La "Tradizione" con la T maiuscola o le diverse tradizioni, connesse da robusti legami di famiglia (pur nelle differenze) sì da sembrare un unico corso d’acqua, mentre si tratta di molteplici ruscelli talvolta più e tal’altra meno comunicanti l’uno con l’altro, sono davvero il principio su cui si basano i patrimoni dottrinari delle molteplici arti divinatorie e dell’astrologia in special modo. Si può, peraltro, spesso appurare la datazione di determinati testi che contengano formulazioni assai antiche di questo o quel ramo di una tradizione, ma, dovendo rinunciare all’idea di una scienza sperimentale in senso moderno - con raccolta di dati statistici annessa - come si passa da un’arricchimento "dottrinale" all’altro, donde traevano origine, nei documenti più antichi che possediamo, le "teorie" e le "pratiche" ivi descritte. Negli ambienti ‘iniziatici’, oggetto di studio più dell’antropologo o del sociologo che non dello storico (il cui apporto specifico sarebbe invece importante, opportunamente coniugato con altre competenze) si allude ad una misteriosa sapienza tramandata "bocca - orecchio". L’oralità, insomma, come veicolo di saperi "segreti" e "alternativi" - rispetto a quelli dei testi scritti - e destinati solo a pochi individui, accuratamente selezionati. L’origine prima di questa "scienza sotterranea", di questa "filosofia occulta" è avvolta di misteri e leggende. Il corpus teorico e pratico dell’astrologia appartiene di diritto, nei suoi principi e fondamenti, a questa corrente "esoterica". Quindi, la risposta più corretta alla domanda che aleggia da tempo sulle nostre riflessioni è la seguente: le basi su cui poggiano dottrine astrologiche e divinatorie che una moderna e rigorosa indagine statistica mostra o può mostrare, di volta in volta, ma a posteriori e frammento per frammento, insospettabilmente "vere", "azzeccate", "rispondenti alla realtà nuda dei fatti", sono "metafisiche", "esoteriche", "iniziatiche", "tradizionali". Ossia, detto in linguaggio contemporaneo: "arbitrarie", assolutamente arbitrarie. Ma allora come mai talvolta, anzi spesso, forse "troppo" spesso, queste "arcaiche arti stregonesche" sembrano "funzionare", controlli statistici alla mano? Il problema, a mio avviso, è che l’uomo contemporaneo "medio", "scientista", "razionalista" e "positivista", ma non necessariamente scienziato, razionale e "positivo", ha dimenticato le geniali istanze metodologiche che avviarono la rivoluzione scientifica nel XVII secolo [13]. Gli "homines novi" del sapere. Bacone, Galileo, Cartesio, fra tanti errori, incertezze, incongruenze e contraddizioni, seppero avere una freschezza, un’originalità, un’audacia tenace di rimettere in discussione ogni angolo del sapere saputo. Proverbiale il dubbio metodico di Descartes, troppo presto frenato - per autocensura dello stesso filosofo - dai suoi legittimi esiti radicali. Ebbene, per costoro e per tanti che li seguirono, come per ogni mente "aperta", stufa di glossare verità autoritarie, indimostrate, indimostrabili e spesso sterili "per il convitto umano", ogni aspetto della realtà ed ogni speculazione su di essa andava verificata dalla ragione del novello indagatore. Questo, perché essi sentirono intatto il fascino del "mistero" che coglie l’uomo assennato, allorché non si accontenta più di sentirsi raccontare ed imporre la "verità" su dio, la natura, gli uomini, smorta e imbelle filastrocca custodita dai conformisti di ogni epoca; ma decide di andare lui stesso, di persona, a "stracciare" i veli che gli nascondono la vista. Certo, lo slancio potenziale degli inizi fu presto levigato, adattato, moderato e spesso dissimulato per ragioni varie, non ultima la sicurezza fisica personale. Rimane il fatto che essi sperimentarono davvero il sentimento più consono alla ricerca filosofica: lo stupore e l’ansia trepidante dinanzi a tutto ciò che ancora non si conosce e l’insofferenza per le risposte facili, inadeguate, proterve e insulse, proposte dall’ establishment politico, religioso e culturale. Che nesso ha questa digressione con il collegamento diretto, poc’anzi evidenziato, tra principi primi di astrologia e arti divinatorie e quell’oscuro e affascinante magma sotterraneo cui diamo il titolo assai impegnativo di "tradizione" ? Intanto, è bene sgombrare il campo da equivoci: al termine suddetto attribuiamo il significato tecnico specifico di insieme di dottrine scritte e orali che vengono tramandate di secolo in secolo e che presuppongono origini mitiche e leggendarie, comunque non rintracciabili attraverso analisi storiche. Non intendo invece avallare l’accezione che a questo nome e concetto attribuiscono coloro che più ne hanno discettato nel corso del XX secolo. Insomma, porci di fronte a questo o quell’altro filone della "tradizione" con un senso assoluto di umiltà e "stupore" di uomini che ignorano infinite cose più di quante ne sappiano, è forse un dovere che avremmo verso noi stessi. Abituato sin dalla seconda metà del XVII secolo a subire la spartizione di "campo" di ogni possibile approccio alla realtà, tra la nuova scienza ufficiale della "materia" - sempre più dogmatica e incline all’apologetica religiosa - e il vecchio - nuovo monopolio chiesastico dello "spirito", soffocati i lampeggiamenti rinascimentali, l’uomo moderno e contemporaneo "medio", in quanto fruitore passivo dello straordinario progresso tecnologico e scientifico realizzatosi in molteplici ambiti del "conoscibile", ha imparato ad abdicare a qualunque filone di conoscenza ( come ipotesi di lavoro, s’intende) che non appartenesse ai "libretti per l’istruzione delle menti" sfornati da quei due invasivi e pervasivi blocchi di potere culturale. Il "mistero" o non ci riguarda o si risolve ginocchioni e con qualche bella speculazione sulla creazione, il peccato originale, l’immacolata concezione e la redenzione futura… "Credere" o "non credere", il che poi si equivale, perché in entrambi i casi ad essere chiamata in causa è la fede - arrogante, ‘materna’ e comoda compagna di strada - non la conoscenza: umile, laboriosa, piena di curiosità e struggimenti che l’altra non ha. Quindi, per l’uomo moderno - contemporaneo medio, il concetto di "razionale" diventa sempre più non già un’attitudine metodologica che operi con criteri chiari, condivisibili, controllabili, bensì un corpus di dottrine in positivo e in negativo cui commisurare l’ "universo mondo". E tutto il resto è territorio della "fede", che "o la si ha o non la si ha", come amano ripetere gli imbecilli e gli scaltri, i quali sanno perfettamente utilizzare a proprio vantaggio questo bell’assioma. Voglio ben dire, come il lettore avrà capito, che i principi su cui si fonda il logos degli astri appartengono alla "tradizione" nel senso sopra specificato, che di essa gli storici sanno quel poco che affiora in testi scritti e gli antropologi imparano a saperne un qualcosa di più accedendo a linee di trasmissione orale prima non esplorate. Dunque, se gli astri hanno una "ragionevolezza" (logos) che all’uomo è dato scoprire,controllare, sperimentare, essa non si sa da dove provenga, poiché affonda le sue radici nel mito e nella leggenda. Chi vorrà davvero scrivere un’opera convincente sulla storia, la teoria e la pratica dell’arte di Urania, dovrà, come si diceva all’inizio di questo articolo, essere insieme storico, filologo, antropologo, esoterologo, filosofo ed epistemologo, ma anche, per quel tanto che serve, "astrologo" e "divinatore". Dovrà essere tutte queste cose, trascendendo ciascuna di esse, cioè mettendo al primo posto quell’acribia che è componente essenziale di ogni indagine rigorosa e razionale nel senso primo e migliore del termine. Ma, ohibò, mi accorgo di aver detto che l’autore di una ricerca che pretenda alla "scientificità" più assoluta dovrebbe persino "farsi" momentaneamente astrologo e divinatore… Forse la pretesa è troppo grande e impegnativa, ma preferirei che a descrivere la storia della chimica fosse uno storico che è anche chimico e ad indagare la storia dell’architettura un uomo addentro ai "segreti" dell’arte edificatoria. E se qualcuno obiettasse scandalizzato che lo storico "vero", proprio perché laico e razionale, scientificamente orientato, non può calarsi nella mentalità acritica e superstiziosa dell’astrologo o nei panni "turpemente" arcaici del divinatore, pazienza. Non è questo storico, bolso nella sua inutile illibatezza, quello di cui la storiografia futura ha bisogno. Non è dall’eterno "Cremonini" che rifiuta di guardare nel cannocchiale offertogli da "Galileo" che gli studi trarranno profitto. "Distanza", "trascendimento", cautela critica di "storicizzatore" inflessibile, uniti a disponibilità partecipativa da antropologo: queste sono, plausibilmente, le doti indispensabili per compiere ricerche significative e originali. Riassumendo, per trarre le fila di questo breve saggio: 1) Trattare della tradizione astrologica è un’operazione molto complessa e finora assai poco riuscita. Unica, sebbene insufficiente ‘luce’ in tante ‘tenebre’ è il saggio della Pompeo Faracovi. 2) La tradizione astrologica in quanto tale rimanda ad un corpus di dottrine cosmologiche la cui origine è avvolta nel mistero. Mistero tanto più fitto e affascinante potendo inopinatamente constatare che le moderne ricerche statistiche sembrano comprovare in molti punti tali strane dottrine. 3)Quindi, se l’uomo contemporaneo accetta, di essere oggi, come fu in passato, in possesso di un numero limitato di risposte rispetto alle infinite domande che la realtà dell’ Esserci in questo universo può suscitare, avrà fatto metà del suo dovere di homo sapiens. L’altra metà consisterà nel rimboccarsi le maniche e procedere lungo sentieri di ricerca che oggi possono apparire inusitati, ma domani potrebbero non esserlo più. Ricordandosi, d’altra parte, che giammai, per quel che ci sovviene la memoria storica di questi ultimi 3 - 4 mila anni (poca cosa, invero) il conformismo, l’acquiescenza al sapere saputo difeso dall’establishment culturale e scientifico di una data epoca ha sortito effetti di progresso rispetto all’una o all’altra tecnologia o scienza particolare. I novatores hanno sempre dovuto rompere dighe, gridare al vento e correre solitari per un bel pezzo: perché l’uomo è un’animale insieme inquieto ed abitudinario, banale e geniale, titanico e timoroso, capace di frammentarsi, all’interno della propria psiche, mirabilmente raffigurata nel libro biblico del Genesi, nel Dio castigatore e geloso e nell’uomo edenico, prima ardimentoso e poi pentito del proprio "peccato originale"; nell’astuto, saggio e generoso serpente e negli alteri e inflessibili cherubini, posti a guardia dell’albero della vita; ancora, fuori dal testo biblico ma non dallo stesso "contesto" archetipico, nell’arcangelo Michele e in Lucifero - entrambi apportatori di "luce", secondo la precisa etimologia dei loro nomi - per non parlare di Giove e Prometeo e dei miti classici che li vedono insieme come protagonisti, ciascuno alter ego dell’altro. Ora, se c’è una "costante", che valga la pena sottolineare, è che, a dispetto di quanto hanno immaginato alcuni, collocando in improbabili tempi primordiali la piena attuazione di una serie di dottrine e istituzioni "tradizionali", a nostro ragionato parere l’esoterismo strutturale di questo patrimonio cosmologico misterioso ha fatto sì che esso fosse sempre marginale e nascosto, se non pure osteggiato, rispetto alle civiltà e alle culture dominanti e "ufficiali", disposte, solo entro certi limiti e molte cautele, a interagire con questo inquietante e ambiguo "sottosuolo" o "attico" della conoscenza umana sulla natura. Andando per "lucciole", abbiamo trovato "lanterne", ma era giusto così. Cercando il possibile fondamento di un logos degli astri, abbiamo scartato tutti gli ammiccamenti che una storiografia metodologicamente immatura, ma ben disposta al dialogo con tradizioni "bizzarre" interne all’occidente, lancia ai suoi potenziali fruitori, abituati a tutto sentirsi spiegare secondo le ragioni dello scientismo positivistico contemporaneo, che poi tanto più contemporaneo non è. Da tempo - Einstein, Kuhn, Feyerabend, Hawking insegnano - tra la vulgata scientista per il medio consumatore e le istanze più aperte di scienziati ed epistemologi all’avanguardia si può agevolmente constatare una ragguardevole "distanza". Abbiamo altresì acquisito che, non di tutto ciò che "funziona" sperimentalmente è possibile sapere come, quando e perché sia venuta "rivelazione" al "primo", al "centesimo" o all’ "ultimo" uomo che tramandò determinate dottrine. "Umbra profonda sumus" diceva Giordano Bruno riecheggiando il Cantico dei Cantici; ma è dal riconoscimento di questa "umbratilità" e del senso che ne deriva, di mistero e stupore curioso di fronte all’immensità del "cosmo" - da non conculcare con simulata indifferenza, isterici rifiuti, compassate rimozioni o disprezzi sommari quanto ingiustificati - che è possibile inseguire Sophia, la Diana ignuda, che non si dà se non a chi sa morire ai propri arbitrari pregiudizi, alle proprie inveterate e sclerotizzate abitudini mentali e speculative. Cfr. René Guénon, La crisi del mondo moderno ( 1927), Carmagnola, Arktos, 1991 e in generale tutta l’opera del pensatore francese; Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno 1934), Roma, Edizioni Mediterranee, 1993 e allusioni varie in altre opere; Elémire Zolla, Che cos’è la tradizione (1971), Milano, Adelphi, 1998 e cenni sparsi in altri testi.[Torna al Testo] |