Il Tempo non esiste "in sé", in quanto è padre di se stesso, è eternità assoluta; esiste soltanto "in relazione" alle forme che in lui vivono.

 

Il documento che presentiamo ai nostri Ospiti è un lavoro di Umberto Virgili pubblicato sul numero 5-6 de "La Ragione", rivista del Libero Pensiero dell'Associazione "Giordano Bruno", nel 1989.

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© Umberto Virgili

 

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"Maiori cum timore sententiam in me fertis, quam ego accipiam" (avete forse più paura voi nell'infliggermi questa condanna, che io nel riceverla).

Bisogna partire da quest'ultima invettiva rivolta dal Bruno ai suoi carnefici, per cercare di comprendere l'atteggiamento del filosofo nolano di fronte alla morte.

In lui il sentimento della morte si identifica paradossalmente con la consapevolezza della vita; la materia é eterna ed immortale, dunque la nostra forma corporea altro non e che una delle tante forme particolari nelle quali può esprimersi "l'anima universale divina". Inoltre, per Bruno sono immortali non soltanto le anime umane, ma coerentemente con la sua filosofia etico-fisica, anche quelle di tutti gli altri "animali" (termine che etimologicamente contiene in sé proprio il significato di "entità dotata di anima").
Il corpo dunque, per Bruno, al momento della morte non fa altro che "disciogliersi", per così dire, in una immensa sostanza eterna ed universale, divina essa stessa, la quale dal proprio seno trarrà ancora e ancora altre forme di vita, sia umane che animali. La nostra forma corporea altro non è che il frutto di un seme vitale, atomo di un tutto inscindibile che, nell'attimo stesso della sua apparente frantumazione, torna ad essere nuovo seme, ridiventa generatrice di se stessa all'interno della divina "energia cosmica vitale".

Il nostro cadavere viene posto nella terra ed ecco, dalla stessa terra, da quei pochi centimetri sparsi sulla nostra spoglia, alla successiva primavera nascerà il fiore, e lì accanto l'arbusto di rose, e poco più in là l'albero da frutto. Pensiamo per un attimo a questo fatto sconvolgente: i liquami in decomposizione si insinuano come rigagnoli carsici nel ventre della terra, eterna madre comune di ogni creatura, e la terra, dalle sue viscere, rinnova il meraviglioso processo della procreazione, quasi ventre di donna resa fertile dal seme cromosomico del suo compagno.
La morte del corpo singolo è, dunque, la vita dell'universo; anzi, secondo Bruno, l'universo "si nutre" con la morte delle creature perpetuando così la vita cosmica del tutto. É l'antico mito di Kronos che mangia i suoi figli, dal Bruno tenuto certamente presente data la sua frequente ispirazione al pensiero greco e neoplatonico.

Il Tempo (Kronos, appunto) non esiste "in sé", in quanto Egli e padre di se stesso, é eternità assolata; esiste soltanto "in relazione" alle forme che in lui vivono, alle "particolari entità" di cui è costituito il mondo. Tutto esiste corporeamente "nel" tempo, e tutto ugualmente esiste "fuori" del "nostro" tempo, poiché si è fatto "tempo universale", energia vitale cosmica. La forma corporea è soggetta, come tutte le altre forme, "al destino delle mutazioni" nell'infinita varietà della natura della materia, che sono "Dio"; essa quindi si reincarna in sempre nuovi "corpi" di uomini, ma anche di animali, di piante, di acque, di rocce. Tutte le anime particolari sono cioè inserite nella "ruota delle nascite", nella quale sono anche inserite (la scienza viene dimostrandolo in questi giorni) persino le nuove galassie che "continuano" a nascere dopo miliardi di anni dall'originario "Big Bang".

Tutto questo avviene senza limitazione del libero arbitrio individuale, poiché ciascuna anima sarà nuovamente libera di esistere in base alla nuova forma della sua "reincarnazione"; la metempsicosi, o trasmigrazione delle anime è appunto il fondamento su cui appoggia la concezione bruniana della morte.
Nella vita corporea, la forma umana riesce a pensare a se stessa attraverso l'intuizione della divinità della natura, che diventa quindi ispirazione diretta di Dio sul pensiero; anzi, il pensiero e per il Bruno la più sublime e totale preghiera che l'uomo possa elevare all'universo. Pregare è pensare, e nel pensiero si manifesta la "presenzialità" di Dio nella natura; del resto, non dice forse Giovanni, all'apertura del suo vangelo, che "al principio dei tempi era il pensiero, ed il pensiero era presso Dio, ed il pensiero era Dio"? Dunque, nessun timore verso la morte, la "dolce fanciulla dal languido abbraccio" di leopardiana memoria; finché dura la mia coscienza di creatura individuale, essa è fuori dal "mio" tempo, quindi non esiste; quando essa arriva, è la nostra coscienza individuale a disciogliersi nel tempo cosmico, e quindi ugualmente non esisterà per "me" poiché non ci sarà più alcun "me" in grado di pensare me stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice Giordano Bruno



Musica: "Orientis Partibus" (Carmina Burana secolo XIII)