La Qabalah può essere considerata contemporaneamente una scienza della vita dell’uomo e una scienza della vita del cosmo. Stabilisce infatti una stretta relazione tra la vita dell'uno e la vita dell'altro. La concezione scientifica contemporanea si congiunge con la dottrina cabalistica dell'universo e della vita. Tuttavia, le conclusioni filosofiche, a cui giunge attualmente la scienza, non sono così salde come quelle della Qabalah. Proprio come la scienza attuale – nelle sue tendenze dominanti – la Qabalah distingue, all'origine dei tempi, un principio immateriale del mondo. Questo principio si manifesta, anzitutto, con la luce. Questa si condensa progressivamente per trasformarsi in materia compatta. Ma la materia, a sua volta, si disgrega per ritrasformarsi, a poco a poco, in luce. Il procedimento cosmico consisterebbe, dunque, in un passaggio dalla luce alla materia, e poi dalla materia alla luce. Così lo concepisce, tra gli altri, Louis De Broglie (1). La Qabalah lo rappresenta con l'alternanza or-'or-or, “luce” - “pelle” (materia) -”luce” (che da sé precisa la successione ain - yesh - ain, “nulla” - “esistenza” - “nulla”). A questo scopo utilizza due vocaboli dal suono quasi identico, per sottolineare meglio l'unità che regna nell'universo: esso è avvolto di luce; è, anch'esso, luce, pur nel suo aspetto materiale. La fisica nucleare dimostra che la luce è energia e che l'energia è massa (secondo l'equazione di Einstein: E = mc2), cioè materia. I termini materia ed energia sono sinonimi, poiché tutto, in definitiva, ritorna all'energia. “L'energia cambia forma conservandosi: da Materia diventa Luce e da Luce diventa Materia” L'immagine che ci presenta Rabbi Meir, il tannà del secondo secolo, dell' or e dell”or, della luce e della pelle, è destinata, a mostrare che un solo principio è valido; quello della luce: essa traspare anche attraverso la pelle, attraverso i suoi “pori”. Dappertutto non c'è altro che luce, anche dove non è assolutamente percepibile. É sottile, trasparente e semplice, anche quando si “veste di una scorza” temporanea. Sfugge allo sguardo distratto, ma non allo sguardo vigile del ricercatore perspicace. Questo principio universale, che è la luce, si manifesta come un “punto”, nekkudà, si leva come una “forza”, poi avanza in una “linea”, kav, ma segue, contemporaneamente, un “moto rotatorio”, un 'iggùl. La luce si concentra e si distende, avanza a poi retrocede. “Gioca” un “gioco d'amore”. Il punto è cresciuto per costituire un universo “circolare”, che alimenta e rinnova incessantemente. Per la scienza atomica, l'universo nel suo insieme, come l'elettrone individuale, ha una duplice natura, corpuscolare e sua totalità. Radiazioni si susseguono in continuazione, ma “non c'è linea retta”. Nello spazio domina la curva. La luce è sferica: i suoi raggi, lanciati nello spazio, sono incurvati dalla massa che incontrano. Per questo la loro traiettoria non potrebbe essere prevista in modo assoluto, ma calcolata secondo le leggi di probabilità di statistica. Ora, queste ultime non sempre corrispondono alle leggi dinamiche della realtà. In conseguenza le leggi della natura non hanno carattere rigoroso: è quello che enuncia Werner Heisenberg nel suo “principio di indeterminazione”. “Il possibile è conforme alla struttura dell'oggetto reale”. (Tra la nuova scienza dei possibili e la teoria cabalistica del miracolo la distanza non è molta!). Le “relazioni di incertezza”, scoperte nel cosmo, non sono arbitrarie, sono dirette e controllate. Secondo la Qabalah, nell'universo si mantiene una bilancia mobile: il movimento vi assicura un equilibrio. Ma l'equilibrio non può esistere se non tra due forze in contrasto tra loro. Quando “la luce si riveste di luce”, si differenzia da se stessa. In questo modo la Qabalah fonda tutta la sua dottrina del cosmo e della vita (sia materiale sia spirituale) sul principio della bisessualità, della bipolarità, della complementarità contraddittoria. Da questo principio discende quello della simmetria. “Tutto nel mondo è ordinato in superiore e in inferiore, in cielo e in terra, in mondo dell'alto e in mondo del basso, in un mondo visibile, in un mondo invisibile: non vi è nulla in basso che non abbia il suo paradigma in alto, ma tutto è uno”. La scienza contemporanea spiega l'ordine del cosmo e il fenomeno della vita con lo stesso principio di bipolarità. I due poli si equilibrano per le loro azioni complementari, che tendono, le une e le altre, verso un punto unico. L'universo è perfettamente simmetrico: a ogni particella corrisponde un'antiparticella, alla materia l'antimateria, al mondo l'antimondo. (Anche la vita in questo mondo può trovare il suo prolungamento “logico” in una vita in un altro mondo). La materia e l'antimateria si attirano e si respingono l'un l'altra simultaneamente. Un equilibrio fragilissimo le mantiene. Se questo equilibrio venisse meno, istantaneamente avverrebbe un cataclisma: l'universo sarebbe distrutto, polverizzato. (Riconoscere questo equilibrio ingegnoso del cosmo, come fanno attualmente gli scienziati, è quasi confermare, con la Qabalah, l'esistenza del miracolo, compiuto da Colui che “sospende la terra sul nulla”). Parallelamente alla fisica, la biologia contemporanea afferma che la vita, prima di essere sostanza, è energia, è un composto energetico. Sia la materia inanimata sia la materia viva si riducono a un “punto” unico. (Questo punto la Qabalah chiama “goccia”)''. Contiene, allo stato virtuale, tutta la vita, che si svilupperà ulteriormente, che si diversificherà in un gran numero di elementi, le cui attività saranno complementari. “La vita ci appare come uno stato di equilibrio e di dinamica”. Il punto cellulare è divisibile all'infinito come la particella materiale. Anche al livello dell'infinitamente piccolo la vita non si inaridisce. La struttura intima del germe non è mai ultima. Inoltre, ogni vita suppone una pre-vita, come la immagina Teilhard de Chardin, ma anche una post-vita, come se la rappresenta Adolf Portmann. La struttura intima del germe o dell'atomo resta impenetrabile. Tuttavia, nell'uno come nell'altro si nasconde l'energia: essa si individualizza, “agisce” e governa, piuttosto che “funzionare”. Le è stata prescritta una finalità dal principio stesso che l'incita all'azione. Dopo Henry Bergson, Bertrand Russel, Teilhard de Chardin, non si può più immaginare una coscienza che esista indipendentemente da un sostrato materiale. Sarebbe dunque esagerato dotare le cellule o le particelle di una “coscienza” e di una attività finalizzate, e anche di una certa libertà? La Qabalah dota di un “anima” le cellule e le particelle. Quest'anima dispone dell'essere che governa, ma obbedisce, “liberamente” all'Anima delle anime, principio regolatore della vita. In primo luogo, tutte le anime convergono verso quella dell'uomo, che è non soltanto una coscienza riflessiva, ma anche la coscienza pensata di tutte le creature, animate o inanimate. Nella fisica come nella biologia, il determinismo e il finalismo non cozzano più l'uno con l'altro. La struttura energetica del cosmo e della vita permette, infatti, agli scienziati di riconoscere una certa libertà di movimento nell'essere animato, e anche nell'inanimato, libertà che, malgrado tutto, resta conforme ad un principio unificatore del mondo ed organizzatore di vita. Gli uomini di scienza del nostro tempo scoprono sotto l'apparenza delle cose una realtà profonda, insondabile. Questa realtà profonda, che la Qabalah chiama “interiorità”, si manifesta massimamente nell'uomo: è uomo soltanto nella misura in cui è coscienza, in cui la sua coscienza è percepibile ad altri. Ma proprio nell'uomo massimamente si copre di un velo questa realtà interiore: la sua anima è mistero. L'uomo è unico fra le creature. É, nello stesso tempo, l'essere più individualizzato (il vocabolo Adàm non ha plurale) e l'essere più socievole. É l'anima che gli dà la sua individualità e la sua socievolezza. Oggi l'uomo dispone del libero arbitrio, di un “potere di autodeterminazione, che non potrebbe essere limitato da nessun vincolo causale”, afferma Max Planck. E i biologi lo ammettono con lui. Effettivamente l'evoluzionismo darwiniano è superato. Certo nell'uomo esiste un'evoluzione come nella natura intera. Ma questa evoluzione non è meccanica: è libera e creativa. L'uomo si innalza (e il mondo con lui) verso un livello di spiritualità superiore.. Ai nostri giorni la specificità dell'uomo è affermata in modo categorico da Adolf Portmann. Questa specificità è dimostrata, da un lato, dall'esperienza spirituale, individuale, sociale e storica “che supera largamente ciò che possono dimostrare i metodi biologici”; nell'uomo la biologia “incontra un elemento nuovo, che è legato alla libertà costitutiva del suo essere” e “che non raggiunge la pienezza del suo divenire se non nell'ambiente sociale”. Solo l'uomo ha coscienza del suo avvenire. D'altro lato, la sua alterità si trova egualmente stabilita da dati biologici particolari, come la riproduzione, la crescita, l'invecchiamento. Adolf Portmann tenta di fissare le basi biologiche di un nuovo umanesimo approfondendo i rapporti tra la biologia e lo spirito. Come Emile Guyénot, stima che il compito centrale della biologia non sia più “nella ricerca della nostra origine, ma nello studio della nostra originalità”. La biologia, facendo risaltare l'originalità, la particolarità dell'esistenza umana, “solleva dinnanzi a noi il grave problema della responsabilità, conseguenza di una forma di vita, che è in parte determinata, in parte libera”. La Qabalah considera, essa pure, la singolarità del fenomeno umano. La struttura dell'uomo è, ad un tempo, complessa e centralizzata. In lui si concentra lo sforzo dell'universo per il suo perfezionamento, la sua integrazione in un tutto; perché l'uomo è il cuore della creazione. Egli ha coscienza della propria unità; quindi può condurre il mondo verso l'unità. Dunque, la tesi dell'unità dell'uomo, più ancora che quella della sua unicità, è quella che avvicina la scienza moderna alla Qabalah. La concezione del dualismo corpo-spirito è stato sostituito da quello dell'unità di vita, unità che risulta (è vero) da una dualità mobile, dinamica ed equilibrata. La medicina e la psicologia non vedono più, oggi, nell'essere umano un essere duplice; lo considerano nella sua totalità: il corpo e lo spirito si interpenetrano. É ammessa anche l'idea della loro comune natura, senza, tuttavia, che sia ridotta a un monismo semplificatore, statico. Teorie simili a quelle di Stephane Lupasco su “L'esperienza microfisica e il pensiero umano” o altre, ancora più recenti, si congiungono alla dottrina della Qabalah, di un'anima corporea e di un corpo animato, secondo cui l'anima umana, di natura spirituale, è fatta anche di “terra” e il corpo umano, di natura materiale, contiene anche elementi spirituali”. Per la Qabalah, l'uomo “dal volto duplice” è in sé un essere unitario. Il problema dei rapporti corpo-anima, che è antico quanto il pensiero umano e che raggiunse la massima intensità in Cartesio, si trova risolto: anima e corpo sono legati dallo spirito divino. Rabbì Moshè Cordovero traduce questo pensiero scrivendo: “Poiché il corpo è spesso, opaco e portato alle passioni, e poiché l'anima, che è priva delle proprietà del corpo, è sottile e spirituale, come possono unirsi? Ma il corpo (continua) non è una materia impura né una prigione per lo spirito: il corpo è un edificio meraviglioso, simbolo dei due mondi. Non c'è cosa al mondo che sia assolutamente materia e non abbia una parte spirituale. La discesa dell'anima nel mondo è una necessità per essa, perché è nata nuda ed ha bisogno di una veste per comparire davanti al Re suo Padre”. La Qabalah e la scienza contemporanea si incontrano non solo nel loro sapere, ma anche nel loro non-sapere. L'una e l'altra si riconoscono incapaci di istruirci sull'origine del mondo e della vita. Ci descrivono il processo cosmico e il processo vitale, ci offrono alcune direttive per “scoprire” le “leggi” della natura, ma non possono definire la creazione in sé: ne danno soltanto un'interpretazione approssimativa: non sono in grado di penetrare il muro del “principio”. Per questo ammettono, in piena umiltà, l'immensità della loro ignoranza. Sia nel saggio della Qabalah sia nello scienziato moderno il sentimento di umiltà, imposto dall'estensione delle conoscenze inaccessibili, si accompagna ad un sentimento di “meraviglia” davanti al mistero del mondo. “La conoscenza, scrive Rabbì Ya'akòv Moshè Harlap, attira l'uomo verso il basso e la meraviglia lo attira verso le altezze”. La conoscenza ci permette di sapere che non siamo capaci di giungere ad essa. Tutta la scienza è destinata a preparare lo spirito ad ammettere che è impossibile sapere. Malgrado la meraviglia, che è comune fra loro, il saggio della Qabalah e l'uomo di scienza si differenziano l'uno dall'altro. Il primo “alza gli sguardi verso la sommità” e si chiede “chi ha creato queste cose”, per adottarlo come Dio. L'uomo di scienza si interroga sul “che cosa” piuttosto che sul “chi”. E, se la meraviglia conduce Einstein al riconoscimento di un principio spirituale direttivo del cosmo, questo, tuttavia, non acquista il valore di un Dio personale: questo Dio è quello di Spinoza. Il determinismo, scosso dalle fondamenta, non ha ancora ceduto il posto della libertà, che è in Dio. Il saggio della Qabalah riconosce, con lo scienziato di oggi, che la scienza che si pone come scopo l'esplorazione del mondo esteriore non è pienamente obiettiva, poiché è molto incompleta. Non è una scienza totale della realtà, è soltanto “periferica”. E solo una chokhmà mil-l-bar, una “scienza esteriore”, chizonìth e non mi-l-gav, “interiore”, penimìth. Non è che la scienza di-klippà, “della scorza”; non costituisce che il corpo della scienza, poiché l'anima di essa è invisibile. La vera realtà delle cose non deve essere confusa con la sua maschera ingannevole. Lo scienziato nucleare si sforza di vincere l'indiscernibilità delle particelle. Il saggio della Qabalah sa che, al di là della realtà materiale c'è una Realtà, che è Spirito, che è Persona. Ma si rende conto che, per raggiungere la Realtà non gli basterà la conoscenza sensibile, razionale e anche intuitiva. Deve impegnare tutto il suo essere, concentrare tutta la sua conoscenza, che è fatta di intelligenza ed amore, mirando alla conoscenza di Dio. Questa conoscenza mantiene in lui una “intelligenza del bene”. Anche prima di giungere al “cuore” delle realtà, il saggio della Qabalah scopre in ogni elemento naturale il suo completamento morale; perché la complementarità della natura e della morale gli è stata indicata dalla Torà, le cui lettere simboleggiano, ad un tempo, l'ordine del cosmo e la legge morale. La Torà impegna l'uomo intero. E sotto il segno di questo impegno totale che l'uomo stabilisce la sua relazione con la natura, nel suo insieme, e con ogni elemento, in particolare. Sono rapporti di un io e di un tu, perché la parentela che si è creata tra l'uomo e gli elementi naturali non è soltanto quella della materia comune a loro, ma quella delle anime che convergono verso l'Anima unica... Filosofi come Henri Bergson, Teilhard de Chardin, in Occidente, Sri Aurobindo, in Oriente, richiedono già un apprezzamento supra razionale delle cose e un superamento delle scopo “scientifico”. Molti scienziati, soprattutto fisici e biologi, cominciano a preoccuparsi seriamente di questioni filosofiche e religiose. Progettano di edificare una filosofia della scienza e una morale della scienza, non esenti, da fede religiosa, che possano corrispondere alla loro nuova visione del mondo. La scienza contemporanea per la natura, la portata e anche il metodo della sua ricerca tende a diventare una scienza integrale della vita: la fisica comincia a cedere il passo a una metafisica, l'antropologia ad un umanesimo. “Una scienza che progredisce e si rinnova, si accosta, per vie profane, al centro della santità. L'uomo di scienza, che manifesta il suo desiderio di penetrare all'interno delle cose, anche quando le studia nelle strutture “quantificate”, senza considerarle ancora nella loro essenza spirituale, aspira, di fatto, all'essenza pura, semplice, della divinità. Lo Zohar descrive l'epoca pre-messianica come un tempo in cui “abbonda la scienza”, in cui si giunge a scoprire i “segreti che racchiude” la natura” Da parte loro, i chasidìm degli ultimi due secoli presentano il periodo pre-messianico come quello in cui “è particolarmente sviluppato il senso dello spirituale”, in cui è eccezionalmente portato avanti lo studio della “luce”. Così la luce serve a “guardare da un estremo all'altro del mondo”. Serve anche a misurare le dimensioni del tempo. Allora le vaste realtà materiali si riducono a un “punto” minimo : il cosmo ritorna al suo punto iniziale, pur restando immenso, poiché questo punto lo contiene totalmente, ne concentra la forza. Anche le vaste realtà spirituali si trovano ridotte a un punto minimo: la Torà ritorna al suo punto originario, pur restando immensa. Natura e Torà si identificano di nuovo, come all'origine, in un punto e questo punto è luce. Allora l'uomo che ha “favorito con la sua scienza questa santa unificazione”, si ricostituisce nella sua unità originaria e supera se stesso; oltrepassa lo stadio puramente umano ed è, ad un tempo, “uomo e non uomo”; scopre la propria interiorità e, per questa via, la stessa Interiorità di Dio. Tutte le cose gli paiono chiare, luminose. Effettivamente, “la scorza si identifica con il nocciolo”, “il fuori con il dentro”, lo “scoperto” con “l'occulto”. Tuttavia, questo processo di semplificazione, di saturazione e di unificazione non presenta che “una scintilla della luce del Messia”. La luce intera uscirà dal suo “nascondiglio”, in cui fu riservata ai “giusti” fin dai giorni primi, per apparire nella sua totalità, materiale e spirituale ad un tempo. La terra, popolata di giusti, “non avrà più il sole per luce durante il giorno e lo splendore della luna non la illuminerà più; ma l'Eterno sarà per lui una luce eterna e il suo Dio sarà la sua gloria”. 1 V. Louis DE BROGLIE, Matière et Lumière. Parigi, A. Michel, 1937 (Trad. ital. Materia e luce, Milano, 1940 – T –). Idem, Continu et discontinu en physique moderne. Parigi, A. Michel, 1941.
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