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Tanto nella tradizione orientale, quanto in quella occidentale,
troviamo la coppia maestro-discepolo, o i discepoli intorno al
maestro, come motivi morali e spirituali ricorrenti. La sostanza dei
relativi rapporti, peraltro, si è notevolmente alterata ai nostri
tempi. Vediamo da un lato molte persone - specialmente giovani -
«contestare» i loro maestri; dall'altro, l'atteggiarsi a maestri di
individui poco o punto idonei a questo ruolo. Vero è peraltro che al
posto dei maestri, moltissimi hanno collocato idoli: cosicché un
medesimo ragazzo può esprimersi con ostilità verso un valoroso
insegnante, ma appendere al muro della sua stanza la gigantografia
di un cantante, o quella di un calciatore. Analoghi errori di
giudizio e di valutazione fanno sì che innumerevoli persane in tutto
il mondo vadano appresso a presunti illuminati o santoni; i quali
sono, nella stragrande maggioranza, nient'altro che poveri illusi, o
consapevoli impostoti. Per limitarci al nostro Paese, ben si sa che
in parecchie città italiane esistono circoli e cenacoli di varia
specie, a cui sovraintendono personaggi venuti dall'India o da altri
lontani Paesi, sedicenti «maghi» o predicato tori di arcane
dottrine, leaders
di
sedute spiritiche, e via discorrendo. A tutti questi presunti
«maestri» danno retta folti gruppi di discepoli, sino ai limiti più
estremi della credulità e della dabbenaggine.
Di fronte a un panorama così vasto, e così poco apprezzabile, può
essere utile ricordare che cosa abbia rappresentato o possa
rappresentare il «maestro» nel senso più alto e più vero del
termine, ossia quale portatore di verità che in qualche modo possono
venir trasmesse a uno o più discepoli.
L'immagine e
la funzione dei maestro appaiono sensibilmente diverse a seconda dei
vari indirizzi filosofici, religiosi e spirituali, e variano
naturalmente secondo i luoghi e i tempi. La figura del maestro
spirituale o guru si trova in tutte le fasi delle religioni
Vedica, Brahmanica e Indù; e, sempre per rimanere in Oriente, è
notissimo il rapporto fra maestro e discepolo nel Buddismo Zen. In
Occidente, esiste come si sa il «direttore spirituale» nel
Cattolicesimo: ma esso appare in una funzione molto attenuata
rispetto a quella del «maestro» tradizionale d'Oriente.
E' stato variamente discusso entro quali limiti possa e
debba svolgersi l'azione del maestro, fino a che punto il discepolo
debba sentirsi a lui legato e obbedirgli, fino a quando debba
esplicarsi la sua funzione, eccetera. A nostro avviso, ciò che conta
soprattutto è lo sviluppo spirituale del maestro, la sua «statura»
psicologica e
morale,
e per conseguenza la sua possibilità di rendersi conto, in modi che
spesse volte lo stesso discepolo (per non parlare degli estranei)
non riesce chiaramente a
percepire,
delle autentiche qualità e delle vere esigenze di colui o di coloro
che gli si affidano.
Qualcuno ha voluto vedere nel moderno psicoterapeuta d'Occidente il
sostituto del maestro tradizionale. Espressa così, l'affermazione
evidentemente va respinta, poiché accettarla significherebbe
confondere i livelli, mettere sullo stesso piano un'attività
psicologica (e cioè laica o scientifica) con un'operazione
d'ordine religioso o spirituale. E' pur vero che alcune «scuole»
psicoterapiche tendono ad invadere certi settori della spiritualità:
ma si tratta, ripetiamo, di una prassi sbagliata e confusionaria.
Varie autorità religiose hanno riconosciuto che da un simile errore,
da cotali «invasioni di campo», è stata ed è immune la vera
psicoanalisi, la psicoterapia che si ispira a Freud. Il vero
psicoanalista non si sogna di fare il guru, o il direttore di
coscienza!
Rimane tuttavia, poco studiato e scarsamente approfondito, il
problema della «materia prima» - diciamo così - su cui il maestro
spirituale può esercitare la sua superiore influenza. Accade ben
sovente che colui che richiede, e ottiene, di ricevere
l'insegnamento di un guru, sia una persona tutt'altro
che priva di conflitti: che sia un insicuro, un «complessato», un
nevrotico. In casi meno gravi, si tratta di individui con un «io»
più o meno funzionante, i quali hanno bensì superato certi stadi
infantili di dipendenza da figure genitoriali o familiari, ma che
potrebbero paragonarsi a pulcini appena usciti dal guscio: sani, ma
ignari, e altrettanto poco preparati a una scalata dolomitica...
In genere, un vero maestro respinge simili aspiranti, e li invita a
compiere in primo luogo un lavoro di revisione della loro situazione
psicologica; a ripulire convenientemente i propri spazi interiori
prima di pensare a costruirvi cattedrali... La presentazione di un
aspirante discepolo a un presunto maestro, e la sua accettazione, o
inaccettazione, possono dunque costituire un test per
entrambi. I sedicenti maestri a cui si è accennato più sopra hanno
infatti l'abitudine di accettare chicchessia, magari giustificando
la loro prassi con una pietas di dubbia lega, assai meno
«evangelica» di quanto vorrebbero far credere... Un illustre maestro
indiano di yoga, Swami Kuvalayananda, disse esplicitamente al
sottoscritto che molti aspiranti yogi, da lui respinti,
avrebbero avuto bisogno - tanto per cominciare - di un buon
trattamento psicoterapico!
Ma se le premesse esistono, in che cosa realmente può consistere il
«lavoro» del maestro? Ebbene, giova qui riferirsi a un'autorità
incontestabile, quella di uno tra i più famosi maestri orientali
contemporanei, Sri Ramana Maharishi (1879-1955) , da non confondersi
con altri sedicenti o pomposi personaggi che oggi si fregiano,
anch'essi, di un appellativo (maharishi
=
«grande
rapsodo», «grande iniziato») che decisamente non meritano. Secondo
Sri Ramana, la funzione del guru «esterno», ossia concreto,
in carne ed ossa, è soltanto quella di svegliare il guru
interno nel cuore del discepolo. Si tratterebbe di qualcosa di
simile a ciò che in psicoanalisi si chiamerebbe una «proiezione»
dell'atma (il vero Sé, lo spirito), racchiuso nel cuore del
discepolo, su una persona che solo apparentemente è concreta e
separata, il guru manifesto, che viene per così dire
«scambiato» per un altro essere umano, mentre egli, il guru,
è ben consapevole della sua appartenenza allo Spirito universale,
o Paramatma.
Beninteso, in questo modo si dà del guru un'immagine
supremamente idealizzata, e ci si raffigura costui come un essere
continuamente conscio
della sua natura
universale. Quali e quanti «maestri spirituali» dell'India, o di
altri Paesi, si sono avvicinati a questo ideale, o l'hanno
raggiunto? Pochi, pochissimi...
E' comunque opportuno, dinnanzi al triste spettacolo
offerto oggi da tanti, che di «magistrale» non hanno veramente
nulla, ricordare chi e che cosa potrebb'essere, al
limite, il maestro, così come ce lo descrivono numerosi testi
tradizionali. In sanscrito, gu significa «oscurità», e
ru
è
«colui che disperde». Il vero guru, dunque, sconfigge l'oscurità
e permette alla luce di entrare e di diffondersi. Egli è colui - così
è scritto nella Advaya târaka Upanishad - «che possiede l'Eterna
Saggezza... che non conosce arroganza... che si è identificato con
il
Supremo».
E ancora Sri Ramana: «Dio ed il guru, in realtà, non
differiscono: sono identici... Malgrado ciò, essendosi l'anima
differenziata e individualizzata a causa dell'ignoranza,
essa non può ritrovare, senza la grazia del maestro, la sua pura
essenza originaria...»
EMILIO SERVADIO
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