Quello che segue è il testo integrale di una conferenza tenuta da Pirofilo il 31 marzo 1998 a Rimini al Club Malatestiano su iniziativa del Circolo Giovanni Venerucci. Sotto lo pseudonimo di Pirofilo si cela un illustre studioso di esoterismo che da molti anni collabora con le riviste Hiram e Acacia.
 

© Pirofilo

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Signore e signori, l’argomento è molto complesso e io mi auguro di riuscire a coprirlo per lo meno in parte....
Ora prima di cominciare, però, volevo richiedere a voi una certa dose di pazienza, perché siamo, in questo ambito, vicini al limite delle parole. Le parole spesso rappresentano concetti: vengono prese come concetti di categorie, ma in questa maniera si corre il rischio di non intenderci. Vi chiedo quindi uno sforzo di apertura mentale andando al di là di quelle che possono essere le prime impressioni date dai concetti.
Per seconda cosa volevo dire che il tema che affronto tratta di conoscenza esistenziale e quindi non tratterò assolutamente il problema della parte divinatoria delle carte dei tarocchi, che possono anche rappresentare un campo di indagine che però a me non interessa in modo particolare.
Voglio poi dire che non sono un teorico. E allora qui vorrei aprire una piccola parentesi. Noi siamo abituati a considerare le esposizioni come se fossero teorie, ma io vorrei introdurre un principio leggermente diverso, che poi usiamo tutti i giorni, e cioè il modello funzionale.
Un esempio di modello funzionale è, per esempio, un sergente che fa istruzione alle reclute; strilla e urla ma trasmette un messaggio; questo messaggio non può essere teorizzato, perché oltre a quello che dice -che potrebbe dire anche non strillando- arriva un messaggio fatto di forza, di comando, di prepotenza, di tutto quello che volete voi.
Tutto questo non è descrivibile. Però il modello del sergente esiste e tutti quanti credo che lo capiscano bene. Allora per il fatto che non può essere teorizzato noi dobbiamo considerare che non esiste? Mi sembra un po’ assurdo, perché tutta la vita è fatta di modelli funzionali.
Chi riceve il messaggio viceversa usa il cosiddetto modello esistenziale. Anche questo non può essere comunicato. La persona, la recluta che riceve gli ordini urlati dal sergente li interpreta in parte obiettivamente, in parte soggettivamente. Dobbiamo dubitare per questo dell’esistenza di tutte queste cose per il fatto che uno le percepisce soggettivamente? Questo mi sembra abbastanza arbitrario anche perché tutta la vita è fatta di modelli esistenziali.
Ogni volta che noi riceviamo una sensazione dall’esterno, una percezione, usiamo un nostro modello esistenziale; valutiamo questa percezione e la facciamo nostra.
Volete sapere un tipico esempio di modello esistenziale? Questo esempio è abbastanza comprensibile. Se uno mangia un’arancia può raccontare cosa vuoi dire la sua esperienza? É impossibile. Però se due persone hanno mangiato l’arancia si intendono immediatamente, anche se la prima persona può avere avuto una sensazione soggettiva diversa dalla seconda, ma tutte e due sanno di che cosa si tratta.
Se ci fosse di mezzo una teoria, secondo le teorie definibili, quanto detto non dovrebbe funzionare e invece funziona benissimo. Una terza persona che non ha mai mangiato l’arancia non riuscirà mai a capire di che cosa parlano le prime due e penserà che queste gli vogliono tenere nascosto un segreto. Cosa che non è vera perché, anche se volessero, i due non hanno la possibilità di comunicarlo.

Bene. Cosa c’entrano i tarocchi con tutto questo?
C’entrano perché i tarocchi, come carte, sono un modello funzionale e noi possiamo interpretarli come un modello esistenziale. Questo è importantissimo perché se noi andiamo a vedere in profondità i modelli esistenziali, troviamo che tutto quello che per noi ha un valore costituisce un modello esistenziale. Se noi togliessimo di mezzo i modelli esistenziale la vita diventerebbe molto piatta e noiosa. Io posso osservare per esempio una chiave, la guardo, ma che informazioni esistenziali mi dà? Quasi nessuna, perché non c’è una realtà esistenziale dietro una chiave se non il fatto che essa esiste.
Tutto quello che invece ci può provocare dei valori interiori, rappresenta un modello funzionale e perciò una realtà esistenziale per noi che la viviamo.
Al di là della semplice sequenza delle carte dei tarocchi esiste un mondo di una complessità enorme, che regolarmente mi causa meraviglia anche se è da moltissimi anni che lo guardo. Mi chiedo come siano potuti essere così concepiti, chi li ha inventati, chi li ha perfezionati.
Io credo che siano stati lentamente perfezionati. Forse all’inizio non erano così ma questo non riusciremo mai a saperlo anche perché prima del 1400 non ce ne sono tracce, per lo meno tracce fisiche. Personalmente credo che il vero sviluppo deve essere cominciato intorno al 1700, però anche di questo non si riesce a trovare una convincente spiegazione. Una cosa è certa e cioè che via via si sono evoluti e sono state fatte aggiunte. Sicuramente il mazzo di carte dei tarocchi più rappresentativo è quello detto Marsigliese, che poi è stato leggermente modificato, in tempi recenti da Oswald Wirth, che fra l’altro era un esperto di questo campo.
Quando ho cominciato ad occuparmi di tarocchi, inizialmente l’ho fatto con curiosità non riuscendo a capire bene cosa volessero rappresentare. Mi sembrava tutto molto strano, poi ho cominciato ad osservare cose che apparentemente implicavano un significato.
Anzitutto le carte sono numerate. Perché numerate? La prima risposta che viene alla mente è che viene suggerito di guardarle secondo un certo determinato ordine. E questo già mi ha incuriosito.
Le carte sono 22 in totale. Se togliamo il matto che non ha numero, rimangono 21 carte.
C’è un fatto assai curioso. Se io le divido in sette gruppi consecutivi di tre carte ciascuno, tre delle carte centrali di tali gruppi sono apertamente chiamate con nomi di Virtù: una è la Giustizia, una Fortezza e un’altra la Temperanza.
Questo mi ha incuriosito e sono andato a vedere se anche le altre quattro carte centrali, che non avevano un chiaro nome di Virtù, potessero essere riconducibili a una virtù. In effetti, l’abbinamento è abbastanza facile, perché la Papessa rappresenta la Speranza, il Papa è la Fede, mentre le Stelle sono la Carità. L’ultima carta che rimane apparentemente fuori da tale logica, ed è la più difficile di tutte, è il Giudizio. Lì per lì non riuscivo a capire cosa volesse dire, poi ho ricordato che c’è un vecchissimo detto, che dice "abbi giudizio" per intendere di essere prudente.
Ora voi capite bene che, essendoci tutta una serie di coincidenze del genere descritto, bisognava cominciare a pensare che sotto ci fosse un qualche messaggio. Non era più pensabile che queste cose fossero messe così a caso ed allora cominciai ad indagare per vedere quale poteva essere il messaggio celato. E qui sono venute alla luce tutta una serie di fatti che via via mi hanno incoraggiato a proseguire per meglio comprendere le cose.
Le virtù che cosa sono: rappresentano, esistenzialmente parlando, dei modi di essere e così ho cominciato a capire che i simboli proposti dalle carte sono modi di essere; non sono concetti, sono molto di più. Rappresentano modi essere dell’esistenza.
La Giustizia, per esempio, che forse sarebbe bene chiamare imparzialità. L’imparzialità può essere considerata anche un concetto ma può anche essere un modo di essere: la persona che è imparziale ha una forza dentro di sé che non ha invece la persona che non e imparziale. Così una persona che ha una speranza, che vive la speranza come modo di essere, ha una forza.
Questi modi di essere sono azioni e quindi ho pensato che potessero rappresentare l’equivalente di un verbo: ricordate il Faust di Goethe.? "In principio era il Verbo", ma forse sarebbe meglio dire "in principio era l’Azione".
E allora vedendo queste sette carte, le centrali di sette gruppi di tre carte, ho cominciato a osservare se si voleva far comprendere che la parte centrale rappresentava il verbo e quindi l’azione.
In realtà la prima carta di ogni gruppo di tre carte rappresenta la carta di partenza, la terza, invece, è una carta d’arrivo. Quindi un modo di essere di partenza più un’azione, che è anche un modo di essere, diventa un altro modo di essere finale, su cui ci si appoggia. Ogni gruppo di tre carte rappresenta una particolare azione, che implica ben precisi modi di essere.
E qui è cominciato a venirne fuori il quadro generale di ciò che veniva proposto dal modello funzionale e esistenziale dei tarocchi.
Mettendoci di fronte alla sequenza delle carte mi sembra che venga esplicitata una sequenza anche temporale o per lo meno sequenzialmente logica: si parte dalla prima, poi viene la seconda, la terza, e così via. Che significato avrebbe, altrimenti, mettere i numeri alle carte?

 



La prima carta dei tarocchi, il Matto, è una carta fuori sequenza. Ci sono molte informazioni celate in questa carta. Abbiamo un personaggio che cammina senza meta, non c’è, infatti, alcun sentiero; si appoggia a un bastone, simbolicamente ha un qualcosa a cui appoggiarsi; ha un fagottino sulle spalle e, quindi, non è del tutto indigente e forse l’informazione più importante di tutte è il suo andare erratico, costretto da una belva, da un cane, che gli morde il sedere.
Questa praticamente è la condizione normale della persona che non ha un cammino personale ben delineato, che è spinta, è agita, piuttosto che decisa ad agire.
A questo punto incomincia il vero cammino, non si sa bene verso dove. Il Matto improvvisamente prende coscienza di se stesso e di quello che è in lui. Improvvisamente diventa il Bagatto.

Se osservate la carta del Bagatto si vede un piccolo banco con tre simboli che sono l’acqua - la coppa, i denari - la terra, la spada - l’aria; in mano ha la bacchetta che è il simbolo del fuoco. Compaiono quindi improvvisamente i quattro elementi i quali non sono gli elementi chimici come normalmente si pensa, ma sono anche essi modi di essere: la mia opinione è che rappresentano i mattoni del divenire.
Allora il Bagatto, il giocoliere, con i mattoni del divenire, incomincia a pensare alla via della conoscenza di se stesso.

Usando la speranza, come azione, arriva all’Imperatrice che costituisce la conoscenza. Il desiderio, la possibilità cioè di uscire da se stesso, attraverso la speranza, attraverso l’iniziazione, perviene ad una conoscenza che è il superamento del vagare caotico.

Una volta che uno ha avuto la conoscenza, non potrà più tornare indietro: la conoscenza è un punto di arrivo.
La conoscenza, o meglio la coscienza della conoscenza è rappresentata dall’Imperatore, che ha uno scettro in mano, simbolo di un potere cosciente.

La vera coscienza della conoscenza genera la Fede, che è rappresentata dal Papa. La Fede è un’azione; la fede è un modo di essere che porta ad un’azione interiore.

La carta successiva, che è l’Innamorato, propone in sostanza un bivio all’incontrario: vi sono due strade che poi convergono verso un’unica strada. C’è una specie di angelo che dall’alto scocca una freccia. In altre parole una persona che ha raggiunto una conoscenza e una coscienza di se stesso ed ha fede, è pronto a scegliere e percorrere una strada.


Questo lo si vede nella carta successiva dove c’è un carro trainato da due Sfingi che è guidato da un uomo con una corona in testa. É sempre il Bagatto che prima è diventato Imperatore e poi è diventato colui che guida il carro.

Ecco: a questo punto incomincia un cammino dinamico, un cammino dinamico che deve essere bilanciato, perché per riuscire a pilotare le forze delle due Sfingi che tirano il carro -una va da una parte una dall’altra- si esige una grande imparzialità: ecco il simbolo della Giustizia, che deve essere intesa come azione imparziale.

Solo a questo punto, se una persona ha realizzato le trasformazioni avvenute in se stesso, cioè è riuscito a percepire che cosa significhino tutti i modi di essere proposti, solo a questo punto si incomincia a poter percorrere il cammino e il Matto che vagava nel caos diventa l’Eremita che ha una lampada e quindi ha una luce e comincia a vedere qualche riferimento su cui contare, su cui orientarsi. Ha lo stesso il bastone del Matto, non ha più il sacco dei propri averi ma sotto il mantello c’è la luce.
Ora, che tutto quanto detto rappresenti una sequenza senza significato, ho difficoltà a capirlo. Credo che tutto sia, invece, molto logico, molto consequenziale e rappresenta proprio una sequenza di realizzazioni interiori.
Con queste prime nove carte finisce il cammino, quello decisionale interiore, di chi vuole mettersi in cammino. In altre parole il Matto che ha preso coscienza di se stesso e ha realizzato una serie di trasformazioni è diventato l’Eremita, il viandante ricercatore con la luce.
Le altre nove carte che seguono sono di natura completamente diversa perché l’essere attivo, rappresentato dalle varie forme assunte dal Bagatto, è qualche cosa che svanisce.
La prima carta delle sequenze successive è la Ruota della Fortuna. É qualche cosa imprevedibile: le persone che, pur avendo deciso di percorrere volontariamente il cammino, improvvisamente si imbattono negli eventi, che possono essere favorevoli o sfavorevoli. Non basta cioè decidere su se stessi, bisogna anche superare quelli che sono gli eventi esterni alla nostra volontà.
E da qui in avanti si comincia a proporre un modo di porsi di fronte agli eventi in una maniera completamente diversa da quella che noi normalmente utilizziamo nella vita di tutti i giorni, in cui un evento contrario ci abbatte e un evento favorevole ci porta alle stelle. In entrambi i casi è un errore che si deve imparare ad evitare.
La carta successiva è azione. Bisogna imparare a vedere come si agisce nei confronti degli eventi: con la Forza, ma di tipo del tutto speciale. Essa è simboleggiata da una donzella che senza sforzo apre le fauci del leone. É una carta molto importante per comprendere il corretto modo di porsi di fronte alla vita. Le persone che percorrono il loro cammino interiore non dovrebbero più tentare di aprire con la forza le fauci del leone, che simboleggiano la pericolosità degli eventi. Fare sforzi; non serve.
Se uno riesce a capire il modo di essere associato alla forza di aprire le fauci del leone senza sforzo, diventa la carta successiva, e comincia a comprendere l’Appeso.
L’Appeso è in vacanza, non fa più il giocoliere, si lascia guidare dagli eventi, non si oppone ad essi. É una figura estremamente strana, che non è impiccato come normalmente si crede, ma è appeso cioè come uno che si lascia andare agli eventi senza opporsi.

Fra l’altro si libera la sua ricchezza, perché ha dei soldi, dell’oro che esce dalle tasche, come se quello che fosse nascosto in sé improvvisamente si manifestasse per il fatto stesso di appendersi.
Poi nella carta dell’Appeso c’è una cosa molto strana; viene proposto un simbolo fatto da un triangolo e da una croce. Chi ha presente l’appeso ricorda che ha una posizione strana; è singolare che uno venga appeso per una gamba sola e che l’altra gamba sia a croce. In realtà è una croce sopra a un triangolo che simboleggia l’acqua. Praticamente sono i quattro elementi che predominano e che possono essere padroneggiati solo se uno si abbandona al flusso dell’acqua.
Le tre carte successive proseguono nell’approfondimento di questa strana forma di azione, di questo modo di porsi passivamente di fronte agli eventi. Non si tratta però di una passività di tipo fatalistico, ma piuttosto di un saper superare gli ostacoli apparenti degli eventi per riuscire ad interpretarli nella loro giusta maniera.
Le tre carte successive sono una terna rappresentata dalla Morte, dalla Temperanza e dal Diavolo.
Sono tutti modi di essere particolarmente sottili che uno deve cercare di penetrare con grande sensibilità
Cosa significa la Morte? Vediamo la Morte che taglia la testa al re e alla regina. In altre parole non basta appendersi, ma per poter proseguire nella strada della vera conoscenza esistenziale - quella che può essere vissuta, esperienzialmente percepita, ma non così per caso - se uno vuole percorrere quella strada, deve abbandonare l’individualità, che è rappresentata simbolicamente dal re e dalla regina, che sono delle teste che vengono tagliate; in altre parole si propone che vengano superati non solo la volontà d’azione ma anche l’Io.
La carta successiva. Qual’è l’azione per superare questo livello? É la Temperanza: si vede un angelo che versa da una brocca d’argento acqua in una brocca d’oro senza che una stilla d’acqua esca fuori dalle brocche. In altre parole si propone un modo di essere tale per cui quello che fluisce dagli eventi (recipiente d’argento) entra in un altro recipiente d’oro, che dovrebbe rappresentare i nostri valori interiori, una specie di cassaforte per tesori che non vengono dispersi.

Chiaramente sto molto semplificando perché se dovessimo entrare nei dettagli staremmo qui giornate intere.
Una volta che si è vissuto questo modo di essere della Temperanza, che non consente il predominio di cose esterne o il predominio di cose interne, ma un equilibrio interiore di tipo speciale, che non è l’imparzialità, ma è un qualcosa di diverso che logicamente implica l’assenza della gola che è il contrario della temperanza, ecco che arriva il Diavolo il quale è semplicemente un perfetto ricevitore degli eventi. Solo allora è possibile leggere il gran libro della natura. Ecco il significato di questa carta.
Naturalmente leggere nel gran libro della natura significa che uno deve tenere a freno faticosamente le proprie passioni che sono rappresentate dai diavoletti che sono ai piedi del Diavolo, tenuti al guinzaglio.
Nelle carte di Oswald Wirth compare anche la scritta "solve et coagula", che è un’operazione alchemica. Solo attraverso la percezione del solve, attraverso la lettura del gran libro della natura, uno riesce poi a coagulare in se stesso tutte informazioni, tutte le percezioni, che possono arrivare solo quando uno si è liberato di tutte le altre remore messe in luce nelle carte precedenti.
La terna successiva delle carte diventa fondamentale.
La prima è chiamata la Torre, in francese La Maison Dieu, che non è la casa di Dio ma la Casa Dio. Si vede una torre che implica una costruzione, che viene distrutta da un lampo di luce. In questa distruzione ci sono due persone che cascano, uno è l’architetto costruttore della torre e l’altro, invece, è uno che ha la corona in testa. Cosa può significare questo? Può significare che uno deve finire di distruggere la tana, la cuccia, che noi stessi ci siamo costruiti e dove in certi determinati eventi noi ci rifugiamo; ci rifugiamo per difenderci. Ma, invece, non deve essere così. Quello che viene proposto è che attraverso il lampo di luce l’architetto, che è quello che riceve un mattone in testa, muore. Non si debbono più costruire Case Dio. Si possono solo abitare.
La carta successiva è l’azione che corrisponde alla Carità, in cui si vede l’evoluzione del la temperanza: abbiamo le stesse brocche e lo stesso angelo; questa volta però l’acqua invece di passare da una brocca all’altra viene versata all’esterno. Questo mi sembra proprio che sia il simbolo della carità, cioè la possibilità che uno ha di poter finalmente versare con cuore il tesoro che ha accumulato interiormente. É un’acqua che viene resa disponibile al mondo esterno.

L’ultima carta. La Luna. Dopo che uno ha vissuto l’azione inerente alla carità, del modo di essere della carità, di essere nella carità, a questo punto finalmente compare la strada. É una strada che si perde verso l’infinito. Ci sono due cani e due torri, una da una parte e una dall’altra parte della strada, un cane bianco da una parte e un cane nero dall’altra. Possono rappresentare i cosiddetti guardiani della soglia, che sono quelli che ci impediscono di andare verso l’infinito.
Finalmente compare la strada ma è sparito il viandante. Questo rappresenta qualche cosa di estremamente importante: io credo che questa carta proponga che quando uno ha cominciato a vedere le cose importanti nella vita e nell’esistenza, non è più importante il viandante ma importante, invece, è andare.
Qui cominciano a farsi vedere le informazioni, le famose domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Sono domande che hanno sempre preoccupato l’uomo, alle quali è difficilissimo dare una risposta.
Qui, però, si cominciano a proporre queste domande; si cominciano a proporre in un senso più ampio. Ci si comincia a chiedere se si sia pensato a tali domande, a chiedere se si sia pensato che tutto ciò ha una logica profonda.
Rimangono le tre ultime carte. Esse sono di natura molto difficile. La prima rappresenta l’unione della parte attiva e della parte passiva che sono contemporaneamente in noi: si vedono un giovane e una giovane donna che si danno la mano sotto l’emblema del sole, ossia la luce.
La seconda carta mostra un angelo che suona una tromba e alle due persone
 precedenti, un uomo e una donna, si aggiunge un altro essere che esce fuori da una specie di tomba ed è visto di spalle; in altre parole sembrerebbe proprio che questa azione, che corrisponde alla Prudenza, al modo di essere della Prudenza, genera un nuovo nato, che non è né un uomo né una donna ma qualcosa di nuovo.
Si presenta subito l’analogia con l’angelo della sesta carta; là la freccia, ispirata dall’angelo, rappresentava la volontà mirata, qui invece si tratta di un suono. Ho creduto di capire che si tratti della risonanza. In altre parole noi per poter proseguire nelle strade dell’essere non possiamo essere lettera morta ma dobbiamo risuonare con gli eventi esterni.
L’ultima carta rappresenta il Mondo. In essa si può osservare una cosa molto interessante: c’è una specie di ermafrodita che non è né un uomo né una donna che sta dentro una ghirlanda e cammina con grande leggerezza; intorno ci sono i quattro elementi, che non sono più le spade, i bastoni, la coppa e i denari, ma sono diventati i quattro evangelisti; quindi è come se i quattro elementi del divenire si fossero trans-sustanziati e fossero diventati cose viventi. Non è più la ruota della Fortuna, mossa dagli eventi esterni, ma una ruota mossa da noi stessi, a ragion veduta. Il Bagatto non è più un giocoliere.

A questo punto abbiamo raggiunti la fine del viaggio? Nossignori.
Se voi osservate bene, noi siamo attratti da due cose contemporaneamente: da un lato dal desiderio di elevarci e dall’altro dal desiderio di manifestarci. Sono due cose che sono apparentemente opposte; tutta la vita è un continuo sforzo di manifestazione; il nostro pensiero cosciente viceversa è uno sforzo di capire chi siamo.
Allora la cosa assai difficile da capire è di pensare di fare il percorso delle carte all’incontrario, cioè invece di percorrere le carte dall’uno alla ventuno, che è il percorso dell’elevazione, ci viene proposto il cammino della manifestazione, dalla carta ventuno alla uno. E qui io mi sono meravigliato e mi meraviglio, perché le stesse cose viste nei due sensi opposti assumono significati diversi. In particolare, essi sono veramente pregnanti nella via verso la manifestazione.
L’interpretazione di tale via è già molto più difficile. Io, una simile interpretazione, non sono riuscita a trovarla scritta da nessuna parte, però mi sembra così evidente che mi sento di proporvela.


Si torna indietro, però con una coscienza di tipo diverso in cui la persona assume sempre più coscienza della propria realtà esistenziale e alla fine ritorna praticamente nella realizzazione; l’ultima carta diventa il Bagatto nuovamente si trova un giocoliere che può realizzare qualche cosa, ma questa volta non lo realizza partendo dal basso, dall’incertezza, ma partendo dalla coscienza di quello che ha raggiunto. Quindi al termine del percorso si diventa qualcuno che opera a ragion veduta. Se vogliamo dirla in altri termini più semplici la strada dalle carte dall’uno al ventuno è la strada della speculazione, quella delle carte dal ventuno alla uno è la strada della operatività.
Ecco io avrei anche finito. Voglio però farvi presente anche un’altra cosa che prima avevo dimenticato di dirvi.
Noi leggiamo da sinistra verso destra e quindi dovremmo stendere le carte in tale ordine.
Ci sono delle figure che guardano alla loro destra, ci sono altre che guardano alla loro sinistra e altre che guardano direttamente verso di noi; poi ci sono figure che non hanno i piedi per terra come gli angeli. Io credo di aver capito questo: se prendiamo ad esempio la carta numero quattro che guarda verso carta numero tre, in realtà è una contemplazione del passato, una presa di coscienza del passato. Se le figure di altre carte guardano nell’altra direzione, è verso il futuro, un non futuro necessariamente temporale, quello viene dopo anche logicamente. Quando invece guardano verso di noi in realtà si tratta un’azione dell’istante presente, che non prevede né il passato né il futuro.
Sono disponibili quantità enormi di informazioni che derivano da queste carte, che possono dare stimoli veramente importantissimi per cercare di penetrare le proposte che cercano di far arrivare all’attenzione delle persone. Sono messaggi, lasciati perché uno li possa prendere.
Da questo punto di vista i tarocchi rappresentano un mezzo potentissimo di conoscenza dell’esistenziale. Non possono certamente rappresentare una conoscenza definibile e questo è forse è il più grosso ostacolo, nel senso che fino a che uno non impara a superare lo scoglio della definizione (terreno metaforico su cui uno si appoggia), gli sembra di andare sulle sabbie mobili, rimane sconcertato. Ma se piano piano uno si abitua alle sabbie mobili, alla mancanza di una definizione, può arrivare a una visione di significati che sono molto più profondi e molto più logici di quelli che possono essere dati una normale interpretazione conoscitiva.