| Risale ad Ottobre scorso l'ultima visita a Pompei con alcuni Fratelli. Vi torno sempre volentieri, giacché sempre vi trovo degli spunti per le mie riflessioni. © Montesion |
|
Le iscrizioni murali di Pompei, più di tutte le altre iscrizioni lapidarie dell'antichità classica, costituiscono il documento più interessante per la conoscenza della vita, dei costumi e dello spirito degli antichi romani. I testi degli autori classici rappresentano, senza dubbio, la fonte più completa delle nozioni relative agli usi pubblici e privati del popolo che ha lasciata la più profonda orma nella storia dell'umanità; ma le iscrizioni pompeiane, brevi, schiette, concise, caratteristiche, completano questo quadro di conoscenze con sfumature lievi, eppure tanto più preziose quanto più rispecchiano lo spirito vivo, e immediato del popolo. La vita pompeiana, affaristica, pettegola, burlona e sentimentale, ci si discopre con una vivezza inattesa e con una verità immediata, così come si svolgeva, normalmente e tranquillamente, poco prima che la città fosse seppellita dal Vesuvio. Consiste proprio in questa immediatezza il segreto che si impadronì del nostro spirito e lo spinse alla ricerca, nel commento e nella comprensione delle varie frasi. L'immenso e secolare silenzio che grava sui ruderi, che si perde lungo le strade di basalto (le quali sembrano solcate, poco prima, dalle pesanti ruote dei carri): l'immenso silenzio quasi sepolcrale, che regna nelle case scoperchiate e vuote, sotto i portici deserti, nei peristili attoniti, nelle piazze nude, sembra animarsi, qua e là, di voci superstiti, dolci e tristi come nostalgie, ineffabili come rimpianti accorati. Noi vi riconosciamo la vita allegra e burlona dei pompeiani, piena di vizi e di virtù, gioconda nella spensieratezza, lieta nella simpatica vivacità partenopea, sentimentale e caustica, rimasta quasi inalterata dopo venti secoli. Due millenni di lontananza scompaiono con la stessa immediatezza con la quale si solleva il velo di un sogno obliato. Pompei è quasi qui, tutta; e a noi sembra riconoscerla. Ecco nomi di osti, di innamorati, di gladiatori, di mercanti, di magistrati, di meretrici. Tutte le sfaccettature della vita comune che ci si discoprono: dalla réclame elettorale, interessata e sentita, alla notiziola di una cavalla perduta o rubata; dall'avviso commerciale di un albergo accreditato, al saluto rivolto da una fidanzata al suo bel giovanotto; dalla satira contro l'oste che allunga il vino, all'espressione delicata di un innamorato per la sua «pupa». La sincerità di queste scritture, in gran parte anonime, e quindi irresponsabili, ha un valore straordinario. Che importano gli errori di ortografia, i disegni grossolani, le espressioni volgari, quando, proprio in tutto questo, noi sentiamo la umanità della folla anonima? Il disegno sgorbiato di un pompeianetto, la frase triviale di un pescivendolo, il pensiero volgare di un carrettiere bevitore o di un soldato, perfino l'espressione oscena di un cliente di lupanare, hanno un fascino umano veramente incomparabile. L'archeologia non ha estetica, si dice, l'archeologia non fa la schizzinosa e tanto meno la pudica. L'archeologia è soltanto ricerca della verità semplice, nuda e umana. Soprattutto umana. Ecco perché in questa breve passeggiata archeologica tra le mura pompeiane (che sfondo sentimentale rosso-giallo hanno le mura di Pompei nel vespro, sul finire dell'estate) abbiamo cercato di raccogliere il maggior numero possibile di iscrizioni parietali senza preferenze e senza scelta. Noi desideriamo metterci, per poco, in contatto con la vita schietta dell'antica città partenopea, per gustare il sapore caratteristico dello stile e del sentimento del popolo scomparso. Lasciando agli eruditi e ai dotti studiosi il diligente compito della interpretazione e del commento filologico (1), noi vogliamo, qui, ammirare soltanto, desideriamo sorprendere la schiettezza e la umanità delle frasi venute alla luce dagli scavi. Una passeggiata archeologica, quindi, ma solo sentimentale, per la raccolta delle iscrizioni. A maggior chiarezza pensiamo, anzi, di presentare le varie iscrizioni che riusciremo a raccogliere, in tre gruppi distinti, e cioè: a) le elettorali-pubblicitarie; b) le private-commerciali; c) le amorose. Vorremmo formare, in tal modo, un compendio breve, ma in certo modo organico, degli scritti parietali di Pompei. Trasportandosi col pensiero nella tacita città morta, il nostro ospite potrà ricavare da questo succinto compendio di iscrizioni, un quadro tipico e gustoso che, più degli stessi monumenti venuti a luce, gli darà un'idea sincera e umana della vita dell'antica Pompei.
* * *
Le iscrizioni più numerose che si leggono sulle mura di Pompei e specialmente sulle case più importanti e nelle vie principali, sono quelle di carattere elettorale. Evidentemente, la città era in periodo di lotta per le elezioni, quando avvenne il grande disastro vulcanico. In via Mercurio, in via di Nola, in via delle Tombe, in via del Vesuvio, in via Nucerina se ne leggono molte, scritte in rosso o in nero, di varie dimensioni, se ne trovano perfino sulle tombe. Lucio Munazio, ad esempio, ha ben 5 avvisi a favore della sua candidatura, scritti su tombe, che, occupate dai partigiani di altri candidati, sono quasi interamente coperte da scritture. I tipi più comuni di avvisi elettorali possono essere quelli formulati sul seguente esempio: L. Munatium caeserninum - II vir quinq. o. v. f. nuceriae, ovvero su quest'altro: Gavium aedilem oro vos faciatis. Vicini rogant. Ma noi possiamo leggerne ben altri e ben diversi specialmente sulle case dei personaggi più importanti della città, e sui muri delle strade principali. Non essendovi alcuna legge che vietasse «l'affissione», ogni parete murale era a disposizione degli «scriptores» i quali compivano, in certo modo, il lavoro che adesso è assegnato agli attachini. Il moderno nostro: «Votate per Tizio; votate per Caio» era espresso con frasi presso a poco di questo tipo: Vettium Firtnum aed. oro vos faciatis. Alle quali parole veniva aggiunto anche il merito del candidato: dignus est. Votate per la nomina di Vettio Fermo ad edile (2). Egli ne è degno. Su un muro si legge, sotto il nome di un candidato: hic aerarium conservabit - Questo sì che sarà un buon amministratore del pubblico denaro! A favore di C. Giulio Polibio si legge: panem bonum fert. Su un altro muro è scritto: Sabinum aedilem, Procule, fac, et ille te faciet. Altro avviso elettorale è questo: Holconium Priscum dignum reipublicae duumvirorum oro vos faciatis Juvenem fructuosum: Vi prego di nominare duumviro della repubblica Olconio Prisco che ne è degno, perché è un giovane pieno di attività e di energia. Fra queste reclames elettorali a tipo comune, colpiscono però quelle più originali e ricercate. Una è addirittura in versi: Si pudor in vita ni quicquam prodesse putatur - Lucretius hic Fronto dignus honore banc est. Che si traduce: Se è vero che una vita virtuosa va compensata, Lucrezio Frontone è ben degno dell'onore per il quale è candidato. Che la battaglia elettorale si facesse con viva passione è dimostrato da quest'altro avviso: Aedilem Proculu in cunctorum turba probavit. Hoc pudor ingenuus postulat et pietas, ossia: Tutto il popolo ha approvata la candidatura di Proculo all'edilità; dunque, la vera virtù e l'amore sincero reclamano la sua elezione. Né mancano, naturalmente, gli studenti a fare il loro chiasso. Ecco, infatti, sui muri delle scuole le frasi elettorali: Sabinum aedilem discentes rogant: gli studenti votano a favore dell'edile Sabino. Valentinus cum discentibus rogat e simili, spesso graffite a breve altezza dal suolo probabilmente da ragazzi imberbi. Altre iscrizioni elettorali sono più concise e più enfatiche: ad esempio Nummiano feliciter! Viva Nummiano! Ma più interessanti e tipiche sono le frasi ostili e satiriche opposte dai partiti contrari. Ad esempio, mentre lo scriba Isso sollecita il patronato di M. Cerrinio Vattia di cui sostiene la candidatura: M. Cerrinum Vattiam aedilem o. scr. Issus - Dignus est, il partito contrario, che naturalmente si ride di questo edile, fa scrivere frasi come questa: Vattiam aedilem rogant macerio dormientes universi, che significa: La candidatura dell'edile Vattia è portata da tutti i vecchi e da tutti i dormiglioni. Questo per dire che Vattia era fiacco e podagroso e quindi non adatto all'edilità. Un altro oppositore, partenopeo mattacchione, mentre venivano decantate le grandi opere compiute da L. Nonio Asprena e da A. Plozio, per dichiarare che, al contrario, questi magistrati erano delle vere nullità, scrive una frase che tradotta, significa: A me, sotto il consolato di N. Asprena e A. Plozio è nato un asino! Per far comprendere che la nascita d'un ciuco era l'avvenimento più importante che egli era riuscito a constatare durante il consolato dei due candidati. Tutta questa invasione di iscrizioni che riempiva quasi tutte le facciate delle abitazioni più centrali, non doveva però piacere ai proprietari delle case che, in massima, erano artistiche e sontuose. Si spiega quindi il loro rancore verso gli «scriptores», - non essendovi allora alcuna legge che proteggesse gli edifici pubblici o privati. Non rimaneva che invocare la discrezione dei cittadini e, talora, minacciare contro di essi l'ira degli Dei. C. Iulius Anicetus ex imperio solis rogat nequis velit parietes aut trichas inscribere aut scariphare. - C. Giulio Aniceto invoca gli Dei affinché nessuno voglia scrivere o scarabocchiare sulle pareti e sui pergolati. In un angolo è scritta una frase che, probabilmente, mira allo stesso scopo: Per lares sanctus, rogo te ut... - Ti raccomando, per i santi Lari, di non... (la frase è incompiuta va forse intesa come: scrivere su questo muro). A proposito dell'abitudine diffusa di scrivere e di scarabocchiare sui muri, c'è perfino un distico trovato scritto nella Basilica e ripetuto nell'anfiteatro e poi nel teatro grande di Pompei. Esso suona così: Admiror, paries, te non cecidisse ruina - qui tot scriptorum taedia sustineas. - Sei veramente ammirevole, o parete, perché finora non sei caduta in rovina sotto le insulsaggini di tanti scribacchini! Ma se gli avvisi elettorali scritti in nero o in rosso, avevano un carattere provvisorio, c'era una pubblicità più dignitosa perché di carattere permanente. Tale è quella che si legge, di solito, incisa su lastre di marmo, o graffita su pietra dura. Nella Via delle Tombe, su un muro della cosiddetta Villa di Cicerone, v'è una specie di cartello indicatore, come quelli che vediamo ora lungo le nostre strade: Thermae M. Crassi Fruci - Aqua marina et balnea - Aqua dulci. - Januarius Libertus: Terme di M. Crasso: Acqua marina e bagni - Acqua dolce. Rivolgersi al Liberto Gennaro. Poco lontano dalla casa di Sallustio, si legge sul muro a caratteri osci (3) la seguente iscrizione: Passeggero, se tu arrivi fino alla seconda contrada, troverai Sarinio, figlio di Publio, che ha un magnifico albergo. Salute.
In obbedienza alle leggi del Diritto Romano, come leggiamo nel Digesto, le scritte di carattere permanente, come quelle ora accennate, dovevano essere grandi e chiare in modo che tutti potessero leggerle senza difficoltà. Con tali lettere sono, infatti, composte le due più importanti iscrizioni di questo tipo. Una dice: In praedis Juliae Sp. F. Felicis locantur: Balneum venerium et nongentum, tabernae, pergulae. cenacula, ex idibus aug. primis in idus aug. sextas - Annos continuos quinque s. q. d. l. e. n. c. Nel palazzo di Giulia di Sp. Felice, si affitta un elegante e importante bagno, i bassi, gli ammezzati e gli ambienti superiori, dagli idi del prossimo agosto fino a quelli di cinque anni dopo, senza interruzione (4). Entrando dalla Porta di Ercolano si vede subito a destra la taverna di Albino indicata col semplice ed espressivo nome del proprietario: Albinus. La locanda di Sittio ha, invece, per insegna un elefante, e porta sull'uscio questa scritta: Hospitium - Hic locatur triclinium cum tribus lectis et comm. Albergo - Qui si affitta un triclinio con tre letti e altre comodità. Nella casa detta di Pansa si legge il seguente annunzio: Insula Arriana-Polliana Cn. Allei Nigidi Mai - Locantur ex- I iulis Primis Tabernae cum pergulis suis et cenacula equestria et domus - conductor convenito primum Gn. Allei - Nigidi Mai servum - Insula Arriana e Polliana di Gneo Alleo Nigido Maio - Dal prossimo primo luglio si affittano botteghe con alloggi superiori, appartamenti signorili e piano nobile. Il locatario si rivolga a Primo, servo di Gn. Alleo Nigido Maio.
Dopa questo breve cenno sulle iscrizioni di carattere elettorale e pubblicitario raccoglieremo le iscrizioni commerciali e private più interessanti e numerose. Si tratta di una specie di «avvisi economici», di notiziole varie di cronaca, di avvertimenti personali spesso futili e scherzosi, ma di grande importanza archeologica. Era stato rubato un vaso di bronzo. Urna aenia pereit de taberna. Seiquis rettulerit dabuntur Hs. LXV - sei furem dabit unde rem servare possimus Hs. XX. Un vaso di bronzo è sparito da una cantina. Se qualcuno lo riporterà riceverà 65 sesterzi. Se indicherà il ladro, in modo però da farci ricuperare l'oggetto, ne avrà 2o. Un altro avviso di questo genere si legge nella Via delle Tombe. Equa si quei aberavit cum semuncis honerata a. d. VIII k. decembres. Convenito Q. Decim. Q. L. Hilarum aut L. Decimum L L. Amphionem citra pontem sarni Fundo Mamiano. Se qualcuno, il 25 novembre scorso, ha trovato una cavalla bardata, la riporti al Quindecemviro Q. L. Ilaro o a L. L. Anfione di qua dal ponte del Sarno, nel fondo dei Mamiani.
Nulla di differente, quindi, tra questi avvisi e i nostri annunzi di «mancia competente», se si eccettuano i molti errori di grammatica e le forme dialettali che rivelano il grado di cultura degli autori. Una nota di cronaca, alla quale i moderni giornalisti avrebbero dedicato un buon articolo di quotidiano, è redatta a Pompei, in graffito, su un muro: XV, k. nov. Puteolana peperit mascl. III Femel. I - Oggi 18 di ottobre, la «puteolana» ha partorito tre maschi e una femmina.
Anche gli ammonimenti agli sporcaccioni erano scritti sui muri, probabilmente dai proprietari degli stabili. Le latrine non erano in tutte le case. A questa mancanza supplivano le latrine pubbliche. Ma essendo queste, forse, o non sufficienti o poco comode, molti cittadini si servivano degli angoli di fabbricati. Da ciò le iscrizioni dei proprietari di case. Un avvertimento frequentissimo di questo genere è il seguente: cacator cave malum. Ma ve ne sono di meno laconici: cacator cave malum, aut si contempseris habeas Jove iratum – Bel tipo, sta bene attento: qui non si fanno porcherie! Se non senti il mio avvertimento ti possa colpire l'ira di Giove. Stercorari ad murum, progredere, si presus fueris poena patiare necesse est Cave. Stercoraro, tira via! Se ti acciuffo avrai la lezione che ti meriti. Sta attento! Cacator sic valeas, ut hoc locum transea (e sotto due serpenti). Bel tipo, ti auguro di star tanto bene da oltrepassare questo posto senza aver bisogno di... .
Ma pare che simili avvertimenti e tante minacce fossero poco efficaci. Talune muraglie, prese maggiormente di mira, furono messe perfino sotto la protezione degli Dei Lari, con i due serpenti dipinti qua e là; ma i ragazzi e gli ubriachi si abituarono forse presto alla spauracchio dei simboli del domestico focolare. I sacerdoti per proteggere almeno i templi, erano ricorsi a delle iscrizioni feroci, che contengono espressioni estremamente veriste, sfidando ogni convenienza di ministri, sia pure pagani. Una di queste iscrizioni sacerdotali, dipinta sul muro del tempio di Iside, minaccia nientemeno che l'ira di dodici Dei e dello stesso Giove Ottimo Massimo, contro gli sporcaccioni che avessero insozzate le sacre mura. Un'altra iscrizione di queste genere minaccia l'ira della Venere Pompeiana. Abiat Venere pompeiana iratam qui hoc laeserit.
Frequenti sono anche le iscrizioni contro la jettatura. Hic habitat felicitas - Fures foras frugi intro Felix his locus est- si trova scritto sulle case e sui muri, per scongiurare il malocchio, iscrizione che portava nel mezzo o scolpito a rilievo o addirittura inastato, un grosso fallo, il potentissimo simbolo di Priapo.
Sul culto di Priapo in Pompei e a Roma consultare la sezione dedicata: Il Culto Fallico nell'Antichità
Il muro, quindi, avendo la funzione del moderno giornale, veniva utilizzato per ogni genere di scrittura. Nessuna meraviglia se si servivano di esso anche i ragazzi, in luogo di quaderno o di lavagna. Sulle pareti interne di case, evidentemente adibite a scuole, si trovano infatti in graffita, a pochi centimetri dal suolo, i tre alfabeti conosciuti a Pompei: il latino, l'osco e il greco. É interessante notare che oltre alla disposizione comune dall'a alla x per gli alfabeti latino e osco, o quella dall' z all' co per quello greco, si trovano spesso esercizi di accoppiamento della prima lettera con l'ultima, della seconda con la penultima, e via dicendo: a-x, b-u, c-t, d-s, ecc., oppure a w ecc. di cabalistica memoria. Si trovano anche esercizi con lettere capovolte, non certo per avere maggiormente impressa la forma di ciascuna, ma per qualche pratica simile alla Themunah ebraica. Sulle medesime pareti interne, si leggono poi esercizi di calcolo: quota sunt capita dua - sella quadrua - duos inequos s. IIII n. III s. - equales dina vix XI; e anche scioglilingua, come il seguente: barbara barbaribus barbabant barbara barbis (5).
Molto comune doveva essere lo studio di Virgilio. Uno scolaro o forse semplicemente uno del popolo, avendo appreso, forse ad orecchio, qualche brano dell'Eneide, scrisse il primo verso del poema sul muro, così come era pronunziato dagli Osci con la lettera l (elle) in luogo della r (erre): Alma vilumque cano. Tloiae qui ecc. Lo stesso verso è altrove parodiato da un tintore (fullo) il quale scrisse sul muro: fullones ululamque cano, non arma virumque, volendo così celebrare la sua arte e la relativa protettrice, la civetta: Canto i tintori e la civetta, non l'armi e l'uomo. A proposito della civetta, che era il simbolo di Minerva, possiamo citare un'altra iscrizione pompeiana, che dice: Cresces fullonibus et ululae suae salutem dicit. Crescenzo saluta i fulloni e la loro civetta. Ma graziosa, in questa iscrizione, è la nota apposta da un lettore sotto la irriconoscibile immagine della civetta. Certamente sorridendo per lo sgorbio fatto da Crescenzo, l'ignoto lettore scrisse sotto la figura: ulula est - come per dire: «è questa una civetta?».
Oltre che per le battaglie elettorali, il popolo di Pompei si entusiasmava per le rappresentazioni teatrali che erano frequentissime e varie. Il programma di uno spettacolo al Circo, vergato con la rubrica, dice: Alle none di Aprile, combattimento e caccia. Si drizzeranno le antenne (vela erunt): venti coppie di gladiatori si batteranno all'ora nona. I protagonisti degli spettacoli, giudicati dal pubblico, o ne divenivano gl'idoli e ricevevano applausi formidabili, o erano fatti segno ad ogni specie di irrisioni e di motteggi. Ce ne fanno testimonianza le iscrizioni sui pilastri dei teatri, nei portici adiacenti, nei mercati, sui muri delle case. Riferiti, forse, a gladiatori fiacchi e timidi, si leggono motti come i seguenti: suspirium puellarum; puparum dominus; puellarum decus. Da simili critiche non andavano esenti i pantomimi che non soddisfacevano. Oppio l'embolario, ossia un attore d'intermezzi pantomimici, ne sapeva qualche cosa, perché qualcuno si prese la briga di scrivere sulla porta della sua locanda: Oppi, embolari, fur, furuncule! Oppio, embolario, sei ladro e canaglia! Più frequenti degli scherni erano però le lodi ai beniamini. Paris unio scaenae e scaenae domine, vale. Questo entusiastico saluto, scritto varie volte sui muri era diretto al celebre attore romano Paride, quando si era recato a Pompei per poche rappresentazioni. Salutato come re della scena, Paride conquistò tale simpatia che molti si unirono in una società col nome di Paridiani. Ce lo dice un manifesto elettorale: purpurio cum paridianis rogat. Senza contare i molti saluti sparsi sempre sui muri: Paris vale - Paris salute. Anche il pantomimo Azio Aniceto fu salutato con eguale entusiasmo: Acti dominus scaenicorum vale! si legge fra le tante iscrizioni venute a luce. Uno, più entusiasta, scrisse questo commosso saluto: Acti, amor populi, cito redi, vale - Azio, amore del popolo, torna presto fra noi; salute! In un albergo é stata trovata, scritta sul muro, una specie di attestato di benemerenza per l'oste che accolse e trattò molto bene i quattro attori della compagnia dello stesso Azio. c. cominius pyrricus et l. novius priscus. et l. campius primigenius fanatici tres a pulvinar synethaei hic fuerunt cum martiale - sodale actiani anicetiani sinceri salvo sodali feliciter. E poi sotto ancora: pyrrichus salvio sodali salutem.
Anche i portici delle piazze e dei mercati sono pieni di iscrizioni. Buona parte di queste riguardano i posti occupati dai rivenditori, i quali dovevano avere il permesso dal magistrato competente. La preoccupazione che il proprio posto fosse occupato da altri, nella grande ressa di popolo che accorreva agli spettacoli e al mercato, aveva suggerito a ciascuno di avvertire, con una scritta sul muro, che quel sito era già prenotato e regolarmente occupato: permissio aedilium Cn. Aninius Fortunatus occupavit. Questo posto è occupato, con regolare permesso degli Edili, da Gn. Aninio Fortunato. Lelius Narcissus occupat - Questo è il posto di Lelio Narcisso. Narcissus hic - Qui sta Narcisso. Simili iscrizioni si leggono anche sui pilastri esterni dell'Anfiteatro. Né erano risparmiati i luoghi sacri al raccoglimento e alla preghiera. Sull'ingresso del tempio di Apollo si legge: Verescumnus Libarius hic - e poco lontano: pudens libarius hic - o più brevemente: locus lichias. Tutte iscrizioni che dovevano far nota la occupazione del posto da parte di ciascun rivenditore.
Nel portico del Foro una scritta dice: non est ex albo iudex patre aegiptio - Non vi è alcun giudice iscritto nell'albo che sia figlio di un egiziano. Con la qual frase l'ignoto xenofobo negava agli egiziani le doti necessarie per amministrare la giustizia. Sotto lo stesso portico si legge: lucrio et salus hic fuerunt - Qui si sono dato convegno l'avaro e lo sciupone. Ma se le iscrizioni coprivano l'esterno dei muri, é facile immaginare che non difettavano sulle pareti interne delle case e delle botteghe. Mancando registri di appunti, agende e calendari, che cosa era più a portata di mano che le pareti? Buona parte delle scritte servivano a ricordare al proprietario gli arrivi della merce, la loro quantità, la distribuzione alle varie piazze da lui dipendenti nelle città vicine, ecc. In una bottega della insula II, Reg. V, si legge un Index nundinarius, cioè un elenco dei giorni di mercato, sia a Cuma che a Pompei. - Nerone Caesare Augusto Cossa Lentulo cossi fil. cos. VIII idus februarias - Dies solis Luna XIIIIX, nunnudinae Cumis v. idus februarias nundinae Pompeis. Riportiamo, sol per dare un'idea, questo index dei giorni di mercato; ma vi sono in alcune botteghe Indici molto lunghi e dettagliati, nei quali il diligente commerciante aveva notato i giorni, gli articoli della merce, le piazze dove si doveva fare la vendita ecc. Uno di questi Index esiste nella taberna vasaria posta nell'insula IV della Reg. VII. Porremo tra le iscrizioni di carattere privato quelle interessantissime, trovate nelle osterie e negli alberghi, riservando, per il terza gruppo, le iscrizioni che si leggono nei postriboli che citeremo fra quelle di carattere amoroso.
Le cauponaee dei Romani non erano soltanto osterie, ma locali adibiti a diversi usi. Esse offrivano al cittadino o ai viaggiatore l'agio di ristorarsi, di mangiare, bere, dormire e anche di fare all'amore. Non per nulla Virgilio, nel suo poemetto Copa (l'ostessa) dice che nelle cauponaee c'è Cerere, Bromo e Amore. Nulla di più naturale, quindi, che queste osterie (che fungevano anche da locande e da «case di comodo» per appuntamenti con le puellae) avessero le loro pareti coperte da affreschi caratteristici e da iscrizioni più di tutti gli altri ambienti pompeiani. In una osteria della Reg. VI, si vede dipinto un grosso soldato armato di asta, che porge all'oste il calice dicendo: da fridam pusillum - Ragazzo, dammi un «goccetto» fresco. Più in là un altro avventore dice all'oste: adde calicem Setinum - Un altro bicchiere Setino. E l'oste, nel porgerglielo, gli dice: have! A proposito di vino, aggiungeremo che una iscrizione è stata trovata perfino su un'anfora. Sitio, praesta mi sincerum - sic te amet quae custodit ortum Venus. Ho sete. Riempimi di vino schietto; e che Venere, custode della vigna, ti protegga! In una osteria si legge l'invocazione di due o tre amici, beoni, che essendo allegri di vino, vollero far sapere a tutti la loro ebbrezza: avete! utres sumus! cot estis ere voluimus - quando venistis ere eximus. Il senso di questa iscrizione non é chiaro; ma si comprendono bene le parole con le quali i bevitori si proclamano addirittura degli otri pieni. Su una parete di un'altra cauponae c'é l'imprecazione dell'avventore contro l'oste, il quale, come tutti gli osti del mondo, forse annacquava il vino. Talia te fallant utinam mendacia copo - Tu vendes aquam et bibes ipse merum. Che gli Dei facciano ricadere su te stesso gli inganni che fai agli altri, o oste. Tu agli altri vendi acqua, ma per te, figlio d'un cane, serbi il vino sincero! Ed è forse per prevenire di queste imprecazioni d'avventori, che si legge, su un altro muro, la seguente iscrizione: Edone dicit: assibus hic bibitur, - dipundium si dederis, meliora bibes - quattus si dederis vina falerna bibes. Edone dice: per due assi (6) qui si beve: per due lire berrai meglio, per quattro berrai addirittura il Falerno. Came per dire: é inutile far proteste: io ne ho di tutti i prezzi: se lo vuoi buono, pagalo quanta costa! Ma nella bettola di Salvio, nell'insula XIV della Reg. VI, vi sono quattro affreschi di notevoli proporzioni che sono molto importanti e che ci danno idea della vita che si svolgeva in quei locali.
Il primo affresco rappresenta una ragazza e un uomo in atto di baciarsi. La donna pare che cerchi allontanare l'uomo, e presso di lei é scritto: nolo cum Murtale - Non voglio saperne di te, Mirtale. Il seconda affresco rappresenta, invece, due uomini seduti, col bicchiere teso verso una ragazza che viene avanti con un vaso e un calice nelle mani. Secondo le iscrizioni che accompagnano le diverse figure, uno dei due uomini dice: Hoc Questo è per me; mentre l'altro replica: Non - mia est - No, la ragazza e venuta apposta per me. A sua volta, la servetta li tranquillizza entrambi: Qui vol. sumat - oceane veni, bibe. Espressione efficacissima, di perfetto stile latino, che significa: Non c'é bisogno di litigare. Ce n'é tanto, di vino, da saziare l'Oceano! (Più letteralmente il testo si tradurrebbe: Oceano, vieni tu pure qui potrai ben levarti la sete). Il terzo affresco rappresenta due giocatori di dadi. Uno ha ancora in mano il fritillus, mentre i dadi sulla tavola segnano il punto. exsi - egli dice ai compagni: Son fuori: ho vinto. Ma l'altro, come spesso avviene nelle osterie, ha voglia di attaccar brighe e ribatte: non tria, dua est. Non tre hai fatto, ma due. Di qui nasce la rissa, che si sviluppa nel quarto affresco. Qui, il primo avventore con gesti violenti, dice: noxia me - tria - ego fui. Ti giuro che era «tre»: la vittoria è mia. Ma l'altro non si fa intimorire e dice: orte fellator ego fui - Imbroglione che non sei altro! Ho vinto io!' Ed ecco l'oste pronto ad accorrere, e a spingerli verso la porta: itis foras - rixatis. - Andate a litigare fuori di qui. Con questi affreschi nella osteria, si comprende l'intenzione dell'oste, il quale desidera far sapere al pubblico che nel suo « esercizio» non vuole questioni né per donne, né per giuoco. Egli tiene a far sapere che la sua «cauponae» è un locale per bene, mentre anche la donna respinge le profferte d'amore. C'é, si, la servetta allettatrice, ma questa bada solo a smerciare il vino, e fa il suo dovere. Due altre iscrizioni trovate in osterie ci danno un'idea più esatta dell'uso dei thermopolia, che sembrano essere molto simili alle nostre «osterie con cucina» - dove si trovava vino, birra, cibi in conserva, vivande varie. Una di queste iscrizioni dice: ospita, reple lagoenam cervesia - Ostessa riempimi un fiasco di birra. Un'altra, trovata in una cauponae annessa alla casa di L. Tiburtino nella reg. II, ins. V, sta sotto una nicchia che doveva contenere un vaso di olive speciali condite: oliva condita - XVII k. novembres.
Più caratteristiche sono le iscrizioni che si leggono nelle stanze d'alloggio delle cauponaee. Le pareti appaiono quasi sempre completamente ricoperte da scritte o da graffiti: si direbbe che non c'era ospite che non scrivesse la sua frase. Vi si leggono nomi, date, saluti, e, spesso, i giudizi sull'albergo o sull'albergatore. Qua e là vi sono anche frasi amorose, versi di poeti, pensieri filosofici. Ciascuna frase ci dà un'idea del carattere, dello spirito o della stato d'animo del rispettivo autore. Se molti si contentavano di scrivere il solo proprio nome, qualcuno non poteva fare a meno di dire qualche cosa di più. Ecco un soldato un poco spaccone: C. Valerius Maximus milis domus. Un avventore, invece, é molto espansivo nel saluto: Senecio Fortunato plurimam salutem ubique - Salute ovunque a Senecio Fortunato! Ma quello di Sperato alla sua bella Pozzuoli é certo più nostalgico: coloniae claudiae neronesi puteolane, feliciter! scripsit C. Iulius Speratus. Più sotto, qualche amica di Sperano, come se lo rivedesse, aggiunge il suo saluto: Sperate, vale. Accanto a queste iscrizioni, in gran parte di saluti e di nomi d'avventori, ce n'è qualcuna che maggiormente attira la nostra attenzione.
Una che ci sembra molto accorata é quella che tracciò il povero Vibio Restituto, che, mentre forse aveva sperato di dormire in compagnia della sua amica, passò invece la notte tutto solo: Vibius Restitutus hic solus dormivit et Urbanam suam desiderabat - Notiamo l'efficacia del verbo all'imperfetto, per esprimere che egli desiderò la sua Urbana per tutta la notte. Un altro, invece, molto originale, e certamente anche poeta, scrisse il seguente distico: miximus in letto, fateor: peccavimus, hospes - si dices «quare?»: «nulla matella fuit». Abbiamo bagnato il letto, è vero: Abbiamo mancato, oste - Se chiederai «perchè?» ti rispondo: «non c'era l'orinale». Un altro verso — ma questo é dell'immortale Virgilio — si legge sulla porta dell'hospitium tenuto da un certo Febo: Tu dea, tu praesens, nostro succurre labori. Ma si ha ragione di ritenere che l'invocazione sia rivolta a Venere piuttosto che alla Luna. Tu, Venere, sii presente e aiuta il nostro lavoro! Ciò dimostra che anche i lenoni e le donne di malaffare erano devote agli Dei.
Ma fra tutte le iscrizioni pompeiane (che, come abbiamo detto, rappresentano il più schietto documenta umano dell'antichità) quelle di carattere amoroso sono le più interessanti. Tralasciando quelle che la decenza ci consiglia di tacere, ne raccoglieremo un numero discreto per completare il nostro breve compendio. Iscrizioni di carattere amoroso se ne trovano dappertutto; ma, came ben si immagina, esse abbondano maggiormente nelle stanzette dei postriboli, ove le epigrafi sono naturalmente oscene. Pompei, villeggiatura alla moda e soggiorno ideale dei Romani, attira col suo fascino e con le sue belle fanciulle. Gli amanti vi si danno convegno e non vedono l'ora di giungere nella graziosa città. Amoris ignes si sentires, mulio, magis properares, ut videre Venerem - diligo puerum venustum: rogo, punge, iamus! - bibisti, iamus. prende lora et excute: Pompeios defer, ubi dulcis est amor meus. Se tu sentissi, - o cocchiere, il fuoco dell'amore, ti affretteresti di più per vedere Venere. Amo un bel ragazzo: su via sprona il cavallo, andiamo. Hai, ormai, bevuto: possiamo andare: prendi le redini e frusta: portami a Pompei dove è il mio dolce amore! Ed ecco, appena a Pompei, un saluto dei giovanotti di Nola. scritto sui muri, per le ragazze di Stabia: Nolani feliciter puellas! Ecco un distico di innamorato geloso: si quis forte meam cupiet violare puellam - ilium in desertis montibus urat amor. Se qualcuno fosse mai preso da desiderio per la mia ragazza, possa morire consunto dall'amore nelle più deserte montagne! Ma nelle pareti interne di alcune case, di camere d'albergo e di postriboli, le epigrafi sono più intime. Qui apprendiamo, fra disegni e figure varie, i nomi delle donne più ricercate: Euplia, Romula, Palmyra, Attica, Virgula, Urbana, Tertulla. Attica è proposta come un'amante magnifica: si quis hic sederit, legat hoc ante omnia: si qui futuere volet, Atticen quaerat a. XVI - Chi verrà a sedersi qui, legga questo innanzi tutto: se qualcuno vuol godersi una bella ragazza, chiami Attica: prezzo 16 assi. Drauca, con chi paga, fa bene il suo mestiere. Arphocras hic cum Drauca bene futuit denario. Virgula dichiara che il suo amante é spudorato: Virgula Tertio suo: indecens es. Ma Euplia sembra a tutte superiore per la sua vigoria e per la sua sete d'amore. Di lei si legge, su una parete, il seguente fatto di cronaca: Euplia hic cum hominibus belis - mm. Frase che alcuni archeologi spiegherebbero così: In questa casa Euplia fu con degli uomini... gagliardi, ma li sconfisse. Doveva quindi essere una femmina insaziabile, Euplia, se, come l'ignoto avventore scrisse sul muro, riuscì a fiaccare uomini forti e nerboruti. Un'altra meretrice gagliarda e ammirata, che spezzava le reni ai più forti gladiatori, doveva essere quella alla quale venne attribuita questa lode:... Victrix victorum, Vincitrice dei vincitori Se non che fra questi, non doveva essere compreso Valerio Venusto, soldato pretoriano, della Centuria di Rufo, il quale, almeno secondo l'epigrafe, era un... conquistatore fenomenale di donne. In una camera d'albergo al vicolo del «Balcone pensile» si legge, infatti: C. Valerius Venustus miles choortis I praetoriae, centuria Rufi, fututor maximus. Non sappiamo se la qualifica di fututor maximus il pretoriano Valerio Venusto se la sia data da sé, o si tratta di una constatazione di amici, ovvero di donne con le quali il pretoriano aveva rapporti. Una constatazione analoga, e anche più espressiva, é quella che riguarda Palmira. Su una parete si legge: Palmyra sitifera che può interpretarsi: Palmira assetata, o avida, o insaziabile (e forse anche provocante). Queste «note», graffite evidentemente da frequentatori di quei locali, sono alternate, specialmente sulle pareti dei «postribula», a nomi imprecisi di donne, sotto i quali si legge il relativo prezzo d'amore. Trattandosi di «postribula», abbondano disegni fallici, figure oscene e naturalmente grossolane, nonché frasi triviali, came queste: futuere volo - hic cum veni futui, deinde redei domui - quisquis amat veniat: veneri volo rumpere costas, ecc. Ma noi sorvoleremo su volgarità di questo genere per soffermarci su espressioni un poco più decenti che si leggono sulle stesse e su altre pareti di case. Qui, mentre un buontempone scrive: quisque me ad coenam vocarit valeat, Salute a chi mi inviterà a cena, e un altro, della stessa risma, dichiara: l. istacidis, ad quem non ceno, barbarus ille mihi est, alcuni maldicenti sparlano sul conto di Romula: tenemus, tenemus res certa Romula Romula, hic cum scelerato moratur. Ecco poi un ragazzo che si rammarica per la morte di un amico detto Africano. Africanus moritur, scribet puer rusticus condisces, cui dolet pro Africano. Ecco un pensiero filosofico: discite: dum vivo, mors inimica venit. Ecco un'amara delusione di un amante che, essendo, forse dopo lunga attesa, riuscito a possedere una ragazza da tutti decantata per la gran bellezza, constata che, in realtà, non era che luridume: hic ego futui formosa coma puella - laudata a multis sed lutus intus erat. Qui, io ho posseduta una fanciulla decantata per bellezza; aveva una magnifica capigliatura, ma sotto questa apparenza appetitosa non era che fango. Un'analoga delusione esprime quest'altra epigrafe:... sic Venus ut subito coniunxit corpora aman tum, dividit lux, dove l'ignoto scrittore manifesta il suo rammarico perché la notte che egli ha trascorsa con la sua amata è sparita in un attimo, e il giorno é presto venuto a separarlo dal suo amore —... così, appena Venere ha congiunto i corpi degli amanti, la luce li divide.
Questi pensieri e queste frasi, alternati a versi di autori classici come Virgilio, Ovidio, Properzio, fanno ritenere che l'abitudine di scrivere sui muri non era solo diffusa tra persone plebee e volgari, ma anche fra persone colte; queste, anzi, dovevano dar l'esempio. Sembra che tutti sentissero il bisogno di manifestare la loro gioia, le loro amarezze, la loro passione: né potessero tacere il pensiero filosofico, il commento, la critica, la satira. Un poeta, che non può, poveretto, vivere senza il suo amore, dice: scribenti mi dictat amor mostratque Cupido - ah, peream sine te si Deus esse velim. Amore mi detta queste parole e Cupido me l'insegna: Ah, io morirei anche se volessi essere Dio senza di te! Quest'altro é tenace nel suo desiderio amoroso, e non solo non si scoraggia, ma trova nel suo temperamento filosofico, ragioni per attendere con fiducia: nihil durare potest tempore perpetuo - cum bene sol nituit redditur Oceano - decrescit phoebe, quae modo plena fuit - saepe dura levis fit venerum feritas. — «Niente può durare in eterno! Dopo che il sole s'e levato sull'orizzonte, torna a calarsi nell'Oceano. Dopo che la luna fu piena, decresce. Così la scontrosità delle belle donne non regge a lungo: da dura e resistente diventa mite, e finalmente cede». Di eguale tenacia si mostra un altro innamorato che non badando all'ortografia scrisse sul muro il seguente distico di Ovidio: quid pote tan durum saxso, quid mollius unda? dura tamen molli saxsa eavantur aqua. «Non c'è niente di più duro del sasso e niente di più molle dell'acqua: eppure la goccia d'acqua scava la pietra». Un'altra iscrizione filosofica è questa: qui meminit vitae scit quod morti sit habendum.. «Chi ricorda la vita sa che cosa sia la morte ». Questa, invece, é di un innamorato che, conoscendo Ovidio e Properzio, pensò che i seguenti due versi facessero, al caso suo. E, naturalmente, da buon pompeiano si affrettò a scriverli sulla prima parete che gli capitò davanti: candida me docuit nigras odisse puellas - odero si potero: si non, invitus amabo. «Una fanciulla bionda'mi insegnò ad odiare le brune. lo cercherò di odiarle se mi riesce: altrimenti, le amerò contro il suo volere».
Nell'ultimo tratto della nostra passeggiata sentimentale a Pompei, mentre più viva e colorita ci appare la città morta che siamo per lasciare nel suo suggestivo silenzio, completeremo la raccolta delle epigrafi di carattere amoroso, con alcune iscrizioni che, fra tutte, ci sembrano più umane e più belle. Si tratta di pochissime dolci espressioni d'amore, di frasi tenere e accorate di amanti che, immuni della bassa sensualità delle altre, ci appaiono come soavi fori sentimentali, rimasti immacolati in mezzo alle sconcezze triviali graffite sulle pareti delle case, degli alberghi e dei lupanari. L'anima dei pompeiani ci si rivela, così, nel suo aspetto completo di sensualità e di purezza, di vizio e di virtù, tanto simile e tanto eguale alla nostra. Abbiamo qua e là letto i nomi delle prostitute o delle donne più note ai lussuriosi. Romula non disdegnava schiavi e delinquenti; Palmira era corrotta e insaziabile; Eupilia gareggiava in resistenza con gladiatori e soldati; Attica godeva fama di esperta nel mestiere; Drauca pretendeva, forse, una tariffa più alta, ma sapeva anche meritarla. Ma vi era, in Pompei, un soave fiore di dolcezza, una fanciulla chiamata Cestilia, che non è da confondersi con altre. Un saluto rimasto, per lei, su una parete, in una frase che ci sembra delle più belle e delle più efficaci, ci dice tutto il fascino che esercitava il suo animo mite e i suoi occhi dolci di partenopea. Cestilia, regina pompejanarum. anima dulcis, vale! Quanta tenerezza e quanta passione in queste poche parole rivolte alla fanciulla dall'innamorato che la anteponeva, come regina, a tutte le ragazze pompeiane. E quanto accorato e vago rimpianto, nel nostro cuore, per quest'amore così tenero, che all'amante pareva eterno e che, invece, non è stato che un attimo fugace, superato ormai da due millenni di oblio... La bellezza di Cestilia é sparita da tanto tempo; ma noi non possiamo pensare, senza una punta di commozione, alla sua anima «dolce» di buona fanciulla, e ripeterle ancora, da tanto lontano, l'amoroso saluto: Cestilia, regina pompejanarum, anima dulcis, vale! Un altro innamorato, non meno entusiasta della bellezza della sua fanciulla scrive: si quis non vidit Venerem quam pinxit Apelles pupa mea aspiciat: talis et illa nitet. Se qualcuno non ha visto la Venere dipinta da Apelle, guardi la mia ragazza: è tale e quale. Una fanciulla, molto devota, promessa sposa al giovane Cresto, rivolge una preghiera alla Venere Pompeiana affinché la Dea la protegga e la faccia vivere sempre in pace amorosa con lui. Mete comiaes atellana amat Chrestum - corde sit utreisque Venus Pompeiana propitia et semper concordes veivant. Allontanandosi per poco tempo, un amante, non avendo forse altro mezzo per comunicare con la sua fidanzata, scrive sul muro, secondo l'uso comune: propero, mea Sava fac me ames - Parto, ma tornerò presto. Salute o mia Sava - Vogliami sempre bene. Nella casa di Aulo Cossizio Libano in una piccola camera da letto esiste una frase di eguale delicatezza: pupa quae bella es, tibi me misit qui tuus est - vale - Bella ragazza, sono mandato a te da colui che ti ama sempre! Salute! Invece di un biglietto amoroso, l'amante invia all'amata una persona di fiducia, affinché le porti il suo saluto: in assenza dell'amata il saluto viene scritto sul muro perche essa lo legga. Nella casa di Caio Vibio Italo, danno sull'atrio due camere, nella prima delle quali c'é ancora traccia di un letto. Oui doveva dormire una donna o una ragazza chiamata Tertulla. Il marito o l'amante aveva avuto il delicato pensiero di scrivere sul muro di faccia: Tertulla, quiesce - Buon riposo, Tertulla: - attenzione, che rivela l'amore e la tenerezza per la donna amata. Tertulla, andando a letto, doveva leggere, ogni sera, quella frase. Ed era come se gliel'avesse sussurrata l'amante. Due millenni sono trascorsi. Tutto è distrutto e dimenticato nella fugace vicenda della vita. Ma nella casa di Caio Vibio Italo, su una parete, l'amante ripete ancora il saluto amoroso per la cara Tertulla. Tertulla, quiesce...
1. Un magnifico libro di commento sulle Iscrizioni parietali pompeiane è quello del Magaldi - Napoli, Ciurmaruta Piazza S. Domenico Maggiore, 11 - del 1931. 2. Gli edili erano cinque magistrati eletti in ogni città con funzioni di polizia municipale. Si occupavano anche della manutenzione di edifici pubblici e strade e organizzavano i giochi durante le feste. 3. L'osco, la lingua degli Osci e dei Sanniti, fa parte delle lingue osco-umbre, che è un ramo delle lingue indoeuropee e che include tra le altre lingue l'umbro e i dialetti sabellici. 4. Le lettere S. Q. D. L. E. N. C. sono probabilmente una raccomandazione dello scriptor, perché nessuno sporcasse il cartello. Sembra Infatti che gli «scriptores» avessero la curiosa abitudine di aggiungere, sotto l'avviso ad essi ordinato, parole, frasi e mottetti propri. Ad esempio - LANTERNARI TENE SCALAM. Ragazzo bada a tener ferma la scala. SEI, COPO, PROBE FECISTI QUOD SELLAM COMMODASTI. Mi hai reso un gran favore, oste, imprestandomi una sedia. 5. Questo scioglilingua é rimasto perfettamente in uso fino ai nostri giorni. A Roma è comune, infatti, la frase: "Fosti tu quel barbaro barbiere che a Piazza Barberini, barbaramente barberasti la barba a Barbarossa? ". 6. L’asse bronzeo era la più piccola moneta romana, il cui valore al tempo di Augusto equivaleva all’incirca a quello di un euro, perché ci si poteva comprare mezzo chilo di pane. Quattro assi formavano un sesterzio. Quattro sesterzi formavano un denaro, mentre 100 sesterzi formavano un aureo, moneta di notevole valore.
|
| |
|