Auspicabilissimo che mondo laico e Chiesa Cattolica, specialmente attraverso i suoi rappresentanti più illuminati, discutano di Giordano Bruno, persino epocale e singolare l’ipotesi che nell’ambito della Chiesa Cattolica Apostolica Romana ci sia un partito che tiene alla riabilitazione per il frate che venne arso vivo quattrocento anni or sono... Questo lavoro del carissimo Fratello Gioele M. è stato pubblicato sul Trimestrale di Studi tradizionali Luz, numero 4, editrice Har Tzion Latina. Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non manifesta di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto.
© Gioele M.
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Sarebbe bello poter parlare di alcune geniali concezioni della filosofia bruniana: l’infinità ed eternità del mondo manifestato, volto visibile di un Dio invisibile; la conseguente, straordinaria possibilità di distinguere, e al tempo stesso far coincidere, immanenza e trascendenza del ‘divino’; la originalissima scoperta della dinamica più nascosta e sottile dei processi della psiche umana, insieme alla descrizione velata di come ‘operare’ mediante tale acquisizione. E ancora: l’inedito tema dell’alchimia bruniana su cui sto scrivendo una minuziosa ricerca… Sarebbe bello e senz’altro utile e conveniente parlare di tutto questo, ma non lo farò. E non lo farò perché è assai più urgente, da più parti e per diversi motivi, l’interesse per le tematiche bruniane a carattere etico-politico. Di queste intendo quindi trattare, seppure in modo indiretto. Ebbene, circa un anno fa venni invitato da un amico a scrivere una relazione per un convegno internazionale organizzato dal Grande Oriente d’Italia, obbedienza cosiddetta di Palazzo Giustiniani. Accettai malvolentieri, per il fastidio di dover sentire tutte le rituali sciocchezze e banalità proprie di ogni convegno, ma accettai. E lo feci per lo stesso motivo per cui ora scrivo questo articolo: restituire Giordano Bruno a se stesso e a chi ha l’amore e la pazienza di leggerlo e assaporarlo direttamente, senza mediocri intermediari. L’iniziativa del Convegno era peraltro meritoria (nulla da eccepire) ma le relazioni che si susseguirono decisamente scontate, scialbe, logorate da stereotipi e luoghi comuni elevati a dignità storiografica. E dire che erano state scritte e lette da accademici di una certa rinomanza, storici della filosofia o delle idee… Unica eccezione: un massone, docente universitario di medicina, dunque un outsider, autore di alcuni spunti vivaci e intelligenti.Troppo poco, in ogni caso, per un convegno pomposamente intitolato “Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero”. E d’altra parte, la mia relazione, provocatoriamente, iniziava proprio col mettere in discussione questa sontuosa epigrafe, da nessuno problematizzata o quantomeno storicizzata. In questi giorni, a distanza di un anno da allora, leggo, osservo e ascolto numerosi articoli, interventi e riflessioni che hanno per oggetto l’illustre Nolano. E di nuovo occorre sopportare ogni sorta di giudizi pseudo-storiografici, di sintesi vuote quanto eleganti, di solenni amenità e amene banalità… Il massimo dello spasso è poi assistere ai tentativi di una non meglio precisata ‘conciliazione’ che esponenti del mondo cattolico tentano, incontrando qualche ‘rappresentante’ dell’establishment bruniano laico, meglio se accademico, per ‘concordarla’ insieme. Auspicabilissimo che mondo laico e chiesa cattolica, specie attraverso i suoi rappresentanti più illuminati, discutano di Giordano Bruno; addirittura epocale e straordinaria l’ipotesi - da taluno bene informato sussurrata - che nell’ambito della chiesa apostolica romana ci sia un ‘partito della riabilitazione' per il frate che venne bruciato vivo quattrocento anni or sono (mordacchia inclusa). Ma, per parlare di ‘conciliazioni, ‘riabilitazioni’ e di altri incontri ravvicinati di questo tipo, occorre una minima condizione: aver letto Bruno, anzi averlo studiato, meglio ancora averlo compreso. Perdonabile allora qualche conato di irritazione che possa cogliere chi osservi un fatto inoppugnabile: il minimo comune denominatore di gran parte dei suddetti ‘discorsi’ intorno a Bruno è costituito da una modesta conoscenza della letteratura secondaria sull’argomento e da una pressoché totale e proterva ignoranza del pensiero bruniano delineato da lui medesimo (eppure l’uomo scriveva e parlava con chiarezza e vigore inusitati, verrebbe la voglia di osservare). Insomma, per parafrasare un famoso leit-motiv del Nolano: “Per poter parlare di qualsivoglia argomento, bisogna prima liberarsi della falsi opinioni intorno ad esso, poi apprendere da chi è informato, imparando ad ascoltare tacendo, infine è possibile esprimersi, discettare.” Per parte mia, consiglio ai tanti chiacchieroni improvvisati di cose bruniane di emulare l’esempio di Apollonio di Tiana, filosofo e mago del I secolo dopo Cristo, il quale un bel giorno, onde evitare di dire sciocchezze, decise di tacere per cento anni consecutivi… E tanto basti a mo’ di premessa. Vorrei ora ritornare al 18 Marzo 1999, il giorno in cui si tenne il Convegno internazionale cui accennavo sopra. Convegno, si diceva, organizzato dal Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, cioè dalla comunione massonica italiana maggioritaria per numero di aderenti. Bruno e la Massoneria… che nesso c’è fra queste due ‘entità’? Intanto, consigliamo al lettore curioso o istintivamente appassionato, ma ancora scarsamente informato di Bruno, la lettura di tre monografie essenziali per avvicinarsi allo studio dei testi bruniani: Giordano Bruno e la tradizione ermetica di Frances Yates, Giordano Bruno di Michele Ciliberto e il recentissimo libro di Saverio Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento. Oltre a ciò, la lettura delle poche righe che seguono e, per i romani che possano frequentarle, le eccellenti lezioni sulla filosofia del Nolano che, da diversi anni, sono tenute all’Università La Sapienza dal professor Paolo Mugnai, bastino come iniziale contestualizzazione della prima ‘entità’. Per ciò che concerne la seconda ‘entità’ chiamata in causa, la ‘famigerata’ Massoneria, è bene ricordare al lettore i rischi per la sua anima in cui può incorrere, continuando a leggere questo articolo… La Massoneria… qu’est- ce que c’est? Un’organizzazione sovversiva che mina dalle fondamenta le istituzioni democratiche e nei cui rituali è previsto l’infanticidio? Una perversa congrega di stregoni che adora Satana, Baphomet e talora si reca al Sabba? L’abissale vuoto informativo di cui l’italiano medio può normalmente disporre sarà facilmente colmato dalla lettura di una qualsiasi delle opere storiografiche che trattano dell’argomento. A me basterà suggerire l’egregio lavoro di Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana. E mi sarà sufficiente, d’altro canto, elencare uno dei primissimi e più nefandi crimini che sono all’origine di questa orrenda setta o conventicola che dir si voglia. Infatti, come un’autorevole fonte ci testimonia, i liberi muratori osavano riunire nelle loro associazioni uomini di ogni religione, così che l’ebreo sedeva accanto al cristiano cattolico e al luterano o al calvinista. Si affermava cioè tra i principi della Massoneria moderna speculativa, fondata da cristiani ‘osservanti’ (tanto che le prime Costituzioni dell’Ordine furono redatte da un pastore presbiteriano, James Anderson) l’idea della tolleranza religiosa, dell’ecumenismo e dell’uguaglianza, all’interno della condizione umana, tra persone di differenti razze, religioni o stato sociale. La fonte autorevolissima che ci informa di questi diabolici intenti, biasimandoli aspramente, è nientemeno che sua santità papa Clemente XII, che il 28 Aprile 1738 pubblicava la Bolla In eminenti apostolatus specula con la quale, per l’appunto, scomunicava i liberi muratori tutti. Molto bene, direte, c’è piaciuta l’ironia e magari la condividiamo anche, ma cosa c’entra la Libera Muratoria con Giordano Bruno? Il fatto è che, dall’unità d’Italia in poi, l’illustre filosofo è stato osannato e venerato come un grande massone ante-litteram. Parlando a quel Convegno, sapevo di avere a che fare con una ‘bandiera’, issata trionfalmente più di cento anni prima a simboleggiare tutto un variegato mondo politico, culturale e civile che in essa si riconosceva. Cominciai il mio discorso contestando, insinuando il dubbio fra tante certezze; dissi che la mia relazione prendeva il titolo dall’epigrafe stessa del Convegno (Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero), ma con l’aggiunta di un gigantesco punto interrogativo. Riporto alcuni stralci del mio intervento: “…siamo proprio sicuri che Giordano Bruno, bruciato vivo quattrocento anni or sono, abbia voluto essere e sia stato “uomo universale” e “martire del libero pensiero” ? E ancora: quando è nata quest’idea, questo giudizio così solenne e impegnativo per un uomo che si autodefiniva “…esule, fuggiasco, zimbello di fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall’odio della folla…” E per finire: nata e affermatasi l’affascinante visione di un uomo morto a difesa della libertà di “pensare” e “conoscere” da parte dei suoi simili, si ha memoria di taluno che abbia osato revocare in dubbio un così edificante ritratto del filosofo nolano? Rispondere a questi interrogativi appare a chi scrive di vitale importanza. La domanda più semplice è quella che dice “ quando? “ Ebbene la risposta più ragionevole e scontata intonerebbe così: Il 9 giugno 1889 veniva inaugurato a Roma, in Campo dei Fiori, il monumento a Giordano Bruno, il quale veniva acclamato martire del libero pensiero e della libertà di coscienza. Quest’atto ufficiale sanzionava una mobilitazione di idee, progetti, iniziative degli anni precedenti, a partire dalla proposta commemorativa di Alfredo Comandini nel 1876. Nel 1880 era stata fondata in Italia l’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano Bruno”. Nel 1885 veniva istituito, sempre in Italia, un Comitato promotore del monumento da erigere a Campo dei Fiori…E ancora nel 1885, questo stesso comitato metteva in circolazione un volume (“numero unico a benefizio del fondo per il monumento”) che raccoglieva importanti adesioni e interventi a favore dell’iniziativa, da parte di illustri firme del mondo intellettuale nazionale e internazionale. E non solo. Da qui al 1889 sarà tutto un rigoglioso fiorire di opuscoli e libelli di varia origine e provenienza… Intorno all’imminente omaggio da offrire al filosofo italiano si era mobilitato un complesso coacervo di posizioni politiche, civili e culturali, su cui, comunque, fra tutte spiccava una presenza: quella massonica. La Massoneria italiana, sotto la gran maestranza di Adriano Lemmi, insediato per l’appunto nel 1885, seppe dare la forza propulsiva necessaria al buon esito del progetto. Un progetto su cui Lemmi riuscì a convogliare ed aggregare personalità distanti se non pure ostili tra loro. Ma tutto questo è storia, comprese le “prudenze” e i tatticismi che impedirono la presenza ufficiale del governo e del “fratello” Francesco Crispi -che quel governo presiedeva- il giorno dell’inaugurazione del monumento. E ciò, nonostante la decisione parlamentare che la Camera dei deputati fosse rappresentata ufficialmente il 9 giugno a Campo de’ Fiori. Chi legga spassionatamente quegli eventi, vedrà chiaramente come la figura del grande pensatore e l’idea della sua celebrazione fossero intimamente legati, per fautori e detrattori, al dibattito civile e politico contemporaneo. Negli stessi anni, il mondo degli storici e dei filosofi vede uno sviluppo determinante degli studi bruniani. Dalla edizione tedesca paradiplomatica dei Dialoghi Italiani e del Candelaio, curata dal Lagarde nel 1889, all’edizione nazionale italiana delle opere latine, tra il 1879 e il 1891, curata da Fiorentino, Tocco, Vitelli, Imbriani eTallarigo; dalle monografie di Levi, Berti, Tocco e Fiorentino ai saggi di Giovanni Gentile (curatore, peraltro, della prima edizione nazionale dei Dialoghi Italiani) è tutto un operoso variare, virtuoso ma solidale, su una tesi precisa. Una tesi che aveva visto come iniziatore Bertrando Spaventa, negli anni Sessanta dell’Ottocento: Giordano Bruno è un eroe del pensiero, un Prometeo della filosofia della libertà… Spaventa e i suoi epigoni, dichiarati o dissimulati, fino a Gentile, investigheranno variamente il pensiero e le opere dell’illustre nolano; tutti, in un modo o nell’altro, al termine della loro sintesi intoneranno il medesimo peana: ecco il moderno profeta della nuova scienza, il precursore della filosofia moderna, il martire del libero pensiero. L’interpretazione della società civile, massoneria in testa, e l’interpretazione storico-filosofica convergevano quindi, negli stessi anni decisivi su una precisa e scultorea immagine. Semplice coincidenza? Non sembra… Il Giordano Bruno del Grande Oriente d’Italia, delle società radicali, positiviste e razionaliste, delle associazioni studentesche, dei comitati repubblicani e socialisti, di Giovanni Bovio, il quale dichiarò che il 9 Giugno, a Roma, era stata incisa “per consenso di genti libere, la data della religione del pensiero”,; questo Bruno, dicevo, era pressoché indistinguibile dall’altro, il Bruno degli “addetti ai lavori”, degli accademici insomma. Ed era indistinguibile poiché, in entrambi i casi, il fine era simile. Da un lato occorreva un simbolo, un’icona, un’immagine potente che coagulasse intorno a sé le aspettative, le ansie, le ambizioni e le paure di certa società laica stretta tra le ambiguità e i conservatorismi della Corte e del governo (financo dei massoni “governativi”) e il pericolo sempre temuto di una revanche clericale, magari all’ombra di nuovi accordi tra trono e altare dall’altra parte l’obiettivo era nientemeno che la nobilitazione filosofica e scientifica della giovanissima nazione italiana. La filosofia italiana, l’aveva ben detto per primo Bertrando Spaventa, aveva anticipato gli sviluppi della filosofia europea tutta. Di qui, dall’Italia, erano venute le primizie che avrebbero poi invaso il “mercato della modernità” e quindi ecco Telesio e Campanella precursori di Bacone e Locke; Campanella precursore anche di Cartesio; e Bruno, anticipatore di Spinoza e Leibniz, sacerdote della libertà filosofica, che, sola, avrebbe consentito il progressivo dispiegarsi della Ragione, della Civiltà e della Scienza moderna. Finalmente il quadro è ben designato: gli uni e gli altri, gli studiosi e gli ammiratori, studenti e professori, politici e scrittori, artisti, commercianti e professionisti hanno trovato un vessillo che li accomuna; e ciò all’interno di una nazione appena nata che, oltre a santi e navigatori, ha bisogno anche di filosofi e martiri. I governanti osservano plaudenti l’operazione accademica, benigni ma prudenti quella massonica, preoccupati, ma non troppo, quella repubblicana, socialista e radicale, talvolta utile spauracchio per ammorbidire l’intransigenza pontificia. Dopo tre secoli di vita fertile ma sotterranea, di trafelati commenti negli Epistolari dei “dotti” e plagi inconfessati nelle loro opere, Bruno rientrava nell’ufficialità dalla porta principale, magari sovraccarico di addobbi e lustrini. Il mito è nato. Già, ma si trattava solamente di un mito? Voglio dire, al di là della chiara utilizzazione in chiave ideologica del simbolo “Giordano Bruno”, non è che magari un’analisi ampia, filologicamente e storicamente impeccabile avrebbe potuto mostrare una sorprendente affinità fra l’uomo in carne ossa e pensieri e il suo ‘Golem’, fabbricato nella seconda metà dell’Ottocento? Rimandiamo di qualche riga la soluzione di questo dilemma e cimentiamoci piuttosto nell’altro dei tre quesiti che ponevo all’inizio. Chi e con quali argomenti ha contestato un ritratto così fortemente mitologico? Intendo dire, evidenti a tutti gli intrecci politici, civili e culturali propulsivi dell’operazione bruniana di fine Ottocento, in che modo è stata valutata la distanza di quell’ “effigie” dal suo originale? In nessun modo. Tutti, indistintamente, “maggiori e minori” della storiografia bruniana della seconda metà del Novecento hanno ragionato in termini tautologici. L’icona era falsa in modo autoevidente, ecco tutto. Non c’era bisogno di raffinate confutazioni o analisi. Il Bruno del 1889 se l’erano inventato i massoni, gli anticlericali scalmanati, i liberali e i radicali di fine Ottocento, gente dabbene ma un po’ sprovveduta e grossière, maldestramente ignorante del “vero” Giordano Bruno. A chi interessa constatare quanto vado affermando basterà consultare l’ingente bibliografia bruniana degli ultimi cinquant’anni. Ma, a riprova di quanto tetragono, unilineare e influente sia stato questo atteggiamento, occorre mettere il naso anche al di là della storiografia strettamente bruniana. Aldo A. Mola, il più insigne storico della Massoneria Italiana, va ancora oltre nello smascherare la “messinscena” del 9 Giugno 1889: “Ripetere che il pensiero del filosofo cinquecentesco fu strumentalizzato dalla Massoneria e subordinato a una interpretazione ‘mitica e allegorica’ della sua vicenda (arrestato dolosamente, interrogato dall’implacabile Tribunale inquisitorio del Santo Uffizio, condannato a morte per eresia e arso vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600) è ormai superfluo(…)Non v’era insomma una ragione particolarmente valida e convincente perché proprio Giordano Bruno, per un periodo incredibilmente lungo e non ancora chiuso nel ricordo e nei fremiti di taluni Fratelli, dovesse divenire la bandiera ufficiale della Massoneria. Solo la scarsa conoscenza della storia dell’Ordine in Italia e il desiderio, filologicamente opinabile, di elevare agli onori del G.. O.. d’Italia una figura di prestigio internazionale che potesse reggere al confronto con Voltaire e Goethe spianò la via al mito di Bruno, precursore dell’anticurialismo certo, di un sofferto e discontinuo anticattolicismo forse, ma della Massoneria Italiana post-unitaria certamente no, né della Libera Muratoria in quanto tale.” (Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana, 1994) Ecco ... Tanto varrebbe, dunque, mettere fine a questa imbarazzante farsa, annullare convegni, seminari e commosse celebrazioni, tutte iniziative originate all’ombra di un equivoco e di una maldestra falsificazione? Si, se la frettolosa unanimità di certe valutazioni culturali fosse sinonimo di verità storica. Ma così non ci pare che sia né debba essere. E allora proviamo a rispondere all’ultimo dei quesiti posti all’inizio, rimasto finora in sospeso. Tra il mito ottocentesco di “Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero” tutt’ora vivo a più di un secolo dalla sua nascita (tanto da essere epigrafe ufficiale di questo convegno) e il filosofo nolano che visse in quella turbolenta Europa di fine Cinquecento, esiste una solida, fondata connessione, al di là di strumentalismi e arruolamenti d’ufficio? Ancora: è proprio vero che, come dice Aldo Mola, fu solo una puerile ignoranza ambiziosa a spianare la via al mito di Bruno precursore della Libera Muratoria?” A questo punto il mio discorso si capovolgeva, dimostrando plausibile, su altre basi ben più solide, quello che ancora oggi da diverse latitudini si afferma o si nega per semplice e acritica inclinazione intellettuale o emotiva. Così proseguivo: “Quella che segue vuole essere la dimostrazione di uno straordinario paradosso. Quei padri fondatori dell’icona bruniana di fine Ottocento avevano ragioni da vendere. Certo essi arruolarono ideologicamente il filosofo italiano, ma all’ombra di una acutissima intuizione. Nessuno più di Giordano Bruno aveva espresso a chiare lettere nei suoi scritti gli ideali che erano alla base della gestazione secentesca della massoneria speculativa moderna, della sua nascita ufficiale nel 1717 e che sarebbero rimasti alla fine dell’Ottocento, così come oggi, i fondamenti generali della massoneria universale, anche al di là della suddivisione in differenti obbedienze. E oltre la massoneria stessa, il pensiero bruniano costituisce un possente e originale richiamo, specie per l’epoca in cui fu concepito, al rispetto e all’amore per la straordinaria varietà del reale. Rispetto e amore, dunque, per le diverse opinioni, civiltà, religioni e filosofie che l’eterna vicenda umana vede dispiegarsi; in una concezione del tempo che esclude “cadute” e “giudizi universali”, rifiuta evoluzionismi e involuzionismi, ma tutto vede relativizzarsi nella infinita potenza divina di cui ogni essere vivente è un frammento, artefice responsabile ma finito del proprio infinito destino. A testimonianza di ciò chiamerò ora a parlare non già la drammatica vicenda della prigionia e della tragica morte del Nolano, troppo spesso abusata chiave di lettura unilaterale e riduttiva d’una esperienza assai complessa; no, a parlare sarà Giordano Bruno in persona, con buona pace di chi non ha avuto la pazienza di ascoltarlo prima, potendo evitare così giudizi frettolosi. É il 1583 e Bruno così si presenta: “… proclamatore di una filantropia universale, che non preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloro che portano il saio a coloro che non lo portano, ma colui che è più temperante, più civile, più leale, più capace; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di conoscere l’uomo dal viso) la cultura della mente e dell’anima. Che è odiato dai propagatori d’idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onesti e dagli studiosi…”(Lettera al Vicecancelliere dell’Università di Oxford, 1583) Un anno prima, nel dialogo introduttivo del De Umbris Idearum, afferma: “… il nostro ingegno non ci vincola ad un particolare genere di filosofia altrui, e non ci fa disprezzare in generale nessuna strada filosofica…”. Nella Cena delle Ceneri, biasimando l’idiozia di chi odia e combatte gli “altri” per la diversità di cultura e religione: “… crescemo et siamo allevati co la disciplina et consuetudine di nostra casa, et non meno noi udiamo biasimare le leggi, gli riti, le fede, et gli costumi de nostri adversarii, et alieni da noi: che quelli de noi, et di cose nostre. Non meno in noi si piantano per forza di certa naturale nutritura le radici del zelo di cose nostre: che in quelli altri molti, et diversi de le sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine, che i nostri stimino far un sacrificio agli dei, quando arranno oppressi, uccisi, debellati, et sassinati gli nemici de la fé nostra: non meno che quelli altri tutti quando arran fatto il simile a noi. Et non con minor fervore et persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel lume per il quale si promettono eterna vita: che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità et tenebre ch’essi sono…” E ancora sulla necessità di apportare ragioni ai propri argomenti e non basarsi sulla fede cieca e sulla consuetudine dogmatica: “… Nundinio come colui che quello che dice, lo dice per una fede et per una consuetudine; et quello che niega, lo niega per una dissuetudine et novità, com’è ordinario di que’ che poco considerano et non sono superiori alle proprie azzioni, tanto razzionali, quanto naturali; rimase stupido e attonito…” Nello Spaccio della bestia trionfante, Bruno colloca in cielo, al posto dell’immagine di Ercole, la forza d’animo e la costanza, capaci di domare la cieca fortuna, ma aggiunge, rivolto appunto alla “Forza” come virtù personificata: “… conduci le tue virtuose figlie Sedulità, Zelo Toleranza, Magnanimità, Longanimità… “ Tolleranza assolutamente necessaria tra gli uomini se, come aveva detto prima a proposito della “verità”: “… la quale come non è chi alcunamente la possa toccare, cossì non si trova qua basso chi la possa perfettamente comprendere: perché non è compresa, o veramente non viene appareggiata se non da quello in cui è per essenza; e questo non è altro che lei medesima. E perciò da fuori non si vede se non in ombra, similitudine, specchio ed in superficie…” Riguardo alla libertà di pensiero ed espressione, viene comandato al potere giudicante, nell’atto di esercitare le sue funzioni: “… che non attenda a quel che s’imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano il stato tranquillo; e massime verse in correggere e mantenere tutto quel che consiste ne l’operazioni…” Il che, tradotto in termini moderni, suona: solo gli atti criminosi o l’istigazione a delinquere possono essere legittimamente puniti e non già la libera espressione d’idee. E che dire di queste parole: “ A che verrà il mondo, se tutte le repubbliche, regni, dominii, fameglie e particolari diranno, che si deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati d’essere scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino? e pensaranno che non doviamo forzarci ad esser buoni assolutamente, come fussimo dei, ma per commoditate ed occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi e veneni?…” E si potrebbe continuare, se i limiti di questa relazione lo consentissero. Ma se lo studio attento e diretto dei testi bruniani dimostra inconfutabilmente la sua, giustamente invocata, paternità ideale nei confronti della Massoneria Universale e di qualsivoglia posizione che si richiami al ‘libero pensiero’, è possibile aggiungere di vantaggio altro ancora. Il professor Mola, nella stessa pagina in cui nega recisamente qualsiasi discendenza “della Libera Muratoria in quanto tale” dalla figura di Giordano Bruno, mette in nota, per una valutazione scientifica dell’illustre pensatore, l’ormai classico libro di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica. Non è chi non conosca la Yates (insieme a M. Ciliberto e al meno noto Paolo Mugnai che ha il merito o demerito ‘socratico’ di non scrivere nulla delle sue brillanti linee interpretative) come la più importante e originale conoscitrice di cose bruniane degli ultimi trentacinque anni. Ebbene, esattamente trentacinque anni fa, nella prima edizione del suo bel libro, la studiosa inglese così si esprimeva, sintetizzando l’opera di Bruno: “Dove mai si ritrova una simile sintesi di tolleranza religiosa, di solidarietà psicologica col passato medievale, di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L’unica risposta a questa domanda che mi venga in mente è: nella massoneria, con il suo mitico collegamento con i muratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropia e il suo simbolismo egiziano. La massoneria, come istituzione ben caratterizzata, non appare in Inghilterra che agli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo, sebbene sia questa una materia estremamente oscura. A questo proposito brancoliamo nel buio, fra strani misteri, ma non possiamo fare a meno di domandarci se non sia stato proprio fra gli Inglesi spiritualmente insoddisfatti, i quali forse trovarono nel messaggio ‘egiziano’ di Bruno qualche motivo di sollievo, che i temi del Flauto magico risuonarono per la prima volta nell'aria.” Detto tutto ciò, occorre infine esplicitare il senso di questo lungo articolo. Non era mia specifica intenzione svolgere un tema monografico come ‘Bruno e la Massoneria’, ‘Bruno e il libero pensiero’ o anche ‘Bruno tra tolleranza ed ecumenismo’. Il mio proposito invece, e spero di averlo conseguito, è consistito principalmente in una lezione di metodo: intanto è assai utile che chi non sa, non ha letto e parla avvalendosi di quel famoso mostro rabelaisiano appellato ‘sentito dire’, taccia. Di seguito: quando un uomo, un pensatore, è imprigionato da uno spesso involucro mitologico, non basta negare con toni liquidatori quel mito o aderirvi altrettanto semplicisticamente. Occorre riandare alla fonte da cui tutto ha tratto origine. Nella fattispecie: la vita e gli scritti del filosofo di Nola. Che poi, se, quando nei prossimi giorni sentiremo innalzare canti e luminarie di entusiasti o detrattori dell’illustre domenicano, potremo osservare tutto con maggiore senso critico, l’autore di queste poche riflessioni sarà certo di aver conseguito i suoi obiettivi minimi. Per concludere, un pensiero rivolto a tutti quei simpatizzanti o cultori di cose bruniane di estrazione cattolica o laica, membri illuminati di gerarchie o ordini religiosi, laici intelligenti che abbiano abbandonato sterili e nevrotici anticlericalismi di maniera: sedete, sediamoci e parliamo. Ma indicando con chiarezza punti di partenza, terreni di confronto e traguardi da raggiungere. Potrà aiutarci lo stesso frate Giordano che aveva affermato e potrebbe oggi riaffermare: “che la (religione) cattolica gli piaceva ben più de l’altre, ma che questa ancora aveva bisogno di gran regole...". |
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Musica: "Crucifigat Omnes" (Carmina Burana secolo XIII) |