In questa tornata siamo chiamati dall'Esperto Terribile a discutere di due argomenti apparentemente diversi, ma che, a mio avviso, finiscono con il sovrapporsi e l'incrociarsi, fino a diventare uno solo. Si tratta dunque di stabilire se le riunioni o sedute "informali" avvengono o meno nel "recinto sacro" ed inoltre qual'è l'influenza o l'importanza "del volume, del peso e della misura" sul materiale occorrente alla costruzione del Tempio. Nella più recente seduta rituale sull'argomento che ci occupa quest'anno, abbiamo tracciato "una tavola da disegno" sul Tempio in generale e sulla sua genesi nell'Uomo o dall'Uomo. Cerchiamo ora di riprendere le fila del discorso. Nel mio contributo al lavoro corale avevo cercato di fermare la mia riflessione sulle ragioni che spingono l'Uomo ad intraprendere la costruzione di un Tempio. Ho ritenuto di poter indicare la motivazione in quel "sentire" interno dell'Uomo che, al di là della propria esistenza sensibile, avverte una realtà diversa, per partecipare alla quale "costruisce" un "recinto" (cioè un Tempio) delimitando uno spazio, nel quale, mediante pratiche particolari, cerca di soddisfare la sua esigenza primordiale. Orbene se nel recinto sente una "Presenza", il Tempio sarà una chiesa, una religione se invece avverte una "Legge", il Tempio assumerà un significato affatto diverso. Nel primo caso l'uomo si convincerà del suo stato di dipendenza da una o più potenze ultraterrene, con le quali si trova in reciprocità di rapporti e alle quali esprime la sua subordinazione attraverso la preghiera, il sacrificio, la liturgia, l'ascesi, il rispetto di norme morali, ecc. Nel secondo caso l'uomo ignorando (o rifiutando o negando) il rapporto di propria dipendenza da ogni potenza ultraterrena intraprende un cammino diretto a scoprire, disciplinare e dominare la Legge o almeno alcune sue più immediate manifestazioni. Il primo passo dunque mi sembra possa essere indicato in uno stato di coscienza nel quale più o meno chiaramente ci si rende edotti delle contraddizioni insite nel mondo e in noi stessi e dalle quali noi siamo dilaniati e che continuamente tentiamo di risolvere, non riuscendovi che momentaneamente. Un filosofo al posto di contraddizioni avrebbe usato il termine "antinomie" il che equivale a termini contraddittori, opposti, inconciliabili. Tali sono la vita e la morte, lo spirito e la materia, il finito e l'infinito, il destino e il caso, il Tutto e il Nulla. Ebbene soffrire queste antinomie, cercarne la conciliazione, trovarle momentaneamente, ricaderne preda significa porsi le eterne domande "chi siamo?","da dove veniamo?","dove andiamo?" Voler risolvere la problematica che scaturisce dalle domande significa desiderare di sottrarsi all'angoscia esistenziale, dissipare la nebbia, in una: "cercare la conoscenza di sé e in sé dell'Essere". Porsi su questa via significa intraprendere un cammino iniziatico. Giova ricordare che iniziazione, dal latino "initium" significa "entrata, "punto di partenza", entrata in una via che resta da percorrere, punto di partenza in una nuova esistenza nel corso della quale dovranno essere sviluppate determinate qualità che sono latenti, cioè potenziali nell'essere umano. Per il "religioso" subordinato, supplice, consapevole della propria debolezza e perciò "passivo" di fronte alla divinità, essendo l'Entità molto più potente dell'uomo, è giocoforza "rinunciare" a cercare la risposta alle domande ed accettare, in preghiera ed umiltà, il mistero della sua esistenza. Ma accanto a siffatto tipo umano ne convive un altro, forse più orgoglioso e ribelle che guarda nella parola "initium" la sua forma plurale e cioè "initia" vale a dire i capisaldi della conoscenza; quindi iniziato è colui che vuole rendersi partecipe dei principi, dei fondamenti dell'esistenza nella sua interezza, cioè dei più profondi misteri della Natura e dell'Uomo. Possiamo tornare allo svolgimento del tema, ora che in qualche modo - nonostante la digressione, peraltro voluta - ne abbiamo posto le premesse. Infatti dovendo precisare - ai fini del tema stesso - che cosa è realmente il "recinto" e che cosa intendiamo per "sacro", non possiamo prescindere dalla visione del mondo di chi il recinto costruisce per cercarvi la sacralità.
È chiaro che il Tempio non è che un "supporto", un simbolo, attraverso la cui penetrazione (sostenuta e coadiuvata da pratiche particolari cioè riti, cerimonie e rituali) l'Uomo cerca di avvicinarsi a quella conoscenza superiore che esiste al di là dell'intelletto raziocinante, di là delle credenze e dei sentimenti, di là di ciò che vale come cultura e come scienza. In questo "sapere" si risolve il problema dell'essere. La simbologia massonica si incentra nella costruzione dei Tempio di Salomone. Per costruire il Tempio occorrono tutte le facoltà umane: forza, bellezza e saggezza e cioè è necessaria la forza fisica per adattare le pietre e per provvedere alla loro sistemazione secondo un chiaro e preciso disegno predisposto dalla saggia ed accorta progettazione che da un lato ha esaltato la razionalità dei volumi, dei pesi e delle misure e dall'altro non ha potuto prescindere dall'armonica ed estetica legge della bellezza funzionale che "irradia e compie" l'Opera. Dunque (poiché la natura umana non cambia) queste stesse facoltà debbono essere adattate alla costruzione del Tempio ideale nel quale si lavora alla GLORIA del G:.A:.D:.U:. In prima analisi dunque il volume, il peso, la misura sono - e non possono non essere - essenziali a predisporre il materiale occorrente per la costruzione del Tempio. È infatti impossibile ignorare la legge dello spazio, o i rapporti fra le cose o la legge dell'equilibrio. Nel Tempio massonico tutto è predisposto in modo tale che da esso e dai suoi simboli venga uno stimolo a speculare cioè a guardare allo specchio questo microcosmo che riflette il macrocosmo così come la Tradizione iniziatica (che fondatore non ha, ma che trova la sua origine nella stessa Legge degli Enti) ha potuto trasmettere fino a noi. In realtà lo strumento più immediato offerto ai "costruttori" è la discussione interpretativa e conoscitiva che, poi, attraverso la meditazione e la speculazione "superiore" porta a quella espansione di coscienza destinata alla esperienza e alla conoscenza diretta della esistenza al di là delle semplici e tangibili "cose".
Ora una conoscenza priva di equivoci puoi essere raggiunta non mediante una discussione, quanto mediante le "cose". Dobbiamo infatti constatare come la parola per quanto perfezionata e raffinata è ben lontano dal raggiungere una perfezione espressiva. L'evoluzione stessa del linguaggio ci fa vedere come l'uomo sia continuamente alla ricerca di nuovi mezzi di comunicazione. Sperimentiamo quotidianamente quanto sia difficile intenderci con il nostro prossimo, specie se usciamo dagli argomenti banali della comune informazione. Da tutto ciò deriva che l'oggetto, l'immagine, le cose rimangono tuttora gli elementi più significativi. C'è in essi una ricchezza di espressività che la parola non può dare. La parola acquista valore quando riesce ad evocare, quando si fa racconto, poesia, mito e rito, quando rinuncia alla pretesa di spiegare, interpretare cercare i perchè delle cose. Può allora apparire anche priva di senso, segreta, misteriosa, assurda. Gli inni dei fratelli Arvali, cantati all'epoca romana durante certe feste religiose, dovevano tutto il loro fascino alla incomprensibilità addirittura anche da parte degli stessi sacerdoti che li andavano salmodiando. Ed il fascino della lingua latina – ormai perduto - nella chiesa cattolica? Provatevi a tradurre il Dies irae e perderete gran parte del suo tragico significato di morte. Dunque ai fini di una "conoscenza" - come noi la intendiamo - la più sicura possibile, bisogna ridurre a zero lo spazio che esiste fra le parole i significati e le cose per restare possibilmente in quest'ultime. Le cose restano sempre le stesse: non hanno nome, né significato, sono quello che sono. Ma che vuoi dire restare nelle cose? Vuoi dire che il nostro "sapere" non è dogma, ma esperienza diretta nel senso che se noi stiamo "tra le cose" esse entrano in noi e vi rimangono. Il rito, il simbolo diventano un evento interiore, che corrisponde ad un "sentire" o se vogliamo ad una sperimentazione interiore. Solo in un secondo tempo questo "sentire" interiore potrà diventare un "ragionare". Non bisogna provare, ma bisogna essere! È questa, come ha scritto qualcuno, la conoscenza dell'"osservatore partecipante". Si potrebbe anche dire per simpatia, per identificazione, per "transfert". Non si tratta quindi di parlare per es. di amore, ma bisogna amare; né di parlare di respiro, ma bisogna sentire il respiro sotto la pelle; né di parlare di mele, perchè bisogna mangiarle. Dobbiamo ora cercare di meglio precisare che cosa è in realtà il "recinto" e che cosa intendiamo per "sacro". Fisicamente un tempio massonico è costituito dal Gabinetto di Riflessione, dalla Sala dei passi perduti e dal Tempio vero e proprio. Il Gabinetto di Riflessione è quasi un luogo a sé dove è possibile captare ed intuire qualcosa. La Sala dei passi perduti da una parte ed il Tempio dall'altra non costituiscono soltanto due luoghi ma rappresentano qualcosa che va indubbiamente al di là della semplice confinazione limitativa e topografica. La Sala dei passi perduti esprime il mondo di fuori, l'exoterico, il dominio delle passioni, dei sentimenti, dei fanatismi, dei pregiudizi, degli scontri delle ideologie, dei costumi, della morale sociale di tutto quanto insomma può costituire il mondo esterno ossia il mondo dei metalli, la profanità. È questa la dimensione del valore, del peso, della misura. Il Tempio è la rappresentazione più alta del simbolo magico del mondo esteriore, il dominio della via iniziatica, la edificazione di un ordine di vita migliore, senza misura, senza dimensione (da Oriente ad Occidente), senza confinazione, oltre l'universo oltre l'infinito, il mondo dell'Io e della Coscienza Umana, dell'Essere e del non Essere, quello che deve trovare il senso occulto velato dal simbolo, il "senso spirituale". I due mondi non sono distinti in quanto sono due aspetti di una medesima realtà, ma il Fratello è LIBERO solo nel Tempio, dove attraverso la ritualità - che si badi bene non è condizionamento - realizza il "sacro". Che cosa sia da considerarsi sacro è un problema di non facile soluzione. Ci sono luoghi sacri, oggetti e situazioni sacri. Il sacro è qualcosa di singolare, di misterioso dotato di una forza e di un significato che non si possono descrivere a parole senza ridurne e limitarne la portata. In termini "psicoanalitici" si potrebbe definire come la proiezione della parte più profonda, più ancestrale dell'inconscio che può farsi presente emotivamente soltanto attraverso il simbolo. Noi possiamo avere nozione della nostra immagine personale solo attraverso una superficie che la rifletta. Così è per il sacro. Noi troviamo fuori di noi e lo viviamo emotivamente ciò che esiste in forma nebulosa nei meandri più segreti della nostra anima. È chiaro che il fenomeno si ricollega strettamente alla nostra visione del mondo per cui è l'uomo stesso che sceglie, ciò che è sacro e ciò che non lo è. Non vi è una condizione obiettiva per cui un oggetto o una situazione debbono essere necessariamente sacri e quindi dotati di quella forza che li rende "magici", cioè eventualmente utilizzabili per i nostri fini. Un luogo può diventare sacro in seguito ad un avvenimento eccezionale. Mosè che si avvicina al roseto ardente sente una voce che gli ordina: "Mosè togliti i calzari perchè la terra dove stai è santa". Giacobbe svegliatosi dal suo sogno, durante il quale aveva visto una scala che saliva fino al cielo, percorsa da una schiera di angeli, si guarda attorno stupito, poi versa olio sulla pietra dove aveva posato il capo ed esclama: "Questo luogo è sacro". Ed il luogo diventa sacro anche per gli altri. In quel luogo è avvenuta una "epifania" cioè una manifestazione del sacro. Fatte queste premesse, dobbiamo concludere che le riunioni informali, non avvengono nel recinto sacro "strictu sensu". Analogamente se definiamo il volume ,il peso e la misura dobbiamo dire che la delimitazione dello spazio, la legge di gravità, il rapporto fra grandezze non interessano i materiali necessari alla "costruzione" di un luogo che per sua caratteristica è senza limiti e dimensioni. Ma così argomentando, a pensarci bene, restiamo nell'exoterico cioè non ribaltiamo il nostro pensiero di fronte a ciò che si ritiene "possibile", di fronte a ciò che è "normale". Normale e possibile sono termini molto importanti; ma purtroppo la loro definizione è legata a secoli di sovrastrutture culturali e l'uomo ha finito con il ritenere che è normale e possibile solo ciò che è spiegabile da un punto di vista scientifico. Se invece accettiamo - sia pure solo come ipotesi di lavoro - che il mondo è retto da leggi che nessuna regola scientifica può comprendere o tentare di spiegare, dobbiamo concludere che esiste un "normale", un "possibile" di tipo diverso. Voglio tentare di spiegarmi con un esempio, preso, peraltro, direttamente da esperienze scientifiche. Intorno agli anni 70 fu fatto un singolare esperimento: si misero su due jet supersonici alcuni orologi atomici cioè di massima precisione , più esatti del movimento di un pianeta, e i due jet lanciati ad uguale velocità furono fatti girare intorno al mondo in senso contrario. Quando tornarono alla base gli orologi che si trovavano su un apparecchio segnavano un orario diverso da quelli che si trovavano sull'altro, eppure erano stati perfettamente sincronizzati in partenza . La spiegazione scientifica l'aveva già data Einstain il quale con la sua teoria della relatività ha infranto determinati confini del normale e del possibile. Infatti fino a lui si era certi che il tempo avesse sempre lo stesso ritmo, anche se gli orologi andavano avanti o indietro. Dopo di lui la misura del tempo è diventata relativa, in quanto secondo la sua teoria il tempo si misura a secondo di come ci si muove perchè non è un valore assoluto. Alla scienza l'esperimento citato ha dimostrato la fondatezza della teoria di Einstain , ma a noi che cosa può insegnare? Se su quegli orologi in movimento il tempo è trascorso in modo diverso è evidente che tempo e spazio non sono concetti separati, ma in rapporto fra loro. Quindi eventi separati nel tempo possono trovare punti di incontro nello spazio, e viceversa. Vi è quindi un mondo dove le cose non accadono seguendo una logica del prima o del dopo. Vale a dire che le cose succedono in una sorta di "tempo spaziale continuo" dove il prima e il dopo, la causa e l'effetto non sono fra loro separati, ma fanno parte dello stesso quadro, dello stesso insieme. Questo mondo noi dobbiamo risvegliare nella nostra mente e renderlo tanto concreto e reale da potere in ogni momento della vita unire il tempo e lo spazio e quindi vivere nel "recinto" anche quando si sta fuori e sentire l'epifania , la manifestazione del "sacro", del "nostro sacro", sempre e comunque. In questo mondo incontreremo dei volumi, dei pesi, delle misure in assoluto diversi, ma che sono le sole possibili leggi necessarie per la "costruzione" del Tempio. In conclusione, un gruppo di "costruttori" che si riunisce in un luogo, per tracciare "tavole da disegno", per progettare e discutere "capi d'opera", e per dirla in una sola parola "per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio", ovunque e dovunque si trovi, ha - e deve avere - la immediata possibilità di "recintare uno spazio atemporale" o, come ho innanzi detto, di portarsi in un "tempo spaziale continuo". Gli difetteranno i "supporti", ma se è "entrato nelle cose", se sta "tra le cose", se esse sono entrate in lui e vi sono rimaste, riscrive il suo rituale e trova il modo di collegarsi anche a chi quel rituale non conosce, perchè il suo è, pur sempre, "Lavoro alla Gloria del G:.A:.D:.U:." che confluisce nella ininterrotta e secolare tradizione muratoria. |