Chi furono i firmatari della "Carta"

 

Si è detto che particolare interesse riveste per noi, moderni massoni speculativi, la constatazione della pratica dell'accettazione libero muratoria di persone estranee al mestiere, chiaramente indicata nel punto II° della Carta, ed a riprova di ciò sta la osservazione che gli stessi firmatari, almeno per molti nominativi individuati, non erano dei costruttori. L'interesse biografico sui firmatari della Carta non si limita però soltanto a questo, giacché serve ad una ricerca sulle ragioni del Convegno e per avvalorare l'ipotesi dell'autenticità del documento.

 

Il Wied, che si firma Hermannus così come si poteva qualificare nella sua veste di sovrano Elettore - arcivescovo dell'Impero, prima del 1520 era stato fra coloro che propugnavano una trasformazione ecclesiastica in opposizione alla Curia Romana, ed era perciò su posizioni vicine ad Erasmo da Rotterdam. Successivamente il Wied passò al protestantesimo, sia pure su posizioni non «radicali».

Van Noot (Niclaes Vander Noot) era curato della Chiesa di S. Giacomo di Anversa, un cattolico erasmiano poi taciato di eresia (1).

Van Uttenhove era un filosofo cattolico poi perseguitato per eresia perché gli si imputava o una tendenza Ficiniana, o una unitarietarista, simile a quella del F. Socino, od una vicina alle istanze degli irenisti Witzel e Cassander (2) che erano rivolte a ricercare un terreno comune fra gli opposti partiti religiosi, pur partendo da posizioni cattoliche come altri partendo da posizioni riformistiche.

Jacobus Praepositus (3) era un collaboratore di Lutero, con il quale aveva condiviso nel 1521 il carcere di Warburg. Successivamente poi noto come uno dei maggiori Oratori della Riforma, ma che però seppe assumere posizioni critiche verso lo stesso Lutero quando quest'ultimo si diede un indirizzo più radicale, dogmatico e chiesistico e quando aderì alla prima persecuzione contro gli anabattisti.

Doria era un italiano, forze cattolico.

Fra i firmatari accanto ad Hermmanus Wied per la sua veste di sovrano Elettore dell'Impero - la figura di maggiore spicco era certamente quella di Philippus Melanthon (Melantone), giurista, politico, filosofo, «dottore» in varie Università tedesche.

Melantone aveva aderito al Luteranismo, dopo essersi formato alla corrente umanistica di Erasmo da Rotterdam, con il quale mantenne sempre una significativa colleganza nell'azione politica oltre che in quella culturale. Ma Melantone era stato anche vicino alla corrente umanistica del Reuchlin autore di opere cabalistiche e neo-platoniche (processato nel 1511 per eresia dall'Inquisizione di Magonza e in un lungo apppello, fino al 1522, da quella della Curia Romana) ed è forse sintomatico che sia stato proprio Reuchlin (4) a patrocinare la assunzione di Melantone alla cattedra dell'Università di Wittenberg (5).

Nelle opere di Melantone si nota però anche un collegamento concettuale con le correnti più innovatrici dell'Aristotelismo-scolastico, facenti capo principalmente alle Università di Padova e Bologna e particolarmente con la Scuola del Pomponazzi (6)

Il Melantone, forse in grazia della sua formazione umanistica, ad un tempo neo-platonica e neo aristoteliano-scolastica, nella sua maggiore opera (sviluppata in più edizioni), i Loci Communes (7) assume una caratterizzazione propria, rispetto al dogmatismo Luterano, ed anzi la sua opera contribuisce alla successiva formulazione delle varie Confessioni Protestanti disgiunte da un Luteranesimo ortodosso.

Infatti, il Melantone, pur richiamandosi alla c.d. Trilogia Luterana del 1520 (8), afferma nei Loci il «primato della ragione pratica dell'agire umano sulla predestinazione di una arcana volontà divina», giacché o l'uomo ha due facoltà»: l'una è il conoscere che è individuabile nella legge naturale che è «una comune sentenza a cui tutti gli uomini egualmente assentono» e che trova riscontro nella Legge (cioè nella «Scrittura») «che danno cognizione di cosa si debba fare»; l'altra è l'agire, cioè «le facoltà pratiche nelle quali si compendiano le virtù ed il peccato», per cui nega che le cose possano avvenire per assoluta necessità. Si discosta così dal Servo arbitrio Luterano, come da un puro determinismo trascendente, proprio a molte confessioni protestanti, ammettendo «che la Scrittura attribuisce una qualche libertà all'uomo, anche dopo il peccato, nelle cose che sono soggette alla ragione umana e che servono a fare giustizia della carne».

 

La differenza, che pareva incolmabile, fra «riformati» Luterani e Cattolici, incentrata nella negazione e nell'affermazione del libero arbitrio (che aveva suscitato la nota posizione critica di Erasmo da Rotterdam nel suo De Libero arbitrio contro Lutero che aveva scritto De Servo arbitrio) tende perciò con Melantone ad attenuarsi, spostandosi sul terreno della diversa valutazione delle conseguenze che si possono attribuire alle «buone azioni» ai fini della redenzione dal peccato.

Ed infatti Melantone riconosce: «praemia proposita esse bonis operibus, seu bona opera mereri praemia».

 

 

 

1. Sui firmatari della Carta cfr. BACCI, Il libro del massone italiano, cit., p. 162 segg. con le osservazioni del De Castro.

2. Su VAN UTTENHOVE cfr. Rossi, Antologia della critica filosofica. Ed. Laterza, Bari 1964, p. 358 segg.; DESDEN Umanesimo e Rinascimento. Ed. Il Saggiatore, Milano 1967. Su WOTZEL (sacerdote che aveva nel 1524 aderito al Luteranesimo per tornare nel 1530 al Cattolicesimo, era un erasmiano fervente che si era sforzato di ricreare un «terreno comune» fra le due Chiese) cfr. KAMEN, Nascita della Tolleranza, Ed. Il Saggiatore, Milano 1967, p. 97 segg. Su CASSANDER (Erasmiano, dottore alla Università di Lovanio dalla quale venne allontanato trasferendosi a Colonia protetto dal Wied) cfr. KAMEN, op. Cit. p. 98 segg. Su entrambi anche DE RUGGERO Rinascimento, Riforma e Controriforma, cit, p. 159 segg. BAITON, La Riforma Protestante, Ed. Einaudi 1958, p. 135.

3. Su PRAEPOSITUS cfr. BACCI, op. cit., p. 163; BAITON, Lutero. Ed. Einaudi, Torino 1966, p. 91 segg.; DESDEN Umanesimo e Rinascimento, cit. p. 112 segg.; HUIRINGA Erasmo. Ed. Mondadori, Milano 1958, p. 131 segg.

4. Su REUCHLIN cfr. DE RUGGERO, cit. p. 154 segg., 168 segg., 184 segg.

5. Circostanza citata dal DE RUGGERO, cit. p. 185 che riproduce una lettera del 1519

6. Su POMPONAZZI ed i collegamenti con MELANTONE cfr. DE RUGGERO, Cit. p. 31 segg., 235 segg., 270 segg.

7. Su MELANTONE e le sue opere cfr. KEMAN Nascita della tolleranza, cit. p. 39 segg., HUTTZINGA Erasmo, cit. p. 120 segg; BAITON Lutero, Cit. p. 86 segg.; DESDEN Umanesimo e Rinascimento, cit. p. 136 segg., 216 segg. Sulle opere ed in particolare sui «Loci» il commento di DE RUGGERO, Rinascimento ecc. cit., p. 197 segg., 229 segg., 235 segg.

Melanthon o Melancthon o Melantone era la grecizzazione del suo cognome Schewarzerde.

8. Sulla TRILOGIA LUTERANA del 1520 cfr. DE RUGGERO, cit. p. 189 segg. Essa era divisa in 3 titoli: Della libertà Cristiana; Della servitù babilonese della Chiesa; Alla nobiltà cristiana della nazione Tedesca. Nella Trilogia riconosce tre sacramenti: il battesimo, la penitenza, il pane (ripudiando poi la penitenza) affermando però che «il sacramento non è dei sacerdoti, ma di tutti, né i sacerdoti sono signori, ma ministri» ed inoltre i sacramenti, come «opera operata» , non danno la salvezza, ma la salvezza già ottenuta con la Fede, pone in grado di comunicare con Dio per mezzo dei sacramenti.