenza nel creato, atte ad influire su uomini e situazioni, per metterli in consonanza e addirittura in comunione con il “divino” stesso: l’uomo in grado di far ciò è un ponte tra il conoscibile e l’inconoscibile, è un sacerdote o un mago - cercheremo poi di spiegare in che senso -, che ha il potere di operare su entità che possiamo definire “divine”, rendendole presenti e costringendole - quasi - a collaborare con lui.

Come può essere possibile ricomprendere dunque nella “massoneria” una tale qualità, che appare lontana anni luce dalla “ragion pratica” massonica?

Eppure, la storia stessa della “massoneria”, nelle sue nebulose origini e, successivamente, nelle diverse speculazioni e negli approfondimenti della sua ricerca e del suo lavoro, si presenta come una necessaria confluenza magmatica di tutte le tradizioni esoteriche, di tutte le loro esperienze operative e di tutti i pensieri espressi dall’uomo in tema di rapporti, come diceva il massone e teurgo Louis-Claude de Saint-Martin, allievo dell’altro massone e teurgo Martìnez de Pasqually, tra Dio, l’Uomo e l’Universo.

Proprio questo, in definitiva, è il fascino della “massoneria”, che l’allontana dalle specificazioni politiche e religiose, filosofiche e scientifiche, nell’accezione comune di questi termini, e la caratterizza come “universale”.

Nella sua universalità essa non può che ricomprendere il noto e l’ignoto della natura umana, essendo proprio l’uomo il soggetto e l’oggetto della sua scienza, e facendo parte proprio l’uomo dell’essenza nota e ignota della vita.

Oggi, come sappiamo, - grande conquista della scienza fisica -, si è potuti arrivare a conoscere e quantificare tutti gli elementi che compongono il genoma umano, la cosiddetta mappa genetica, che specifica la funzione e la quantità di tutte le componenti della nostra struttura materiale, potremo compiere miracoli sul nostro corpo con le biotecnologie allo studio e con la prevista clonazione delle nostre cellule, ma il progressivo diradarsi delle tenebre su questo nostro corpo, mentre ci aiuta nella conoscenza intrinseca della nostra natura, non ci risolve naturalmente l’antico quesito fondamentale che ci riguarda.

Plotino, su cui torneremo, diceva che “l’anima non è quantità” (ENNEADI IV, 7, 5), perché se l’anima fosse corpo, cioè quantità, essa diminuirebbe o aumenterebbe e non sarebbe sempre la stessa, identica, a dispetto delle diminuzioni, menomazioni o dei cambiamenti del corpo. La scoperta del genoma e l’avvio dell’ingegneria genetica è dunque certamente importante, perché tutta la natura è importante e la sua conoscenza è fondamentale nella nostra ricerca, come insegnano i rosacrociani, ma è pur sempre la scoperta e il lavoro sulla nostra quantità. sul nostro aspetto fisico, forse anche sulla nostra qualità esteriore, come se noi ci vedessimo per la prima volta riflessi in uno specchio o nell’acqua: finalmente vediamo la nostra fisionomia, come siamo fatti, e possiamo persino prolungare la nostra vita e migliorare il nostro aspetto, ma continuiamo a non sapere chi siamo, perché siamo e dove andiamo, e - per inciso - guai ad innamorarci della nostra immagine, come Narciso! Il problema del progresso e della conoscenza scientifica, in certi toni trionfalistici, può essere come l’innamoramento di Narciso, il cui insegnamento morale non va dimenticato. La “massoneria” anche su questo svolge, da sempre, il suo lavoro.

La vera mappa genetica dunque, che la tradizione iniziatica e la “massoneria”, che ne è l’espressione moderna, ricercano da sempre, è quella che comprende tutto, quel tutto di cui noi siamo sempre una parte, anche se la più elevata, cosciente e razionale. Ed anche questo è il nostro problema.

Su tale argomento purtroppo non vale la “ragione sufficiente” di cui Leibniz ci ha dato una giusta definizione: la ragione sufficiente perché il genoma umano sia così e non in altro modo resta sempre un mistero e continua ad essere lo scopo fondamentale di ogni ricerca, e di quella massonica in modo particolare.

Ecco dunque che nella massoneria hanno diritto di cittadinanza tutte le esperienze storiche e tutta la successione di tentativi umani, speculativi e operativi, per arrivare all’anima occulta delle cose, che comprende la manifestazione di cui facciamo parte, ma anche quello che era prima e che può darsi sarà dopo la manifestazione.

In altri termini, il nostro gnosce te ipsum non può che andare oltre la vita, sempre limitata, di ogni essere materiale - se così non fosse ci basterebbe l’attuale mappatura del genoma, per conoscerci -, deve superare l’arco temporale della vita e della morte, per andare a vedere se la nostra realtà era già presente nello spirito creativo del padre e nello spirito formativo della madre, se la nostra realtà è “divina”, per quello che noi possiamo intendere con questo termine, che individua comunque la causa vera, preesistente e al di fuori di ogni creazione e di ogni forma.

Ora, la teurgia è anche sperimentazione appunto del “divino” - di quanto è fuori della manifestazione e causa della manifestazione stessa -, ma come si può sperimentare il divino?

Solo mettendosi sul suo stesso piano, dunque con la più alta operazione possibile, per un uomo.

Giàmblico, nel III - IV secolo dopo Cristo, e Proclo, nel V secolo, ritenevano perciò la teurgia non solo un’opera strettamente necessaria al pieno possesso della conoscenza, che per loro era quella della filosofia neoplatonica o plotiniana, ma lo stesso coronamento della conoscenza, che comprende la saggezza creatrice e l’intelligenza delle idee e delle forme.

Non a caso abbiamo usato termini (coronamento, ‘saggezza, intelligenza) che successivamente saranno esaltati dalla speculazione cabalistica come triade suprema dell’emanazione divina, nell’albero sephirotico, e già da questo vediamo come la teurgia - che scaturisce da quel raggiungimento - si inserisce quasi naturalmente nella tradizione iniziatica da cui proveniamo.

Ma in effetti cos’è allora la teurgia, che si afferma e si sviluppa con il neoplatonismo e con l’ermetismo, che è presente nei misteri della religione, che costituisce l’aspetto pratico della Qabalah ebraica, che è richiamata nell’operatività esoterica, pur avendo le sue radici nella natte dei tempi?

Quali sono i suoi ambiti, quali le differenze con la religione, o con la magia? E dove la possiamo individuare nella ritualità e nella pratica del lavoro massonico?

Abbiamo detto che la teurgia è anche sperimentazione del divino, in quanto è soprattutto operatività ed in quanto anche sulla persona dell’operatore si riflette il contatto che viene stabilito, nei suoi aspetti mistici e speculativi a uno stesso tempo.

Tuttavia, il carattere principale della teurgia, è propriamente e letteralmente quello dell’“attività”, dell’“azione” umana svolta sulla sfera divina, quasi nel senso dell’utilizzazione - se è possibile dirlo - della forza divina stessa negli eventi umani.

Il teurgo non opera un esperimento, ma una vera e propria azione precisa, secondo un’intenzione che deve comunque essere in consonanza e in accordo con le forze ed energie evocate, di cui diviene l’interprete, assurgendo ad un livello che non può che essere altissimo, di conoscenza e quindi di potenza.

Ne consegue che ermeneuticamente, al di là del semplice significato etimologico del termine, molto sfumati diventano i confini della teurgia, da un lato con la religione, dall’altro con la magia.

Anche nella pratica delle religioni esiste - come si è detto - una forma di attività teurgica, nell’evocazione rituale della presenza divina in certe circostanze liturgiche, nella pratica della preghiera e nella richiesta di intercessione rivolta agli angeli e ai santi, nia il carattere essenziale della religione è sempre quello dell’affidamento alla volontà di Dio.

Il teurgo è un intercessore, mentre quel carattere di potenza vera e propria di cui abbiamo parlato è riservato nella pratica teurgica religiosa all’esorcista, consacrato ad operare sulle forze del male per soggiogarle e vincerle, sempre con l’aiuto di Dio.

Per questo, l’“azione” teurgica che potremmo definire, tra virgolette, laica, non suffragata dal potere sacerdotale, viene per lo più guardata con sospetto, se non confinata nel campo dell’irrazionale, del visionario o del magismo più o meno deteriore, sia perché ritenuta contraria al concetto religioso della totale dipendenza dell’uomo da Dio e dalla provvidenza divina, sia perché ritenuta di ostacolo o di antitesi con l’esercizio della ragione o del libero arbitrio.

Nel periodo della crisi della cultura pagana, dopo le grandi persecuzioni - che è l’epoca della decadenza stessa dell’Impero Romano e del monda antico nel suo complesso -, il contrasta tra paganesimo terminale e cristianesimo emergente si svolse anche su questo tema.

Lattanzio, nelle Divinae Istitutiones, aveva facile gioco ad affermare che non è il “come” l’uomo esprima il suo sentimento verso Dio, quello che conta, ma in “che cosa” egli creda. Nella sua critica della tradizione antica, irrideva le divinità pagane e il loro culto (soprattutto Giove ed

Ercole, cui si richiamavano le dinastie imperanti) e denunciava la “vetustatis auctoritas” -

l’autorità dell’antichità classica - che era come la difesa dell’assurdo, una difesa che finiva contro sé stessa.

L’ironia era rivolta ovviamente all’antimodemismo dei sempre più scarsi intellettuali pagani, come Porfirio - il biografo di Plotino - che riaffermava invece la validità dell’antica religione politeista e dei suoi culti anche più riservati e teurgici, nei quali anzi riteneva che bisognava rifugiarsi contro la nuova dilagante dottrina, annullatrice di quell’antico retaggio, che aveva avuto anche il merito oltre tutto di aver fatto fiorire un pensiero filosofico tra i più alti ed elevati dell’umanità.

Ma nel nuovo modo di sentire, anche il misticismo plotiniano e la teurgia neoplatonica erano considerati tuttavia un gioco filosofico, privo del forte messaggio di salvezza insito nella nascente religione cristiana, verso la quale si sentivano ormai attratte masse crescenti di popolo deluso e stanco dei sofismi, delle diatribe e delle sottigliezze dialettiche, di fronte anche all’incognita della pressione di un mondo barbaro e sconosciuto.

Come sappiamo, Plotino in definitiva, con la sua filosofia e la sua critica, soprattutto contro gli Gnostici, negava la necessità di una salvezza, da un peccato che era dei resto fuori di ogni considerazione nella mentalità e nella cultura classica. L’uomo doveva perseguire il Bene come finalità della propria vita, per sé stessa, senza timori apocalittici o catastrofici, e poteva raggiungere il Bene supremo, nei quale si identificava l’Uno - origine e causa prima delle cose - con il riconoscimento della propria anima che era emanazione, anzi processione dalla causa prima, senza soluzione di continuità.

La sua, come quella degli altri neoplatonici, restava in ogni caso una posizione di pensiero, senza il carattere e la forza dì una religione che potesse opporsi al cristianesimo e alle sue prime diramazioni evolutive: anche per questo, forse, Giamblico e Proclo ricorsero alla teurgia, che poteva rappresentare l’ancora di salvezza., la dimostrazione della verità raggiunta filosoficamente.

É un fatto che quanto più una religione conquista masse crescenti di fedeli, quanto più si precisa e si diffonde nel suo credo fondamentale e si organizza in gerarchia dogmatica, tanto più arretra e si restringe - fino in certi casi ad uscire dall’ortodossia e dalla dottrina - il carattere teurgico presente all’origine nella religione stessa e nella diffusione della sua pratica operativa.

La teurgia religiosa, nei modi e nelle finalità che abbiamo precisato, non diventa più affidabile liberamente all’individuo, ma viene ad essere controllata e strettamente riservata a pochi, se non esclusivamente al vertice e all’interprete della gerarchia religiosa che si è affermata. Inversamente, quanto più una religione scade nella coscienza e nella fede dei popoli, tanto più restano in evidenza e permangono nei pochi fedeli rimasti le pratiche teurgiche, liberamente, come retaggio della religione decaduta, o anche come ritorno puro e semplice alla religiosità naturale dell’uomo.

Anche questo ci fa riflettere sul fatto che la teurgia quindi è qualcosa di diverso e di più di una semplice pratica religiosa, collegata a una fede o a una sua liturgia.

Essa è proprio forse la primitiva e più autentica forma cultuale dell’uomo, che affonda le sue radici nella più remota origine della riflessione e della coscienza umana sul mistero che ci circonda.

Ed è qui, a nostro parere, il nesso importante tra massoneria e teurgia, nella considerazione che si tratta di vero e proprio culto primitivo - come sottolinea lo studioso e cultore di esoterismo, amico e fratello Robert Amadou -, di espressione quindi della religiosità naturale dell’uomo, che è anche patrimonio dell’iniziato e del vero eletto, traduzione della sua eticità e libertà. Egli non sarà mai un ateo stupido, né un libertino irreligioso, dicono gli Antichi Doveri.

Sarebbe quindi riduttivo della teurgia assimilarla sic et simpliciter alla magia, come quest’ultima è comunemente intesa.

Sui rapporti tra “magia” e teurgia, sui loro limiti reciproci e sulle loro caratteristiche operative, sarebbe lungo il discorso, perchè l’analisi dovrebbe essere completa e riguarderebbe anche la definizione di ciò che è lecito o illecito nel campo religioso o in quello, per noi più ampio, dello spirito umano di fronte al bene o al male.

Ma è da sottolineare che una distinzione fondamentale attiene più ai modi e alle intenzioni dell’operatore, che al carattere dell’operazione, e la precisazione è importante proprio ai fini del nostro tema e del confronto tra massoneria e teurgia.

Gli stessi caratteri di “attività sul divino e sull’occulto” sono infatti presenti nella “magia” comunemente considerata e nella teurgia, ma l’intenzione fondamentale del “mago” è quella dell’acquisizione di uno stato superiore personale, di dominio sulla natura, sugli uomini e sull’occulto, che arriva all’illusione di potenza anche attraverso l’affinamento e l’esercizio di certe qualità psico-fisiche possedute, mentre il teurgo opera nel quadro di una visione cosmogonica, raggiunta con uno sforzo inimmaginabile di pensiero e di meditazione, in accordo con un disegno universale, di cui si sente partecipe, che la sua ragione illuminata e la sua coscienza riconoscono come “divino”.

Il suo potere è reale, perchè puro e non contaminato e profanato dalla propria personalità. Charles Mopsik dice che “se i neoplatonici a partire da Giamblico accordano un valore filosofico e religioso alle pratiche e ai discorsi teurgici degli “Oracoli Caldei “, se essi considerano la teurgia come una via per accedere al divino o per attirare la presenza del divino, via differente da quella che Plotino aveva aperto, lo fanno perchè riconoscono il carattere religioso, lecito, puro della teurgia dei due Giuliani - i presunti autori degli “Oracoli” - e perciò anche la distaccano dall’ambito della magia. Se così non fosse stato, la teurgia degli “Oracoli” e i teurgi che praticano i riti teurgici non si sarebbero mai distinti dalla magia e dai magisti” (Charles MOPSIK, Les grands textes de la cabale, Ed. Verdier, 1998, pag. 24-25).

La teurgia quindi può essere magia, ma su un piano diverso ed infinitamente superiore, quale conseguenza “logica” - se così si può dire - del raggiungimento della conoscenza e del sapere senza aggettivi, della luce, come noi diciamo, quello che esotericamente è lo stato di mag, di maestà e sovranità iniziatica.

L’illuminato - come l’iniziato - si rende conto a un tratto, con il conseguimento della maestria, con la stessa luce che illumina la sua ragione e la sua coscienza, di essere un teurgo, di poter operare cioè anche su quell’ignoto, da lui raggiunto e non a fini personali, ma per il ristabilimento continuo dell’armonia universale, l’Ordine dal Caos, nell’ambito della legge che governa tutte le cose, palesi e occulte, e non potrà che diffondere comprensione e amore, rifuggendo da tutto quello che possa profanare il suo stato di comunione con il divino.

In tal senso quindi il teurgo - l’illuminato, l’iniziato, il maestro - è un sacerdote e un mago.

Lo stesso carattere e lo stesso intenta costituirono l’evidenza e lo sbocco dell’esoterismo ebraico

della speculazione cabalistica, dagli stretti rapporti, come si è detto, con il pensiero neoplatonico, e caratterizzano quindi anche la formazione esoterica massonica, nella definizione del maestro, di cui nella ritualità si sottolinea la nuova predisposizione interiore. Non è nostro il tema dei rapporti tra Massoneria e Qabalah, ma dobbiamo sottolineare, con riferimento alla teurgia, la stretta attinenza di quella che è stata chiamata “Qabalah pratica”, unicamente per distinguerla dall’approfondimento teoretico, con la teurgia stessa e con l’indagine sull’essenza dell’uomo, che è il tema centrale dell’esoterismo massonico, quanto mai essenziale ai fini delle nostre conclusioni.

Rabbi Ezra di Gerona, uno dei più antichi cabalisti allievi di Isacco il Cieco, sosteneva che “chi adempie un comandamento fa spandere in alto su quello stesso comandamento una potenza, di quelle che seguono l’estinzione del Pensiero (cioè la prima sephirah, Kether, detta anche “il Niente del Pensiero”, la vera fonte delle emanazioni e di ogni cosa)”.

“Di conseguenza - continuava -, è come se egli compisse, se così si può dire, una parte stessa del Santo benedetto egli sia”, ed aggiungeva: “Così come Lui (Dio) è costituito di dieci cose, altrettanto è l’uomo, di modo che grande è il potere dell’uomo per attirare e fare emanare (un’effusione) dopo l’estinzione dei Pensiero, in funzione della sua intenzione e della sua conoscenza e coscienza”.

Nel pensiero di R. Ezra e dei cabalisti di Gerona, ma per tutti i cabatisti ed esoterici di ogni tempo - si può dire -, la continuità dei divino con la realtà rappresentativa è assoluta (così come lo è nel pensiero plotiniano e neoplatonico) e l’influenza è reciproca, per cui sono l’intenzione e la conoscenza dell’uomo che realizzano , se così si può dire, il divino e che determinano nello stesso tempo il bene e il male delle nostre azioni, e quindi potremmo dire - massonicamente - l’elevare templi alla virtù, lo scavare le oscure e profonde prigioni al vizio.

Se la nostra azione è rivolta al bene, essa attira, come diceva R. Ezra, su di noi dal macrocosmo l’influsso della potenza contenuta nella sephira divina Hesed (la Grazia), chiamata anche il “buon angelo” o la “dimensione del bene”, che è già presente in noi, nel corrispondente microcosmo

umano; se invece la nostra azione si rivolge al male, e al vizio, essa attiva su di noi l’influsso della sephira Ghebourah (il Rigore), conforme alla “dimensione del male” o all”‘angelo della morte”, altrettanto presente in noi, nelle corrispondenze che noi abbiamo con il divino, espresse nel fatto di “essere a immagine e somiglianza di Dio”.

In tal modo dunque, possiamo intendere come la teurgia cabalistica e l’operatività teurgica in genere si accordino con l’esoterismo ermetico, pitagorico e neoplatonico e confluiscano quindi nella ricerca e nella pratica massonica, quella vera.

La risposta allora all’apparente antinomia iniziale del nostro tema è del tutto consequenziale e positiva e spiega anche l’universalità della Massoneria che non può occuparsi del contingente. La Massoneria è al di là della politica e della religione, e quindi degli intenti puramente moralistici, dottrinari, in una parola temporali, che queste attività perseguono, non per la semplicistica considerazione di evitare motivi di attrito tra i Fratelli - o non solo per questo - ma in quanto è la stessa ricerca esoterica e il nostro stesso tipo di operatività che Io escludono. Il bene e il progresso dell’umanità sono al di sopra delle contingenze di un momento - al di sopra della storia, apparente e palese, si può dire -, così come nella vita dell’uomo le idee, i sogni e le aspirazioni di fondo di ciascuno di noi restano in noi e costituiscono il nostro vero volto, il nostro vero aspetto, la vera conoscenza di noi stessi, cioè il nostro bene. Il lavoro al bene e al progresso dell’umanità è quindi un lavoro “teurgico”, è quel richiamo del divino di cui facciamo parte, la coscienza di quella corrispondenza di cui abbiamo parlato e che nell’esoterismo dell’insegnamento massonico e nella simbologia del suo linguaggio appaiono continuamente espressi, giustificando la stessa ritualità massonica.

Poco ci resta da dire al riguardo.

Il significato fondamentale della “costruzione del Tempio”, l’atto della “squadratura”, dove si sublima e si consacra il lavoro che vi si compie e il percorso umano nel tempo, l’accensione delle tre candele della sapienza, della forza e della bellezza, che richiamano la triade suprema, come potenze emanate dal Bene supremo e a lui riflesse, indicano chiaramente la presenza di una “teurgia”, che risulta ancora più marcata nello svolgimento stesso del lavoro, nel significato della catena d’unione e soprattutto in quello dell’Agape, il vero momento sacro e rituale del nostro lavoro, dove si attua la concreta realizzazione della fratellanza umana e della sua eguaglianza di fronte al divino.

Macrocosmo e microcosmo sono insieme, nella realtà universale del tempio e nella realtà operativa delle dignità di Loggia e dei suoi componenti, nella solennità delle loro funzioni, che ripetono le qualità che da sempre distinguono l’uomo: l’attenzione, la vigilanza, il discernimento, la genialità, nel viaggio compiuto nella vita.

Così si comprende la consacrazione finale di questa vita e del lavoro in cui essa fatalmente si esprime.

La grande architettura dell’uomo è nella grande architettura dell’universo. Ogni nostro atto non può che essere dedicato alla sua gloria.

 

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