Caro Amico.
Con vero piacere rispondo alla gradita Vostra lettera.
Non ho nulla d'aggiungere al Vostro notevole libro sulla Qabalah ebraica. L'apprezzamento così eminente quanto meritato che ne ha fatto il compianto sig. Frank, membro dell'Istituto, la persona più autorizzata per esprimere un giudizio in proposito, lo annovera fra i migliori.
La Vostra opera completa la sua, non solamente per erudizione, ma anche per la bibliografia e l'esegesi di quella tradizione particolare e, ancora una volta, ritengo il Vostro bel libro come definitivo. Ma conoscendo il mio rispetto per la tradizione e, nello stesso tempo, il mio bisogno di universalità e di controllo per tutti i procedimenti dei metodi attuali, conoscendo inoltre i risultati dei miei lavori, Voi non temete che io possa ampliare il soggetto, al contrario, me lo chiedete.
Effettivamente, ho accettato soltanto con beneficio d'inventario i libri della Qabalah ebraica, per quanto interessanti essi siano. Ma dopo averlo eseguito, le mie ricerche personali mi hanno portato sulla universalità anteriore dalla quale procedono questi documenti antichi e sui principi come sulle leggi che hanno potuto motivare questi fatti dello Spirito umano.
La Qabalah pervenne agli ebrei - tramite Daniele ed Esdra - dai Caldei.
Agli Israeliti anteriori alla diaspora delle dieci tribù non Giudee, la Qabalah provenne dagli Egizi, tramite Mosé.
Sia per i Caldei, come per gli Egizi, la Qabalah faceva parte di ciò che tutte le Università metropolitane chiamavano Sapienza, vale a dire la sintesi delle scienze e delle arti ricondotte al loro comune Principio.
Questo Principio era la Parola o il Verbo.
Un testimonio prezioso dell'antichità patriarcale pre-mosaica dichiara questa sapienza perduta o sconvolta tremila anni circa avanti Cristo. Questo testimone è Giobbe e l'antichità del libro che lo documenta è tautologicamente indicata dalla posizione delle costellazioni che egli menziona: «Che ne è divenuto della Sapienza, dove è essa?»
(1) dice questo Patriarca.
Mosè indica la perdita dell'unità precedente, lo smembramento della Sapienza patriarcale quando avvenne la confusione delle lingue e nell'era di Nembrod. Questa epoca Caldea corrisponde a quella di Giobbe.
Un'altra testimonianza dell'antichità patriarcale ci è data dai Brahmani. Essi hanno conservato tutte le tradizioni del passato sovrapponendole come i differenti strati geologici della terra. Coloro che le hanno studiate dal punto di vista moderno, sono stati colpiti sia dalla dovizia dei documenti relativi come dall'impossibilità nella quale si trovano chi li possiede di catalogarli in modo soddisfacente; tanto nell'ordine cronologico, che in quello scientifico.
La loro suddivisione nelle sètte Brahmane, Vishnaviste, Sivaiste - limitandomi a citare queste sole - aumentano ancora la confusione. Nondimeno, è vero che i Brahmani del Nepal fanno risalire all'inizio dell'attuale Kaly-Yuga la rottura dell'antica universalità e dell'unità primordiale degli insegnamenti. Questa sintesi primitiva portava, molto primo del nome di Brahma, quello di Jshva-Ra, Jsua-Ra, «Jesus Rex Patriarcarum», dicono le nostre litanie.
É a questa sintesi primordiale che san Giovanni fa allusione all'inizio del suo Vangelo; ma i Brahmani non suppongono neppure lontanamente che il loro Jsua-Ra sia il nostro Gesù, Re dell'Universo, come Verbo Creatore e Principio della Parola umana. Diversamente sarebbero tutti cristiani.
L'oblio della Sapienza Patriarcale d'Jshva-Radata da Krishna, il fondatore del Brahmanesimo e della sua Trimurti. Là ancora vi è concordanza tra i Brahmani, Giobbe e Mosè, in quanto al fatto, e all'epoca nel quale avvenne.
Dopo quel tempo babelico, nessun popolo, nessuna razza, nessuna università ha più posseduto che allo stato di briciole frammentarie l'antica Universalità delle conoscenze divine, umane e naturali, ricondotte al loro Principio: il Verbo Gesù.
Sant'Agostino designa con il nome di Religio vera questa sintesi primordiale del Verbo.
La Qabalah rabbinica, relativamente recente come redazione, era conosciuta dal principio alla fine nelle sue fonti scritte ed orali dagli Adepti ebrei nei primi secoli della nostra era. Essa non aveva certamente segreti per un uomo della scienza di Gamaliele.
Ma non ne aveva del pari per il suo primo e preminente discepolo: san Paolo, divenuto l'apostolo del Cristo risuscitato.
Ora, ecco quanto dice san Paolo nella sua prima epistola ai Corinti:
"Noi ragioniamo di Sapienza con i Perfetti, non la sapienza di questo mondo, né dei principi di questo mondo che si distruggono.
Ma ragioniamo della Sapienza di Dio, racchiusa nel suo Mistero.
Sapienza rimasta occulta, che Dio, innanzi i secoli, ha determinata per nostra gloria.
La quale niuno dei principi di questo mondo ha conosciuta; poiché se l'avessero conosciuta, non avrebbero mai crocefisso il Signore della Gloria".
(2)
Tutte queste parole sono pesate come oro e diamante al carato e non ve ne è una che non sia precisa e preziosa.
E esse proclamano l'insufficienza della Qabalah ebraica.
Avendo così lumeggiata l'universalità della questione che Vi interessa, focalizziamo la luce su questo frammento, nondimeno prezioso, della Sapienza antica, che è o può essere la Qabalah ebraica.
Innanzi tutto precisiamo il significato della parola Qabalah.
Questa parola ne possiede due, secondo si scrive, come gli ebrei con la Q (K) vale a dire con la ventesima lettera dell'alfabeto assiro - quella che porta il numero 100 - oppure con la C, la undicesima lettera dello stesso alfabeto - che porta il numero venti.
Nel primo caso, il nome significa Trasmissione, Tradizione e la cosa rimane così indecisa; poiché tanto vale il trasmittente come la cosa trasmessa e del pari, tanto vale chi si attiene alla tradizione come la tradizione.
Noi crediamo che gli Ebrei abbiano fedelmente trasmesso quanto hanno ricevuto dai Sapienti Caldei impiegando la loro scrittura e la ricostruzione dei libri anteriori con Esdra, guidato egli stesso dal gran Maestro dell'Università dei Magi Caldei: Daniele.
Ma dal punto di vista scientifico ciò non risolve la questione.
Essa viene fatta risalire soltanto ad un inventario dei documenti assiri e così di seguito fin alla sorgente primordiale.
Nel secondo caso, CA-BA-LA significa la Potenza: LA, dei XXII, CABA, poiché C=20 e B = 2.
Ma allora la questione è risolta esattamente, poiché si tratta del carattere scientifico attribuito nell'antichità patriarcale agli alfabeti di ventidue lettere numerali.
Dobbiamo ritenere questi alfabeti come monopoli di razza e chiamarli semitici? Può essere se si tratta veramente di un monopolio, e no in caso contrario.
Ora, dopo aver studiato gli alfabeti antichi della CA.BA.LA, di XXII lettere, il più occulto, il più segreto, quello che certissimamente servì da prototipo non solamente a tutti gli altri dello stesso genere, ma ai caratteri vedici e alle lettere suddette, è un alfabeto Ariano. É quello che ebbi la felicità di comunicarvi e lo ebbi io stesso da eminenti Brahmani i quali non si sono mai sognati di richiedermi il segreto.
Questo alfabeto si distingue dagli altri detti Semitici in quanto le sue lettere sono morfologiche; vale a dire: parlanti esattamente mediante le loro forme, ciò che ne fa un tipo assolutamente unico. Inoltre, uno studio accurato mi ha fatto scoprire che queste stesse lettere sono i prototipi dei segni zodiacali e planetari, ciò è pure della massima importanza.
I brahmani chiamano questo alfabeto Vattan e sembra che esso risalga alla prima razza umana poiché, per le sue cinque forme madri rigorosamente geometriche, si segna per sé stesso: ADAM, ÈVA e ADAMAH.
Mosè sembra designarlo nel versetto diciannovesimo, capitolo secondo del suo Sépher Beraeshith.
Inoltre, questo alfabeto si scrive dal basso in alto e le sue lettere si dispongono in modo da formare delle immagini morfologiche o parlanti.
I Pandit cancellano questi caratteri sull'ardesia, quando la lezione ai Guru è ultimata. Essi lo scrivono anche da sinistra a destra, come il sanscrito, quindi all'Europea. Per tutte le precedenti ragioni, questo prototipo di tutte le Kaba-Lim appartiene alla razza Ariana.
Non si può attribuire agli alfabeti di questo genere il nome di Semitici, poiché non sono monopolio delle razze che così si nominano, a torto o a ragione. Ma si può e si deve, chiamarli schematici.
Ora, lo schema non significa solamente segno della Parola, ma anche Gloria. É a questo doppio significato che si deve fare attenzione leggendo il passo, precedentemente citato, di San Paolo.
Doppio significato che esiste pure in altre lingue, come lo Slavone. Per esempio: l'etimologia della parola slava è slavo e slava che significa parola e gloria.
Questi significati portano già in alto. Il sanscrito corrobora questa altitudine. Soma, che ritroviamo anche nelle lingue di origine Celtica, significa similitudine, identità, proporzionalità, equivalenza ecc.
Vedremo in seguito l'applicazione di questi significati arcaici.
Per il momento, riassumiamo quanto precede:
La parola Qabalah, come noi la comprendiamo, significa l'alfabeto delle XXII Potenze, o la potenza delle XXII Lettere di questo Alfabeto.
Questo genere d'alfabeto ha un prototipo Ariano o Giafetico. della Parola o della Gloria.
Parola e Gloria! Perché queste parole sono accostate in due lingue antiche così distanti come lo Slavone e il Caldeo? Ciò proviene da una costituzione primordiale dello Spirito umano in un comune Principio simultaneamente scientifico e religioso: il Verbo, la Parola cosmologica ed i suoi Equivalenti.
Gesù nella Sua ultima preghiera, così misteriosa, proietta, in ciò, come in tutto, una luce decisiva sul mistero storico del quale ci stiamo occupando:
«Or dunque, tu Padre, coronami della Gloria che io ho avuto presso te, avanti che il mondo fosse».
(3)
Il Verbo incarnato allude con queste parole alla Sua Opera, alla Sua Creazione diretta, come Verbo creatore, creazione designata con il nome di Mondo divino ed eterno della Gloria prototipa del Mondo astrale e temporale, creato dagli Alahim su questo incorruttibile modello.
Che il Principio creatore sia il Verbo, l'Antichità non ha mai avuto su questo punto il minimo dubbio. É una voce unanime, parlare e creare sono sinonimi in tutte le lingue.
(4)
Presso i Brahmani, i documenti anteriori al culto di Brahma rappresentano ISOu-RA, Gesù - Re, come il Verbo Creatore.
Presso gli Egizi, i libri di Ermete Trismegisto dicono la stessa cosa e OShI-RI è Gesù - Re, letto da destra a sinistra.
Presso i Traci, Orfeo, iniziato ai Misteri Egizi verso la stessa epoca di Mosè, aveva scritto un libro intitolato il Verbo Divino.
Quanto allo stesso Mosè, il Principio è la prima parola e il soggetto della prima frase del suo Sépher. Non si tratta di Dio nella Sua Essenza: IHOAH, che viene nominato soltanto nel settimo giorno, ma del Suo Verbo creatore del settenario divino: BA + RA - Shith.
BARA significa parlare e creare; Shith significa settenario.
In sanscrito, identico significato: BA - RA - Shath.
Questa parola: BA - RA - Shith ha causato innumerevoli discussioni. San Giovanni la impiega, come Mosé, all'inizio del suo Vangelo e dice in Siriaco, lingua Cabalistica di XXII lettere, «Il Principio è il Verbo».
Disse Gesù: «Io sono il Principio».
Il significato esatto è, in tal modo, stabilito da Gesù stesso, confermando tutta l'universalità anteriore pre-mosaica.
Quanto precede spiega che le Università veramente antiche consideravano il Verbo Creatore come l'Incidenza della quale la parola umana è il Riflesso esatto, quando il processo alfabetico comprende esattamente il Planisfero del Cosmo.
Il processo alfabetico, dotato di tutti i suoi equivalenti rappresenta allora il Mondo eterno della Gloria e il processo Cosmico rappresenta il mondo dei cicli astrali.
Perciò il Re-Profeta, eco di tutta l'antichità Patriarcale, dice: Coeli enarrarli Dei Gloriam. Vale a dire: Il mondo astrale racconta il mondo della Gloria divina. L'Universo invisibile parla attraverso quello visibile.
Rimangono ora due cose a determinarsi:
I° il procedimento cosmico delle scuole antiche.
II° quello degli alfabeti corrispondenti.
Per il primo punto: III Forme-Madri: il centro, il raggio o diametro e il cerchio. XII Segni involutivi. VII Evolutivi.
Per il secondo punto; al quale gli antichi attribuivano il primo rango: III Lettere costruttive. XII involutive. VII Evolutive.
Nei due casi:
III + XII + VII = XXII = Ca Ba,
Pronunciazione di:
C = 20 B = 2 totale 22 C. Q. F. D.
Gli alfabeti di 22 lettere corrispondevano quindi a uno zodiaco solare o solare-lunare, dotato di un settenario evolutivo.
Erano gli alfabeti schematici.
Gli altri, seguendo lo stesso metodo, divenivano con 24 lettere gli orari dei precedenti, con 28 lettere i loro lunari, con 30 i loro mensili-solari, con 36 i loro decani ecc.
Negli alfabeti di 22 lettere, la Reale, l'Emissiva di andata, la Remissiva di ritorno, era la I o Y o J; e collocata nel primo triangolo equilatero iscritto, essa doveva formare autologicamente, con due altre lettere, il nome del Verbo e di Gesù: ISh - VA - (RA); OSh-I(Ri).
Al contrario, tutti i popoli che hanno adottato lo scisma naturalista e lunare, hanno preso per Reale la lettera M, che regge il secondo trigono elementare.
Tutto il sistema Vedico, poi Brahmanico, venne così regolato allo inizio da Krishna, precisamente agli albori del Kaly-Yuga.
Tale è la chiave del «Libro delle Guerre di Jhoah». Guerre della Reale I o Y contro l'usurpatrice M.
(5)
Voi avete visto, mio caro Amico, le prove tutte moderne, vale a dire di semplice osservazione e sperimentazione scientifiche, mediante le quali la tradizione più antica è stata da me contemporaneamente ristabilita e controllata.
Non dirò quindi, in questa sede, che lo stretto necessario per l'elucidazione del fatto storico della Qabalah.
Dai Patriarchi, che li hanno preceduti, i Brahmani hanno diviso i linguaggi umani in due grandi gruppi:
I° Devanagari, lingue di città celesti o di civiltà ricondotte al Principio cosmologico divino.
II° Pracrile, lingue di popolazioni selvagge e anarchiche.
Il sanscritto è una lingua Devanagari di 49 lettere, il Veda egualmente, con le sue ottanta lettere o segni derivanti dal punto dello A U M, vale a dire dalla lettera M.
Queste due lingue sono Cabalistiche nel loro sistema particolare. In cui la lettera M segna il punto iniziale e di ritorno.
Ma esse sono state, dalla loro origine e permangono fin ai nostri giorni, articolate su una lingua del Tempio composta da 22 lettere, nella quale la Reale primitiva era la I.