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Nei sistemi
dei Cabalisti antichi e, soprattutto nello Zohar, oltre
a trovare un ritorno di alcuni temi mitici, in realtà,
stiamo di fronte ad una fitta trama di creazioni
ideologiche mitiche e, talvolta, anche ad autentici miti
pienamente strutturati. Per quanto interessanti possano
essere da un punto di vista ideologico, le
reinterpretazioni speculative e teologiche di quel
pensiero mitico (fatto che abbiamo costatato in tanti
cabalisti) non ci possono ingannare sulla sostanza
spirituale che serve di base. Sono del parere che la
neoformulazione speculativa dei miti sotto forma teorica
è, in certi casi, assolutamente secondaria nella
coscienza dei loro stessi creatori, ed è stata disegnata
come una copertura esoterica del contenuto mitico
considerato, da loro, come un mistero sacro.
Il documento che segue è opera d'ingegno di
Gershom Scholem. ed è stato tradotto dal carissimo
Fratello Christian P. Il suo contenuto non esplicita di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è dichiarato.
©
Gershom Scholem
©
Christian P.
(per quanto di competenza)
La libera circolazione del documento è subordinata alla citazione della fonte (completa di Link) e dell'autore.
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Nei sistemi dei Cabalisti antichi e, soprattutto
nello Zohar, oltre a trovare un ritorno di
alcuni temi mitici, in realtà, stiamo di fronte
ad una fitta trama di creazioni ideologiche
mitiche e, talvolta, anche ad autentici miti
pienamente strutturati. Per quanto interessanti
possano essere da un punto di vista ideologico,
le reinterpretazioni speculative e teologiche di
quel pensiero mitico (fatto che abbiamo
costatato in tanti cabalisti) non ci possono
ingannare sulla sostanza spirituale che serve di
base. Sono del parere che la neoformulazione
speculativa dei miti sotto forma teorica è, in
certi casi, assolutamente secondaria nella
coscienza dei loro stessi creatori, ed è stata
disegnata come una copertura esoterica del
contenuto mitico considerato, da loro, come un
mistero sacro.
Il mito nella sua forma più chiara e grandiosa
si è mostrato, a prescindere dello Zohar, in
Safed (Israele) nel sistema più importante della
tarda Qabalah da parte di Isaac ben Solomon
Luria (1534-1572) così come nelle speculazioni
teologiche eretiche dei sabbatiani, sviluppo del
movimento cabalistico messianico, dallo stesso
Isaac ben Solomon Luria in un certo senso
emendato.
Tanto la Qabalah ortodossa di Isaac ben Solomon
Luria come quella eretica di Natan di Gaza
(1644-1680) - teologo e profeta del messia
cabalistico Sabbatay Zevi - sono, infatti,
esempi incredibilmente perfetti di creazioni
mitiche gnostiche sia dal giudaismo rabbinico
così come nei suoi limiti; l’una come forma
strettamente ortodossa della suddetta gnosi, e
l’altra come tendenza eretica anti-nomistica.
Entrambe costruzioni del mito cabalistico sono
in stretto rapporto con l’esperienza storica del
popolo ebreo, ciò spiega senza dubbio
l’innegabile fascinazione che entrambe hanno
esercitato, in particolare la Qabalah di Isaac
ben Solomon Luria, su settori molto ampi,
facilmente eccitabili e dotati di idoneità per
decisioni su materie religiose del suddetto
popolo.
Non posso permettermi di trattare ora la
mitologia eretica dei Sabbatiani, ma vorrei
almeno esporre a grandi linee la struttura del
mito Lurianico in quanto insuperabile in questo
contesto. È possibile che sembri osato il
tentativo di accorciare in questo modo le linee
direttrici di un pensiero che, nella sua forma
letteraria canonica, ha avuto bisogno di vari
grossi tomi per la sua esposizione completa. È
mia opinione che una parte di essa (che questo
non sia ignorato) sia solo penetrabile nella
prassi di una meditazione mistica e, quindi,
resiste a una formulazione teorica. Nonostante
la struttura basica qui impiegata, il mito
fondamentale di Isaac ben Solomon Luria, se
posso utilizzare questa espressione, possiede
una chiarezza così insolita e penetrante che
merita la sua analisi anche se molto breve.
Il mito di Isaac ben Solomon Luria costituisce,
da un punto di vista storico, la risposta
all’espulsione degli ebrei dalla Spagna,
avvenimento che ha posto con un’urgenza
sconosciuta prima dei recenti anni di catastrofe
nella storia ebraica, la questione del
significato del esilio e della vocazione degli
ebrei nel mondo alla coscienza dei contemporanei
di tale evento. Qui è raccolta e posta, in modo
più profondo ed essenziale che nello Zohar, la
questione che l’ebreo affronta riguardo il senso
delle esperienze storiche sul suo esilio,
questione che ha assunto il centro delle nuove
concezioni che determinano il sistema di Isaac
ben Solomon Luria.
Questo nuovo mito di Isaac ben Solomon Luria si
concentra in tre simboli:
-
Nella dottrina dello Tzimtzum o
autolimitazione divina
-
Nella dottrina della Scevirah o rottura dei
vasi
-
Nella dottrina del Tikkun o restaurazione
armonica, ma allo stesso tempo pulizia e
correzione della macchia dell’universo che
si è prodotta per causa di quella rottura.
L’idea dello Tzimtzum, del quale lo Zohar
contiene soltanto alcuni accenni, e che ha
trovato la sua pienezza di significato (dopo
descrizioni, anche se incomplete,
provenienti da altri trattati) soltanto nel
pensiero di Isaac ben Solomon Luria,
presenta caratteri sorprendenti. Questa
teoria colloca all’inizio del dramma
universale, che è un dramma divino, non
l’atto di emanazione, o qualcosa di simile
per il quale Dio esce da se stesso, si
comunica e si manifesta (come altri sistemi
più antichi), bensì l’atto in cui Dio si
autolimita, si ritira su se stesso e,
piuttosto che proiettarsi verso fuori,
restringe il suo essere in una più profonda
occultazione del suo proprio io. L’atto
dello Tzimtzum è per Isaac ben Solomon Luria
l’unica garanzia dell’esistenza di un
qualche processo universale, poiché proprio
questo ritirarsi di Dio su se stesso (esso
ha prodotto in un posto specifico uno spazio
primitivo originale chiamato Tehiru dai
cabalisti) rende possibile l’esistenza di
qualcosa che non è in modo totale ed
assoluto Dio nella sua pura essenza. I
cabalisti non lo dicono in modo diretto, ma
la simbologia di questo restringersi
dell’essere divino su se stesso rappresenta,
in modo implicito, una profondissima forma
di esilio, o più correttamente di
auto-esilio.
Nell’atto dello Tzimtzum si riuniscono delle
potenze del Rigore, che si trovavano
associate in modo infinitamente armonico con
le “radici” di tutte le altre potenze
nell’essere divino, e si concentrano in un
punto, proprio in quello spazio originale da
cui Dio si è ritirato. L’idea della
segregazione e fusione continua e
progressiva di quelle potenze del Rigore, le
quali suppongono l’esistenza del male in
Dio, determina in Isaac ben Solomon Luria il
carattere esoterico di tutto il processo
successivo, in quanto purificazione
dell’organismo divino dagli elementi del
male. In questa dottrina di progressiva
selezione estrattiva del male di Dio, che
senza dubbio si contraddice con altre basi
del pensiero di Isaac ben Solomon Luria e
che può essere allo stesso tempo qualificata
di particolarmente scandalosa (o almeno
problematica) da un punto di vista
teologico, è attenuata o senz’altro
intenzionalmente sorvolata nella maggior
parte delle esposizione del sistema,
soprattutto nel suo discepolo Hayim Vital,
nella sua grande opera Es Hayim, “Albero
della Vita”, in modo che lo Tzimtzum non
appare come una crisi originale di Dio,
bensì come un atto di amore il quale,
tuttavia , scatena in modo abbastanza
paradossale le potenze del Rigore.
In questo spazio iniziale si miscelano le
“radici della giustizia” segregate nello
Tzimtzum con il residuo della luce infinita
della divinità che si è ritirata da questo
spazio iniziale. Cosi, l’azione reciproca e
contraria di questi elementi, ai quali si
aggiunge in una nuova azione un raggio della
presenza divina che incide nuovamente nello
spazio originale, determinano la natura
delle strutture che qui si formano. I
processi che si sviluppano in questo pleroma
sono considerati da Isaac ben Solomon Luria
come intra-divini. Secondo lui, si tratta
della nascita di quelle manifestazioni
dell’infinito nel pleroma che secondo la sua
coscienza integrano al Dio vivente
nell’unita di queste strutture originali.
Quella parte di Dio che non ha partecipato
al processo dello Tzimtzum e neanche nelle
fasi successive, quell’entità infinita di
Dio che si è nascosta, non possiede un ruolo
d’importanza per l’uomo. La disputa fra il
carattere personale di Dio prima dello
Tzimtzum e la sua essenza propriamente
impersonale, che prende personalità soltanto
nel processo iniziato dallo Tzimtzum, rimane
senza risolvere nelle forme classiche del
mito Isaac ben Solomon Lurianico.
Nello spazio originale si formano i
prototipi di tutta l’esistenza, le forme,
(determinate dalla struttura delle
Sephiroth) di Adam Kadmon, il Dio che
partecipa in quanto creatore della
creazione. La coesistenza precaria delle
diverse tipi di luce divina, che qui
incidono in modo reciproco, è, tuttavia,
causa di nuove crisi. Tutto, assolutamente
tutto ciò che si forma nel pleroma dopo
l'invio del fascio di luce proveniente da
Ayn-Soph, l'essere infinito, reca le tracce
del rinnovato doppio movimento dello
Tzimtzum e della scorrevole emanazione che
spinge verso l'esterno. Tutta la graduazione
dell’essere si basa su questa tensione. Le
orecchie, naso e bocca dell'uomo prototipico
rifrangono la luce che genera configurazioni
profondamente nascoste, mondi della più
intima costituzione. Ma il progetto più
importante della creazione viene dalle luci
che provengono dagli occhi (in modo di
rifrazione) di Adam Kadmon. Poiché quei vasi
contenitori (fatti alla loro volta di forme
inferiori di miscele di luce) che erano
destinati ad accogliere questo flusso
luminoso delle Sephiroth procedente dai suoi
occhi, servendo in questo modo di
contenitori e strumenti di creazione, si
sono frantumati all’impatto del flusso.
Questa è la crisi decisiva di qualsiasi
essere divino e crazionale, la “rottura dei
vasi”, chiamata da Isaac ben Solomon Luria,
a modo zoharistico, “l’agonia dei re
primitivi”. Lo Zohar interpreta l’elenco
degli re di Edomon (Gen: 36), che
governarono e morirono “prima che in Israele
governassero re”, nel senso della
pre-esistenza di alcuni mondo di potere
giustiziero che morirono per via di una
ipertrofia di questo elemento in loro.
La morte dei re primitivi per l’assenza di
armonia tra il maschile e il feminile, come
spiegato dallo Zohar, si trasforma per Isaac
ben Solomon Luria nella “rottura dei vasi”,
una crisi dei citati poteri della giustizia,
che nel processo presente si proiettano
verso il basso nelle sue parti più
inassimilabili e sviluppano esistenza
propria come potenze demoniache. Duecento
ottantotto (288) scintille del fuoco della
“giustizia”, le più dure e più pesanti,
precipitarono verso il basso, miscelandosi
con i frantumi dei vasi rotti. Niente rimane
come prima dopo questa crisi. Tutte le luci
dei occhi di Adam Kadmon o fluiscono di
nuovo verso l’alto (riflesse dai vasi) o si
fanno strada verso il basso, e tutte le
leggi regolatrici di questo processo si
espongono in modo dettagliato da parte di
Isaac ben Solomon Luria. Niente si trova più
al posto che doveva trovarsi. Tutto è
altrove. Ma un essere che non si trova al
suo posto non può dirsi in esilio. In questo
modo risulta che ogni essere da quel atto
primitivo è un essere in esilio e si trova
nella necessità di riconduzione al suo luogo
d’origine e di redenzione. La rottura dei
vasi è continua in tutti i successivi gradi
dell’emanazione e della creazione; tutto è
come frantumato, tutto ha una macchia, tutto
è imperfetto.
La domanda sulla ragione di queste rotture
in Dio è tanto inammissibile così come
carente di soluzione per la Qabalah Isaac
ben Solomon Luria. La risposta esoterica
afferma che si tratta di un atto di
purificazione di Dio stesso, cioè una crisi
necessaria che ha come finalità la
segregazione del male interiore di Dio, ma
raramente viene esposta con franchezza,
sebbene espone l’autentica opinione di Isaac
ben Solomon Luria, come detto prima. Yosef
ibn T’bul, il secodo discepolo in importanza
di Isaac ben Solomon Luria, espone quanto
detto. Altri si accontentano di alludere
alla legge dell’organismo, al grano del seme
che scoppia e muore per trasformarsi in
frumento. Le potenze del Rigore sono come i
semi di grano (frumento) che sono stati
seminati nel campo di “Tehiru” e germogliano
nella creazione, sebbene solo per via della
metamorfosi della rottura e dell’agonmia dei
re primitivi.
In questo modo, è stata coinvolta la crisi
originale (che costituisce il fattore
decisivo per la comprensione del dramma e
del segreto universali nel pensiero
gnostico) dentro una esperienza d’esilio in
quanto successo cosmico molto profondo,
ancor di più, in quanto processo che
riguarda tutto un Dio, almeno nella
manifestazione della sua essenza, adotta ora
delle straordinarie dimensioni
corrispondenti al sentimento degli ebrei in
quelle generazioni. Il fatto di coinvolgere
l’esilio in Dio è così intrepido e audace
nel suo paradosso gnostico così come
decisivo nell’enorme ripercussione di queste
idee nel giudaismo. Di fronte al tribunale
di una teologia razionale, queste idee
farebbero una parte mediocre, senza dubbio.
Nel mondo dell’esperienza umana degli ebrei,
queste idee costituirebbero, invece, un
grande ed attraente simbolo vivente.
I vasi delle Sephiroth che avrebbero dovuto
accogliere l’universo dell’emanazione
procedente da Adam Kadmon sono, pertanto,
distrutti. Al fine di sanare la rottura o di
ricostruire l'edificio (che dopo la
segregazione delle potenze ora demonizzate
della pura giustizia, manifesta una maggiore
propensione alla strutturazione armonica
definitiva) sorgono della fronte di Adam
Kadmon delle luci di natura costruttiva e
curativa. Dal loro effetto proviene il terzo
stadio del processo simbolico chiamato, dai
cabalisti, Tikkun: “restaurazione”. Secondo
Isaac ben Solomon Luria, questo processo
trascorre in Dio da una parte e dall’altra
nell’uomo, poiché cuspide di ogni creatura.
Certo è che questo non è assolutamente un
processo semplice ed univoco, bensì è
soggetto a multipli incroci ed interferenze.
Poiché sebbene alla rottura dei vasi le
potenze del male sono state segregate (e da
allora sono entrate in una fase
d’indipendenza progressiva) ciò non è
avvenuto in modo completo. Questo processo
di segregazione deve proseguire senza sosta,
poiché nelle configurazioni degli universi
Sephirothici ora in formazione, i resti
delle pure potenze del Rigore continuano ad
esistere e hanno bisogno di essere segregati
o, piuttosto, trasformate in forze
costruttive dell’amore e della grazia. In
cinque strutture o configurazioni, chiamate
Parzuphim da Isaac ben Solomon Luria (ossia
“visi” di Dio o di Adam Kadmon) si forma
un’altra volta nel mondo Tikkun la figura
dell’uomo primitivo. Sono le forme
apparenziali del “paziente” (arij) del padre
e della madre, del “impaziente” (Zauir Anpin
[Piccolo Volto]) e dell’elemento femminile
che li contempla (la Shekhinah) che a sua
volta si manifesta in due configurazioni
chiamate Rachele e Lia. Tutto l’insegnamento
dell’antica Qabalah ed in particolare dello
Zohar sulla coniunctio del elemento
mascolino e quello femminile in Dio si
sposta ora (in una esposizione molto
ordinata e dettagliata) al processo di
formazione degli ultimi due Parzuphim ed
alle operazione che accadono fra essi. In
generale, la figura di Zauir è coperta
ampiamente con il concetto che il giudaismo
tradizionale chiamava Dio della rivelazione.
Questo è il principio maschile che, alla
rottura dei vasi, ha lasciato la sua unità
originaria con il femminile e deve ora
ricostruirla in un nuovo livello e sotto
diversi aspetti. Le interrelazioni di tutte
queste figure, l'impatto e la riflessione in
tutto l’inferiore, negli universi che si
stanno formando nelle sfere della Shekhinah,
che chiude il "mondo dell’emanazione", della
creazione, la costituzione e la
strutturazione , è la preoccupazione
centrale della gnosi Lurianica.Tutto ciò che
accade nei mondi dei Parzuphim, si ripete in
modo progressivamente chiaro, nei mondi
inferiori. Questi universi si formano in un
flusso ininterrotto a partire dalle luci
progressivamente oscurate, con questo Isaac
ben Solomon Luria voleva, certamente, dire
che la decima Sephirâ di qualsiasi mondo
(cioè la Shekhinah) agisce, in questo mondo,
in maniera sincrona come specchio e come
filtro che rispedisce indietro la sostanza
delle luci che a lei affluiscono e lascia
passare e indirizza verso il basso il loro
residuo ed il loro riflesso. Questo mondo in
fase di strutturazione si trova miscelato
nello stato attuale delle cose con quello
delle potenze demoniache, le Qeliphoth, e
proprio questo dona un carattere materiale e
grossolano alla sua apparenza fisica. Il
mondo della natura costituisce anche un
ambito spirituale, da un punto di vista
neoplatonico. Soltanto la rottura dei vasi,
con la conseguente degradazione di tutte le
cose ha portato, ha provocato, questo mondo
di miscele con quello demoniaco e la sua
separazione è, pertanto, una delle finalità
prioritaria di qualsiasi sforzo verso il
Tikkun.
Proprio la realizzazione del processo del
Tikkun, nelle sue fasi decisive, è stato
comandato all’uomo. Per quanto questo
processo di restaurazione durante la
formazione dell’universo degli Parzuphim sia
stato portato avanti, in Dio stesso, la
definitiva conclusione di detto processo è
riservata, nel piano della creazione,
all’ultimo riflesso di Adam Kadmon il quale
si manifesta nel mondo più basso della Forma
(il mondo di Asyah) come Adamo, il primo uomo nel senso
del racconto del Genesi. Adamo era, senza
dubbio, secondo la sua natura, una figura
puramente spirituale, una “grande anima” il
cui copro era formato da una sostanza
astrale o di origine della luce. Sebbene
rifratte ed intorbidite per la degradazione,
a lui affluivano senza impedimento le
potenze superiori che si riflettevano nella
sua persona come in un microcosmo della vita
di tutti i mondi. E il suo ruolo è stato
anche, per mezzo della forza accumulata in
attività meditazione e spirituale,
l'estratto di tutte le "scintille cadute”
del suo esilio, a condizione che siano
rimaste in lui, ed il ripristino di tutte le
cose nel loro giusto posto. Se lo stesso
Adamo avesse compiuto questa missione, che
era la sua propria, allora il processo
universale sarebbe stato compiuto il primo
Sabato, ed ugualmente si sarebbe consumata
la liberazione della Shekhinah del suo
esilio, ossia la sua separazione dal
principio maschile o Zauir. Ma Adamo fallì,
ed il suo fallimento è quello della unione
prematura fra maschile e il femminile,
simboleggiato dagli antichi cabalisti dal
calpestio delle colture del paradiso e dallo
strappare il frutto dall’albero. La caduta
di Adamo ripete, a livello antropologico, il
processo rappresentato dalla rottura dei
vasi, a livello teosofico. Tutto cade ancora
una volta nel disordine ed inoltre si
aggroviglia in lui con ancora più
complicazione; solo ora rimane veramente
stabilita, in tutto il suo vigore, la
confusione, di cui ho parlato prima, fra il
mondo paradisiaco della natura ed il mondo
materiale del male come conseguenza della
caduta. Quanto maggiore era l’opportunità
della quasi consumata liberazione, tanto più
severa era la precipitazione nel profondo
della natura materiale demonizzata. Quindi,
troviamo nuovamente l’esilio all’inizio
della storia dell’umanità, sotto il simbolo
dell’espulsione dal paradiso. Le scintille
della Shekhinah sono disperse ancora
dappertutto, infiltrate in qualsiasi sfera
in ambito fisico e metafisico. Ma questo non
è tutto. Si è anche rotta la “grande anima”
di Adamo, ove era concentrata la totalità
della sostanza spirituale del uomo o,
meglio, dell’umanità. La grossa struttura
cosmica del primo uomo si riduce alle
dimensioni attuali. Le scintille animiche di
Adamo, così come quelle della Shekhinah
stessa, si dispersero ed emigrarono verso
l’esilio, sotto il potere delle Qeliphoth,
dei “cocci dei vasi”. Il mondo della natura
e della esperienza umana è il teatro
dell’esilio dell’anima. Ogni peccato rinnova
la sua parte corrispondente al processo
primitivo, nello stesso modo in cui ogni
buona azione rappresenta una contribuzione
al ritorno dall’esilio. La storia biblica
serve a Isaac ben Solomon Luria per
illustrare questa situazione fondamentale.
Tutto ciò che accade si svolge secondo la
legge segreta del Tikkun ed il suo
fallimento. Le tappe della storia biblica
sono considerate delle nuove opportunità di
liberazione che a sua volta sono fallite in
ogni occasione che si è presentata. L’apice,
l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto e
la rivelazione nel Sinai, rimane con effetto
annullato per via della degradazione del
culto idolatra del vitello d'oro. Comunque,
la legge, tanto quella di Noè, che obbliga
tutta l’umanità, così come quella della
Torah, imposta ad Israele, partecipa ad un
significato decisivo: essere lo istrumento
del Tikkun. L’uomo che opera secondo la
legge, fa ritornare le scintille cadute
della Shekhinah, ed inoltre quelle della
propria sfera animica. Restituisce la
propria figura spirituale alla perfezione
primitiva. Sotto questo punto di vista si
può dire che l’esistenza ed il destino
d’Israele è, nonostante la sua orribile
realtà, le complicazioni fra le continue
chiamate del destino e le non meno frequenti
incriminazioni, un simbolo dell’autentica
realtà di ogni essere, nel suo senso più
profondo, ed inoltre, nonostante le riserve
con le quali si è sempre affermato, un
simbolo dell’esistenza divina. Poiché la
vera esistenza d’Israele costituisce, in
fondo, un’autentica realizzazione
dell’esperienza dell’esilio, può essere
qualificata simbolica e trasparente allo
stesso tempo. L’esilio d’Israele è, per
tanto, considerato da un punto di vista
mistico, non più semplicemente come una
punizione dovuta ad una mancanza ed un banco
di prova per accreditarsi, ma bensì, oltre a
quanto detto e con una visione più profonda,
racchiude una missione di netto carattere
simbolico. Israele deve mantenersi in
allerta nel suo esilio ovunque nel mondo,
poiché anche ovunque si trovano le scintille
della Shekhinah in attesa di essere
stimolate, recuperate e restituite da un
atto di perfezione religiosa. Quindi, l’idea
del’esilio in quanto missione ci si presenta
ed anche in modo abbastanza inatteso ed
ancorata ancora in perfetta coerenza nel
centro di un’autentica gnosis judaica. La
Qabalah ha tramandato quest’idea, nel suo
momento di decadenza, al giudaismo dei
secoli XIX e XX e che, sebbene per
quest’ultimo l’idea rappresentava una
dottrina vuota di contenuti, comunque si
manifestava piena di risonanze.
All’esilio del corpo nella storia esterna
corrisponde, contrariamente, l’esilio
dell’anima nel suo peregrinare da
rincarnazione in rincarnazione, di forma
esistenziale in forma esistenziale. La
dottrina della migrazione delle anime intesa
come l’esilio trova un’intensità, prima
sconosciuta, proprio in vasti settori della
coscienza popolare.
Col sottomettersi alle leggi, Israele sta
lavorando nella restaurazione di tutte le
cose. Ma l’avvento del Tikkun e della fase
universale che a lui corrisponde non è,
certamente, altra cosa che il senso della
redenzione. Quando questa si ottempera,
tutto sarà riposto (grazie ella magia
occulta dell’azione umana) nel suo
corrispettivo posto, le cose saranno salvate
dalla loro confusione e, quindi, liberate
delle sfere del uomo e della natura della
sua esistenza consegnata alle potenze
demoniache, le quali rimarranno in una
passività mortale (incapaci di una nuova
irruzione distruttiva) una volta che la luce
in loro sia messa in salvo. In un certo
senso, il Tikkun non ristabilisce l’idea
creatrice originalmente pianificata e mai
messa in opera, bensì ciò che fa e dargli
espressione per prima volta.
Per tanto si può dire che tutta l’azione
umana, ed in particolare quella dell’uomo
ebreo, non è altro che lavoro nel processo
del Tikkun. Tenendo questo in conto, risulta
comprensibile che il Messia svolga piuttosto
un ruolo simbolico, di garante della
perpetrata restaurazione di tutte le cose
riguardo l’esilio. Non è l’azione del Messia
preso come una persona incaricata della
funzione concreta della salvazione (persona
che poteva essere considerata protagonista
del Tikkun) a fornire la salvazione, bensì
le nostre azioni particolari. Così, la
storia dell’umanità nel suo esilio è
interpretata come un costante progresso
verso la meta messianica, nonostante tutti i
retrocessi. La redenzione non si produce in
forma di catastrofe nella quale la storia
ingoia se stessa ed arriva alla sua fine,
bensì come conseguenza logica di un processo
nel quale tutti siamo compartecipi. L’arrivo
del Messia non significa per Isaac ben
Solomon Luria altro che la firma
sottoscritta un documento da noi stessi
scritto. Lui unicamente conferma l’avvio di
una stato al cui non ha contribuito ad
istaurare.
In questo modo, la Qabalah Lurianica si
presenta come un grande “mito dell’esilio e
della redenzione”. Ed è precisamente questo
rapporto con l’esperienza del popolo ebraico
che gli conferisce la sua sorprendente forza
e l’importanza che ha avuto per la storia
ebraica delle generazioni post Lurianiche.
Siamo giunti alla fine di queste brevi
considerazioni. Il mondo dell’ebreo è stato
collegato al suo mondo primitivo nel modo
descritto. Quindi, il mito cabalistico si
trova provvisto di “sensi” poiché sorto da
un rapporto pienamente consumato con una
realtà la quale essendo soggetta essa stessa
ad un’interpretazione simbolica, è capace di
proiettare grandiosi simboli della vita
ebraica a modo di un caso estremo di
umanità. I simboli dei cabalisti ormai non
sono realizzabili per noi, se non attraverso
un grande sforzo, e non sempre. Ci
ritroviamo provvisti di un nuovo
atteggiamento davanti ai vecchi problemi.
Alla luce di quanto sopra, possiamo porci la
seguente domanda: quando è che il popolo
ebraico ha avuto maggiori opportunità di
realizzare l’incontro col suo proprio genio,
con la sua vera e “perfetta natura”, che
nell’orrore e la sconfitta, nella lotta e la
vittoria di questi ultimi anni,
nell’effettuare una utopica ritirata verso
l’interno della sua propria storia?
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