Il "Misticismo" é un genere di vita fatto di solo amore per Dio, che a volte si manifesta con l'entusiasmo, a volte con la solitudine, la meditazione, l'ascesi, la pura spiritualità, e che in ogni caso si traduce in una scelta di distacco dalla vita comune. In ogni epoca esso ha attratto personalità complesse, ed ha anche impressionato la gente, non solo per il fascino esercitato dalle personalità mistiche stesse, ma forse proprio perché non si conoscono le ragioni, i limiti, le prospettive e le conseguenze del suo sorgere e dello sconvolgimento che in ogni caso determina, anche improvvisamente. Quello che colpisce inoltre é che ogni mistico - tale in effetti è il distaccato, l'interiorizzato, più che l'introverso - ha una sua personalità completamente diversa da quella di altri ed opera apparentemente in maniera diversa.
Misticismo é essenzialmente amore per Dio e desiderio di unione personale con lui, tuttavia, se vogliamo analizzare l'opera dei mistici nei suoi effetti verso la società e la collettività, possiamo scorgere in essa un aspetto conservatore e un aspetto rivoluzionario.
Secondo Gershom Scholem, nel suo aspetto conservatore, "il misticismo rappresenta in generale una conferma dell'autorità religiosa in cui vive", ma nello stesso tempo, proprio per il tipo di rapporto produttivo che ha con "l'oggetto della sua esperienza", esso "trasforma e cambia il senso di quella tradizione di cui vive", fino a creare in certi casi qualcosa di rivoluzionario. In tema di rapporti dunque tra autorità religiosa ufficiale (1) e mistico, la possibilità di un conflitto dipende, oltre che dall'entità del cambiamento operato, "dalle circostanze storiche" in cui si esplica il confronto, quelle circostanze "le cui relazioni - dice ancora Scholem - con la sfera religiosa, sempre diverse e non riducibili a un comune denominatore chiaro e univoco, decidono dell'incontro fra il mistico e la società" (2).
Anche se non vi é quindi una regola fissa al riguardo, tuttavia, a nostro parere, quasi sempre, almeno inizialmente, nell'incontro tra il mistico e la società, questa, nelle sue diverse articolazioni, opera automaticamente e per intero come una difesa di sé stessa, che sarebbe poi la difesa dell'equilibrio raggiunto, della comodità conseguita. L'autorità religiosa cerca sempre di incanalare l'attività del mistico in direzioni accettabili per il canone ufficiale di cui é espressione, accusandolo ovviamente di eresia o di ciarlataneria, quando ciò non sia possibile; e la parte politica, d'altra parte, non può discostarsi anch'essa da un tale atteggiamento, in quanto un eventuale crollo della religione ufficiale avrebbe il suo effetto anche sull'espressione politica del momento.
Ogni religione ufficiale, infatti, con la propria gerarchia, é perfettamente integrata nella società politica del suo tempo, così che diventa una faccia della medaglia con cui si presenta complessivamente il potere, verso il quale hanno un identico interesse comune (3).
Ne sono un esempio il reciproco sostegno di cui lo Stato Romano e la Gerarchia Rabbinica si avvalsero nel momento critico dell'opera di Gesù, ma anche, per certi versi, il caso storico dei Templari - anche se per essi non si può parlare di veri e propri mistici se non forse nella loro cerchia occulta - e l'autorità di cui godevano le sentenze del Sant'Uffizio presso i governi cattolici del Cinquecento e Seicento, nei confronti di personaggi eretici o soltanto mistici, poi santificati in seguito.
Per ambedue le espressioni di governo, politico e spirituale, della società quindi, il mistico é per sua stessa natura un estraneo, un diverso. Del resto, al contrario di quelle stesse espressioni di governo, che si rivolgono prima di tutto all'esteriore, al mondo delle relazioni, egli, come dice sempre Scholem, "si apre la via verso un'interiorità infinita", che lo pone in un contatto sempre più intimo e totale con il divino (4), e, logicamente, in un distacco sempre più definitivo da quella che é o dovrebbe essere la realtà, a lui esterna.
Il mistico infatti é pura sensibilità, fuori di ogni sia pur minimo schema razionale che egli anzi rifiuta esplicitamente. Nelle sue sensazioni, egli riscopre e rivive in sé tutta la rivelazione, insita nella tradizione religiosa in cui é cresciuto, ritrovando in essa la sua personale esperienza di vita in un vicendevole scambio, dove non é più facilmente distinguibile l'apporto della sua personalità dall'influsso della tradizione e viceversa. Di qui, l'identificazione a volte del mistico come unico interprete della verità, il carattere rivoluzionario, come si é detto, che può avere la sua predicazione e, di conseguenza, l'estremo sospetto, se non l'ostilità, con cui essa è comunque considerata dal cosiddetto ordine costituito del momento.
Il mistico, essendo pervaso interamente da ciò che sente in sé stesso e dalla pienezza del suo stato spirituale, forse non lo avverte o lo reputa da niente, ma il carattere a volte rivoluzionario dell'opera mistica può condurre realmente il mondo anche ad una rivelazione completamente nuova, ad una nuova religione, quando più che esserne l'interprete, l'immersione nel divino é così totale da annullare ogni differenza, come é avvenuto nel caso di Gesù, rispetto all'antico profetismo ebraico: nel suo caso, il Profeta era Dio stesso.
Il più delle volte invece il mistico opera come un vero e proprio conservatore della più pura tradizione iniziatica e religiosa precedente, evitando nella maniera più assoluta il sorgere di un conflitto, sempre latente nella coscienza individuale e collettiva, perché, come si é detto ripetutamente, la sua opera assume comunque aspetti pericolosi per l'ordine gerarchico religioso ufficiale. É il caso dei Profeti ebraici - che Scholem tuttavia non ritiene di poter identificare con i mistici veri e propri - e, nell'ambito cristiano, ad esempio, quello di Francesco d'Assisi, per il quale, dopo il conflitto iniziale, si é avuto infine il riconoscimento della santità (5).
Ma come si arriva in realtà al misticismo, quali sono i caratteri necessari ad individuarlo, oltre naturalmente la volontà di comunione col divino, che é il suo aspetto essenziale, dove però si confondono verità e aspirazione?
É un'ipersensibilità assoluta, che viene raggiunta interiormente, rivolgendoci solo e totalmente in noi, non essendo possibile, come dice Bernardino de Laredo, "senza la conoscenza di noi stessi raggiungere la santità perfetta"? É l'allontanamento estremo e possibile dalla materia, come anche da ogni altra concezione, scientifica o culturale, fisica o razionale, per l'unione emotiva con il principio, il desiderio assoluto di ritorno a Dio, di confondersi in Lui?
É in definitiva il rifiuto della condizione limitata, il desiderio assoluto di arrivare alla conoscenza superiore? E poi, tutto questo è cosciente, voluto o fatale per certi individui?
In effetti, una vera e propria conoscenza del puro misticismo, che ne precisi anche psicologicamente le distinzioni dal fanatismo puro e semplice, dal represso che é in noi, o addirittura da certe forme di paranoia melanconica e introversa, di tipo patologico, é molto difficile, come é difficile del resto, nella generale analisi del pensiero introspettivo e riflessivo, il confine tra scienza, filosofia, esoterismo, lo stesso misticismo, o la semplice religiosità, che é in sostanza il tema di cui stiamo trattando.
É opinione comune del resto che il misticismo, oltre ad avere aspetti e sbocchi diversi da persona a persona, risente anche del tipo di ambiente familiare, sociale, culturale, politico e religioso cui fa riferimento e dal quale in certi casi scaturisce.
Probabilmente quindi, il carattere unitario delle diverse esperienze mistiche o del misticismo in sé - come dice la stessa parola (6) - si ha solo nella separazione, nel distacco dalla logica e dal razionale, che determina quello dalla profanità e anche da tutto ciò che, pur essendo proiettato verso la spiritualità, tiene ancora conto della realtà umana.
É mistico allora, secondo questo modo di vedere, chi opera un allontanamento totale, una frattura irreversibile tra un modo di procedere razionale nella riflessione sul mistero, come vedremo che avviene ad esempio per la filosofia e l'esoterismo (7), e un modo di procedere sensitivo ed emozionale: nel mistico, non vi può essere ragionamento ma solo abbandono, corresponsione con un principio avvertito in modo completo e continuo, in una totalità d'amore addirittura sensuale e spirituale insieme per il principio stesso, come in molte personalità mistiche avviene.
A parte il già più volte richiamato Scholem, per il quale in fondo le diverse esperienze mistiche cristiane, ebraiche, musulmane e persino buddiste traducono simbologie sostanzialmente identiche, questa é anche l'opinione generale degli studiosi di misticismo, come Arrigo Levasti, che pur nelle "rilevanti varietà" che si notano tra i diversi personaggi mistici, per cui "ciascuno di essi ha caratteri propri, anzi inconfondibili", avverte che "la loro verità più profonda, e la molla interiore per cui vibrano e agiscono, è sempre la stessa" (8).
Questa verità profonda e questa molla interiore che unifica i mistici possiamo intuirla nel loro convincimento di essere oggetto e strumento dell'amore divino e di doverlo ricambiare come l'amante nei confronti dell'amato, e quindi nella totalità della loro devozione al mistero, al di là delle loro stesse persone e del mondo cui appartengono: una posizione, più che metafisica, metalogica.
Perciò, é forse limitativo dire, come Bertrand Russell (9), che "nella sua essenza, il misticismo è poco più d'una certa intensità e profondità di sentimento in rapporto a ciò che si crede circa l'universo" : questa intensità e profondità di sentimento devono essere il sintomo di molto di più, forse di una qualità umana interiore addirittura esistente a priori e di cui l'esplosione mistica non é che lo specchio, quasi come Platone immaginava il mondo delle idee rispetto al mondo reale, sua manifestazione.
Nel mistico, la manifestazione deve, a mio parere, essere rappresentativa di una preesistente diversità di fondo: il suo modo di vivere, anche se dipendente dall'ambiente e anche prima della separazione dal reale - se vogliamo chiamarla così - deve essersi svolto in ogni caso con una intensità di sentimenti che prelude già all'abbandono di quanto comincia subito ad apparirgli misera cosa di fronte all'altra realtà, alla realtà vera che gli si prospetta.
Lo stesso Russell lo afferma, quando sostiene che é proprio il dubbio sulla realtà del mondo circostante - che può nascere nella personalità del mistico dal disgusto e dal rifiuto di esso -, il dubbio sulla conoscenza comune, quello che spiana la via al misticismo.
In ciò consiste anche, sostanzialmente, la frattura del misticismo con la filosofia e, si può dire, con qualsiasi altra scienza, salvo forse l'esoterismo, per certi suoi aspetti (10)
II dubbio nasce dal rendersi conto, improvvisamente, della futilità e del vuoto che ci circonda, fino ad arrivare all'inutilità di porsi anche domande filosofiche sul fine della vita e sulla validità di conoscere per l'uomo: domande che non possono che restare senza risposta.
"La conoscenza di tutta quanta la Bibbia, la conoscenza delle massime di tutti i filosofi che ti servirebbero senza la carità e la grazia di Dio?", dice l'anonimo del "De imitatione Christi" (I,1,2).
La vanità delle cose umane - per il mistico, ma anche, per certi versi, per l'esoterico - conduce alla loro sostanziale irrealtà. La vera realtà deve essere allora al di fuori del mondo fisico e della logica, pur sempre legata ad esso.
Russell, che reputa il misticismo in sé una esperienza negativa, e ritiene che in tale esperienza abbia attratto anche la filosofia, procurandone il deterioramento, qualifica questa via come quella che sembra - ma sembra soltanto - condurre ad una saggezza superiore e lamenta che, soprattutto da Platone in poi, a causa dell'identificazione della realtà autentica con un'idea, si sia determinato il "divorzio tra filosofia e scienza, del quale", dice, "entrambe hanno avuto a soffrire e stanno tuttora soffrendo".
Personalmente però ritengo che questo divorzio sia dipeso non tanto dal misticismo, dalla filosofia o dall'esoterismo (tre diversi modi d'essere di fronte al mistero dell'esistenza pensante), quanto, probabilmente, da altri fattori storici e contingenti: il positivismo e il materialismo dialettico intervenuti tra l'Ottocento e il primo Novecento, la successiva affermazione tecnologica, che ci ha dato la presunzione di poter raggiungere tutti i traguardi possibili, deridendo gli sterili dibattiti ideologici e i tormenti interiori.
Ma più il progresso va avanti, più ci si chiede, sulla via della vera conoscenza, se sia possibile una contrapposizione o una considerazione separata del problema della conoscenza umana e del suo fine, e già adesso, con la moderna filosofia della scienza, e con il dibattito scientifico sulla possibile riproduzione del cervello umano o della mente, si ritorna in definitiva a quello che si considerava l'inutile dibattito platonico sulla formazione delle idee e sulla loro origine, da cui quindi, ieri come oggi, dipendono la scienza, come la filosofia, come l'arte, come forse Dio: così ci si rende conto che l'assunto platonico della realtà autentica, concreta, di una cosa con la sua idea ovvero l'identità concettuale della realtà con l'immaginazione - un'idea mistica, ma anche esoterica e filosofica insieme -, nel dibattito sulla realtà della mente umana, é ancora il tema di fondo e non può sconvolgere i rapporti della filosofia con la scienza più di quanto quelli della scienza con la filosofia siano stati a suo tempo sconvolti dalla teoria della relatività di Einstein, dalla teoria quantistica della materia suggerita da Planck o da certi raggiungimenti della tecnologia umana.
Del resto, a suo tempo, anche il probabilismo filosofico, o l'affermazione della impossibilità che la conoscenza potesse arrivare alla realtà oggettiva delle cose, erano del tutto conciliabili con la scienza e con la concezione fisico-matematica della meccanica quantistica, là dove afferma l'impossibilità concettuale di una "realtà fisica" indipendente dall'uomo e dalle sue osservazioni, che era poi l'esse est percipi di Berkeley.
Ma su tutte queste verifiche reciproche dei propri convincimenti, il discorso della scienza e della filosofia non può ignorare il misticismo e l'esoterismo, nella domanda finale.
Resta da vedere infatti se noi vogliamo andare a conoscere qualcosa che non esiste proprio e non può esistere, o qualcosa che esiste nella nostra mente e che può esistere.
Il punto d'incontro tra queste due conclusioni potrebbe essere quello che lo stesso Russell definisce il misticismo logico di Parmenide, come lo presenta Platone, riportandone un pensiero che si attaglia perfettamente al nostro assunto: "Tu non puoi conoscere ciò che non é (che è impossibile) né parlarne; poiché ciò che può essere pensato e ciò che può essere é la stessa cosa" (11). Ma in realtà se Dio può essere pensato non lo riduciamo forse a una nostra idea?
Secondo logica, la mente creata non può concepire il suo creatore, ma può arrivare ad intendere questa impossibilità concettuale, quindi a stabilire un suo limite.
Per inciso, é la stessa conclusione esoterica cabalistica che quantifica i limiti del pensiero, staccando il principio pensabile delle cose, Kether, già difficile da concepire, dall'Aïn Soph, l'entità assolutamente inconoscibile e inconcepibile, impossibile anche da pensare o da determinare, come il nulla.
Dio impensabile sarebbe quindi come il nulla? Ma in effetti noi, con la nostra mente, non possiamo pensare o determinare ciò che sia l'esistente o il non esistente in una dimensione in cui questi concetti non hanno senso.
Oggi, in campo scientifico proprio sull'indeterminatezza, sull'osservazione di un'impossibilità, quale appunto il principio detto di indeterminazione (12), si basano la meccanica quantistica e quindi quasi tutta la scienza e la tecnologia moderne, ed il suo scopritore, Werner Heisenberg, in merito ad esso, rifletteva che il nuovo linguaggio scientifico "è un linguaggio che produce immagini nella nostra mente", anche se le immagini stesse hanno per il momento "solo una connessione vaga con la realtà.... " (13).
Anche per la scienza, vi é quindi - sia pure legata nell'opinione di Heisenberg ad un fattore puramente temporaneo - una possibilità immaginativa della mente umana che arriva a superare l'attuale realtà fisica, anticipando o precorrendo la realtà futura. Ma tale in effetti é sempre stata la posizione dell'esoterico, per il quale l'impossibilità di concepire Dio ne conferma, per così dire, l'esistenza, o meglio la sua realtà, che è solo avvertibile o ipotizzabile in via di principio e prima del principio stesso, come appunto il nulla, che Parmenide definiva impensabile e quindi impossibile.
Verso questo fine ultimo, tutte le scienze umane, tutte le nostre ricerche, tutte le nostre speculazioni, confluiscono e sembra dunque che si abbia in tutti i campi che noi consideriamo, nel campo scientifico (fisico-matematico), nel campo puramente filosofico, nel campo filosofico-esoterico ed anche nel campo mistico, se vogliamo, una convergenza di pensiero, che arriva alle stesse conclusioni di fondo: tutta la nostra realtà perviene ad un punto oltre il quale non ha senso proseguire o bisogna proseguire "in altro modo", con un superamento della realtà verso l'immaginazione, che diventa in sostanza la vera realtà.
Per il misticismo il problema della realtà non esiste e l'immaginazione non é altro che intuizione. Proprio basandosi sullo studio dell'intuizione, il filosofo che più di tutti auspica una rinascita del misticismo, come soluzione ai problemi della nostra era, Bergson, afferma che "la filosofia non è che il ritorno cosciente e riflesso ai dati dell'intuizione" e "non può essere riferita ad altro che all'intuizione la penetrazione o la rivelazione di un segreto, che nessuno può divulgare. Ma in tal senso l'antica filosofia si saldava anche con l'esoterismo e le scuole esoteriche.
L'antica esortazione delle scuole esoteriche (Conosci te stesso) oggi risiede nel tema fondamentale che riguarda la nostra mente: la scienza non può arrivare a spiegarci che cosa sia la mente, la sorgente della nostra coscienza di esistere, e la filosofia, cioè l'esercizio della mente, può farci solo pervenire alle soglie del mistero della coscienza, che unicamente l'intuizione mistica può farci superare o l'illuminazione esoterica può farci raggiungere, donde le ragioni del loro intrecciarsi o del loro definirsi in noi.
Se, arrivati all'intuizione, la ragione ci conduce a trasferire l'intuizione stessa in una nuova filosofia, o anche, se vogliamo, in una nuova teoria scientifica dell'universo, siamo sulla via razionale, che può essere semplicemente filosofica o scientifica, ma anche un raggiungimento geniale comunque non divulgabile, illuminativo, dunque esoterico, altrimenti la ragione viene abbandonata e il distacco dal razionale diviene irreversibile donde il misticismo assoluto, un pi) come la sonda interplanetaria che viene lanciata nello spazio e arriva al punto in cui sfugge irreversibilmente all'attrazione terrestre.
Qual'é il punto di non ritorno, o quello in cui si può tornare indietro verso il razionale, e innanzi tutto é possibile il ritorno al razionale, dopo essere pervenuti all'intuizione?
Secondo il filosofo che abbiamo citato, Bergson, la risposta era affermativa, in quanto per lui l'intelligenza non si separa mai completamente dall'istinto ed é proprio l'intuizione il ritorno consapevole dell'intelligenza all'istinto.
Se questo é vero, la stessa consapevolezza o coscienza di esistere, che noi abbiamo, é quindi la strada che consente anche l'inverso, il ritorno dall'istinto e dall'intuizione all'intelligenza, poiché una strada non può che essere completa e interattiva nei due sensi.
In ogni caso si conquista una liberazione, dello spirito o dell'intelletto.
Per il mistico, la fede é anche libertà dello spirito - dice ancora Bergson - e deve tradursi immediatamente in azione, poiché ogni teorizzazione, ogni intellettualismo, costringerebbero di nuovo il pensiero ad imprigionarsi nelle tradizionali antinomie, negli opposti e nel dubbio. La realizzazione del suo ritorno assoluto a Dio, nell'unione fisico-psichica col Principio, lo libera invece da ogni antinomia e da ogni dubbio, ed é intesa quindi anche come una conquista della vera libertà dello spirito.
Ma anche per l'esoterico, a nostro parere, si conquista una libertà, che tuttavia é spirituale e intellettuale insieme, e proprio qui è la differenza fondamentale con il misticismo.
L'esoterismo, per dirla filosoficamente, é anch'esso un ritorno - ugualmente cosciente e riflesso - dell'intelligenza ai dati dell'intuizione, alla qualità geniale della nostra mente, e potrebbe essere definito, se oggi i termini non apparissero contraddittori, un "misticismo razionale", che si realizza anch'esso con una interiorizzazione totale, dove però il contatto sempre più intimo e riflesso avviene con noi stessi, che costituiamo, con la nostra coscienza, il mistero di questo universo.
Per arrivare alla gnosi, alla conoscenza di questo mistero, anche per l'esoterico l'intuizione deve tradursi in azione, intesa però come operatività trasformativa di noi stessi e del nostro intelletto, fino a renderci adatti a comprenderlo, dunque a conoscerci, pervenendo alla intuizione assoluta, che é appunto il conosci te stesso, ovvero l'illuminazione, dove si compie l'opera e si raggiunge la liberazione.
La vera azione é nel corso del viaggio verso l'ignoto e si tratta di una operatività drammatica, in contrapposizione alla contemplatività tipica del mistico, che ha il suo acme soprattutto nel raggiungimento estatico: l'esoterico deve lavorare continuamente per arrivare all'intuizione assoluta, che ovviamente lo illuminerà ad uno stato talmente superiore dell'essere da risultare trasformato; il mistico invece perviene alla sua verità senza operare alcuna modifica o trasformazione di sé stesso, perché la rivelazione é fuori di lui ed egli ne viene pervaso nella sua condizione attuale.
Il distacco dalla conoscenza comune accomuna peraltro sia i mistici che gli esoterici, ma negli esoterici il distacco avviene logicamente, nell'opinione ragionata che tale conoscenza é ferma tutto al più alla speculazione scolastica sul problema dell'uomo e del suo modo di conoscere, imprigionata nelle catene di un intellettualismo scientista il più delle volte fine a sé stesso, dipendente com'è da una specie di necessità di spiegare sempre le cose razionalmente, di operare sempre quella che si potrebbe definire la verifica logica dell'intuizione, quasi come se si avesse paura di scoprire l'irrazionale.
Non ci si rende conto che in tal modo si immobilizza la qualità fondamentale dell'uomo, che è la sua immaginazione, che si resta sempre al di qua dei nostri limiti, che si vengono a ricreare le colonne d'Ercole insuperabili dell'antica simbologia mitica, l'antica paura dell'ignoto che ha proprio determinato quel divorzio tra filosofia e scienza, di .cui si lamentava Russell, ma anche quello tra scienza, filosofia ed esoterismo, e che ha prodotto da un lato la stessa conoscenza comune, o la scienza, dall'altro, per avversione o per reazione, il distacco verso il misticismo, o verso forme di deviazione da ambedue, come lo scientismo o la moderna religione della scienza (14).
L'esoterista già da tempo immemorabile sa che l'irrazionale é nella natura stessa delle cose, data dalla loro stessa evidenza, che se viene denunciata come realtà, non corrisponde tuttavia a quelle che possono essere le nostre immagini, le immagini della nostra mente, come dice Heisenberg.
Questo é dunque il punto centrale della differenza: il procedimento conoscitivo dello esoterista tende a superare la conoscenza comune, avvertita come limitativa ed "irreale" rispetto alla nostra immaginazione, donde lo studio della nostra immaginazione o magia, che ci può dare quella che gli esoteristi chiamano la vera Conoscenza, senza aggettivi, il Sapere.
Il vero carattere distintivo dell'esoterismo risiede dunque nella considerazione della centralità dell'uomo, per cui la rivelazione, che potrà anche pervenire ad una fede, intesa però come scopo ultimo della ricerca esoterica, si ha solo nel perfezionamento umano, nella continua analisi di noi stessi, che arriva a "creare il divino", se così si può dire, mentre l'interiorizzazione assoluta del mistico conduce al distacco dalla propria realtà umana, nell'unione mistica con un Dio, che sia pure entità superiore ad ogni comprensione umana viene avvertito quasi come una persona, da pregare, da adorare, da amare.
Adonde te escondiste,
Amado, y me dejaste con gemido?
Como el ciervo huiste
habiéndone derido …
Questi versi di Giovanni della Croce (15), che aprono il suo Cantico Spirituale, sembrano, e sono in effetti, magnifici versi d'amore, tra i più elevati che sentimento umano possa esprimere: la passione per Cristo scuote tutto l'essere del poeta mistico nell'anima e nel corpo, é gioia e dolore e non può che vestirsi di poesia d'amore.
Per l'esoterico Menahe’m da Recanati invece, l'avvicinamento a Dio é qualcosa di grande, ma intellettivo e razionale.
Chi esegue le prescrizioni del Libro divino, della Torah, compie un'opera duplice: Dio infatti "non é qualcosa al di là della Torah, la Torah non é fuori di lui ed egli non é fuori della Torah, e quindi i saggi della Qabalah possono dire che il Santo, sia Egli lodato, é la stessa Torah"; così, eseguendone le prescrizioni, da un lato si partecipa all'ineffabile, ma nello stesso tempo lo si rende, per così dire, manifesto e, dice sempre Recanati, si "conferisce in certo modo esistenza a una parte stessa di Dio, se fosse lecito parlare così" (16).
In pratica, per il cabalista, anche se con molte cautele, é l'uomo che rivela il divino, oppure è nell'uomo che si rivela il divino. Ma in sostanza, si tratta, per l'esoterico, dell'annullamento dell'antitesi tra ragione e immaginazione, tra quanto comunemente é chiamato "reale" e l '"irreale", o l'inesprimibile che tuttavia é in noi stessi e in quanto ci circonda, in quello che il cabalista chiama la Torah, o la legge, che Platone chiamava l'anima del mondo, di cui fanno parte l'uomo e la sua mente.
Il misticismo dell'esoterico é quindi il misticismo logico di Parmenide, come lo chiamava Russell, e d'altra parte per l'esoterismo, rovesciando i termini, si può parlare di logica mistica, definizione che si attaglia anche alla via iniziatica.
La considerazione logica infatti dell'imperfezione della materia, della morte, che é una realtà per tutti i tipi di speculazione e che trascende ogni considerazione scientifica o intellettuale, pur sempre umana, determina nell'esoterico iniziato la spersonalizzazione della causa stessa, che é inconoscibile e indefinibile, riservata solo alla sua illuminazione, al conseguimento della vera conoscenza o del sapere, al raggiungimento del segreto. Si tratta quindi di una rivelazione personale e individuale, che resta tale per definizione.
L'esistenza della morte é il "gran segreto" che si collega a quello della vita: su questo nesso tra morte e vita nessuna esperienza é possibile, scientifica o intellettuale che sia, e possiamo solo sentirne la grandezza e la religiosità con mezzi che evadono dalla conoscenza comune.
Per l'esoterico il terribile silenzio che avvolge la morte, vanifica, addirittura rende ridicola, ogni possibile disputa, ogni possibile definizione scientifica, filosofica o mistica, pur sempre umana.
Oggi, l'antica scissione della nostra cultura occidentale, il divorzio denunciato da Russell tra filosofia e scienza, il contrasto dialettico tra quel tipo di cultura che veniva definito "umanista" e la cultura "scientifica" sembrerebbero composti in una visione speculativa unitaria, per cui scienza e filosofia si integrano a vicenda, scoprendo di non poter fare a meno l'una dell'altra, nello studio e nella individuazione della natura fisica e conoscitiva dell'uomo.
E tuttavia, acquisita la necessità di non poter prescindere dalle attuali conoscenze scientifiche nel campo fisico e naturalistico, il dibattito avviene oggi tra una moderna tendenza filosofica, detta "analitica", che segue la scienza, quasi subalterna ad essa nella preminente considerazione scientifica della nostra realtà e nell'affermazione tecnologica, arrivando all'ipotesi riduzionista di riproduzione computerizzata della mente umana, e una tendenza "trascendentale", che avverte i limiti tecnologici di questa riduzione umana, cercando ora di volgere l'indagine su quella che potrebbe definirsi la possibilità "scientifica" di coscienza, l'indagine sui meccanismi cerebrali che determinano la "coscienza" e quindi anche la stessa scienza, coinvolgendo in tal senso la psicologia, la ricerca sul razionale ma anche sull'irrazionale dell'uomo, da cui dipendono la natura e l'origine delle nostre differenze comportamentali, le nostre qualità personali, come l'espressione artistica, la capacità intellettuale, ma anche la sensibilità personale, l'emozione e l'intuizione, il bene e il male della vita.
Questa indagine sulla mente, che é poi l'anima dell'uomo, su come nascono e perché nascono le nostre idee e le nostre immagini, la fantasia e la preveggenza del pensiero umano, costituiscono da sempre il campo dell'esoterismo.
Per l'esoterico, in questo consiste l'occulto, che torna ad essere l'unica indagine razionale possibile, quella che può darci risposte valide sia sul piano scientifico che su quello mistico e filosofico. Si tratta tuttavia di avere il coraggio di superare la conoscenza comune, che normalmente ritiene questo un campo improduttivo e sterile per la scienza umana.
Anche il moderno riduzionismo scientifico e filosofico infatti può arrivare ad analizzare, spiegare e persino riprodurre tutti i meccanismi strutturali della materia, persino quelli originari e poi evolutivi della materia vivente, la cosiddetta "causa efficiente" di questi meccanismi, fino a quelli cerebrali e al loro funzionamento, come la memoria e la sua utilizzazione, può
intervenire su di essi, sanarli o migliorarli, ma di fatto si arresta di fronte al problema della connessione tra vita e morte, tra vita e coscienza e di fronte al problema originario della stessa vita, cioè alla "causa prima", dove la biologia, la scienza ed anche la moderna tendenza cosiddetta "trascendentale" devono fare i conti con quello che i filosofi, gli psicologi, e in ambito speculativo più particolare i teologi e gli esoteristi chiamano mente o anima della materia e del mondo, che riconduce sempre ad indagare sul perché di questo mondo e di questa evoluzione dell'uomo, su come si sia determinato tutto questo, e sulla finalità di tutto questo, non sulla fine fisica ma sul fine, per così dire, della coscienza di tutto questo.
Qui il dibattito può ritornare alle vecchie antinomie e divisioni filosofiche, o può risolversi nel fideismo mistico, se non si vuole riconsiderare l'antico avvertimento delle scuole iniziatiche: conosci te stesso, dove si concentra quello che Jacob Boehme chiamava il Mysterium Magnum, l'evento primordiale del sorgere di una materia che, per esistere, doveva già contenere in se i caratteri genetici dell'evoluzione verso forme "pensanti" e "coscienti di pensare", avere cioè l'evidenza di sé stessa, ciò che noi constatiamo appunto con noi stessi, con l'uomo, una potenzialità della materia che doveva esistere anche quando questa materia, come la definiamo, era pura energia irradiantesi nello spazio-tempo, che essa stessa andava creando con il suo irradiamento.
Così dunque, la nuova scienza non potrà riguardare sempre ed unicamente il momento successivo di quell'evento primario, l'aspetto fisico del mondo, della materia e della creatura umana, né potrà distaccarsene, o rifiutarne la ragione, ma dovrà considerare che la confluenza di tutte le forme coincide nell'indagine sulla coscienza, e sui confini della coscienza stessa, perché l'uomo non si limita a esistere, ma riflette su tutto questo.
1 - Si tratta propriamente dell'organizzazione gerarchica e secolare di una religione, che ne interpreta ufficialmente la rivelazione ed enuncia la dottrina e i canoni di fede. Nella Ecclesia cristiana, da una semplicità comunitaria primitiva, dove la guida del Vescovo era assoluta, ma in un certo senso con il carattere familiare di guida del padre, si arrivò all'organizzazione odierna fortemente monocratica, derivante dal considerare il Papa il rappresentante di Dio (Padre-Figlio-Spirito Santo) in Terra, donde il dogma della sua infallibilità e la tendenza ancora attuale a beatificarlo post mortem (praticamente, la vecchia divinizzazione imperiale romana). Tale orientamento è molto antico e si può dire che da esso dipesero le dispute, sia dottrinali che politiche e personali, da cui si ebbero scismi e guerre di religione nei secoli.
2 - G. Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Piccola Biblioteca Einaudi, 1980, Pagg. 32-42.
3 - Del resto, la prima forma di potere nella storia è stata proprio quella religiosa, che fondò il nucleo politico, la città religiosa o civitas (come unione di famiglie), per l'affermazione di un Dio patronimico, evidentemente considerato il creatore o il padre di tutti; il suo sommo sacerdote, colui che ne celebrava i misteri e le magie, era anche il capo politico, il re, della comunità: Faraone (cioè "grande casa" o tempio) in Egitto; Lugal, cioè Gran Sacerdote, ma al tempo stesso re della città sumera, organizzata proprio in funzione del Tempio e al servizio del Tempio.
4 - G. Scholem, Op. cit., pag. 17.
5 - La regola francescana fu approvata dal Papa Onorio III il 29 novembre 1223 dopo un certo conflitto con la Curia e quando fu chiaro che il nuovo Ordine non avrebbe mai preteso di essere altemativo alla Chiesa ufficiale. Ma anche successivamente, le relazioni non furono mai troppo tranquille.
6 - "Miste" era il termine greco per designare il "separato", ma più propriamente l'iniziato ai "misteri", cioè alle cose segrete e separate dalla conoscenza comune, con carattere di vera e propria rivelazione.
7 - I rapporti tra "filosofia" e "esoterismo" erano molto stretti all'inizio e i due termini erano si può dire equivalenti, per designare l'amore e la trattazione di cose non accessibili a tutti, impossibili anzi a rendere comuni: quasi tutte le più antiche scuole filosofiche greche erano "esoteriche", cioè riservate nell'insegnamento a pochi, scelti discepoli.
8 - Vedi Il Sole-24 Ore del 12/9/1993 n. 249: articolo di Cristina Calzavara "Levasti e la via verso Dio". La citazione è tratta dall'introduzione di A. Levasti all'opera "L'ardente soliloquio con Dio" di Gerlac Petersz.
9 - Bertrand Russell, Misticismo e Logica - TEA Milano 1993.
10 - Molte personalità "esoteriche" hanno avuto slanci mistici nella loro vita o sono addirittura debordati nel "misticismo": pensiamo soprattutto a filosofi cabalisti come Isaq Louria, a "esoterici" come Giordano Bruno e Jacob Boehme, che a sua volta influenzò personalità come quella di Louis-Claude de Saint-Martin.
11 - Parmenide, frammento 2. La conoscenza del non-essere è "una via preclusa ad ogni ricerca".
12 Si tratta del principio in base al quale non è possibile contemporaneamente determinare la misura esatta della posizione e della velocità di una particella; quanto maggiore è la precisazione di una misurazione, tanto minore è l'esattezza dell'altra, e viceversa. Le posizioni e le velocità delle particelle non sono per-tanto definibili o predicibili esattamente, il che introduce un concetto di casualità nella scienza, che è in contrasto con il fondamento deterministico della stessa.
13 W. Heisenberg, Physics and Philosofy, Harper, New York (1958).
14 - Pensiamo anche alle tendenze moderne verso una pseudo ricerca religiosa antidogmatica, come nel movimento di Scientology o verso astrazioni pure e semplici come la New Age, dove l'obiettivo di fondo è un'età nuova puramente velleitaria, sintomo del disorientamento e della decadenza attuali.
15 - Juan de la Cruz (1542-1591), grande mistico spagnolo, dell'Ordine del Carmelo, autore del Cantico Spirituale e della Notte Oscura, di alto valore poetico. Nel 1926, fu proclamato da Pio XI dottore della Chiesa.
16 - Menahe’m da Recanati (sec. XIV). Il suo commento al Pentateuco venne tradotto in latino da Pico della Mirandola nel 1523. Vedi anche G. SCHOLEM, La Kabbalah e il suo simbolismo, P.B.E., Torino 1980, pag. 159-160.
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