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concetto di analogia fra il corpo e la mente appare solo nel
Rinascimento e, se non vado errato, assume contorni definiti,
per quanto parziali, con la Metoposcopia di Cardano, sia pur
conservando tutte le caratteristiche peculiari della matrice
astrologica che lo aveva generato.
Nei Frammenti di fisiognomia di Lavater, tale concetto, si
presenta già come una ipotesi scientifica che risente degli
influssi del razionalismo, ma che coinvolge parimenti una
particolare interpretazione del discorso sul Microcosmo. Goethe,
sia pur senza disturbarsi di citare la antica scienza degli
ermetici e degli alchimisti, cerca di ancorarvi il suo naturismo
speculando sulle possibilità che offrirebbe l'azione nel mutare
i tratti fisionomici. Con l'azione si può mutare il proprio
animo, ma anche il proprio volto che ne è l'espressione. Il fine
soteriologico è evidente e dipende dalla volontà, finché Oscar
Wilde dimostrerà che, con la volontà, si può riuscire, al
massimo, a nascondere in soffitta le deformazioni del proprio
volto.
Mi sembra che la carenza più evidente della teoria astrologica
di Cardano, ed altresì di quella di Lavater, stia nell'aver
voluto ancorare lo specchio della individualità, sia pur essa
prodotta dagli influssi delle stelle o da altro, ai soli tratti
del volto che, nel primo poi, si riducono alle rughe della
fronte. L'analogia fra il corpo e quello che chiamerò
genericamente animo, per quanto non dimostrabile, quali che
siano le cause determinanti, può ancor oggi essere ritenuta una
valida ipotesi se non limitata ad una zona del corpo ma a tutto
il suo insieme ivi compresi i centri motori e tenendo conto di
effetti compensativi ancorché non rilevanti nella loro funzione
primaria apparente. Se ne dedurrà così facilmente che la
differenza fra individuo ed individuo è tanto notevole da
superare le critiche che son state fatte a coloro che, non
disponendo di mezzi sufficienti ad una indagine più estesa,
hanno presupposto una differenza somatica ai tratti fisionomici.
Ora, chiunque sa, che non esistono e che non possono
praticamente esistere due individui con caratteristiche
somatiche identiche - intendendo come soma, ovviamente, anche,
si fa per dire, il numero delle cellule di un determinato tipo
che costituiscono l'unghia di un piede od il quantitativo di
piastrine che si trovano in un millimetro cubo di sangue - e
che, inoltre, queste variano per ogni individuo in ogni istante.
Si sa anche che le memorie che determinano i codici di
comportamento, sia pur in un assieme di norme che potrebbero
anche essere definite generali, esaltano a tal punto le
peculiarità dei singoli da legarne la trascendenza.
Ora, dacché l'uomo ha iniziato ad incidere il frutto delle
proprie meditazioni ha certo prodotto una tale quantità e
qualità di concetti da far sembrare assurda la possibilità che
possa esistere qualcuno in condizione di dire alcunché di nuovo.
Questa conclusione, però, che potrebbe anche sembrare
lapalissiana, valida cioè senza bisogno di venir dimostrata,
parte dall'erroneo principio che gli uomini siano, più o meno,
tutti eguali, cioè che tutti dispongano - sempre più o meno -
delle stesse possibilità ed occasioni.
Dimostrato l'errore sul piano fisico, non vi è alcuna ragione
per ipotizzare che il fatto si verifichi sul piano intellettuale
o su altri piani; nemmeno relativamente ai vari stati di
presunta evoluzione storica della specie.
A sconforto di tale ipotesi si potrebbe, d'altronde, notare che
concetti di relazione ritenuti peculiari di stadi più - diremo,
secondo la accezione corrente - evoluti erano altrettanto validi
in epoche precedenti, sia pur senza dimenticare che una
notazione del genere deve necessariamente utilizzare dei
parametri la cui scelta è alla mercé, se non in funzione
diretta, di ciò che si vuoi far notare.
Conviene perciò, a tal riguardo ed a costo di cadere nel
semplicismo, accontentarci di considerare quello che vien
ritenuto lo stadio attuale di evoluzione e le manifestazioni
incise di più facile interpretazione. Se riusciremo ad
estrapolarle dal conformismo che, in questo caso, altro in
definitiva non è che un desiderio di non sentirsi troppo
distanti dagli altri e di rendersi agli altri più comprensivi ed
accetti, noteremo che le idee degli uomini, in ogni tempo,
saranno sempre individuali anche se tenderanno ad uniformarsi
proprio per sopperire utilitaristicamente a quello stato di
necessità che ha create le comunioni e le associazioni.
Fino a qual punto la difformità delle idee sia dipendente o
funzione diretta delle difformità fisiche degli individui è cosa
ammessa solo da fantastiche speculazioni, atteso che, se di
molti istrumenti disponiamo per constatare le difformità, poche
o quasi nulle sono le nostre possibilità di individuare le
uniformità e, tanto meno, per stabilire dirette analogie.
Sappiamo che, sul piano fisico, un individuo non può ripetersi
altro che in funzione di determinate aggregazioni e con un
bassissimo coefficiente di probabilità ed in uno spazio
innumerevole di anni, ma, per provare che aggregazioni parziali
possono avere effetti analogici simili su altri piani, non ci
sono che le ipotesi di quella vasta scienza che vien chiamata
tradizionale e che, se anche fu od è oggetto di individuali
sperimentazioni, ha pur sempre una base fideistica sia pur
secondo la accezione più lata del termine.
La molla che, allo stato subcosciente, induce l'uomo alla
convinzione, nonostante tutto ciò che è stato detto, di aver
ancora qualcosa da dire può anche essere un certo qual desiderio
di testimoniare in qualche modo la propria differente
individualità.
Fino a qual punto consideri ciò una possibilità di realizzarsi
od obbedisca ad un desiderio di potenza o ad una vocazione
messianica - il che, in definitiva, è la stessa cosa - è
problematico stabilire.
Comunque è necessario, specie per quanto attiene il nostro
discorso, che egli lo faccia ed è indifferente - o quasi - che
egli ci presenti il frutto delle sue autonome o condizionate -
spesso più condizionate che autonome - elucubrazioni fra tante,
coscienti e dichiarate, o solo coscienti, o semplicemente
incoscienti deduzioni di altri.
Ora, poiché avviene che ogni cosa che vien detta o decifrata,
perché da altri incisa, provochi - a cagione della
predisposizione dialettica propria dell'attuale ipotetico stadio
evolutivo - azione o reazione, è facile desumere che, a
prescindere dalla vocazione messianica o semplicemente
pedagogica del dicente o dell'incisore, gli altri ne restino
comunque influenzati. In questo caso la parola o l'incisione
opera come un simbolo in cui il decifratore o l'uditore è
necessario si riconoscano, atteso che nessuno si ritiene
costituzionalmente disposto a ricevere le asserzioni di un altro
apoditticamente, nemmeno quando si limitano alla sfera del
tattile, con la sola eccezione del caso in cui quegli che si
ritiene il destinatario del messaggio non tenda ad
identificarsi, più che col messaggio, col suo autore.
Ma ciò riguarda il dominio delle religioni.
Più precisamente: l'uomo è disposto ad accettare tutto ciò che
riguarda la sfera del tattile, che è quindi afferente il regno
della ragione, come un contributo esterno alla sua formazione
mentre, per quanto esula da tale sfera, anche se apparentemente
mutuato da altri, dovrà essere parto genuino delle sue
meditazioni, conseguenza del suo modo operandi et cogitandi e
quindi funzione nel suo stato fisico.
Sarà facile notare che, anche quando sembra che due idee
coincidano, dopo averle convenientemente esposte, esse
divergeranno più o meno notevolmente fra loro e che la presunta
coincidenza si realizza, spesso, solo in virtù della povertà di
termini del linguaggio o del modo di esprimersi.
Ne consegue che le cosiddette unanimità di consensi ed identità
di vedute non possono altro che riferirsi a limitati problemi od
a determinati particolari degli stessi, quando non è viziata da
riserve mentali o da atteggiamenti ipocriti, sia pur intendendo
ipocrita anche il compromesso a fini benefici. Se ciò avviene
nel mondo di relazione del tattile, del catalogabile, del
controllabile e censurabile, non serve molta fantasia per
formulare ipotesi ragionevoli di ciò che avviene intorno ai
processi mentali che fanno capo ai sentimenti se non alla
speculazione filosofica, molto spesso viziata dalla più
deteriore esasperata dialettica.
Dopo una sì lunga, ma non certo esauriente, premessa, pur senza
indugiare in ulteriori esemplificazioni, conviene notare come il
termine « iniziazione », su cui per una strana solidale
connivenza tutti gli addetti ai lavori sembrano sempre
d'accordo, comporti, non solo opinioni completamente differenti,
ma addirittura opposti intendimenti.
Un certo qual accordo generico esiste, invero, sugli scopi e sui
fini che l'operazione si prefigge, specie se questi sono, più o
meno, abbondantemente compenetrati di luce nel senso che non
hanno contorni né definiti né definibili e per la loro natura e
per la natura dell'osservatore, iniziato o meno che sia.
L'iniziazione comporta, quasi per definizione, il raggiungimento
di uno stato. Quale esso sia, o si presume possa essere, è cosa
che non può venir rivelata nemmeno dai mezzi intesi a
raggiungerlo; e ciò perché il processo analogico con cui procede
offre tante e tali possibilità di interpretazione quali il
simbolismo e l'allegoria, che ne sono l'espressione più
semplice, lasciano appena supporre.
Ma anche per l'allegoria, che è la forma più elementare di
espressione di quello che, secondo l'accezione corrente, vien
definito esoterismo, non è difficile notare come essa si presti
spesso - e perché non sempre? - ad interpretazioni individuali.
Con l'uso dei simboli, cioè di segni il cui significato non è
altrimenti definibile che col segno stesso o, secondo altri, con
differenti segni di eguale valore che nessuno, ovviamente, è in
condizione di quantificare per conto di terzi, aumenta
maggiormente, tende anzi all'infinito, la possibilità, se non la
necessità, di interpretazione individuale.
Se, come abbiamo accennato, ammettiamo il processo analogico,
nel senso di trasferimento su altri piani - che ci guardiamo
bene, riconoscendo di non averne la capacità, dal definire quali
siano e che cosa esattamente siano - del risultato raggiunto,
più si rafforza la convinzione della incomunicabilità di tale
risultato.
È pertanto molto difficile considerare, da un punto di vista
storico, le vicende che attengono l'iniziazione, tranne che
operando per esclusione, nel senso di individuare, per
escluderli, tutti quei momenti, operazioni e cerimonie di
singoli o categorie in cui il termine ha significato che non si
discosta dal valore etimologico ma che non comporta l'ipotesi
del raggiungimento di uno stato, per analogia, su altri piani.
Per quanto alieno dalle esemplificazioni, con tutti i difetti
che comportano perché spesso ad ogni esempio se ne può opporre
uno tendente a dimostrare il contrario, dirò che tutto ciò che
attiene l'iniziazione alchemica deve essere, a mio avviso,
interpretato - sempre con tutte le riserve che comporta il
termine - in senso analogico o, almeno, simbolico o, se si vuol
ancora più exotericamente, allegorico, atteso che è fuor di
dubbio che gli alchimisti non erano in condizione di trasmutare
i metalli in quanto, non solo non ne conoscevano le tecniche
cosa su cui si potrebbe anche discutere - ma non ne possedevano
le attrezzature, cosa su cui non vi possono essere dubbi. Per
contro, l'iniziazione muratoria medioevale è provato che
comportava l'acquisizione di tecniche di mestiere e che solo con
Bernardo di Chiaravalle e Tommaso d'Aquino - e cito solo questi
nomi su cui, più o meno, tutti sembrano d'accordo - acquista
quel valore che è dubbio possa aver ereditato dalle corporazioni
storiche.
L'innesto dell'Ars Regia, che si era servita delle tecniche
dell'Ars notoria sino a divenirne un tutto unico, nell'arte
muraria, che da questa assumerà in prosieguo di tempo persino
l'appellativo, avviene in un certo momento storico, forse ad
opera dei citati, e lascerà indelebili tracce con le cattedrali
gotiche, esempi superbi di scrittura analogica.
La preferenza accordata, in certo qual modo, fra le tante altre
possibili testimonianze dell'arte muraria, lo si deve certo alla
tradizione topomnemonica ma, molto probabilmente anche al fatto,
non certo estraneo alla tradizione stessa, che era quest'arte
considerata più nobile essendo le sue opere destinate a più
agevolmente durare nel tempo ed a più facilmente nascondere ciò
che si voleva mostrare e mostrare ciò che si voleva nascondere,
il tutto in un linguaggio che si riteneva il più universale
possibile.
Non è comunque questo l'aspetto che più si conviene al nostro
assunto tranne che per supporre che molte delle antiche
iniziazioni, di cui oggi ci sforziamo di capire il valore, altro
probabilmente non erano che comunicazioni di segreti attinenti
il modo di detenere o conquistare il potere o produrre e farsi
convenientemente rimunerare determinati beni.
Non è escluso che anche molte di quelle che noi chiamiamo
iniziazioni sacerdotali non fossero altro che adozioni nella
casta o, più semplicemente successioni nella medesima.
Per quanto dobbiamo ammettere che, anche in questi casi,
l'iniziazione comportasse il raggiungimento di uno stato, non è
da escludersi che questo corrispondesse a quella che oggi noi
chiameremo posizione sociale.
Nella iniziazione, vi è presunzione che tale stato non sia
raggiungibile che con superamento di prove, a volte confuse con
i mezzi che si intendono impiegare per superarle, e che possono
comportare anche la simbolica distruzione della struttura
portante dell'individuo.
Per alcuni, la distruzione non sarebbe solo simbolica, con la
conseguenza che l'iniziato entrerebbe nella schiera degli
invisibili di cui nulla possiamo conoscere tranne che per
rivelazione, con tutti i corollari interpretativi del caso.
Il ritorno alla sfera del tattile,dopo un simile viaggio,
sarebbe talmente procrastinata nel tempo e condizionata al
verificarsi di una tal lunga serie di eventi da farci rinunciare
ad ogni interesse, a meno che non si voglia prendere in
considerazione la possibilità di trasmigrare in un altro corpo
od altre analoghe possibilità, comunque alienanti, su cui non
intendo esprimere pareri per non contrastare il diritto di altri
di divertirsi come meglio crede.
Comunque, anche per questi ultimi, l'iniziazione comporta sempre
il raggiungimento di uno stato che non so se, in questo caso,
potremo definire edenico anche se è fuor di dubbio che vi è la
pretesa che sia attinente l'inserimento cosciente - quindi senza
rinuncia alla individualità - nella armonia del Cosmo.
La conquista avverrebbe attraverso una serie di scelte secondo
alcuni casuali, secondo altri volontarie ed in obbedienza alle
regole dell'evoluzione - di strutture portanti realizzate nel
tempo.
Ovvio che uno dei fini utilitaristici - almeno il più facilmente
comprensibile - dell'iniziazione, sia esso inteso nel senso di
conquista dell'immortalità o di trapasso senza trauma, non è
chiaro in questo caso, salvo che il tutto non venga trasferito
su un'altra serie di piani con relative altre serie di corpi di
consistenza più o meno tattile.
Anche per queste ragioni non mi sembra che quella che vien
definita trasmigrazione, secondo l'accezione corrente del
termine, possa venir considerata una via iniziatica od una fase
dell'iniziazione.
Sia chiaro però che, parlando di conquista dello stato edenico,
non intendo escludere in assoluto l'interpretazione che vuole
considerare l'iniziazione sinonimo di cominciamento, nel senso
di intrapresa di nuovo cammino, interpretazione che gode di
autorevoli ed illustri cultori, anche fra coloro che rifiutano
il concetto di evoluzionismo.
In tal caso però, si corre l'alea di confondere l'iniziazione
con quelle che, solitamente, vengono chiamate le vie
dell'iniziazione, per quanto anche questa espressione, che forse
non è la più consona ad argomenti come quello in oggetto, si
possa prestare a produrre ulteriori malintesi.
Sembra comunque più accettabile un significato che intenda
esprimere un riporto in ab inizio, cioè in illo tempore, tanto
che con esso si intenda riferirsi ad un presunto stato edenico
se non addirittura allo stato precedente che configuriamo con
quello del dominio della parola.
Notiamo comunque che, secondo tutte le pratiche cerimoniali o le
precettazioni in merito, l'uomo deve, per prima cosa, liberarsi
dei metalli, cioè di tutte quelle sovrastrutture che ha poste -
illusoriamente - a protezione della sua struttura portante.
Secondo gli stoici, queste sarebbero principalmente: la volontà
- oggi noi magari diremmo volontarismo -, le passioni ed il
sentimento, le conturbazioni dell'animo che sono conseguenti
alle prime ma che potrebbero avere anche altre cause ed essere
autonome da queste.
Per conseguenza, l'abulia, l'apatia, l'atarassia rappresentano
le tre virtù senza la pratica delle quali tutto ciò che si crede
di aver raggiunto è illusorio, fallace ed effimero.
E' facile notare come, praticando queste virtù in assoluto,
l'uomo non manchi di ridursi alle mercé delle fiere, a meno che
non acquisti contestualmente dei poteri idonei a proteggersi.
Questo è, più o meno, agli effetti pratici e depurato di tutte
le esotiche nomenclature, lo stato che si raggiunge con le
iniziazioni di tipo orientale su cui vi è molto da dire e
moltissimo da ridire.
Anche se vi è presunzione che l'iniziato acquisti poteri idonei
a proteggersi, l'acquisizione di tali poteri sarebbe contestuale
alla rinuncia ad usarli con la conseguenza di finire
materialmente in preda alle fiere. Secondo alcuni sarebbe
proprio la fine violenta ad opera di forze maligne, o comunque
caotiche, il sigillo inconfondibile dell'iniziato che, pur non
cercando la morte, non la teme e la subisce serenamente senza
fare alcun tentativo per evitarla.
Ciò contrasta, almeno in parte, con la concezione occidentale
che vuole l'iniziato capace di trasmettere i poteri acquisiti e
di utilizzarli, almeno entro determinati limiti, per quei fini
che vengon chiamati benefici. Nei due campi non mancano
eccezioni e giustificazioni più o meno speciose. La trasmissione
dei poteri implica però - bisogna ammetterlo - un inquadramento
di tutto il discorso nel contesto storico o, comunque, in
presenza della storia, ed ancora l'iniziato, se non tutto
l'istituto dell'iniziazione, a vicende di carattere etico,
morale, se non chiaramente utilitaristico e verificabili solo
nella sfera del tattile, anche se non proprio tattili in senso
stretto come i sentimenti, i desideri, le angosce.
Un tentativo singolare, che oggi magari considereremmo
contestatario, è quello di chi sostiene, con argomenti e
considerazioni più o meno sofisticati - via della mano sinistra,
etc. - la possibilità di raggiungere lo stato edenico, non
acquistando quelle virtù fondamentali a cui abbiamo accennato,
ma praticando fino all'esasperazione i loro contrapposti,
facendo cioè il massimo uso della struttura portante e dei
cosiddetti istinti, esaltati dalla volontà, dai sentimenti,
dalle conturbazioni dell'animo.
Questo stato, ottenuto per saturazione, viene a volte chiamato
controiniziazione - per quanto il termine comporti tutto un
discorso più vasto - e vien definito in vari modi che, più che
specificarne le caratteristiche particolari - cosa di per se
stessa impossibile per le ragioni antecedentemente e
genericamente addotte indugiano nel descrivere le vie intese a
raggiungerlo. Nella fattispecie della iniziazione ottenuta per
rivelazione, folgorazione od altro equipollente nel caso: per
intervento di esseri alienati, anche quando non evocati
coscientemente - la controiniziazione comporterebbe l'interesse
di forze maligne o comunque di segno contrario, genericamente
attribuite al Maligno o ad entità inferiori.
Mi sembra poter arguire però che il pericolo della
controiniziazione sia - sempre che se ne avvalori l'ipotesi -
sempre latente in ogni processo di autoiniziazione, che non
offre all'individuo altra possibilità di controllo che la sua
ragione, incapace, per definizione, di penetrare nella sfera di
ciò che non può essere razionale.
Vien da chiederci fino a qual punto, coloro che predicano di
essere l'autoiniziazione l'unica possibilità che oggi si offre
all'individuo occidentale, siano essi immuni dalle passioni e da
quegli altri metalli che potrebbero anche essere rappresentati
dalla convinzione, che noi chiamiamo onesta, di ritenersi latori
di un messaggio soteriologico per se e per gli altri.
A voler fare dell'ironia, basterebbe elencare i danni,
direttamente o indirettamente provocati agli uomini - e non solo
sul piano utilitaristico - dai cosiddetti o sedicenti Grandi
Iniziati.
Facile
sarebbe concludere che l'iniziato si distingue proprio nel non
farsi distinguere e ciò, in modo particolare, quando benefica,
cioè quando esercita quella che sarebbe la sua missione nel
mondo terreno.
La scienza che vi è presunzione egli possegga non è infatti, per
definizione, partecipabile ad altri tranne che per simpatia e
cioè nel senso che esige una vibrazione all'unisono, a
prescindere dall'ambiente materiale in cui vive o dall'epoca in
cui il fatto avviene.
Ciò anche, escluderebbe ogni possibilità - comunque ogni utilità
- evolutiva degli individui, intesa secondo l'accezione corrente
del termine.
L'opposizione di altri che vorrebbero l'iniziato, non solo
capace, ma esibizionista di manifestazioni sul piano del
tattile, cioè di magia alta o bassa, non mi sembra producente a
meno di non voler considerare tali manifestazioni in senso,
diciamo anche se con termine non proprio esatto, miracolistico.
Ma ciò concorrerà ad aumentare ancor più considerevolmente la
confusione fra maghi, iniziati, teurghi - a cui dovremmo
necessariamente aggiungere anche mistificatori ed imbroglioni -
che credo sia, anche se a volte lo specchio di una realtà, la
causa di molte distorte interpretazioni.
Il mago opera nella sfera del tattile, anche quando questo
tattile non è percettibile e può, pertanto, beneficare gli altri
solo sul piano utilitaristico. Se un iniziato è anche mago - e
non è escluso che, in ipotesi, possa anche esserlo - non
significa che tutti i maghi siano degli iniziati, a meno di non
voler ritornare al significato di iniziazione che abbiamo già
escluso, perché non attinente il nostro discorso, cioè di
introduzione ai segreti di un'arte o di una professione.
Preciso che, in questo caso - ed è evidente - ho attribuito alla
parola magia il significato limitativo di scienza, o meglio di
tecnica, di operare sulla materia utilizzando metodi od attrezzi
sconosciuti o non ancora conosciuti. Il mago iniziato in tutte
le arti, conoscitore e padrone di tutti i segreti della natura
è, ovviamente un'ipotesi o qualcosa di simile.
Si dà comunque per inteso che, per raggiungere lo stato che l'iniziazione
comporta, non è sufficiente liberarsi dei metalli, ma bisogna
imparare a conoscere i segreti della natura, cercare il possesso
della chiave di sigillo della volta celeste, conoscere quella
parola che non si potrà mai pronunciare perché non si addice
alle labbra degli uomini. Anche se considerato in senso non
strettamente letterale, il processo comporta comunque
acquisizione di poteri, a prescindere dall'uso che se ne può
fare nell'esercitarli.
E vi è almeno ipotetica contraddizione fra la pratica delle
virtù, quali abbiamo elencate come strumento di liberazione, ed
il desiderio di conoscenza, o di potenza che a dir si voglia,
atteso che, se non sinonimi, sono per lo meno complementari o,
comunque, strettamente legati.
Qualunque cultore di psicoanalisi potrà, magari, spiegare che la
contraddizione è solo apparente, equivalendo il desiderio di
potenza, alimentato dall'Eros, al desiderio di morte, cioè al
raggiungimento di quello stato, inteso secondo la versione che
gli orientali, più o meno, danno del Nirvana.
Ne conseguirebbe comunque che l'acquisizione dei poteri, a
prescindere anche dai mezzi impiegati per ottenerli e quali essi
siano, dovrebbe precedere, in ordine di tempo od in altro
ordine, il raggiungimento di quello che abbiamo definito uno
stato; sarebbe cioè, altrettanto che la pratica delle virtù, una
delle vie dell'iniziazione; o, forse, più esattamente,
trattandosi di una via unica, che l'acquisizione dei poteri deve
essere contestuale alla pratica delle virtù.
La via unica, sia detto per inciso, vale per unica per ogni
singolo in quanto ogni via non può venir percorsa che da un solo
individuo.
Ovvio che il concetto di pansofia si deve, in questo caso,
intendere in senso analogico, nel significato cioè che il sapere
tutto viene trasmesso dall'agente all'iniziando nel corso del
cerimoniale, essendo inimmaginabile che l'adepto possa acquisire,
nel corso di una esistenza, tutte quelle che son considerate
scienze umane e che non sarebbero altro che lo spettro visibile
di una realtà certo più complicata ma di cui lo spettro è parte
integrale.
Con la pratica cerimoniale l'iniziato acquisterebbe poteri che
gli possono anche essere sconosciuti come la scienza di cui
entra in possesso e di cui diviene depositario. Si tratterebbe
della trasmissione di quelle che
Guenon
chiama « vestigia incomprese ».
Anche in ciò si potrebbe trovare la prova della validità
dell'ipotesi che vuole l'iniziazione non conseguibile altrimenti
che nella ininterrotta catena di una regolarità iniziatica
tradizionale.
Ma, a prescindere dal cerimoniale - per quanto non se ne veda la
possibilità di una qualsiasi surroga, allo stato attuale delle
cose - penso che di vie ad ognuno se ne offra una propria e che
l'acquisizione dei poteri che comporta, come la pratica delle
virtù, sia, per ognuno, cosa, non solo difforme, ma nemmeno
confrontabile con quella riservata ad un altro.
Il documento che presentiamo ai nostri graditi Ospiti è opera d'ingegno
del carissimo
Fratello Alfiero Campagnol.
Il
contenuto non esplicita necessariamente il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto.
© ALFIERO A. I. CAMPAGNOL
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