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Come leggere la parola Aleph FLA A Consonante muta - Vocale “A” L Consonante “L” .. Vocale “É” F Consonante PH (F)
Introduzione Nella nostra ampia opera “La Qabalah della Creazione”, vasto commento al Genesi, capitolo per capitolo; sono stati previsti due fascicoli di introduzione generale: 1) “I testi di base“, già pubblicati con il titolo di “Piccola antologia della mistica ebraica“, e di cui stiamo preparando una seconda edizione, più completa e meglio curata. 2) “La Qabalah dell’alfabeto Ebraico“, da cui estraiamo questo studio consacrato alla prima lettera di questo alfabeto: l’ALEPH A, che, comprensibilmente, è anche la più importante, considerato che, contenendo in potenza tutte le altre, essa forma un tutto, un mondo in sé stessa. Pubblicando l’intera qabalah dell’alfabeto ebraico, formato da ventidue lettere, temevamo di imporre al lettore non ebraizzante, ma anche a quello ebraizzante già avanzato, un pesante lavoro di lettura, che certamente lo avrebbe scoraggiato, e allontanato dallo studio della Qabalah. Proponendogli come prima lettura “La Qabalah di Aleph“, cioè quella della prima lettera dell’alfabeto, pensiamo, al contrario, di facilitare il suo compito invogliandolo ad approfondire il soggetto, e, se non ancora ebraizzante, a dedicarsi seriamente allo studio dell’ebraico.
Questa “Qabalah di Aleph“, e, come questo testo, anche tutta la “Qabalah dell’alfabeto ebraico“, [il progetto non fu mai realizzato N.d.T.] comprende due parti: 1) Una lettura cabalistica nuova, creativa, personale, ma ispirata e documentata. 2) Una lettura cabalistica tradizionale di uno dei più eminenti rabbini talmudisti, che fu anche un grande cabalista, David Ben Zimra (RaDBaZ), vissuto nel XVI secolo in Egitto e che compose un’opera mistica sulle lettere ebraiche “Maguen David“.
Con queste referenze, rabbiniche, e simili sorgenti tradizionali si evita il rischio di elucubrazioni e speculazioni che non hanno nulla a che vedere con la Qabalah ebraica. Cosa di cui si rendono colpevoli numerosi autori che inseriscono la parola Qabalah nei titoli delle loro opere, con il solo evidente scopo di sostenere come dottrina cabalista insegnamenti religiosi, filosofici, scientifici ecc. , che sono in disaccordo sia con i principi e i fondamenti dell’ebraismo mistico, che con il suo spirito più autentico e profondo.
Occorre, una volta per tutte, ricordare ed evidenziare che la Bibbia della Qabalah ebraica è lo ZOHAR e che ogni idea che non può trovarvi la sua referenza è falsamente cabalista.
Alla nostra personale lettura dell’Aleph, abbiamo aggiunto dei brani, del grande pensatore russo Nicolas Berdiaev, nei quali essa vi si ritrova interamente. Cosa che testimonia, sia che ci si possa esprimere in linguaggio cabalistico senza aver mai appreso l’ebraico, sia che la Qabalah è la lingua dell’Anima Creativa, che si nasce cabalista e che non ci si diviene con il solo studio intellettuale. É anche il caso di altri autori cari a Berdiaev, come Jacob Boheme e il suo discepolo Baader. Non è raro trovare della pura Qabalah ebraica in autori non giudei, i quali non hanno mai avuto accesso alla letteratura cabalistica. Per esempio, lo si è già dimostrato per Simone Weil; e noi ci proporremo di farlo per Dostoievski e per altri autori russi, come già tentato dal nostro amico e maestro Emmanuel Rais. Quanto a Berdiaev, alcune traduzioni di opere di qabalah, specialmente lo Zohar, non gli erano del tutto sconosciute, ma egli era ancora più cabalista, nel senso ebraico, di quanto lui stesso non supponeva, come dimostreremo, oltre che in questo studio, citandolo ampiamente a proposito della Aleph, anche in diversi altri nostri lavori. Nel testo originale, Berdiaev dissertava dello spirito, ma l’Aleph è lo Spirito, e soltanto sostituendo la parola Spirito con Aleph, si vedrà quale forza e quale profondità acquisti il suo pensiero. Si confronterà ugualmente, con profitto, la definizione di Spirito e di Aleph secondo Nicolas Berdiaev e quella data, invece, da Carlo Suarès [1], e si comprenderanno tutte le differenze tra i pensieri di questi due autori. Quello di Suarès, soprattutto filosofico, è panteista, naturalista e psicologico [2]. Esso non riconosce il divino, lo spirito, l’Aleph, che nella immanenza: la creazione, che sottintende l’Aleph, è per lui il movimento vitale e dialettico della natura, la nascita e la morte, il rinnovamento e la sostituzione degli esseri e delle cose, i quali non possono avere che una esistenza transitoria, i cicli cosmici, quello che la Qabalah tradizionale chiama il “Ma'aseh Berèchith”. Per Nicolas Berdiaev, lo Spirito è una trascendenza e non può identificarsi con la Natura, di cui colma le lacune, le limitazioni, i vuoti. La Natura, e tutto ciò che procede ad essa, è effimera, ma lo spirito, l’Aleph, è eterno, è quello che la Qabalah tradizionale chiama il “Ma'aseh Merkabah”. In termini di nomi divini, è l’opposizione tra Élohïm, la cui gimatreya è uguale a quella della parola Natura (Hatèva), e YHVH, che è contenuto nel vocabolo Aleph, come lo dimostra Rabbi David Ben Zimra, e la cui gimatreya, nella sua plenitudine (Yud, Hè, Vav, Hè) è uguale a quella del termine Adamo. E senza questa trascendenza, senza ciò che è fuori dalla Natura, senza quanto non è Niente in rapporto a questo mondo, non può esservi Creazione, che si individua per quanto sorge dal Nulla. L’Aleph è tutto questo; il valore della creazione ex nihilo. La creazione immanente, tale come la concepisce Suarès, identificandosi con l’idea di evoluzione e trasformazione, non consegna alcuna novità nel mondo. Il ritorno della primavera o dell’alba, non è una creazione, l’apparizione del nuovo; non è che il reiterarsi di un movimento cosmico, un ritmo naturale impercettibile e irrilevante all’umano, che non può, quindi, procedere dall’essenza divina, YHVH, ma soltanto dalla sua oggettivazione, o Élohïm. Nella Natura, il fuoco divino creatore è raffreddato tanto quanto lo è il fuoco umano nei suoi prodotti: statue, quadri, libri, dischi ecc...
Essere vivente, secondo la Natura, è nascere per morire. La Dannazione (sangue), di Adamo. Essere vivente, secondo lo Spirito, è essere Eterno, Creatore. L’Aleph di Adamo. É nell’ALEPH, lo Spirito trascendente e non determinato della Natura, che l’uomo trova la sua eternità e la possibilità di creare dei mondi nuovi.
EMMANUEL LÉVYNE Parigi-Montmartre 2 aprile 1976
Codice Cabalistico cifrato Compendio
UNITA’ : Piano degli archetipi. DECINE : Piano di realizzazione CENTINAIA : Piano cosmico
[1] - Ecco la definizione di Aleph, dell’Uno, secondo Carlo Suarès: “ L’Uno, l’Aleph come numero, significa solo, che non è associato ad altri, ecc.. Come nome, Uno implica ogni inizio, ogni partenza, ogni alba. Uno è la prima spinta della linfa alle soglie della primavera; è il fremito delle ali dell’uccello che precede il volo; è l’annuncio dell’aurora nel momento in cui la notte si immobilizza al termine della sua durata; è il sentimento di esaltazione indeterminato che prova l’artista quando sa che creerà qualche cosa, ma ignora la forma che prenderà la sua creazione. Uno è dunque il precursore, il pioniere, l’iniziatore, l’inedito, l’originale, il puro, il germe e nello stesso tempo la radice e la nascita di tutto ciò che vive. É la spontaneità immanente.” ( Manoscritto “Il Berechith secondo la tradizione Ontologica”. Introduzione). [2] - Filosofico, il pensiero di Carlo Suarès, perché, come scrive Lèon Chestov: “ La colpa della filosofia consiste nell’insegnare agli uomini a sottomettersi gioiosamente alla necessità, che non intende nulla ed è indifferente a tutto”. (Atene e Gerusalemme pag. 13). E ancora: “ Lo scopo della filosofia si riconduce a questo: suggerire, in una maniera o in un altra, agli uomini la convinzione che l’essere vivente non deve comandare, ma obbedire e che il rifiuto di obbedienza è un peccato mortale, punito con la dannazione eterna; è questo che si chiama libertà! (pag. 100). In una lettera che ci ha inviato e che abbiamo pubblicata nella rivista “Tsèdek”, settembre 1957, C. Suarès scriveva: “All’inizio è la Scoperta, e nella Scoperta ed in ogni sua applicazione, qualsiasi essa sia, dall’inizio alla fine, è la grande umiltà, la sottomissione alle leggi della Natura, perché senza questa sottomissione non si fa’ nulla.” É la caratteristica del pensiero filosofico, che predica la sottomissione all’ordine naturale e si sforza di dimostrare che ogni rivolta contro le leggi della Natura, contro la necessità, è pura follia e non può essere, per l’uomo, che causa di disastri e sventure. Occorre accettare la Natura, la vita, il mondo, così come ci si impongono, senza ricercare l’impossibile. Tale è la chiave della felicità che ci offrono la filosofia e la sua moderna figlia, la psicologia. Chestov ha ragione a farci osservare che “ l’uomo medio non è così lontano dal filosofo” (pag. 24). É l’impressione che abbiamo soventemente avuto leggendo Suarès o Krishnamurti. Il pensiero biblico in generale, quello religioso russo e, in maniera particolare, quello cabalista, in altre parole il pensiero credente, insorge, al contrario, contro la necessità, le costrizioni e le limitazioni imposte dalle leggi della natura; per esso, come scrive ancora Chestov: “Dio, significa che nulla è impossibile”. Dostoievski, il più grande degli scrittori russi, ha contestato la sovranità delle leggi della natura. Nella sua opera più ispirata: “Il Sotterraneo”, per bocca del suo eroe dichiara: “Questi signori si umiliano celermente dinanzi l’impossibile. Impossibilità quindi: ...muraglia di pietre. Quale muro di pietre? Ma le leggi naturali, evidentemente; le conclusioni delle scienze naturali, le matematiche. Provate a discutere! Spiacenti, vi si risponderà, impossibile discutere: due più due fa quattro. La natura non si cura della vostra approvazione; essa non si preoccupa dei vostri desideri o di conoscere se queste leggi sono o no di vostro gradimento; siete obbligati ad accettarle così come sono, come, per naturale conseguenza, siete obbligati ad accettare tutti i suoi effetti. Un muro è un muro ecc... Ma, Dio mio, che cosa ho da spartire io, con le leggi della natura e dell’aritmetica, se, per un motivo o altro, queste leggi non fossero condivise? Certamente! non potrei abbattere questo muro con la testa, se non ho forze sufficienti per demolirlo, però non lo accetterei per la sola ragione che è un muro di pietra o perché le mie forze sono manchevoli per abbatterlo....”. E Chestov si dimostra suo discepolo quando scrive: “In misura direttamente proporzionale in cui le nostre conoscenze positive si estendono, noi ci allontaniamo dalle sorgenti della vita. In misura commisurata al nostro pensiero che si affina sempre più, diviene difficile risalire fino alle sorgenti dell’essere. Il sapere incide gravosamente su di noi e ci paralizza, mentre il pensiero finito ci rende esseri sottomessi, privati della volontà, esseri che non desiderano, non vogliono, non apprezzano nella vita che “l’Ordine”, le leggi e le norme stabilite da questo ordine. I nostri maestri, le nostre guide, non sono più quei profeti che sentenziavano come “colui che detiene il potere”, ma eruditi per i quali la virtù suprema consiste nell’obbedienza alla necessità, che non è stata da loro creata e che non è possibile superare”. (Atene e Gerusalemme pag.445-447). Brevemente, esistono due categorie di pensiero: - Il pensiero filosofico, che predica la sottomissione e l’adattamento alle leggi della natura, alla necessità. - Il pensiero mistico che crede al miracolo. L’Aleph, secondo Carlo Suarès, è un Aleph filosofico che integra l’uomo nella realtà, nella vita universale e cosmica, che gli fa intravedere la libertà e la creatività nella... sottomissione alla necessità! É una trasposizione ebraica della filosofia di Hégel e di quella marxista. L’Aleph, secondo Nicolas Berdiaev e Rabbi David Ben Zimra, è, invece, un Aleph mistico, che eleva l’uomo al di là della necessità, che lo porta a sopravanzare e trascendere le limitazioni imposte dalle leggi della natura, che lo fa ascendere ad una vita soprannaturale e miracolosa, dove nulla è impossibile, dove lui stesso diviene il Creatore di nuovi mondi. E se il miracolo non si trova nell’Aleph FLA una cui lettura cabalistica è il suo anagramma ALF PLA (leggere Pélè: prodigio, meraviglia, in quale altra lettera lo si ritroverebbe? |