In questa Italia che persiste ad essere clericale, pur se affatto cristiana, sulla memoria di Giordano Bruno è calato l'oblio; un oblio che, stranamente, è assecondato anche da parecchi settori della cultura laica, che evitano di parlare del Martire del libero pensiero. La cosa non è poi tanto strana, se si pensa al carattere intransigente del Frate, alieno da ogni compromesso con l'avversario, deciso - sino alla morte - a non modificare nulla del Suo programma ideologico....

Questo lavoro del carissimo Fratello Giovanni Fignon è stato pubblicato sul numero 4 della rivista Hiram nell'Aprile 1986.

Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non manifesta di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto.

 

© Giovanni Fignon

 

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In questa Italia che persiste ad essere clericale, pur se affatto cristiana, sulla memoria di Giordano Bruno è calato l'oblio; un oblio che, stranamente, è assecondato anche da parecchi settori della cultura laica, che evitano di parlare del Martire del libero pensiero. La cosa non è poi tanto strana, se si pensa al carattere intransigente del Frate, alieno da ogni compromesso con l'avversario, deciso - sino alla morte - a non modificare nulla del Suo programma ideologico. Qualità, queste, assolutamente fuori posto in una cultura “progressista” che anela ad intese con ogni controparte. Ecco perché a questa “cultura” dà fastidio l'esempio del Frate che si rifiuta di attraversare la rigida linea di demarcazione che divide il laico da chi laico non è, anche se il laico di oggi è meno metafisico e meno settario del non laico di ieri, del Frate che sale impavido sul rogo e non abiura, pur se sottoposto alla tortura e di fronte alla più orribile morte che possa toccare in sorte ad un essere umano.

Da questo punto di vista, ci si spiega la preferenza data a Galileo da tutta la cultura italiana a tendenza laica, per l'enorme importanza culturale del genio galileiano.

Galileo fa meno paura del Frate di Nola! La sottomissione di Galileo, che ne sminuisce l'immagine anche sul piano culturale, lo tramanda ai posteri come persona disposta a transigere. Certo per poter continuare a servire la scienza. Ma si serve veramente la scienza in tal maniera? A noi pare che attorno alla questione abbia scavato il Brecht, anche lui, per altri versi, disposto ad accettare il Galilei “umano”, nell'opera dedicata al Grande Pisano. Brecht raffigura, infatti, l'abiura di Galileo, come la maledizione caduta sulla scienza, che, da quel momento, non sarà più libera. Allora dovette sottomettersi all'intransigenza ecclesiastica, come oggi deve sottomettersi al potere politico. Da allora la scienza, non più libera, non ha lavorato più per il bene ed il progresso dell'Umanità, ma per l'annientamento di Essa, alle cui soglie è ormai giunta, con i più sofisticati ordigni di morte, che gli Scienziati - novelli Galilei - non si sono rifiutati di costruire, succubi del potere politico.

Nessun paragone è possibile tra l'enorme produzione del pensiero Galileiano e la filosofia di Giordano Bruno.

Galilei è, senza dubbio, il cardine della scienza moderna; senza le Sue intuizioni e le Sue scoperte, oggi, i missili non solcherebbero gli spazi astrali e la navigazione spaziale apparterrebbe esclusivamente alla fantascienza. Sostanzialmente si deve a Galilei se la filosofia moderna ha rifiutato la tutela della metafisica, ed ha valicato i confini della rivelazione religiosa. Tutto questo è, ormai, cosa assodata. D'altra parte, il pensiero di Giordano Bruno, pregno di un'energia precorritrice di realtà del futuro, e di una carica di esaltazione dell'uomo, unico tra gli Esseri capace di attingere l'infinitezza dell'universo che nella coscienza umana si sintetizza, rimase fortemente ancorato all'epoca in cui il Bruno visse e dai limiti “da questa” condizionato.

Se tra l'insegnamento di Galilei e quello di Bruno il primo è stato più proficuo per l'avanzamento dell'umanità verso le forme più alte della scienza, non v'è alcun dubbio che l'insegnamento di Giordano Bruno è pieno di quell'alto senso morale che non si trova nell'insegnamento di Galilei. Esso completa quello di Socrate. Entrambi, Socrate e Bruno, ci hanno insegnato che il coraggio è la prima virtù dell'intelletto. (Lo stesso Napoleone- Massone - soleva ripetere: “il coraggio non si può simulare; è una virtù che sfugge all'ipocrisia”).

Entrambi, Socrate e Bruno, hanno avuto il coraggio di agire coerentemente al loro insegnamento.

In tutti i tempi il coraggio è valido, ma in particolar modo nel nostro tempo.

Enorme è infatti la responsabilità dell'intellettuale nella nostra età; dal tecnico, allo scienziato, al pubblicista, allo scrittore, al giurista, al poeta; l'intellettuale è al centro della società; egli è il “persuasore occulto”. Egli può essere strumento docile del regresso, se si porrà agli ordini di una volontà coercitrice, come può essere strumento di libertà e di difesa della libertà.

L'esempio del “Frate incappucciato” è quanto mai stimolante e degno di essere ricordato.

Giordano Bruno nacque nel 1548 E.V. allorché la Controriforma chiudeva l'epoca dei secoli d'oro, e, da Trento, lanciava il programma di intransigenza, che divideva l'Europa in due; e nell'una come nell'altra parte, a Roma come a Ginevra, il settarismo prendeva il sopravvento sul dialogo; le lugubri figure di Ignacio De Loyola (1) e di Melantòne (2) , si sovrappongono definitivamente a quella serena di Erasmo Da Rotterdam (3), il cui fine sorriso ironico e lievemente enigmatico, eternato da Hans Holbein, sembra compatire l'umanità avviata verso l'intolleranza.

Gettato l'abito dei Domenicani, Bruno si dette a deambulare per l'Europa, ansioso di trovare un luogo in cui non fosse proibito al libero pensiero di spiegarsi nella propria interezza. Non lo trovò a Ginevra, dove l'intolleranza calvinista accendeva il rogo di Michele Serveto; non lo trovò a Parigi, né a Londra, né a Wittemberg, né a Praga.

Credette d'averlo trovato a Venezia, presso Giovanni Mocenigo (4) , che, invece, o per scrupolo religioso o per viltà, lo consegnò all'Inquisizione Veneta, la quale passò subito l'incomodo personaggio all'Inquisizione Romana ravvisando nelle convinzioni di Bruno, gli estremi per sottoporlo a processo per eresia, la cui competenza di giudizio spettava al Supremo Tribunale Romano.

Processo durato circa 7 lunghi anni, nel corso del quale Giordano Bruno si comportò dinanzi ai Suoi accusatori, in modo sprezzante, rifiutandosi di abiurare ad una sola delle proposizioni della Sua dottrina. É in quell'epoca che la Sua personalità si incontra con quella di Michelangelo Merisi - il famoso Caravaggio - il quale nella drammatica angoscia delle sue tele espresse il contrasto che prova l'anima del credente turbata dalle nuove ed ardite formulazioni, prima insospettate, le quali si imperniavano, soprattutto, su una nuova concezione della divinità, di estrazione neoplatonica; non più la divinità trascendente ontologicamente separata dal mondo, teorizzata da Aristotele e da Tommaso D'Aquino, ma una divinità immanente, intellettualistica e naturalistica, che si dispone nel mondo. Essa è l'artefice interno che “... come da dentro del seme o radice, manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste impiega le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi, le fronde, gli fiori, gli frutti; e da dentro a certi tempi richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle brance, dalle brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla radice” .

Questo supremo artefice dell'universo è dunque la causa di tutto e di tutto il motore secondo schemi razionali.

Esso è neoplatonicamente concepibile come “anima mundi”; Essa di sé permea l'altro elemento essenziale dell'universo, che è la materia, in modo tale da superare la diversità tra forma e materia, postulata da Aristotele: “… quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spiga, da che era spiga si fa pane, da pane cibo, da cibo sangue; da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavere, da questo terra,da questa pietra o altra cosa, e cossì altre, per venire a tutte le forme naturali? Bisogna dunque che sia una e medesima cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavere, non uomo, non embrione, non sangue, non seme o altro”.

Il superamento della diversità materia-forma è reso possibile da una arditissima innovazione che Giordano Bruno introduce nella Sua logica, mutuandola dalla dialettica eraclitéa, anticipatore in questo, anche se sul piano dell'intuizione, della rivoluzione gnoseologica Hegeliana.

Si tratta della “coincidentia oppositorum” operante sia nell'artefice interno, che nella natura. Ogni cosa, infatti, mutua il proprio contrario, e da questo è mutuata; “la corrosione altro non è che la generazione e la generazione altro non è che la corrosione; l'amore è un odio e l'odio è un amore”.

Al di sopra di tutto ciò sta, è vero, la “mens super omnia”, che riprende il tema della trascendenza medievale; ma si tratta essenzialmente della sopravvivenza del passato, anche nell'ardita coscienza di Bruno.

Il tema centrale della speculazione del Nolano è, infatti, nella “mens insita omnibus”, dal profondo significato avanguardistico, rispetto al secolo XVI ° .

Avanguardismo che si ritrova nel superamento della concezione Tolemaico-Aristotelica, dell'universo finito e dell'unico mondo, e si dispiega coralmente nella concezione degli infiniti mondi proiettati in un infinito, nella quale Bruno interpreta a Suo modo, quasi poeticamente ispirato, la teoria Copernicana.

E da questa ispirazione poetica diviene, a coronamento della filosofia Bruniana, esaltazione morale.

E infatti un eroico furore quello che spinge la coscienza umana a sganciarsi dagli istinti più bassi ed a sollevarsi a ricomprendere in sé tutto l'universo, rendendosi conto della immensa spiritualità che lo caratterizza. Ovviamente, contro queste formulazioni non poteva non prendere posizione lo scolasticismo ed il gesuitismo, che era riuscito a prelevare, nel Concilio di Trento, sull'ala della Chiesa disposta al colloquio con i Protestanti.

Nel 1563 E.V., il Concilio si era chiuso con la “profissio fidei Tridentinae”, che segnava l'inizio del corso autoritario ed intransigente della Chiesa Cattolica, destinato a mantenersi sino al Concilio Vaticano Secondo, allorché la Chiesa stessa non poté fare a meno di prendere atto delle esigenze macroscopiche del mondo moderno, in grado ormai, di travolgerne la secolare, ma troppo statica impalcatura.

Di questo corso autoritario, furono vittime il Bruno, e, successivamente, Galilei; Giordano Bruno fu il Martire capace di dire “NO”; con Lui, dunque, ebbe inizio la rivoluzione del libero pensiero, ancora in atto, ed aperta a tutte le conclusioni, dalle più liberali, alle più reazionarie.

Noi Massoni, depositari di una visione del mondo basata sulla Ragione, eleviamo un pensiero a quel Primo Eroe della libertà di coscienza, ed a questa non ultima vittoria dell'intolleranza. E nel nome di Giordano Bruno rinnoviamo il Nostro proponimento di combattere contro l'oscurantismo che, sotto qualsiasi ideologia si ammanti, è sempre sinonimo di degradazione dell'uomo a livello animalesco.

La Massoneria, memore di questo Grande Uomo, autentico “furore eroico” di dignità e verità, istituì l'Ordine che porta il Suo Nome per insignire, con questa ambitissima onoreficienza, i suoi Figli migliori.

NOTE

1- Fondatore dell'Ordine dei Gesuiti.

2- Umanista e teologo propugnatore della pura fede evangelica, che divenne amico e collaboratore di Lutero.

3- Consulta in questa stessa sezione: Erasmo Da Rotterdam.

4- Doge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice Giordano Bruno



Musica: "Tempus transit gelidum" (Carmina Burana secolo XIII)