Nell'odierno rito di iniziazione al grado di Apprendista Libero Muratore, il profano, poco dopo essere stato introdotto nel Tempio, e prima ancora di essere sottoposto alle prove d'obbligo, viene invitato a bere a due coppe contenenti rispettivamente, nell'ordine, acqua pura - e pertanto, come suol dirsi, dolce - ed acqua resa amara mediante l'aggiunta di una apposita sostanza, e nel contempo sollecitato a promettere solennemente di mantenere il segreto circa le prove che è in procinto di subire....

Il carissimo Fratello Giorgio Rocchi, in questa sua tavola da "disegno" espone le proprie considerazioni su un passo del rito di Iniziazione

La tavola è opera d'ingegno del Fratello ed è stata pubblicata sul n.10 di Rivista Massonica nel Dicembre del 1976 il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto.

© Giorgio Rocchi

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Sullo stesso soggetto è in archivio un altro documento:

Le due Coppe delle Libagioni

 

Nell'odierno rito di iniziazione al grado di Apprendista Libero Muratore, il profano, poco dopo essere stato introdotto nel Tempio, e prima ancora di essere sottoposto alle prove d'obbligo, viene invitato a bere a due coppe contenenti rispettivamente, nell'ordine, acqua pura - e pertanto, come suol dirsi, dolce - ed acqua resa amara mediante l'aggiunta di una apposita sostanza, e nel contempo sollecitato a promettere solennemente di mantenere il segreto circa le prove che è in procinto di subire.
Per tutto commento a tale atto ed a tale impegno, vengono pronunciate parole allusive all'amarezza dei rimorsi che non mancherebbero di invadere il cuore del neofita, nel caso che lo spergiuro gli avesse sfiorato le labbra.
Trattandosi del primo e del più importante rito massonico, che stabilisce, una volta per tutte, la morte dell'individuo al mondo profano e la sua rinascita sul piano iniziatico, e non di una semplice cerimonia, ci sembra che tale commento, indulgente a motivazioni di carattere moralistico-sentimentale e per nulla profondo, sia affatto inadeguato a promuovere l'atmosfera ieratica che il momento richiederebbe.
Inoltre, considerazioni inerenti al simbolismo dell'acqua dolce ed amara, cui di seguito accenneremo, ed altre concernenti lo «spergiuro» - che al momento del giuramento non può sfiorare le labbra del recipiendario, potendo egli, tutt'al più, nutrire l'intenzione di compierlo in seguito fanno sorgere il fondato dubbio che:

  • l'accostamento tra atto del bere alle due coppe e giuramento del bere segreto, sia del tutto arbitrario;

  • l'ordine nel quale le due bevande vengono gustate, sia stato invertito;

  • il passo fosse, originariamente, del tutto diverso, ed inserito in altro punto del rituale, vale a dire, a prove compiute.

Nel presente contesto queste sono, naturalmente, delle semplici supposizioni, non essendo addotte prove atte a suffragarle, ma a loro conforto potranno essere citati argomenti piuttosto convincenti.
Arturo Reghini, nelle sue «Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore», non parla, contrariamente al moderno rituale, né di coppa delle libagioni, né di coppa dei giuramenti, bensì di calice dell'oblivione o dell'oblio, e tale designazione tradizionale si ricollega immediatamente al mito orfico e pitagorico delle due fonti dell'Ade: la fonte del Lete e la fresca sorgente di Mnemosine.
La dea Mnemosine, sorella di Krono e di Oceano, madre delle Muse, è la personificazione della me
Essa è onnisciente, e, come dice Esiodo nella sua Teogonia, «conosce tutto ciò che è stato, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà». Quando il poeta è posseduto dalle Muse, egli si abbevera direttamente alla scienza di Mnemosine, vale a dire alla conoscenza dei principi, delle origini, delle genealogie: le Muse cantano, infatti, a partire dagli inizi, l'apparizione del mondo, la nascita degli dei, la genesi dell'umanità.
Grazie alla memoria primordiale, cui riesce ad indentificarsi, il poeta ispirato dalle Muse può accedere alle realtà principali: queste realtà si sono manifestate nei tempi mitici della creazione, e costituiscono il fondamento del nostro mondo.
Ma, per il fatto stesso di essere apparse ab origine, queste realtà non sono più suscettibili di essere percepite nell'esperienza ordinaria. Il privilegio che Mnemosine conferisce al poeta, è quello di un contratto con l'altro mondo, la possibilità di entrarvi e di tornare liberamente: il passato appare, pertanto, come una dimensione dell'aldilà.
Per contro, nella misura in cui viene dimenticato, il passato, primordiale o storico, viene assimilato alla morte. I defunti sono coloro che, bevendo le acque del Lete, hanno perduto la memoria, ad eccezione di alcuni privilegiati, quali Tiresia o Anchise, che la conservano anche dopo il trapasso: letale, in genere, è sinonimo di mortale.
La mitologia della memoria e dell'oblio si modifica, arricchendosi di un significato escatologico, non appena si delinea una dottrina della trasmigrazione: non è più il passato primordiale che importa conoscere, bensì la serie delle esistenze anteriori. La funzione del Lete è rovesciata: le sue acque non procurano più l'oblio dell'esistenza terrestre alle anime che hanno appena lasciato il corpo, bensì cancellano il ricordo del mondo celeste nelle anime che tornano in terra per reincarnarsi.
L'anima che ha avuto l'imprudenza di dissetarsi alla fonte del Lete, si reincarna ed è nuovamente proiettata nel ciclo del divenire: ecco perché nelle lamine auree degli iniziati ai misteri orfico-pitagorici, si prescriveva all'anima di non avvicinarsi alla sorgente del Lete, sul sentiero di sinistra, ma di prendere, a destra, il sentiero che conduce alla polla proveniente dal lago di Mnemosine.
Questa dottrina è ripresa da Platone nella sua anamnesi. Tra due esistenze terrestri, l'anima contempla le Idee e partecipa alla conoscenza pura e perfetta: reincarnandosi essa si abbevera alla fonte del Lete e dimentica la conoscenza ottenuta mediante la contemplazione diretta delle Idee. Tuttavia questa conoscenza rimane latente nell'uomo incarnato, cd è suscettibile di essere attualizzata mediante il lavoro filosofico e l'ausilio dei simboli.
L'acqua del Lete, comunque, è sempre amara perché procura l'oblio, la dimenticanza, perché travolge la coscienza degli uomini, sprofondandoli nel sonno e facendo loro perdere la propria identità.
L'acqua di Mnemosine è dolce perché, mediante il ricordo, preserva dal sonno della morte e dona l'immortalità. La virtù mnemonica del melograno, l'anamnesi platonica, il ricordo, si identificano quindi alla conoscenza e, corrispondentemente, la verità - aleteia - è la negazione, il superamento del Lete. Il conseguimento della verità è una conquista della coscienza sopra il sonno e la morte, attraverso i quali essa deve conservare la sua continuità, senza mai venir meno: questo è il vero scopo ed il risultato dell'Iniziazione (effettiva e non solamente virtuale).
Un motivo centrale analogo di cattività-sonno-oblio e ricordo-risveglio-liberazione, ricorre nell'Inno della Perla della tradizione gnostica, conservato negli Atti di Tommaso.
Un principe arriva dall'Oriente in Egitto, per cercarvi la perla unica che si trova in mezzo al mare circondato dal serpente dal sibilo sonoro. Catturato dagli abitanti del luogo, viene nutrito con cibi che lo fanno cadere in un profondo sonno e gli fanno dimenticare la sua identità. Ma i suoi genitori, venuti a conoscenza di quanto gli era accaduto, gli scrissero una lettera:

«Da tuo padre, il re dei re, e da tua madre, sovrana dell'Oriente, e da tuo fratello, nostro cadetto, a te nostro figlio, salute! Risvegliati, sorgi dal tuo sonno ed ascolta le parole della nostra lettera. Ricordati che sei figlio di re. Guarda in quale schiavitù sei caduto. Ricordati della perla per la quale sei stato inviato in Egitto».


La lettera volò come un'aquila, discese sul principe e divenne verbo.

 

«Alla sua voce ed al suo sussurro, mi svegliai e uscii dal mio sonno. La raccolsi, la baciai, ne ruppi il sigillo, la lessi, e le parole della lettera concordavano con ciò che era scolpito nel mio cuore. Mi ricordai che ero figlio di genitori regali, e la mia ottima nascita riaffermò la sua natura. Mi ricordai della perla per la quale ero stato inviato in Egitto, e mi posi ad incantare il serpente dai sibili sonori. Incantandolo lo addormentai, poi pronunciai su di lui il nome di mio padre, il nome del mio cadetto, il nome di mia madre regina dell'Oriente, presi la perla e mi accinsi a ritornare alla casa di mio padre (1)».
 

Il tema del sonno e del risveglio si trova anche nella letteratura ermetica. Tra i tanti esempi, leggiamo nel Pimandro: «O voi, nati dalla terra, che vi siete abbandonati alla ebbrezza, al sonno e all'ignoranza di Dio - tornate alla sobrietà! Rinunciate alla vostra ebbrezza, all'incantesimo del vostro sonno irragionevole! (2)».

 

Nella sezione "I Testi senza età" è possibile consultarne la versione completa:

Il Pimandro


Ricordiamo anche che la vittoria riportata sul sonno e la veglia prolungata costituiscono una prova iniziatica assai nota, in quanto superare il sonno ha sempre avuto il significato di partecipare ad una lucidità trascendente, sciolta dai condizionamenti dell'esistenza materiale ed individuale.
Per non parlare della veglia in armi, immancabile premessa ad ogni iniziazione cavalleresca, nel simbolismo del Graal troviamo, ad esempio, il Corbenic, il superbo castello della «veglia perenne» e della prova del sonno, ove nessuno deve dormire, e nel quale ogni cavaliere che non riuscì a rimanere desto, fu trovato morto l'indomani.
 

Anche il Cristo non cessa mai dall'esortare i suoi discepoli a vincere il sonno, e la notte di Getsemani è resa particolarmente tragica dall'incapacità degli apostoli a vegliare con Lui. «L'anima mia è triste fino alla morte: restate qui e vegliate con me». Ma quando tornò li trovò addormentati, e disse a Pietro: «E così non avete potuto vegliare con me neppure un'ora? Vegliate e pregate», raccomanda loro di nuovo.
Invano: ritornando «li trovò addormentati, perché i loro occhi erano stanchi (3)».
 

Per ritornare al passo del rituale oggetto del presente studio, riteniamo di aver sufficientemente chiarito il motivo del dubbio precedentemente espresso circa il giusto ordine in cui vanno gustate le due bevande. Poiché in tutti gli esempi citati l'ordine di successione è sempre il medesimo: cattività/sonno/oblio e ricordo/risveglio/liberazione, sembra abbastanza logico dedurne che prima deve essere gustata la bevanda amara - l'acqua del Lete - per ricordare all'iniziando che egli è mortale; indi l'acqua pura, che dopo l'amaro sembra dolce l'acqua di Mnemosine - che adombra l'immortalità, alla quale l'Iniziazione che sta per essere conferita, è premessa indispensabile.
Nella sua Divina Commedia Dante parla del Lete e di Mnemosine (per l'esattezza egli la chiama Eunoè), nei canti XXVIII, XXXI e XXXIII del Purgatorio; leggiamo insieme:



Canto XXVIII - parla Matelda


L'acqua che vedi, non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch'acquista e perde lena;
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto del voler di Dio riprende,
quant'ella versa da due parti aperta.
Da questa parte con virtù discende,
che toglie altrui memoria del peccato;
da l'altra d'ogni ben fatto la rende.
Quinci Letè; così da l'altro lato
Eunoè si chiama; e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato
(4):
.................................
Quelli ch'anticamente poetaro
l'età de l'oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognato.
Qui fu innocente l'umana radice;
qui primavera sempre e ogni frutto:
néttare è questo di che ciascun dice (5).

 
E Dante viene prima immerso nel Lete:
 

Canto XXXI - si tratta sempre di Matelda


Tratto m'avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l'acqua lieve come scola.
Quando fui presso a la beata riva,
«Asperges me» sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch'io lo scriva.
La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse,
ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi.
quindi in Eunoè:


Canto XXXIII - ed ultimo del Purgatorio - parla Beatrice


Ma vedi Eunoè che là deriva:
menalo ad esso, e come tu se' usa,
la tramortita sua virtù ravviva.
..................................
S'io avesse, lettor, più lungo spazio
da scrivere, io pur canterei 'n parte
lo dolce (6) ber che mai non m'avria sazio;
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.


 

Così Dante pone il Lete e l'Eunoè proprio alla fine del Purgatorio, dopo le diverse purificazioni che ha subìto in esso: analogamente il recipiendario, in Massoneria, dovrebbe gustare le due bevande del calice dell'oblio dopo essere stato ritualmente purificato attraverso acqua, aria e fuoco, immediatamente prima di ottenere la sua iniziazione.
Nel paradiso Dante perverrà gradualmente all'adeptato passando attraverso i successivi cieli: l'iniziato dovrebbe fare altrettanto attraverso i diversi gradi dell'Ordine e del Rito.
In quanto al rimorso ed allo spergiuro di cui parla l'attuale rituale, solamente la sensibilità esoterica di un rinoceronte avrebbe, forse, di che esserne soddisfatta!
Purtroppo esiste un motivo - non certo una giustificazione - per cui, col passare del tempo, i rituali vengono progressivamente volti in chiave moralistica.
Come è facilmente deducibile dal significato: «conforme all'ordine cosmico», della parola sanscrita «rita», il vero scopo del rito è quello di porre l'individuo in risonanza, ovverosia all'unisono, con detto ordine. Conseguentemente l'azione rituale deve implicare, almeno fino ad un certo grado, la conoscenza effettiva di tale conformità, e pertanto richiede una adeguata comprensione intellettuale.
Ma dal giorno in cui, «Cartesio duce», la ragione è assurda al ruolo di unica pietra di paragone per ogni conoscenza umana, l'intelletto degli uomini ha imboccato la strada dell'atrofizzazione progressiva, ed alla fine essi sono divenuti incapaci di realizzare l'importanza di questa conformità all'ordine cosmico.
Occorreva quindi trovare un'altra spiegazione dell'atto rituale, una spiegazione accessibile alla sola ragione: ecco il motivo del graduale passaggio dalla chiave intellettuale alla chiave morale, dalla parola perduta alla parola sostitutiva di questa: ecco come è andata determinandosi la progressiva trasmutazione del rito in cerimonia.


E quando il cerimoniale coesiste con il rituale, esiste un duplice pericolo.
Poiché la cerimonia, per forza di cose e per il suo carattere esteriore, si impone maggiormente all'attenzione, chi assiste può facilmente scambiare l'accessorio, e cioè il cerimoniale, con l'essenziale, e cioè il rito. Ma il pericolo maggiore è che anche i rappresentanti di una particolare tradizione, autorizzati a compiere il rito, a lungo andare cadano nel medesimo equivoco: allora il rito, scomparsa definitivamente ogni vera comprensione, decade al ruolo di semplice superstizione, in quanto viene conservato il solo formalismo ma viene perso il significato, resta la sola lettera che finisce per soffocare lo spirito.
Per concludere, pensiamo di poter affermare, con il Reghini, che «il calice dell'oblio è la forma in cui si tramanda in Massoneria il mito orfico delle due fonti dell'Ade».
«L'orfico, bevendo alla pura sorgente di Mnemosine, sfuggiva alle acque del Lete e diveniva immortale, figlio non più della sola terra ma di Urano stellato, come dicono le tavolette orfiche che servivano al defunto di viatico. Così l'iniziando nasce ad una nuova vita sotto il cielo stellato del tempio massonico e diviene un Massone, che sta, come dice il rituale, tra squadra e compasso, ossia tra la terra ed il cielo (7)».
 

 


1 - H. Leisegang - La Gnose (trad. Jean Gouillard, Paris 1971) pagg. 258 e 259. Il simbolismo adombrante l'anima e la sua caduta nella schiavitù del dominio corporeo (la terra di Egitto), è abbastanza trasparente.

2 - Corpus Hermeticum - I, 27 sq.

3 - Matt. - XXVI, 38, 40, 43.

4 - [Il corsivo è dell'autore].

5 - Allusioni allo stato primordiale, edenico, al Paradiso terrestre, cui conduce la degustazione dell'acqua di Eunoè.

6 - [Cf. nota 4].

7- A. Reghini - Il rituale dell'apprendista libero muratore - Edizioni di studi iniziatici - Napoli, pag. 26.

 


 

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