"Il mondo intero non vale il giorno in cui Israele ricevette il “Cantico dei Cantici” : tutte le Scritture sono sacre, ma il “Cantico dei Cantici” è la più sacra di tutte."  (Rabbi Aqiba).

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Il Cantico dei Cantici


"Il mondo intero non vale il giorno in cui Israele ricevette il “Cantico dei Cantici” : tutte le Scritture sono sacre, ma il “Cantico dei Cantici” è la più sacra di tutte."
(Rabbi Aqiba).

Questo affermava questo dotto studioso di scritture sacre vissuto tra il I° ed il II secolo d.C. e morto nel 137, a novantatre anni. Egli venne giustiziato dai romani avendo contravvenuto al divieto di insegnamento della Torah, proibizione imposta al fine di debellare la pratica e la divulgazione della dottrina giudaica.
Ma cosa ha portato uno dei più autorevoli studiosi di testi ebraici del tempo ad accreditare di tanto valore i pochi, ma intensi, versetti del Cantico?
In occasione del Sinodo Giudaico di Jamnia – svoltosi attorno alla fine dell’Anno Cento in questa località prospiciente la costa di Gerusalemme - egli sostenne con convincimento che Il Cantico fosse addirittura scrittura divina e che ne rappresentasse, anzi, l’opera prima tra tutte le scritture ebraiche . Per tale ragione essa si sarebbe dovuta considerare, non una semplice raccolta di versetti amorosi, bensì l’esaltazione dell’Amore verso Dio e dell’Amore di Dio verso Israele.
Da tale Concilio scaturirono due decisioni importanti i cui effetti sarebbero giunti sino ai nostri giorni: l’espulsione dalla comunità ebraica della componente giudeo-cristiana e la individuazione dei Sacri Testi che avrebbero poi costituito il canone biblico ebraico.
Fu dunque a seguito delle convincenti argomentazioni di Rabbi Aqiba che “Il Cantico dei Cantici” entrò a far parte degli Scritti dell’Antico Testamento con la seguente chiosa:
“Così tutti gli scritti sono santi ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi poiché è tutto quanto timore del Cielo ed accettazione del giogo del Suo Regno e del Suo Amore”.
Ma chi scrisse quest’opera dal titolo così superlativo e di potente presentazione e, soprattutto, per quali contenuti è stata considerata “assolutamente santa”?
Il primo versetto dell’opera (“Cantico dei Cantici di Salomone”) ha obbligato molti studiosi del passato ad attribuire lo scritto niente meno che al grande Re Salomone e farlo risalire quindi alla fine del x secolo a.C. . Taluno lo vuole addirittura coincidente con la costruzione del Tempio di Gerusalemme. Questo spiegherebbe perché nella religione ebraica si venera il Cantico associandolo, non solo alla nascita del Tempio ma, soprattutto, alla parte più interna e protetta del Tabernacolo, lì ove era posizionata l’Arca dell’Alleanza.
In realtà la gran parte dei commentatori, soprattutto quelli contemporanei ( per ultimo Guido Ceronetti poeta, filosofo e scrittore – giornalista ed accreditato studioso dello scritto) ritiene che la raccolta dei versetti sia opera di uno scrittore anonimo del IV secolo a.C. il quale avrebbe assemblato, in verità in modo poco armonico, antichi poemi amorosi della Mesopotamia.
L’unica cosa di cui possiamo essere certi è che “Il Cantico” è nella Bibbia l’unico libro che consacra l’ Amore ancorché presentato in modo estremamente fisico, diretto, con passione ed esuberanza.
Ma procediamo con ordine.
L’intenso dialogo amoroso tra i due personaggi non segue un filone narrativo ma è un susseguirsi di emozioni e di passioni che vengono descritte – in modo molto concreto – senza una trama logica. Tale rappresentazione spiega perché gli studiosi hanno da sempre avuto una certa difficoltà nella sua suddivisione in capitoli, prima di procedere ad un suo approfondimento.
La critica più moderna e maggiormente accettata lo scompone in un prologo, cinque poemi, un’appendice – epilogo ed un’appendice finale. Potremmo dire, per semplicità, otto capitoli in tutto.
Shir ha-Shirim ha da sempre avuto diverse chiavi di lettura: quella confessionale (cristiana od ebraica poco importa), quella alchemica e quella cabalista . Non intendo trattare stasera di tali visioni ma soffermarmi semplicemente sul susseguirsi dei dialoghi amorosi che intercorrono tra i personaggi dell’opera (una donna aspirante a far parte dell’harem del suo Re e quest’ultimo già accreditato di 700 mogli e 300 concubine) cercando poi di comprendere se essi celino o meno messaggi più profondi.
Delle tenere riflessioni amorose della donna aprono Il Cantico … “mi abbeveri di baci la tua bocca perché il tuo amore inebria più del vino…”….”nelle tue stanze fammi entrare o Re dove godremo ed avremo gioia insieme….” e proseguono lungo tutto lo scritto arricchendo di estrema fisicità il dialogo tra i due amanti ….”Come sei bella amica mia, come sei bella. Hai per occhi colombe. Come sei bello e caro amico mio. La nostra casa ha per trave il cedro, ha per volta il cipresso ed il nostro letto è di fiori.”
La fisicità dell’ amore ha dunque profumi inebrianti ed il sapore del vino, del latte e del miele……per giungere poi ad assumere addirittura connotati pornografici cui il racconto non si sottrae in molteplici passaggi :…..Ho grande voglia di rannicchiarmi nella tua ombra: dolce è il suo frutto nella mia bocca. Portami nella cantina, piantami il tuo stendardo d’amore….” e più in là al V° Capitolo....” La rugiada ha coperto la mia testa…. già mi sono svestita….l’amato mio toglieva dal buco la sua mano e le mie cavità muggivano per lui !” Si potrebbe proseguire nel citare ulteriori passaggi ricchi di erotismo e sensualità ma credo che, a questo punto, ce ne sia abbastanza per chiedersi perché un racconto, pur sempre amoroso, ma oltremodo esplicito come questo, abbia potuto meritare la qualificazione di “estremamente santo” ed entrare a far parte degli scritti sapienziali dell’Antico Testamento !
In realtà il messaggio celato esiste ed è stato all’origine della santità del testo : Il Cantico dei Cantici è la metafora del legame tra l’Essere Supremo ed il Suo popolo. La descrizione di quest’amore estremamente fisico tra i due amanti non pregiudica in nulla il suo carattere sacro, in quanto il testo emana …” da un’infuocata scheggia divina…” come suggerisce il sesto versetto dell’ottavo ed ultimo Capitolo.
Attraverso l’ignoto compositore, l’Essere Supremo fa conoscere e descrive , anche con dovizia di particolari, la forza ed il soave legame della tenerezza che unisce l’Uomo alla Donna nella loro fisicità . Da tale privilegio dovrà poi però germogliare e risalire al Cielo una incondizionata riconoscenza per aver ricevuto un immenso dono: la conoscenza dell’Amore.

Dopo tanto ardore fisico la Camera in cui operiamo ci impone di elevare la portata della nostra speculazione.
Ed allora vediamo quali considerazioni ha lasciato in noi questo testo che, a torto o ragione, è stato definito un dono del Supremo.
La cosa non è semplice ove si consideri quanto sempre ricordo a me stesso all’apertura dei lavori in Camera di Compagno : …..”siamo ai piedi di una scala curva di cinque gradini”…… i passi che ognuno di noi fa hanno motivazioni di progresso e tempistiche dissimili.
A quelle che sono notizie, fatti e riferimenti storici, sia pure più o meno certi, deve necessariamente sostituirsi ora un percorso coscienziale individuale e diverso, in quanto diversa è l’anima di ognuno di noi….
Non potrò quindi che proseguire il tema di questa Tornata - l’Amore – con considerazioni che mi appartengono e che potrebbero essere difformi da quanto questo dono divino avrà lasciato nell’animo di ciascun Fratello.
Una volta abbandonate le sedi fisiche del sentimento erotico-amoroso : il cuore, il cervello ed il rosso Kundalini , dovremo insomma sforzarci di comprendere quanto oro alchemico l’Amore fisico avrà sedimentato nel nostro Animo.
Non è un esercizio facile.
Poeti, narratori e cantori quotidianamente inneggiano all’Amore animico ma in realtà la trascendenza dell’Amore è un sentimento di difficile racconto e, comunque un’emozione propria a ciascuno di noi e complessa da descrivere.
Scrivendo queste note e sforzandomi di rappresentare in modo appropriato questo passaggio, è venuto prepotentemente alla mia memoria un passaggio del libro di Viktor Frankl : “ Uno psicologo nei lager”. Viktor Frankl nacque a Vienna nel 1905 città ove morì nel 1997. Come i Fratelli sanno, egli fu fondatore della Terza Scuola di Psicoterapia Viennese, dopo quelle di Freud e di Adler, denominata “Logoterapia ed Analisi Esistenziale” disciplina che studia una terapia centrata sul significato delle problematiche umane e quindi anche di quelle legate alla ricerca del senso della Vita dell’individuo. Bene, Frankl di origini ebraiche, all’indomani dell’ invasione dell’Austria, venne inviato – assieme alla moglie - venendone poi immediatamente separato - verso quattro campi di concentramento ove trascorse tre anni di detenzione, ignorando completamente la sorte toccata al coniuge. Purtroppo infausta. Durante l’internamento ebbe lungamente tempo per pensare proprio al significato dell’esistenza di un Uomo e di tracciare i contorni di quella che sarebbe diventata la sua ragion di vita: se vivere è sofferenza, sopravvivere è trovare il senso di questa sofferenza. Tutto ciò descrisse magistralmente nel suo libro. Da esso è tratta la seguente riflessione: “Che la persona amata sia viva o no, non ho quasi bisogno di saperlo: tutto questo non riguarda il mio Amore, il mio pensiero amoroso, la contemplazione amorosa della sua immagine. Se avessi saputo che mia moglie era morta, credo che questa consapevolezza non m’avrebbe affatto turbato: avrei continuato nell’amorosa contemplazione, i miei dialoghi sarebbero stati ugualmente intensi, m’avrebbero dato la stessa pienezza. In quell’attimo scoprii la verità di quelle parole del “Cantico dei Cantici” :
"Un sigillo nella tua mente e un braccialetto sul tuo braccio io sia , perché l’Amore è duro come la Morte”.


L’Amore è altrettanto duro della Morte.
Sono parole molto forti che ci fanno anzitutto riflettere come dalla esuberante baldanza del Cantico, così come commentato sul piano fisico, ci si sia poi trasferiti su piani più sincretici e riflessivi , giungendo infine a severe conclusioni sull’Amore: esso è come la Morte .
Ed ecco allora che sentiamo più forte il significato di quello scambio, di quel patto che il Supremo ha stabilito con il Suo Popolo: Egli diventa Uomo e l’Uomo tende a Lui , lo spirito diviene corpo ed il corpo è lo spirito.
Nulla nel Cantico sembra essere più tremendo dell’Amore: esso è forte come la Morte …Carboni roventi sono i suoi fuochi, una scheggia di Dio infuocata….” recita uno degli ultimi versetti dell’opera.
L’Amore è quindi un ponte, il sacro ed eterno collegamento che ci è stato fornito per trovare un senso alla nostra esistenza.
Un dono puro che sta all’Uomo accettare o meno senza condizionamenti.
Noi massoni con il nostro giuramento abbiamo già sottoscritto questo impegno di puro Amore: “ Possa il vostro cuore infiammarsi d’amore per i vostri simili: possa questo Amore, simboleggiato dal Fuoco, improntare le vostre parole, le vostre azioni, il vostro avvenire.
Rammentiamo quanto ci venne detto all’atto della nostra iniziazione e riscopriamo l’essenza di tale raccomandazione ove ce ne fossimo dimenticati.
A gloria del G:.A:.D:.U:.