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Presentazione Dopo la Qabalah della lettera Aleph A e quella della Hè H ecco quella della Beth B, la seconda dell’alfabeto ebraico. Ed essendo la lettera Beth B anche la prima della prima parola del Genesi “Berèchith” TY$ARB interpreteremo, anche, la Qabalah di questo vocabolo iniziale, e di tutto il primo versetto del Genesi. Con la “Qabalah di Aleph A”, il “Mistero del nome divino Élohïm MYHLA”, la “Qabalah della Hé H”, e la “Qabalah del Principio e della lettera Beth B”, si posseggono gli strumenti necessari per una elevata realizzazione spirituale. Con queste tre opere si possiede l’indispensabile per una informazione cabalistica essenziale, perché si fondano sulla Tradizione antica, che rinnova, rendendola accessibile a tutti gli spiriti del nostro tempo. Anche uno soltanto di questi tre testi potrebbe essere sufficiente. Questo non significa, però, che il resto del pubblicato non ha carattere di importanza. Ma viviamo in una epoca escatologica in cui tutto ha del vorticoso, in cui si ha poco tempo, e in cui si evidenzia la necessità di cogliere con velocità l’essenziale. Comprendendo l’Aleph A o la Hé H nel nome divino Élohïm MYHLA, o la parola Berèchith TY$ARB nei suoi significati esoterici, meditando e vivendo ognuna di queste lettere, ciascuna di queste parole sacre, si realizza, immediatamente, il divino in se. Il seguito dell’opera permetterà di fissare e di sviluppare questa realizzazione spirituale.
Questa piccola opera è divisa in sei parti.
Dopo questa presentazione, seguita da una avvertenza, che ne costituiscono la prima parte. La seconda è una introduzione che riporta una corrispondenza dell’autore, datata inizio anni sessanta, con due suoi amici dell’epoca: il dottor Cohen, psichiatra, che proprio in quel periodo terminava gli studi di medicina, e Pierre Madaule, economista e scrittore, figlio del presidente fondatore dell’associazione “Amici giudeo-cristiani”. Vi si disserta dei rapporti tra l’Infinito e il finito, riflessioni primarie della Qabalah ebraica. La creazione implica la limitazione dell’Infinito, causa del male e della distruzione. É il senso della lettera Beth B che significa Casa. Costruire, creare venendo a posare, a tracciare dei limiti là dove essi non esistevano. Nel quarto testo di questa introduzione, si troveranno, come nelle nostre precedenti opere, considerazioni di un pensatore russo di cultura cristiana che si accordano perfettamente con l’insegnamento della Qabalah.
Nella terza parte, una traduzione parola per parola del primo versetto del Genesi ebraica, consentirà a chi non ha nessuna nozione dell’ebraico di iniziarsi alla lingua sacra, o quantomeno di poter leggere questi passi senza troppe difficoltà. Vi abbiamo aggiunto delle etimologie di Alexandre Weill e dell’autore. É un lavoro originale, divertente e singolare, ma che dovrà finire per prendersi sul serio nella misura in cui si procederà. L’ebraico biblico è d’altronde la lingua madre.
Nella quarta parte, sono contenuti alcuni brani di letture cabalistiche tradizionali del primo versetto del Genesi. Come primo scritto, la traduzione di una pagina dell’opera monumentale di Pr Tichby, dell’università di Gerusalemme “Michnat Hazohar” che rappresenta uno strumento di base per penetrare con competenza nell’universo della Qabalah in generale, e dello Zohar in particolare. In seguito alcuni brani dello Zohar, e per terminare alcune speculazioni Hassidiche, sulla nozione kabbalistica della Sephirâ H’ocmâ, la Saggezza mistica, di rabbi Dov Baer, il predicatore di Méseritz, cabalista geniale, certamente il più grande pensatore del movimento Hassidico che fondò con il suo maestro il Baal Chem Tov. Vi si potranno comparare le elaborazioni di questo maestro della Qabalah con quelle del pensatore russo cristiano Nicanor, citato nell’ultimo testo dell’introduzione. Si ritroveranno così, poco per volta, gli elementi della tradizione ebraica originale, dispersa nelle differenti religioni. E con ciò essa acquisterà una forza di rigenerazione spirituale imponente, miracolosa, per la nostra umanità dispersa, apportando quella luce divina capace di ispirarla e salvarla dalle tenebre della distruzione e della morte.
La quinta parte, è la nostra Qabalah personale, letture personali; elaborazioni del primo versetto del Genesi. In questi scritti eravamo, ancora, fortemente influenzati dai lavori di Carlo Suarès con il quale collaboravamo: tentiamo di armonizzarvi, quanto appariva allora come una nuova Qabalah, con l’antica, e di fonderla con la tradizione storica. La forza creatrice ne emerge ancora oggi, pur a distanza di venti anni. Ne siamo stupefatti. Era, quello, un tempo di grazia propizio all’intensa attività di ricerca.
La sesta parte, è ancora una testimonianza di questo periodo particolare. Vi esponiamo la Qabalah stessa di Carlo Suarès su questo primo versetto del Genesi. Sono scritti che per primi abbiamo pubblicato, a vantaggio di un piccolo cenacolo riunito attorno al maestro nel 1958. A nostra conoscenza, essi non sono mai stati pubblicati nella loro integrità. Certamente, oggi non concordiamo più con i contenuti di questi elaborati; con il tempo abbiamo riscontrato che quanto esposto non configurava la vera Qabalah. Però, Carlo Suarès non mancava di genio e di talento. Egli era, e, resta affascinante. Era anche un uomo coraggioso e profetico. Cosa che non si può sostenere per Adolphe Grad, il quale contrabbanda, al grande pubblico, una idea aberrante della Qabalah; facendo credere, per esempio, che assicura vittorie militari e che parli di extraterrestri. Quando in realtà riconduce l’uomo, esclusivamente, ai mondi interiori e spirituali, i soli reali ai suoi occhi, e in cui si sviluppa la vera esistenza, la quale non fa che riflettersi e simbolizzarsi in quelli esteriori e fisici. Emmanuel LEVYNE Montmartre, ottobre 1981.
Avvertenze (A proposito delle “letture” di Carlo Suarès)
Si pone il problema: Carlo Suarès era un cabalista o un filosofo? Esaminando, e analizzando con attenzione le sue opere, per esempio gli scritti inediti che pubblichiamo in questo lavoro, sarà possibile rendere chiaro il suo caso, giungendo a trovare risposte soddisfacenti.
Nella sua meditazione sulla lettera Beth B della parola Berechith TY$ARB Carlo Suarès scrive:
“... vengo, così, a riscontrare, in maniera inammissibile, che il me è prigioniero dell’universo, che non esiste via di uscita. (...) Raggiungo una tensione estrema e questa crisi mi consegna alla disperazione. La coscienza individuata si oppone alla percezione inesorabile e incomprensibile dell’esistenza dell’universo, come un prigioniero che si fracassi la testa contro i muri della sua prigione. Ogni tentativo di unione con un principio superiore non è altro che un tentativo di evasione”.
Compariamo queste riflessioni di Carlo Suarès con questo testo di Hegel:
“Ogni uomo potrà lottare come vorrà, ma gli sarà impossibile, sia strapparsi al proprio tempo sia di uscire dalla propria pelle. Perché egli appartiene allo spirito universale, che è il suo proprio essere e la sua essenza” [1].
L’uomo appartiene alla natura universale, egli è una infima parte dell’essere cosmico, di cui è prigioniero. Nessuna possibilità di trascendenza. Ecco ciò che testimonia la filosofia. Conseguentemente, quello che l’uomo può fare di meglio, è rassegnarsi a questa segregazione nell’universo, di adattarvisi, di sottomettersi alla necessità, di obbedire alle leggi della natura che giammai potrà cambiare. Poiché l’uomo, ci dice ancora Hegel, “è figlio del suo popolo, del suo paese e di cui non fa che esprimere l’essenza nella sua forma particolare”. La libertà trascendentale non esiste. “Nessuna libertà nella natura: tutto è sottomesso alla necessità e alla costrizione”. La Saggezza consiste dunque, nel sottomettersi e obbedire sia alle leggi naturali sia a quelle sociali. Così si eviterà la malattia, gli infortuni, la prigione. E se, sfortunatamente, questi ci colpiranno, ce ne libereremo soltanto pentendoci, e riparando le nostre violazioni alle leggi. Se rispetteremo scrupolosamente le prescrizioni del medico, forse guariremo; se ci porteremo bene in prigione, forse avremo uno sconto di pena. Al contrario, se rifiuteremo di sottometterci, se ci ribelleremo contro la prescrizione del medico e l’ordine carcerario, la morte ci attende, la segregazione a vita sarà il nostro castigo. Per essere liberi, è necessario, per noi, accettare le leggi e non infrangerle. La Saggezza consiste nel rassegnarsi, nel sottomettersi, nell’obbedire, nell’adattarsi, nell’integrarsi con l’ordine universale. La Saggezza, cioè la filosofia. Tale è anche l’opinione di Lèon Chestov, che scrive:
“Il compito della filosofia consiste nell’insegnare agli uomini nel sottomettersi gioiosamente alla necessità, che non intende nulla ed è indifferente a tutto” [2].
“Lo scopo della filosofia si riconduce a questo: suggerire agli uomini, in una maniera o nell’altra, il convincimento che l’essere vivente deve non comandare ma obbedire e che il rifiuto di obbedienza è un peccato mortale, punito con la dannazione eterna. Ed è proprio questo che si chiama libertà” [3].
In una lettera, nel 1957, Carlo Suarès ci aveva scritto:
“All’inizio è la scoperta, e nella scoperta e in ogni sua applicazione, qualunque essa sia, dal principio alla fine, è la grande umiltà, la sottomissione alle leggi della natura, perché senza questa, nulla è possibile”.
Nel seguito della sua meditazione “cabalista” sulla parola Berèchith, Suarès scrive:
“Il me isolato, tenta tutti gli espedienti per uscire dal suo isolamento. La mia meditazione mi riconduce sempre con durezza all'analisi di questi tentativi. Quando mi capacito che essi sono illusori, mi ritrovo di fronte a me stesso e mi constato. L’accettazione di questo fatto può provocare un rilassamento. Questo rilassamento può generare una spinta interiore. É l’inizio di una nuova vita, una ripresa, un rinnovamento, una rinascita, un pensiero creatore”.
Per Suarès, non serve a nulla ribellarsi contro l’ordine naturale e cosmico che ci imprigiona; questo non può condurci che alla più profonda disperazione. Ma se accettiamo la necessità, allora una nuova vita ci attende, conosceremo le gioie della creazione. É una concezione puramente filosofica, come lo evidenzia Nicolas Berdiaev scrivendo:
“La libertà, nel senso Hegeliano, è la necessità cosciente, e questa coscienza della necessità può generare dei miracoli, rinnovare la vita, creando un racconto inedito” [4].
Carlo Suarès scrive ancora, meditando sul primo versetto del Genesi:
“Non c’è, per delle coscienze dormienti, nulla di più sterile, cioè di dannoso, che insegnarsi reciprocamente: “In principio Dio creò i cieli e la terra”. Questo inizio, questo Dio, questa creazione non ha alcuna realtà, essendo inconcepibile”.
Non si è mai ascoltato, un maestro di Qabalah, parlare in tali termini: negare, cioè, la creazione ex nihilo tramite un Dio personale. Al contrario è una visione fondamentale della filosofia. Così lo esprime Léon Chestov:
“Dio (secondo i filosofi) non può creare nulla: l’universo esiste per se stesso, da ogni tempo, in virtù di questa stessa necessità naturale. Ma d’altro canto esiste? O non è forse una menzogna, una suggestione, di cui occorre a forza liberarsi? Il racconto della Bibbia che recita un Dio che ha creato il mondo dal niente è inaccettabile, oltraggioso per la nostra ragione. É una verità teologica dinanzi alla quale quella ex nihilo nihil fit non piegherà mai la testa. Ora poiché i contenuti della contrapposizione non possono più risolversi, una antinomia mortale dovrà, presto o tardi esplodere tra questi due postulati” [5].
Carlo Suarès prosegue:
“La conoscenza reale è più pretenziosa di quella individuale. Affinché scaturisca, è indispensabile che muoia, per esplosione interna, la coscienza individuale”. La “conoscenza reale”, cioè la Filosofia, tramite la quale la coscienza individuale nasce dall’ignoranza:
“L’essere particolare deve essere ricondotto all’essere generale in tutta la sua fiera e sublime astrazione. Tale è la prima esigenza teorica e pratica che è presentata al filosofo. Saper disprezzare il particolare a favore del generale, significa elevarsi filosoficamente” [6].
L’individualizzazione della coscienza, per il filosofo, è il peccato originale sanzionato con la morte.
“É indiscutibile che ogni uomo, inteso come soggetto individuale, si è proiettato verso l’esistenza in maniera illegale, e pertanto non ha alcun diritto alla vita. E quanto racconta la Bibbia è manifestamente falso. Accettare il racconto biblico, equivarrebbe a rinunciare alle verità chiare e peculiari di Descartes e professare la mancanza di chiarezza di Pascal. E di più: lo stesso Dio della Bibbia, di cui si racconta aver creato l’uomo a sua immagine e secondo la sua rassomiglianza, non è che un mito e una invenzione menzognera. Perché questo Dio, ad immagine e rassomiglianza del quale è stato creato l’uomo, cioè un Dio personale, un Dio individuale, è una rappresentazione oscura, cioè falsa. Un concetto vero è un concetto chiaro e preciso, ed è proprio il caso di quello Spirito Universale (o Spirito dell’Universale) di cui abbiamo inteso disquisire Hegel. Così pensavano gli antichi greci, così pensavano gli uomini che avevano fatto rifiorire, nei tempi moderni, le scienze e le arti, così pensano i nostri contemporanei” [7].
Ugualmente concludeva Carlo Suarès, per il quale la parola Berèchith TY$ARB non aveva altra funzione se non quella di far esplodere la coscienza individuale:
“É proprio con l’intento di provocare la sua esplosione interna che la parola Berèchith è stata composta. Da 2 a 200, a 1, a 300, a 10, a 400, offre alla meditazione delle vibrazioni che dall’interno al cosmico sono di natura tale da provocare una vera lacerazione della coscienza”. La sua Qabalah è dunque una filosofia mascherata. E tuttavia, nella sua opera si rilevano ugualmente ideazioni particolari. Nello scritto che presentiamo in questo studio, si trova anche una idea puramente cabalista in accordo totale con la Qabalah del nome divino Élohïm, che riassume:
“La coscienza, per auto constatarsi, crea, inventa l’universo”. Vi è dunque trascendenza.
La contraddizione tra il filosofo e il cabalista esplode in Suarès in questo passaggio:
“Il riepilogo 2-200-1-300-10-400-2-1000-1-30-5 esige che contemporaneamente io concepisca e percepisca, in altri termini che viva intensamente il dramma della coscienza d’essere, isolata nella sua individualizzazione, che si percepisca in quanto dualità, e che da questa condizione lanci una sfida all’essere cosciente con questo grido: Se io sono separato da te, quantunque infimo io possa essere, la tua totalità non è”. Questa non sottomissione, questo rifiuto della dualità, creatore-creatura, è la radice, la sorgente della posizione ebraica. La coscienza cosciente d’essere si percepisce senza dimensioni, senza misura, senza condizionamento spazio temporale e si constata al contempo individuata, particolarizzata all’estremo”.
Una coscienza non può esistere e percepirsi senza dimensioni, senza misure, senza condizionamento spazio tempo, sia essa divina o umana. In effetti, come lo spiega il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno:
“Avere coscienza di se stessi, è sapersi e sentirsi distinto da altri esseri. La coscienza di se stessi non è altro che la consapevolezza della limitazione di se. Io mi sento io nel momento in cui percepisco che non sono gli altri; sapere e sentire fin dove io sono io, è sapere dove io cesso di essere e a partire da dove io non sono”.
E come lo chiosa il suo commentatore, François Meyer, dopo averlo citato:
“La coscienza implica necessariamente il limite, il delimitato e il finito; e la coscienza di se non si rende comprensibile che in una distinzione e una opposizione a ciò che non è se. Immaginare una esperienza di se, depauperata di limiti; una esperienza dell’indefinito omogeneo, equivarrebbe a sperimentare un degradamento progressivo verso l’incoscienza, cioè verso il mio stesso annientamento come coscienza e come essere. Un me che si confondesse con l’essere senza limiti, sarebbe tutto meno che coscienza di se. L’esperienza originale d’essere è, dunque, negazione dell’Infinito e del Tutto” [8].
La radice, la sorgente della posizione ebraica sarebbe, quindi, la non accettazione della dualità creatore creatura. Il Monismo. Allora perché la T’ora inizia con la lettera Beth B il cui valore numerico è 2? E lo stesso Suarès non dice proprio lui che la dualità è l’essenza della coscienza? E che essa crea l’universo, l’altro, che la limita, per divenire cosciente d’essere? Vi è dunque in Suarès uno stato di conflitto, una antinomia tra il monismo e il dualismo, tra l’antipersonalismo e il personalismo, tra la filosofia e la Qabalah, tra il pensiero greco indiano e quello giudeo cristiano, tra Atene e Gerusalemme. Esso non lo ha risolto come, al contrario, ha fatto con genio Léon Chestov. Innegabile: Carlo Suarès aveva la stoffa del grande cabalista. Come è possibile, allora, che la sua opera che si vuole la “Qabalah delle Cabale” sia tanto impregnata di filosofia? Filosofia che non apparirà molto seriosa agli specialisti di questa disciplina, perché, per esempio, parlare di una coscienza d’essere che sia senza limiti, è il segno di una debolezza di giudizio della logica, di una mancanza di coerenza del pensiero e della riflessione. Né autentico cabalista né vero filosofo, in ogni caso gnoseologo con estro sia dei metodi cabalistici sia del linguaggio filosofico. Ma questa incoerenza, questo illogicismo, Chestov lo rileva anche nel più grande dei filosofi, mostrando che passando dal particolare al generale, procedimento peculiare della filosofia, lo spirito umano non progredisce, non si eleva, come pensava Hegel, ma al contrario regredisce e ricade al livello dell’uomo preistorico e dell’animale. Dunque in fin dei conti, Suarès fu forse un vero filosofo. Léon Chestov si pone il seguente problema: “Come avviene che la filosofia la quale protendeva così ostinatamente al sublime e che, in effetti, sembra, volesse essere “divina”, niente altro che divina; come si leggeva, dicevamo, la sua glorificazione dell’ideale dell’uomo cavernicolo e persino degli invertebrati? Vi è forse occultato dell’atavismo, o qualche altro mistero? Per quale motivo è Aristotele a trionfare, nella storia, e non Platone? Perché il cristianesimo stesso si lascia indurre in tentazione dal “Logos”? Come mai il pensiero moderno non riesce a liberarsi dalle seduzioni della filosofia di Hegel? E anche quanti hanno una fede, non possono credere che in un Dio generale, in un Dio concetto; e saranno convinti che ogni altro credo sia riprovevole e persino inaccettabile per un uomo istruito?”.
E Carlo Suarès era un uomo istruito, aveva eseguito studi universitari avanzati, era un brillante intellettuale. Ed e per questo che, benché cabalista nato, il suo pensiero, e lui stesso, non ha potuto liberarsi dalle seduzioni della filosofia di Hegel che conosceva perfettamente, che aveva studiato con zelo, ma che malauguratamente ha contaminato la sua opera, rendendola confusa e pervadendola di contraddizioni [9]. Ha ostinatamente rifiutato di impegnarsi con noi, di seguirci nella passione della ricerca e dello studio della letteratura cabalista, cosa che era la sola chance di purificarsi dall’influenza della filosofia e della scienza, che sono gli eterni, storici nemici della Qabalah. Tutti coloro i quali tentano di conciliarli sono dei falsi cabalisti, traditori della vera Tradizione; costituiscono quello che René Guénon chiama neo spiritualismo e di cui ha denunciato con fermezza la pericolosità e i danni. Il loro castigo: le loro opere saranno effimere, e spariranno con essi, non accederanno all’immortale. In questo libro noi tentiamo di salvare ciò che può essere salvato di quelle di Suarès, perché anche se non fu un vero cabalista, lo spirito dei profeti di Israele soffiava in lui. Forse siamo troppo severi nel nostro giudizio, così uno dei nostri lettori, Edouard Eliet, ci scrive a motivo: “Penso che prendiate troppo a cuore alcune differenze e in modo particolare quelle che vi hanno separato da Carlo Suarès. Ho letto la sua “Bibbia Restituita”; convengo: si tratta essenzialmente di una opera filosofica mentre voi siete un mistico. Ma questa filosofia può, forse, illuminare questi spiriti refrattari alla mistica, e, poco per volta, ricondurli al di là del rigido razionalismo”.
Auguriamocelo. E quanto, sarebbe, comunque, ancora una ragione supplementare che giustificherebbe la nostra iniziativa di pubblicare, in questo lavoro, i commentari inediti di Carlo Suarès sul Berechith.
[1] - Hegel’s: “Werke” XIII,59. [2] - “Athènes et Jèrusalem”, p.13. [3] - Ibid., pag.100. [4] - ”Fonti e significato del Comunismo russo” pag.135. [5] - ”Sulla bilancia di Job”, pag.337. [6] - Carlo Suarès ”Protestas Clavium”. [7] - ”Sulla bilancia di Jobbe”, pag.246. [8] - ”L’Ontologia” di Miguel de Unamuno, P.U.F. pag.7-8. [9] - Il riferimento di Carlo Suarès alla filosofia hegelomarxista è esplicita nella sua opera “Che cosa Israele?” (1935). Per armonizzarla con il pensiero giudeo cristiano, radicarla nella tradizione biblica, gli attribuì un carattere e delle aspettative personalistiche: condurre alla liberazione dell’individuo dalla tirannia del generale, farlo uscire e emancipare dal gregge. In realtà essa è essenzialmente antipersonalistica e doveva pervenire, al contrario, alla soppressione dell’esistenza particolare, della libertà della personalità umana, come la storia contemporanea lo prova. Léon Chestov, non è inesatto scrivendo nella sua opera “Potestas Clavium”: “Hegel si spinge più oltre nelle sue pretese: per il filosofo, dice, il fatto che egli esista o non esista, deve essere indifferente. Hegel si spinge fino a ricordare i celebri versi del poeta Orazio: Si fractus illabatur orbis i pavidum ferient ruinae. Il maestro ha detto, ha veramente detto tutto ciò che ha dedotto dalle sue tesi la scuola del materialismo economico. La storia è un processo e il materialismo non è assolutamente individuale. Il materialismo si eleva, così, al di sopra dell’essere particolare. L’esigenza fondamentale della morale filosofica è osservare con tutto il rigore al quale può pretendere la scienza più scrupolosa. Perché il crimine dell’essere individuale o animato consiste nel suo arbitrio. Ora, nel regno del materialismo economico, non vi è posto per l’arbitrio individuale, ogni cosa vi si compie con una necessità assoluta, conformemente a un ordine stabilito una volta per tutte. |