Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica
Mosheh ben Maimon
(1)
Sappi che sarebbe molto
pericoloso cominciare (gli studi) con questa scienza, voglio dire con la
metafisica; così (sarebbe pericoloso) spiegare (dal primo momento) il
senso delle allegorie profetiche e risvegliare l’attenzione sulle
metafore impiegate nel discorso e di cui i libri profetici sono pieni.
Occorre, al contrario, allevare i giovani e rafforzare gli incapaci
secondo la misura della loro comprensione; e colui che mostra una mente
perfetta e preparata per questo grado elevato, vale a dire, per il grado
della speculazione dimostrativa e delle vere argomentazioni
dell’intelligenza, lo si farà avanzare gradualmente finché raggiunga la
sua perfezione, sia con qualcuno che gli darà l’impulso, sia da se
stesso. Ma quando si comincia con questa scienza metafisica, ne risulta
non solamente un turbamento nelle credenze, ma la pura irreligione. Non
posso paragonare ciò che a qualcuno che facesse mangiare a un giovane
lattante del pane di frumento e della carne, e bere del vino; giacché
indubbiamente lo ucciderebbe, non perché si tratti di cibi cattivi e
contrari alla natura dell’uomo, ma perché colui che li assume è troppo
debole per digerirli in modo da trarne beneficio. Allo stesso modo, se
si sono presentate le verità metafisiche in maniera oscura ed
enigmatica, e se i sapienti hanno impiegato ogni sorta d’artificio per
insegnarle in modo da non pronunciarsi chiaramente, non è perché esse
racchiudano interiormente qualcosa di cattivo, o perché sovvertano i
fondamenti della religione, come credono gli ignoranti che pretendono
d’essere arrivati al grado della speculazione; ma esse sono state
avviluppate perché le intelligenze, al principio, sono incapaci di
accoglierle, e le si son fatte intravvedere, affinché l’uomo perfetto le
conoscesse; ecco perché le si chiama “misteri” e “segreti della Torah”
come spiegheremo. Questa è la ragione per la quale “la Scrittura s’è
espressa nel linguaggio degli uomini”, come abbiamo spiegato. Si è che
essa è destinata a servire come un primo studio ed essere imparata dai
bambini, dalle donne e dalla generalità degli uomini, che non sono in
grado di comprendere le cose nella loro realtà; per questo ci si è
limitati per loro alla (semplice) autorità tutte le volte che si
trattava di un’opinione vera di cui si desiderava proclamare la verità,
e in merito a ogni cosa ideale (ci si è soffermati) a ciò che può
indicare alla mente che essa esiste, e non a (esaminare) la vera natura
del suo essere. Ma quando l’individuo si è perfezionato, e i segreti
della Torah gli sono rivelati, sia da un altro, sia da se stesso, per
mezzo della loro mutua combinazione, egli arriva al punto di riconoscere
la verità di queste opinioni vere con i veri mezzi per constatare la
verità, sia con la dimostrazione, quando questa è possibile, sia con
argomenti solidi, quando questo mezzo è praticabile; e allo stesso modo
egli si rappresenta nella loro realtà queste cose (ideali), che erano
per lui delle cose d’immaginazione e delle figure, e comprende il loro
(vero) essere.
Abbiamo già citato a più riprese, nei nostri discorsi, questo passaggio:
«Non s’interpreterà la Merkavah, neppure a uno solo, a meno che non sia
un uomo saggio comprendente con la propria intelligenza, e allora gli si
trasmetteranno solo i primi elementi». Nessuno pertanto deve essere
introdotto in questa materia, se non secondo la misura della sua
capacità e alle seguenti due condizioni: 1o d’essere saggio, vale a dire
possedere le conoscenze dalle quali si attingono le nozioni preliminari
della speculazione; 2o d’essere intelligente, penetrante e d’una
naturale perspicacia, capace di cogliere un soggetto dal minimo indizio,
ed è questo il senso delle parole “comprendente con la propria
intelligenza”. La ragione per la quale è proibito istruire le masse
secondo il vero metodo speculativo, e consentire loro, dal primo
momento, di formarsi un’idea della vera natura delle cose, e perché è
assolutamente necessario che sia così e non altrimenti, (tutto ciò)
voglio spiegartelo.
Dunque dico:
Ciò che ritarda lo studio della metafisica
Le cause che impediscono
d’aprire l’insegnamento con gli argomenti metafisici, di risvegliare
l’attenzione su ciò che merita attenzione, e di presentare questo al
volgo, sono in numero di cinque.
I causa. La prima
causa è: la difficoltà della cosa in sé, la sua sottigliezza e la sua
profondità, - come si è detto: “Ciò che esiste è lontano (dalla nostra
concezione); è molto profondo, chi può trovarlo?” (Ecclesiaste, 7, 24) e
come è detto ancora: “E dove potremo trovare la saggezza?” (Giobbe, 28,
12) - Pertanto non bisogna cominciare, nell’insegnamento, da quanto vi è
di più difficile da comprendere e di più profondo. Una delle allegorie
diffuse nel(le tradizioni del)la nostra nazione è il paragone della
scienza con l’acqua; i dottori hanno spiegato quest’allegoria in modi
diversi, e (hanno detto) tra gli altri: “Colui che sa nuotare trae delle
perle dal fondo del mare, ma colui che ignora il nuoto annega”; per
questo solo s’azzarda a nuotare, chi si è esercitato ad apprenderlo.
II causa. La
seconda causa è: l’incapacità che vi è prima nella mente degli uomini in
generale; giacché l’uomo non è dotato, dal primo momento, della sua
perfezione finale, ma la perfezione si trova in lui in potenza, e
all’inizio è privato dell’atto (come dice la Scrittura): “E l’uomo nasce
come un asinello selvaggio” (Giobbe, 11, 12). Ma quando un individuo
possiede qualcosa in potenza, non avviene necessariamente che questo
passi all’atto; al contrario, a volte l’individuo rimane nella sua
imperfezione, sia per certi ostacoli, o mancando d’esercitarsi in quanto
fa passare quella potenza all’atto. È detto espressamente: “Non ve ne
sono molti che divengono saggi” (Giobbe, 32, 9); e i dottori hanno
detto: “Ho visto le genti d’elevazione, ma sono poco numerose” (Sukkah,
45b); giacché gli ostacoli alla perfezione sono molto numerosi e le
preoccupazioni che l’impediscono sono molteplici, e pertanto quando si
possono ottenere quella perfetta disposizione e quell’agio (necessario)
per lo studio, affinché ciò che l’individuo possiede in potenza possa
passare all’atto?
III causa. La terza
causa è: la lunghezza degli studi preparatori; giacché l’uomo prova
naturalmente un desiderio di cercare i punti più elevati, e spesso
s’annoia degli studi preparatori o li abbandona. Ma sappi bene che, se
si potesse arrivare a qualche punto elevato (della scienza) senza gli
studi preparatori che devono precedere, questi non sarebbero affatto
degli studi preparatori, ma sarebbero delle occupazioni inutili e
semplici superfluità. Se tu svegliassi un qualunque uomo, anche il più
stupido degli uomini, come si sveglia qualcuno che dorme, dicendogli:
“Non desidereresti conoscere all’istante questi cieli (e sapere) quale
ne è il numero, quale la figura e ciò che essi contengono? Che sono gli
angeli? Come è stato creato il mondo nel suo complesso e quale ne è lo
scopo conformemente alla reciproca disposizione delle sue parti? Che è
l’anima e come sia arrivata nel corpo? Se l’anima dell’uomo è separabile
(dal corpo), ed essendo separabile, come, con quale mezzo e a quale fine
lo sia? E altre ricerche simili, - quest’uomo senza dubbio ti
risponderebbe: “Si”, e proverebbe un naturale desiderio di conoscere
quelle cose nella loro realtà; solamente vorrebbe appagare questo
desiderio e arrivare alla conoscenza di tutto ciò con una sola parola, o
con due parole che tu gli dirai. Tuttavia, se gli imponessi (l’obbligo)
d’interrompere le sue faccende per una settimana, al fine di comprendere
tutto ciò, non lo farebbe, ma s’accontenterebbe piuttosto di false
immaginazioni con le quali la sua anima si tranquillizza, e gli sarebbe
sgradevole sentirsi dichiarare che esiste qualcosa che ha bisogno di una
ridda di nozioni preliminari e di ricerche molto prolungate.
Quanto a te, sai che gli argomenti in questione si legano gli uni agli
altri. Infatti, non vi è, nell’essere, altro che Dio e tutte le sue
opere; queste ultime sono tutto ciò che l’essere racchiude tranne lui
(Dio). Non v’è alcun modo di percepire Dio se non attraverso le sue
opere; sono esse che indicano la sua esistenza e quel che bisogna
credere a suo riguardo, voglio dire quello che occorre affermare o
negare di lui. Dunque è necessario esaminare tutti gli esseri nella loro
realtà, affinché da ogni branca (di scienza) possiamo trarre dei
principi veri e certi di cui servirci nelle nostre ricerche metafisiche.
Quanti principi si attingono, in effetti, dalla natura dei numeri e
dalle proprietà delle figure geometriche, (principi) per i quali siamo
condotti a (conoscere) certe cose che dobbiamo allontanare dalla
Divinità e la cui negazione ci conduce a diversi argomenti (metafisici)!
Quanto alle cose dell’astronomia e della fisica, non vi sarà, penso, per
te alcun dubbio che non siano delle cose necessarie per comprendere il
rapporto tra l’universo e il governo di Dio, qual è in realtà e non
conformemente alle immaginazioni. Vi sono anche molte cose speculative,
le quali, senza fornire dei principi per questa scienza (metafisica),
esercitano tuttavia la mente, e le fanno acquisire l’arte della
dimostrazione e conoscere la verità in quel che ha d’essenziale, facendo
cessare il turbamento che la confusione delle cose accidentali con le
cose essenziali fa generalmente nascere nelle menti dei pensatori, come
le opinioni false che ne risultano. Aggiungiamo a questo (il vantaggio)
di ben concepire quegli altri argomenti (di cui abbiamo appena parlato),
considerati in se stessi, quand’anche non servissero di base alla
scienza metafisica. Infine, non mancano d’avere altri vantaggi per certe
cose che fanno pervenire a questa scienza. È quindi necessario che chi
vuole (ottenere) la perfezione umana s’istruisca in primo luogo nella
logica, in seguito gradualmente nella matematica, poi nelle scienze
fisiche, e dopo questo nella metafisica. Troviamo molti uomini la cui
mente si ferma a una parte di queste scienze, e quand’anche la loro
mente non si lasci andare, capita a volte che la morte li sorprenda
quando sono ancora agli studi preparatori. Se quindi non ricevessimo mai
un’opinione da parte dell’autorità tradizionale, e non fossimo guidati
sotto alcun aspetto dall’allegoria, ma fossimo costretti a formarci
(d’ogni cosa) un’idea perfetta per mezzo di definizioni essenziali e
ammettendo solo con la dimostrazione ciò che dev’essere ammesso come
vero, - cosa che non è possibile se non dopo questi lunghi studi
preparatori, - ne conseguirebbe che gli uomini, in generale, morirebbero
senza sapere neanche se esiste un Dio per l’universo o se non esiste,
tanto meno gli attribuirebbero un governo o lo riterrebbero esente da
imperfezioni. Nessuno sfuggirebbe mai a questa disgrazia, tranne forse
“uno solo in una città o (al più) due in una famiglia” (Geremia, 3, 14).
Quanto ai pochi che sono “i resti che l’Eterno chiama” (Gioele, 3, 5),
la perfezione, che è lo scopo ultimo, non sarà da loro veramente
acquisita che dopo gli studi preparatori. Salomone già ha dichiarato che
gli studi preparatori sono assolutamente necessari, e che è impossibile
raggiungere la vera saggezza, se non dopo essersi esercitati; egli ha
detto: “Se il ferro è smussato, e non ha le facce lucide, sconfiggerà
mai degli eserciti? ma occorre ancora maggiore preparazione per
(acquisire) la saggezza” (Ecclesiaste, 10, 10); e ha detto ancora:
“Ascolta il consiglio e ricevi l’istruzione, affinché tu divenga saggio
alla tua fine” (Proverbi, 19, 20).
Ciò che ancora necessita
l’acquisizione delle conoscenze preparatorie, è che una ridda di dubbi
si presentano prontamente all’uomo durante lo studio, ed egli comprende
le obiezioni con pari prontezza, voglio dire come si possono confutare
certe asserzioni, - giacché si tratta come della demolizione di un
edificio, - mentre non si possono ben rafforzare le asserzioni né
risolvere i dubbi, se non per mezzo di numerosi principi attinti da
queste conoscenze preparatorie. Pertanto, colui che affronta la
speculazione senza uno studio preparatorio è come qualcuno che, correndo
a gambe levate per raggiungere un luogo, cade, cammin facendo, in un
profondo pozzo da cui non ha modo d’uscire, dimodoché muore; se si fosse
astenuto dal correre e fosse rimasto al suo posto, avrebbe certamente
fatto meglio. Salomone, nei Proverbi, ha lungamente descritto le maniere
dei pigri e la loro incapacità, e tutto ciò è un’allegoria
sull’incapacità di cercare la scienza; parlando di colui che desidera
arrivare agli ultimi termini (della scienza), e che, senza preoccuparsi
d’acquisire le conoscenze preparatorie che fanno pervenire a questi
ultimi termini, non fa altro che desiderare, s’esprime così: “Il
desiderio del pigro l’uccide, giacché le sue mani rifiutano d’agire. Per
tutto il giorno non fa che desiderare; ma il giusto dona e non risparmia
nulla” (Proverbi, 21, 25 e 26). Egli vuol dire che, se il suo desiderio
l’uccide, la causa è che non s’occupa di fare quel che potrebbe appagare
questo desiderio; che al contrario, non fa altro che desiderare
ardentemente, e che attribuisce le sue speranze a una cosa per
l’acquisizione della quale non ha strumenti; sarebbe quindi stato meglio
per lui abbandonare questo desiderio. Guarda come la fine dell’allegoria
ne spiega bene l’inizio, dicendo: “ma il giusto dona e non risparmia
nulla”; giacché “giusto” (o “pio”) non può essere opposto a “pigro” che
secondo quanto abbiamo esposto. Vuol dire, in effetti, che il “giusto”
tra gli uomini è colui che dà a ogni cosa ciò che le è dovuto, vale a
dire (che consacra) tutto il suo tempo allo studio e non ne riserva
niente per altro; è come se avesse detto: “ma il giusto dà i suoi giorni
alla scienza e non ne riserva alcuno”, espressione simile a questa: “Non
dare la tua forza alle donne” (Proverbi, 31, 3). La maggior parte dei
sapienti, voglio parlare di coloro che hanno una reputazione per la
scienza, sono afflitti da questa malattia, voglio dire da quella di
cercare i termini ultimi (della scienza) e dissertarne, senza occuparsi
degli studi preparatori. Ve ne sono nei quali l’ignoranza e il desiderio
di dominare arrivano al punto di far loro biasimare queste conoscenze
preparatorie che essi sono o incapaci di cogliere o pigri per studiare,
e che si sforzano di dimostrare che sono nocive o (perlomeno) inutili;
ma, quando vi si riflette, la verità è chiara e manifesta.
IV causa. La quarta
causa è nelle disposizioni naturali; giacché è stato esposto e perfino
dimostrato che le virtù morali sono preparatorie per virtù razionali, e
che l’acquisizione di autentiche (virtù) razionali, voglio dire di
nozioni intelligibili perfette, non è possibile che per un uomo che ha
ben castigato i suoi costumi e che è calmo e posato. Vi sono molte
persone che hanno, fin dall’inizio, una disposizione di temperamento con
la quale non è possibile alcun perfezionamento (morale). Ad esempio,
chi, di natura, ha il cuore estremamente caldo non può impedirsi
d’essere violento, quand’anche facesse i più grandi sforzi su se stesso;
e chi ha i testicoli di un temperamento caldo e umido e di forte
costituzione e i cui vasi spermatici producono molto sperma
difficilmente potrà essere casto, quand’anche facesse degli sforzi
estremi su se stesso. Allo stesso modo, si trovano certi uomini pieni di
leggerezza e di sbadataggine e i cui movimenti molto agitati e
disordinati indicano una complessione viziosa e un cattivo temperamento
di cui non si può rendere conto. In costoro, non si vedrà mai della
perfezione, e trattare con loro di questo tema sarebbe pura follia da
parte di colui che lo facesse; giacché questa scienza, come sai, non ha
niente a che fare né con la medicina, né con la geometria, e, per le
ragioni che abbiamo detto, non tutti vi sono preparati. Occorre dunque
farla precedere da preparazioni morali, affinché l’uomo pervenga a una
rettitudine e a una perfezione estreme; “giacché l’Eterno ha in abominio
chi va storto, e il suo segreto è con coloro che sono retti” (Proverbi,
3, 32). Per questo si considera dannoso insegnarla ai giovani; e anche
coloro che non potranno affatto riceverla, - avendo la natura bollente e
la mente travagliata, a causa della fiamma della giovinezza, - fino a
quando questa fiamma che li turba non sia spenta, che abbiano ottenuto
la calma e la tranquillità, e il loro cuore divenga umile e sottomesso
per temperamento. È allora che loro stessi desidereranno elevarsi a
quel(l’alto) grado che è la percezione di Dio, voglio dire la scienza
della metafisica che è stata designata con la denominazione di Ma‘aseh
Merkavah, come dice (la Scrittura): “L’Eterno è vicino a coloro che
hanno il cuore spezzato” (Salmi, 34, 19) e altrove: “Io dimoro (nel
luogo) elevato e santo, e con colui che è contrito e umile di spirito,
ecc.” (Isaia, 57, 15).
È per questa ragione che
nel Talmud, in merito a queste parole: “gli si trasmetteranno i primi
elementi”, essi (i dottori) dicono: «Non si trasmettono, neanche i primi
elementi, se non a un presidente di tribunale, e solamente se ha il
cuore afflitto» (Hagigah, 13a); e con ciò si vogliono designare
l’umiltà, la sottomissione e la grande pietà unite alla scienza. Nello
stesso posto è detto: «Non si trasmettono i segreti della Torah che a
“un uomo di consiglio, sapiente pensatore ed esprimentesi con
intelligenza” (Isaia, 3, 3)»; e sono queste delle qualità per le quali
una disposizione naturale è indispensabile. Non sai che vi sono delle
persone molto deboli per (dare) un parere, quantunque molto
intelligenti, mentre vi è talaltro che ha un giudizio corretto e che sa
dirigere bene gli affari politici? È colui che si chiama yo’ets
“uomo di consiglio”; tuttavia potrebbe non comprendere una cosa
intelligibile, foss’anche vicina alle prime nozioni, e potrebbe anche
(sotto quest’aspetto) essere molto stupido e senz’alcuna risorsa: “A che
serve, nella mano dello stolto, il prezzo per acquistare la saggezza
quando non v’è l’intelligenza?” (Proverbi, 17, 16). Vi è talaltro che è
intelligente, di una penetrazione naturale, e che padroneggia i soggetti
più oscuri, esprimendosi con concisione e precisione, - ed è lui che si
chiama navon la’hach, “esprimentesi con intelligenza”, - ma che
non ha lavorato e non ha acquisito scienze. Ma chi ha acquisito le
scienze in atto è colui che è chiamato ’hakkam ’harachîm,
“sapiente pensatore”. «Quando parla, dicono i dottori, tutti diventano
come muti” (Hagigah, 14a). Nota bene, come abbiano posto per condizione,
servendosi di un testo (sacro), che la persona sia perfettamente versata
nel regime sociale e nelle scienze speculative (e possegga) con ciò
della penetrazione naturale, dell’intelligenza, e una buona dizione per
presentare gli argomenti in maniera da lasciarli intravvedere; ed è solo
allora “che gli si trasmettono i segreti della Torah”.
Nello stesso luogo è detto: «Avendo R. Io’hanan detto a R. Eleazar:
“Vieni che t’insegno il Ma‘aseh Merkavah”, quest’ultimo rispose:
akati la kashaih», che vuol dire: “non sono ancora vecchio”, e mi
ritrovo ancora una natura bollente e la leggerezza della gioventù. Vedi
perciò che hanno anche posto l’età come condizione, unitamente a quelle
virtù (di cui abbiamo appena parlato); e allora come ci si potrebbe
impegnare in questa materia con gli uomini comuni, i bambini e le donne?
V causa. La quinta
causa è nell’occupazione che danno i bisogni del corpo formante la prima
perfezione, particolarmente quando vi si unisce l’occupazione che danno
la moglie e i bambini, e soprattutto quando s’unisce a ciò la ricerca
delle superfluità della vita, che, grazie ai costumi e alle cattive
abitudini, diventano un potente bisogno naturale. Infatti, anche l’uomo
perfetto, quale abbiamo descritto, quando s’occupa molto di queste cose
necessarie, e a più forte ragione (quando s’occupa delle cose) non
necessarie e le desidera ardentemente, le sue aspirazioni speculative
s’indeboliscono e sono sopraffatte, ed egli non le ricerca più che con
tepore e mollezza e con poca sollecitudine; e allora non percepire
neppure quello che ha la facoltà di percepire, o piuttosto ha una
percezione confusa: miscuglio di percezione e d’incapacità.
È in ragione di tutte
queste cause che gli argomenti in questione sono adatti a un
piccolissimo numero di uomini d’élite, e non al volgo; per questo vanno
nascosti al principiante impedendogli di affrontarli, come s’impedisce a
un bambinetto d’assumere alimenti grossolani e di sollevare pesi.
1.
Mosheh ben Maimon (Cordoba 1135-Il Cairo 1204), Maimònide per i latini,
fu medico e filosofo, seguace della corrente ortodossa ebraica della
halakhah (ordinamento trasmesso da Mosè, formato dalla legge scritta
della Torah e la legge orale). Ne La Guida dei perplessi, cercò di
conciliare le verità della Scrittura con il pensiero aristotelico,
fornendo un metodo esegetico fecondo che dà grande profondità al
pensiero tradizionale ebraico.
|