Ogni tornata rituale dei nostri lavori si conclude con il passaggio del
tronco della vedova.
Non è considerata rituale la tornata in cui non si sia svolta la
cerimonia del Tronco.
Non si conosce l’origine della parola Tronco, in altre occasioni detto
“Borsa di cuoio o Borsa della beneficenza”, e gli antichi rituali non ne
fanno menzione.
Solo nel 1820 negli “Statuti Generali di Napoli" si parla di “Borsa
della beneficenza”.
Secondo alcuni il termine sarebbe derivato dalla Carboneria ed adottato
dalla Libera Muratoria nel 1840.
L’usanza della beneficenza deriverebbe da un passo del Vangelo di Marco
(XII 42-44)... “E sedutosi di fronte al tesoro osservava come la
folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma
venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.
Allora chiamati a sé i discepoli disse loro: In verità vi dico: questa
vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri . Poiché tutti hanno
dato del loro superfluo, essa invece,nella sua povertà, vi ha messo tutto
quello che aveva,tutto quanto aveva per vivere”.
Il Medioevo non conosceva i finanziamenti sofisticati e le tecniche di
organizzazione finanziaria dei secoli successivi. Il denaro doveva
entrare prima di poter uscire; una volta esaurito, bisognava sospendere
i lavori. Finché c’era denaro nelle casse si potevano tenere gli operai
al lavoro, ma quando il denaro non c’era più essi se ne andavano. Le
modalità di finanziamento possono spiegare la lentezza con cui le
cattedrali vennero edificate. Questa «cassa di risparmio» a cui ognuno
versava il proprio contributo, non restituiva interessi in denaro: molti
erano convinti che il loro apporto fosse contabilizzato per l’aldilà.
Già nella letteratura rabbinica numerosi passaggi menzionano l’
esistenza nel tempio di Gerusalemme di una stanza segreta (LISCKAD
HASCIAIM = camera dei silenziosi ) e secondo i racconti della TOSIFTA
SCEKALIM (11-16) in alcune città di Palestina e Babilonia uomini detti
HASCIMIN riservavano una stanza della loro casa ad una cassetta, nella
quale ognuno poteva depositare o attingere denaro in forma anonima.
Gli Hascimin venivano anche detti YIRE HET (Tementi del peccato)
attribuendo loro una sorta di santità, o VATIKIN HABURAH ( Fratellanza).
La denominazione “Tronco della Vedova”, riferentesi al succitato brano
di Marco si rifà probabilmente alla figura di Hiram
(1) “figlio di una vedova della tribù di
Neftali, ma di padre Tirio, artefice in lavori di bronzo, di grande
capacità tecnica e pieno di talento, esperto in ogni genere di lavoro in
bronzo” e ci riporta alla leggenda di Iside, vedova di Osiride.
Essere figlio della vedova, significa essere figlio dello spazio
compiuto affinché l’animo riceva tutta la luce dello spirito; è essere
figlio di una morte-rinascita che comporta un atto interiore di unione
con sé stesso per realizzare la propria interezza, atto che può avvenire
solo in un punto, interiore, ineffabile, noto solo a chi si riunisce,
ovvero “noto ai soli figli della vedova”.
Durante il rito di iniziazione, il Maestro Venerabile si rivolge al
candidato con la seguente formula: “Profano, è il momento di mettere
in pratica il secondo dovere del Libero Muratore, ricordate?...
soccorrere il proprio Fratello, alleviare le sue disgrazie, assisterlo
con i propri mezzi.
Il Libero Muratore compie questi doveri senza ostentazione ed il suo
aiuto rimane avvolto nel segreto. Ma, in questo momento, non possiamo
chiedervi aiuto per un bisognoso, perché non potete disporre dei vostri
mezzi: infatti vi sono stati ritirati i metalli...
Ricordate questo momento quando vi sarà chiesto di dare aiuto a chi ne
ha bisogno.
Come voi, in questo momento, tutti possono trovarsi senza risorse”.(2)
In questo caso, c’è un preciso riferimento alla solidarietà, che, a mio
parere, alludendo
ad azioni prettamente materiali, deve essere considerato come una
corruzione dei rituali originari.
Non credo sia necessario aggiungere altro per comprendere quanta
importanza si attribuisca alla solidarietà, intesa come base della
uguaglianza e della fratellanza e come immediato corollario realizzativo
del percorso iniziatico.
Un elemento costante di tutto il simbolismo libero muratorio, che si
esplica nella funzione del Maestro Venerabile, è il suo molteplice
livello di lettura e la sua possibilità di “parlare” ai Fratelli dando a
ciascuno risposte adeguate alla propria domanda interiore.
L’altra caratteristica peculiare è che il Libero Muratore lavora al
tempo stesso al proprio miglioramento interiore ed a quello
dell’Umanità, infatti se “voler essere migliori è essere migliori” è
anche vero che “migliorare se stesso significa migliorare gli altri”; ed
a tal proposito ricordo che la Massoneria “Attraverso un sistema
tradizionale di allegorie e simboli persegue il perfezionamento
spirituale e quindi il rafforzamento del carattere dell’individuo
singolo mediante il quale migliora l’intera fratellanza umana”.
Uomo ed umanità, come uno e tutto, sono fattori tra loro
imprescindibili, ma occorre partire dalla centralità esoterica,
altrimenti non si coglie la specificità della nostra Istituzione in
quanto Ordine Iniziatico Tradizionale.
Perciò, anche se la solidarietà è un valore positivo sotto un profilo
umano, morale e sociale, che di per sé giustifica un impegno personale
in un’attività di volontariato, dobbiamo innanzitutto porci la domanda
di perché esso sia per noi un aspetto centrale dal punto di vista
iniziatico, tanto da inserire la circolazione dei metalli in un contesto
rituale.
Ancora una volta dobbiamo partire dal V...I...T...R...I...O...L... e
dalla indicazione di operatività alchemica in esso contenuta: la
separazione del sottile dal denso.
Essa rappresenta in estrema sintesi tutto il tragitto operativo della
zona di primo lavoro, la cui visione d’insieme può essere interamente
compresa solo nel grado di Maestro. Insisto sulla centralità di questo
aspetto, perché spesso si commette l’errore di pensare che, nel
passaggio dalla Massoneria prettamente operativa (quella fatta da
Muratori che esercitavano concretamente l’arte della costruzione dentro
e fuori di sé) a quella speculativa (quella in cui l’arte edificatoria
non veniva più materialmente praticata), l’operatività sia stata
sostituita dal confronto intellettuale.
Il che significa che l’esoterismo (in quanto viaggio verso la conoscenza
del Sé) rappresenta la nostra operatività, esattamente come la
costruzione del tempio interiore era un lavoro altrettanto operativo per
i nostri predecessori che lavoravano nei cantieri edili e per gli
accettati di cui siamo i discendenti.
Ecco dunque che la separazione dai metalli, che viene operata già nel
gabinetto di riflessione perché il candidato possa essere ammesso nel
Tempio, assume un significato operativo di assai più ampia portata
interiore rispetto al, pur elevato, contenuto morale in esso contenuto.
Sotto molteplici aspetti.
Primo fra tutti: se i metalli rappresentano l’elemento pesante corporeo
della nostra realtà fisica, il distacco dagli stessi diviene condizione
necessaria perché la rettificazione possa compiersi. É evidente che
questo simbolo deve poi essere interiorizzato e realizzato
individualmente dall’Iniziato. Ma come potrebbe l’anima spiccare il volo
dai metalli costituiti dal corpo denso (in senso alchemico) se i suoi
artigli sono avidamente stretti intorno al ramo della propria
materialità.
Come è possibile avvicinarsi alla sorgente della Luce interiore volando
alto come un falco, se non fosse stato prima capace di squarciare il
proprio grembo come un pellicano, facendo dono di se stesso per la
salvezza degli altri?
E, anche se solo in grado di Maestro verranno forniti strumenti
operativi oserei dire quasi perentori al riguardo, già nell’Iniziazione
in grado di Apprendista vengono date indicazioni piuttosto precise in
tal senso.
Proviamo a collegare la possibile arte operativa all’insegnamento
simbolico:
1) l’attraversamento degli elementi, durante il rito di iniziazione: la
coscienza di Sé associata, ma separabile dalla sfera corporea, emotiva e
psichica la capacità di “attraversare” con essa tali “elementi” ed
essere da essi purificata
2) la separazione dai metalli: non alimentare l’attaccamento ai beni
materiali e
più in generale alle passioni, perché senza tale progressivo distacco la
rettificazione è una velleitaria illusione.
3) Il compimento di tale dovere senza ostentazione: nascondere a livello
individuale la mano benefattrice; l’aiuto rimane avvolto nel segreto
perché, per produrre effetti operativi non deve esserci alcuna
retribuzione morale, ma un vero sacrificio (sacrum-facio )
4 ) L’amore per i propri simili: la rottura del guscio della propria
personalità egoica
e il sentirsi parte di quell’insieme che è l’Umanità è un passo
indispensabile per trascendere
il proprio io e trasformare l’Iniziazione in realizzazione spirituale di
essa; l’Amore come Fuoco; un passaggio obbligato che verrà approfondito
nel corso del cammino iniziatico.
5) La restituzione dei metalli: ad un certo punto della cerimonia i
metalli vengono restituiti: se si interiorizza l’Iniziazione, ora se ne
può trasmutare il valore e disporne in modo diverso.
Sulla base delle considerazioni sin qui fatte, appare estremamente
coerente che il denaro raccolto nel tronco della Vedova si trasformi in
“n mattoni per la costruzione del Tempio” .
Da un lato, infatti, il Fratello che si è distaccato dai metalli ha
compiuto un atto di costruzione interiore proporzionato alla sua segreta
disponibilità al “sacrificio “, dall’altra tale energia potrà essere
utilizzata per dare concretezza materiale all’uomo.
La distruzione del Tempio simboleggia la dispersione dell’Uno nel
molteplice e la sua Nuova edificazione allude alla reintegrazione del
molteplice nell’Uno. Questa tesi è suscettibile, a sua volta, di una
interpretazione, sotto il profilo del percorso dell’anima individuale
che, nel suo incarnarsi nell’individuo sin dal momento del concepimento,
si perde nella molteplicità dei fenomeni e nella visione dualistica
propria dell’uomo nella sua condizione profana e caotica, perdendo il
ricordo della sua origine dal mondo spirituale, come già insegnava
Platone.
Il passaggio dal molteplice all’Uno allude quindi all’uomo che, dopo un
lungo cammino di ricerca, riscopre il suo legame col Tutto-Uno e
risveglia il ricordo della sua origine spirituale.
Trasformare l’Iniziazione in realizzazione della stessa ed esercitare
l’operatività dell’Arte Reale dipende esclusivamente da noi stessi.