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Tu sei uno, primo di ogni numero, e
fondamento di ogni struttura. Tu sei uno, e
nel mistero della tua unità i saggi si
stupiscono. Perché essi non lo conoscono. Tu
sei uno, e la tua unità non può essere né
aumentata né diminuita. Nulla manca ad essa,
e nulla ne avanza. Tu sei uno, ma non come
un'unità che possa essere acquisita o
misurata; ché a nessuna misura né ad alcun
cambiamento puoi essere soggetto. Non puoi
essere raffigurato né descritto. Tu sei uno;
ma invano il mio ragionamento si affanna a
porti legge o confine; affermo per ciò che
mi guarderò dal peccare con la lingua. Tu
sei uno. Sei alto e esaltato al disopra di
ogni avvilimento e ogni caduta. Come
potrebbe l’Unico cadere?
Tu esisti. Ma non ti raggiunge l'udito
dell'orecchio e la vista del l'occhio; né il
come, né il perché, né il dove ti governano.
Tu esisti. E fosti prima che fosse ogni
tempo. Ma per te stesso e per nessun altro
con te. Ed abitasti senza luogo. Tu esisti.
E il tuo segreto é nascosto, e chi lo
raggiungerà? Profondo, profondo, e chi lo
troverà?
Tu vivi. Ma non da un tempo stabilito, e non
da un tempo sconosciuto. Tu vivi. Ma non per
mezzo di anima o di spirito, poiché tu sei
l’anima delle anime. Tu vivi. Ma non di una
vita simile a quella dello uomo che è simile
a vanità, e la cui fine non é che vermi. Tu
vivi. E colui che giunge al tuo segreto
troverà delizia eterna. E si nutrirà e vivrà
in eterno.
S.Ibn Gabirol (1)
1. La «Corona regale», è un poemetto
dell'ebreo spagnolo vissuto nell'XI secolo
Gabirol, il poeta che salì in cielo prima di
Dante. Un precursore di Dante allora? No,
non è probabile, anche se lo si è supposto.
Certo, Shelomoh Ibn Gabirol, poeta ebreo
spagnolo del secolo XI, ha scritto un
bellissimo poemetto, la Corona regale, in
cui descrive la sua ascesa contemplativa
sino al trono divino, soffermandosi sulle
delizie del paradiso e sulle pene infernali;
tutto questo in un quadro astronomico (i
sette cieli e i relativi pianeti) ispirato
dallo scienziato arabo Alfragano. Il
poemetto considerata l’opera più famosa di
Gabirol, consta di tre parti distinte, oltre
che dei versi di presentazione e di un
capitolo introduttivo.
-
La prima parte comprende i cap. II-IX,
in ciascuno dei quali è definito ed
illustrato uno degli attributi di Dio:
unità, esistenza, vita, grandezza,
potenza, luce, divinità, sapienza. È
senza dubbio in questa parte che il
poeta ha trovato le sue espressioni più
felici. Viene spontaneo il confronto col
Dante del Paradiso, anch’ egli soggetto
continuamente allo sforzo inaudito di
definire l’indefinibile: come Dante,
Gabirol riesce spesso a superare questa
difficoltà, e ad esprimere efficacemente
ciò che trascende l’umano. Si vedano
specialmente, al cap. II, il modo in cui
Gabirol tenta di darci l’idea dell’
unità di Dio.., nel cap. III il
tentativo di definire una esistenza non
soggetta ad alcuna categoria, nel cap.
VIII l’affermazione che, tutti gli
esseri tendono ad onorare il vero Dio,
tendenza che è palese anche in coloro
che sono fuori della strada maestra; nel
cap. IX le efficaci espressioni che
tentano di dar un’idea di una sapienza
non acquisita.
-
Una seconda parte comprende i cap.
X-XXXII. Essa consiste in una
esaltazione della meravigliosa opera di
Dio, con speciale riguardo agli astri e
agli angeli, poi all’anima e al corpo
dell’uomo. In questa parte è facile
rilevare il difetto di un eccessivo
schematismo, che unito alla inesattezza
dei dati scientifici dovuta alle
imperfette conoscenze dell’ epoca, la
rende talvolta di poco interesse.
Tuttavia non mancano anche in questa
parte le espressioni felici ed elevate.
Si veda nell’ultima parte del cap. XII
l’insegnamento che il poeta trae dal
fenomeno dell’ eclisse. Tale fenomeno
serve a dimostrare alle creature che
anche il sole è soggetto ad oscuramento,
che esso perciò non è onnipotente, e non
può perciò essere un dio: il potere
appartiene a Colui che lo fa oscurare.
Tale concetto è ribadito nell’ ultima
parte del cap. XVI, là dove si afferma
che il sole non è che un servo, al quale
l’Onnipotente ha affidato il compito di
reggere l’ Universo. Nell’ultima parte
del cap. XXIII assistiamo ancora a un
sublime sforzo di dare un’idea
dell’infinità di Dio con un doppio
paragone fra la nona sfera «entro cui
tutte le creature dell’universo sono
come un granello di mostarda» e il nulla
che questa sfera. rappresenta rispetto
alla sublimità e grandezza di Dio.
-
La terza parte (cap. XXXIII-XL) è un
poema penitenziale. Senza dubbio si deve
a questa parte se il poema è stato
incluso nel rituale spagnolo del giorno
dell’ Espiazione.
Shelomoh nacque a Malaga intorno al 1020,
visse prevalentemente a Saragoza e vi morì
verso il 1070. È un testimone, anche col suo
lavoro, della felice convivenza
arabo-ebraica che illumina quell'epoca della
storia di Spagna. E la sua attività
filosofica e morale, molto consistente anche
dal punto di vista teoretico (vi spicca il
trattato Sorgente di vita) si mescolava a
quella dei contemporanei filosofi arabi,
senza alcuna caratterizzazione di tipo
religioso. Gli autori cristiani lo citano
spesso con l'acronimo Avicebron, che usava
come «firma» filosofica. Neoplatonico,
rappresenta originalmente la corrente
emanatista che avrebbe trovato il suo
fulgore nella Qabbalah. Alla sua altezza
cronologica, però, il platonismo stava per
essere surclassato, nella cultura araba e
poi cristiana, dal più rigoroso e meno
visionario aristotelismo, soprattutto con
Averroè. Anche come poeta, Ibn Gabirol
sviluppa spesso, con straordinaria perizia,
le proprie concezioni platoniche, celebrando
l'anima del mondo, la Sapienza divina che le
dà forma e le corrispondenze tra il
microcosmo (l'uomo) e il macrocosmo
(l'universo). Ma ha pure scritto poesie di
tipo oraziano, con lodi del vino affini a
quelle del contemporaneo persiano Omar
Khayyam; altre encomiastiche, tra cui una
colorita descrizione dell'Alhambra di
Granada; altre ancora religiose: alcune sono
entrate nella liturgia festiva sefardita.
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