Scrive il F:. Capruzzi in questa sua Tavola datata 1974: "Riti e rituali, nella storia dell'uomo, sono stati sempre innumerevoli e di varia natura e di diversa origine. Ma nelle più svariate manifestazioni di ritualità, troveremo sempre un costante rapporto fra l'uomo e certe forme esteriori. Così possiamo incontrare nello studio della materia le più impensabili classificazioni di riti; classificazioni che, fra l'altro, possono essere anche oggetto di esame dai vari punti di vista..." Il documento, pubblicato su: "Rivista Massonica" n.9 nel Novembre 1974, è opera d'ingegno del Fratello ed il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto. © Erasmo Editore La libera circolazione del lavoro è subordinata all'indicazione della fonte ed dell'autore. Download "La Ritualità" |
Riti e rituali, nella storia dell'uomo, sono stati sempre innumerevoli e di varia natura e di diversa origine. Ma nelle più svariate manifestazioni di ritualità, troveremo sempre un costante rapporto fra l'uomo e certe forme esteriori. Così possiamo incontrare nello studio della materia le più impensabili classificazioni di riti; classificazioni che, fra l'altro, possono essere anche oggetto di esame dai vari punti di vista. C'è chi si è impegnato particolarmente in queste più o meno interessanti e qualche volta acrobatiche discriminazioni. La scuola sociologica Francese (E. Durkeim) divide ad es. i riti in «positivi e negativi»: i primi sarebbero quelli che esaltano il principio unificato della vita sociale (vedi: riti sacrificali, riti mimetici, di espiazione); i secondi invece sarebbero quelli che impediscono il contatto (nocivo) del profano con il sacro: questi sarebbe ad es. il calendario - ritualmente inteso - come espressione della discriminazione dei giorni festivi (sacri) da quelli comuni (profani); sarebbero anche le iniziazioni in genere che - dal punto di vista sociologico - si sostanzierebbero in riti di separazione di alcuni uomini da altri; le pratiche ascetiche che sarebbero separative (tra l'individuo-singolo, di fronte al resto del gruppo ecc.). Le altre distinzioni, sono senza fine, e formulate da altre scuole. Sussistono ancora distinzioni, con differenti valutazioni, fra riti magici e riti religiosi, fra riti simpatici (o contagiosi, o dannosi) e riti mimetici (es.: imitativi, simbolici, omeopatici); tra riti indiretti (es.: riti da meccanismi spiritici) e riti diretti (ossia di azione immediata, es.: imprecazione o benedizione); fra riti manuali (con gesto, azione ecc.) e riti orali (preghiere, canti ecc.); fra riti di passaggio (del limite, dello stato di vita, della condizione sociale) e riti di partecipazione (espiatori, lustratori, ecc.). Particolare attenzione meritano poi i già detti riti di passaggio. Vi sarebbero fra questi, i riti di iniziazione che comporterebbero a loro volta, tre diversi momenti, o sotto-riti: la separazione dell'individuo (o del gruppo) dal contesto generale degli uomini e dei luoghi; il momento di margine ossia di «maturazione» del passaggio; l'aggregazione al nuovo stato o condizione. Ma la classificazione non è finita. Che dire di alcuni riti di partecipazione, primi fra tutti, la preghiera, la consacrazione, il sacrificio? Ed ancora della distinzione più elastica tra riti sacri e riti esecrandi? Ed a sua volta, senza fine è la sub-tipizzazione dei riti di propiziazione: dai riti agrari, a lustratori, agli espiatori ecc. Se infine da tutte queste classificazioni di ordine generale, passiamo poi alle attribuzioni storiche di carattere religioso sulla base delle già indicate distinzioni, ci vorrebbero fiumi di inchiostro, per identificarli, distinguerli, ed ordinarli tutti, questi riti: da quelli pagani ai cattolici apostolici a quelli ortodossi, dall'anglicano al Buddistico, all'islamico, al taoista, allo scintoista e così via per tutte le più varie religioni, morte e vive. Tutto questo susseguirsi di riti mi ha fatto pensare a lungo sulla capziosità, sui molti abbagli ed equivoci che purtroppo si addensano sul significato vero, autentico del rito, e del fare il rito (che è - come vedremo - la ritualità). Il tipo di indagine può insomma essere il più vario e generalmente - per le ricerche da me fatte - la valutazione si contiene sempre sul piano antropologico o sociologico, o meramente religioso. Non si va oltre. Tuttavia, anche attraverso questi tipi di indagine, possiamo dedurre elementi di valutazione utili per la nostra superiore disamina muratoria. Si suole infatti ricercare normalmente l'origine del rito in un «gesto spontaneo che ha accompagnato l'esplosione di un desiderio, l'espressione di un bisogno, la paura di un pericolo; e che una volta sperimentato efficace, si ripete fedelmente affinché l'effetto si produca ». In questa concezione, il rito sarebbe una abitudine, una ripetizione che prima o poi produrrà degli effetti. Ma si suole anche identificare il rito in una norma che stabilisce il modo di svolgimento di una azione accettata da una comunità che con questa «formula abitudinaria» tende a trovare un mezzo di comunicazione con quelle che forse con molta semplicità sono chiamate le forze soprannaturali (vedi: la divinità). C'è ancora chi ha sostenuto (Max Muller) che Rito sarebbe né più né meno che una trasformazione di antiche usanze e di pratiche magiche; altri lo ha visto come proiezione del simbolo (il nostro Farina); chi come proiezione del mito (Brinton); chi come semplice sacrificio per porsi in relazione con gli Dei (Jevons) (Vedi: Ranzoli – Dizionario di Scienze Filosofiche). Gli antropologi generalmente sono concordi nell'affermare che il rituale è un'azione prescritta, ripetitiva, ondeggiante dalla rigorosa definizione della forma e della sequenza, alla possibilità di scegliere tra un numero limitato di azioni. Ma la diversa importanza attribuitiva ai vari aspetti del rituale ne fa individuare poche classi. Due di queste sottolineano il carattere simbolico del rituale; l'altra definisce il rituale in termini di relazione tra i mezzi ed i fini dell'azione. Ma, tutta questa diversità di conferimenti dottrinari ci spinge, ad un certo punto, ad esaminare il problema non tanto sulla base di una indagine meramente descrittiva o catalogativa o registrativa di comportamenti umani attraverso età ed eventi, né ancora su un piano meramente storico, sociologico o antropologico, poiché questi strumenti di studio ci porterebbero indubbiamente a scoprire dati e cose certamente interessanti, ma difficilmente risponderebbero al «quesito centrale» che vogliamo effettivamente porci: ossia quello che attiene alla essenza vera, autentica, del rito e della ritualità, particolarmente intesi attraverso una indagine di natura che ci ponga poi nella possibilità di tentarne una traduzione in chiave muratoria. Orbene - in questo esame - il rito dobbiamo esaminarlo sì partendo dalle espressioni e dagli schemi di carattere profano, ma in una visione che sia il più possibile aderente alla via esoterica ed iniziatica. Cominciamo col constatare che il rito non può essere visto come un insieme di regole, di formule, di prescrizioni, di atti formali, di espressioni solenni, di funzioni. Questa potrà essere «l'accezione comune» del significato del rito, ma non il rito nella sua «essenzialità». In una analisi esoterica il rito assume una più alta significazione, sia nella sua essenza, sia nella sua manifestazione. Io penso che il punto centrale, il nucleo del problema sia di creare un «rapporto», una relazione, tra rito e realizzazione spirituale. In altri termini: Che cosa è il rito, il compimento del rito, l'attuazione della Ritualità, rispetto alla «realizzazione spirituale»? Idonea per trarne delle conclusioni nostre ci sembra però la spiegazione che offre il Guenon, il quale nel porsi il problema del Rito afferma che… «l'azione rituale, nel senso originale della parola, è quella compiuta o conformemente all'ordine», ed implica di conseguenza ad un livello la coscienza effettiva di tale conformità; per cui là ove la tradizione non ha subito attenuazione alcuna, qualsiasi azione ha un carattere propria-mente rituale. È importante osservare - egli aggiunge - che tutto ciò «presuppone essenzialmente» la conoscenza della solidarietà esistente tra l'ordine cosmico vero e proprio e l'ordine umano» Nell'accingerci ora all'esame della ritualità Massonica, per trarne nostre modeste conclusioni, quanto mai arduo ci appare la identificazione delle fonti di questa nostra ritualità. H. P. Blavatski osservò che «la Massoneria moderna ed il rituale della Chiesa [Cattolica], dipendono in linea diretta, dagli gnostici iniziati, dai neoplatonici e dagli Hierofanti rinnegati dai misteri pagani, di cui perdettero i segreti, che furono conservati invece da coloro che non accettarono mai compromessi» . Il Cristianesimo primitivo a sua volta, deriverebbe dalla Massoneria primitiva, costituita dagli Eccletici Alessandrini, dai Neoplatonici, dai teosofi di Ammonio Sacca. Lo studio della Blavatski, con le precauzioni opportune, può presentare un certo interesse perché innumerevoli sono gli esempi da lei riportati a sostegno che le cerimonie, le parole di passo, i riti della Massoneria e delle religioni (particolarmente della Chiesa Cattolica) sarebbero «copie travestite di puro paganesimo» e delle scuole iniziatiche antiche. Ma al di là di queste supposizioni, possiamo affermare altra cosa: ossia che le componenti della Ritualità massonica sono - non soltanto di provenienza pagano-misterica - ma di estrazione la più varia. Nei nostri rituali vi sono confluenze misteriche, cabalistiche, alchemiche, religiose, sacerdotali, cavalleresche, templari, iniziatiche, ermetiche: tutte collegate sapientemente al passato primordiale dell'uomo in senso magico, e quindi non con caratterizzazione di culto «passivo», ma con esaltazione «attiva» di costruzione ed elevazione dello spirito. Tutta la simbologia e la ritualità massoniche si incentrano nella costruzione del Tempio di Salomone. I liberi muratori per costruire il Tempio usano tutte le facoltà umane, facoltà le quali come vengono impiegate alla costruzione di un tempio materiale, così possono, anzi debbono essere pienamente idonee alla edificazione del «Tempio interiore». Simbologia e ritualità massonica hanno quindi una fondazione altamente soggettiva ed analogica. E poiché la Massoneria è un'arte speculativa fondata su un'arte operativa, gli strumenti di lavoro - nella realtà rituale - diventano strumenti dell'arte del costruire, anche se l'uso di un determinato strumento (in senso speculativo-spirituale) per essere veramente valido dovrebbe essere non il frutto di una ripetizione di atti, ma l'effetto di una già acquisita realizzazione interiore (virtù-amore) avvenuta attraverso la comprensione, ad un certo livello, del valore simbolico degli strumenti stessi. Ogni fratello quindi, lavorando ritualmente, dovrebbe operare nell'ambito del livello, ossia dello stadio da lui già realizzato, per la integrazione della catena amore. A questo punto, però, mi rendo conto che la costruzione da me data alla ritualità - vista non come una ripetizione più o meno meccanica di atti e come «causa» di elevazione spirituale, bensì come «effetto» di una già acquisita realizzazione interiore in un certo stadio di coscienza, questa costruzione - dicevo - può incontrare notevoli implicanze quando la si riporti nell'ambito della ritualità Massonica dei gradi «simbolici». Questa constatazione ci induce a considerare che la nostra costruzione potrebbe ritenersi magari più aderente alla ritualità dei gradi superiori della Massoneria (intendo riferirmi alla Massoneria dei Riti), sol quando si pensi ad es. al destino esoterico delle colonne del nostro Tempio. Ma non intendo andare fuori del seminato. Sento però che possiamo affermare che nel Tempio Massonico, anche la «ritualità» come espressione di un'arte speculativa fondata su un'arte operativa di strumenti di lavoro - vuoi ove la si intenda questa ritualità come ripetizione apprenditiva di atti e di effetti interiori, vuoi ove la si concepisca come uso di simboli i quali comportino un già «compiuto» atto di virtù - trova comunque e sempre il suo fondamento, per ogni fratello, nel stabilirsi saldamente nel proprio centro di coscienza, unico idoneo a creare la magica catena d'unione, consentendo che i simboli posti in azione dal rito ci compenetrino e vivano in noi. Ma, entriamo ora, in silenzio, nei nostro Tempio. Tanti simboli sono presenti: dagli strumenti dell'arte alle decorazioni, tutti confluenti alla realizzazione degli atti rituali. Sin dall'apertura dei lavori, il M:. V:. fraternamente ci chiama e ci dice: «Assistetemi ad aprirei lavori», con ciò significando che non lui soltanto, ma noi, tutti quanti insieme, siamo i «veri protagonisti» del dramma del lavoro muratorio in senso rituale. La «copertura» è completa: i tegoli sono stati uniti dal fratello copritore, perché il mistero del lavoro iniziatico si compia in segreto al di là della profanità del mondo esterno. Tutti i fratelli hanno deposto «fuori» quanto è continuo oggetto dello sguardo critico ed ignorante del mondo profano. Il presente, il passato, il futuro sono qui, in un indissolubile rapporto con il G:.A:.D:.U:. il quale, dal centro dell'esistenza, ha inciso le linee su cui dobbiamo edificare il sacro Tempio. Il mistero è in noi, ci conquide. Fuori c'è il campo di battaglia, ma qui il proprio spirito si abbandona ad una fraterna atmosfera. Ogni parola, ogni suono, ogni passo, ogni movimento è un sublime richiamo: un richiamo dal microcosmo al macrocosmo e mentre ciascuno di noi, fratello dell'altro, sente di essere chiamato alla «ricerca di sé medesimo». Sfrondata dagli elementi di contorno, il Tempio nella sua più autentica essenzialità, abbaglia gli occhi fisici e spirituali dei fratelli. Ormai l'intero stato di coscienza dei fratelli si è elevato, si è interiorizzato verso il Supremo Architetto, origine della Saggezza, origine della forza, origine della bellezza. Il rituale ci rivela che il Maestro è la fonte della luce. Il Secondo Sorvegliante stando al Meridione marca il sole al suo meridiano, il punto più alto raggiunto in cielo. Il Primo Sorvegliante marca invece la fine del giorno, l'ora del tramonto, quando il volere dell'uomo si ritrae e l'azione tace. Il circuito è completo. La relazione tra M:.V:. e Primo Sorvegliante è poi di essenziale rilievo: quest'ultimo guarda ad Oriente, mentre il Maestro guarda ad Occidente. Il primo si rivolge alla Luce, il secondo alla posizione opposta. I lavori volgono, serenamente, al termine. Tutto è giusto e perfetto: ed anche la batteria esprime ancora una volta il compimento della catena d'amore realizzata anche attraverso la corrente di pensiero nella solidarietà, nella tolleranza, nella comprensione, nella fratellanza, ma soprattutto nell'Amore. Il rito è compiuto. Ma l'opera non è finita, perché il Tempio «sempre in costruzione» non è mai ultimato. Usciamo dalle colonne, in marcia, in senso antiorario, per l'abbattimento del cerchio magico costruito all'ingresso e per il reinserimento nel mondo profano. Fuori ci attende la bufera. Fratelli, lasciamoci in pace. Irradiamo nel mondo esterno il nostro Amore «accumulato» durante i lavori. La Edificazione del Tempio continua... |