L'anima è immortale?
A questa domanda che da millenni interessa, assilla ed angoscia a seconda delle esigenze interiori di ciascuno l'umanità intera, nessun uomo ha mai dato e mai potrà dare, avvalendosi esclusivamente della propria facoltà razionale, una risposta esauriente e definitiva.
Possono tuttavia essere avanzate delle ipotesi abbastanza probanti, a condizione che si abbia preventivamente cura di approfondire esaurientemente i concetti relativi alle parole che compaiono nel titolo del presente studio, vale a dire quelli di anima e di immortalità.
A volte, infatti, la risposta ad un quesito o la soluzione di un problema appaiono impossibili soltanto perché le premesse sono state mal poste, oppure perché non se ne conoscono a sufficienza i dati ed i termini relativi.
Nel caso in esame, quanti sono effettivamente in grado di realizzare pienamente i concetti di cui trattasi?
Già per quanto attiene all'anima, i dubbi sono non pochi: non in relazione alla sua esistenza, che è riconosciuta più o meno da tutti, bensì in merito alla sua reale essenza.
Ciò avviene anche perché la chiesa cattolica ha talmente confuso i concetti di anima e di spirito, attribuendo all'uomo soltanto la prima ed assegnando ad essa gli attributi del secondo, da rendere assai difficile, se non addirittura impossibile, l'uscita da questa specie di labirinto mentale per chi non sia in possesso dell'indispensabile filo di Arianna.
In quanto al concetto di immortalità, le cose stanno in maniera anche peggiore, per il sovrapporsi di diverse nozioni, quali: sopravvivenza, reincarnazione, trasmigrazione, resurrezione, perpetuità, eternità; tutte più o meno collegate al concetto principale di cui sopra.
Anche qui il cattolicesimo ha contribuito non poco a confondere le idee con il dogma della resurrezione della carne, dogma che una gran parte dei credenti interpreta alla lettera, senza neppure soffermarsi a pensare che se la carne dovesse veramente risorgere, resterebbe il non indifferente problema di accertare, per tutti coloro che non decedono precocemente, quale sarebbe il corpo suscettibile di risurrezione e cioè, riducendo a quattro le molteplici possibilità, se quello non ancora completamente formato dell'adolescenza, quello fiorente della giovinezza, quello pieno e vigoroso della età matura, oppure quello cadente e pieno di infermità dell'età avanzata.
Cercheremo quindi di chiarire i due termini del quesito, integrandoli nel quadro che è di loro pertinenza, vale a dire: -
la creazione, la esistenza, il cosmo, per l'anima; -
la Possibilità Universale, il Metacosmo, per l'immortalità;
e di sgombrare il campo dai dubbi e dai malintesi più comuni, che falsano maggiormente la nostra prospettiva.
Una volta effettuato questo importante lavoro di bonifica, una qualche risposta si affaccerà forse, del tutto spontanea, alla nostra mente.
Si intende per Possibilità Universale, secondo una espressione della tradizione induista, l'insieme delle possibilità comprese nella Realtà Assoluta, totale ed infinita; Realtà che ha due aspetti: l'Essere, o unità metafisica, principio della manifestazione e che comprende le possibilità di manifestazione - gli Archetipi, le Idee di Platone - in quanto si manifestano; il Non Essere, o zero metafisico, principio della non manifestazione e che comprende, oltre all'Essere che è non manifestato in sé stesso, le possibilità di non manifestazione - esempio: il silenzio;il vuoto e le possibilità di manifestazione in quanto non si manifestano.
Contrariamente a quanto potrebbe sembrare a chi non è uso a simile linguaggio, il Non Essere e la non manifestazione, lungi dal rappresentare il nulla, corrispondono, ammesso che sia lecito esprimersi quantitativamente, parlando di metafisica, alla quasi totalità della Possibilità Universale, la non suscettibilità di manifestarsi non costituendo affatto un minor grado di realtà.
Per chi non avesse eccessiva familiarità con il concetto di manifestazione, chiariremo che esso, nelle dottrine orientali, corrisponde, sebbene ad un livello diverso, al concetto di creazione delle religioni del ceppo abramico (ebraismo, cattolicesimo, islamismo): la differenza fra i due concetti non è altra che quella esistente tra il punto di vista esoterico e quello essoterico, il primo appartenendo ad un ordine più elevato e più profondo del secondo.
In effetti il punto di vista religioso non arriva a concepire ciò che è al di là ed al di sopra dell'Essere, ciò che non può essere espresso che sotto forme negative - quali: infinito, illimitato, incondizionato - qualsiasi definizione positiva corrispondendo ad una limitazione, laddove la negazione di ogni determinazione non è altro che una affermazione assoluta e totale.
L'attuazione integrale di tutte le possibilità che l'Essere comporta, costituisce l'Esistenza universale, esistenza che pur essendo unica, in virtù dell'Unità, che è il primo attributo dell'Essere, comprende tuttavia una molteplicità indefinita di stati, o gradi, o mondi, ciascuno dei quali viene realizzato secondo le condizioni che gli sono proprie ed alle quali è pertanto soggetto.
Nell'esistenza possiamo distinguere: la manifestazione informale - o priva di forma -, alla quale appartengono entità od intelligenze che le diverse tradizioni ricordano con i nomi di Angeli (cattolicesimo), Uri (islamismo), Apsara (induismo), Dakini (buddismo); e la manifestazione formale o con forma, la quale si suddivide a sua volta in manifestazione formale sottile, psichica, e manifestazione formale grossolana, corporea.
La differenza fra stato corporeo e stato psichico è abbastanza nota per dovervi insistere ulteriormente: piuttosto è importante far rilevare come questi due termini, come pure quelli di cui si è già parlato (formale ed informale), e conseguentemente quelli di cui si parlerà tra poco (individuale ed universale), non siano simmetrici e non possano neppure avere una comune misura.
I primi termini dei tre binomi, se così possiamo chiamarli, si riferiscono infatti ad una qualità ben determinata, e sono quindi definiti positivamente, laddove i secondi termini non sono caratterizzati che in maniera puramente negativa e sono quindi indefiniti.
Vogliamo cioè dire che, se effettuiamo una suddivisione di tutte le cose possibili facendo riferimento ad una qualsiasi qualità, le cose che posseggono tale qualità non sono che una quantità trascurabile rispetto a quelle che non la posseggono.
Possiamo infine, come si è già accennato, suddividere la realtà in due domini: l'Universale, che comprende la non manifestazione e la manifestazione priva di forma; l'individuale, che comprende la manifestazione formale, sia sottile che grossolana.
In generale, la forma è sempre sinonimo di individualità, mentre l'assenza di forma, o il passaggio al di là della forma (trasformazione), sono sempre sinonimi di universalità.
Si è detto che, nell'ambito della manifestazione, ciascuno degli indefiniti stati di esistenza, o mondi, è soggetto alle particolari condizioni che lo realizzano e lo determinano.
Ad esempio, il nostro mondo è condizionato dal tempo e dallo spazio: il cosmo, dalla durata, condizione analoga alla condizione tempo del nostro piano di esistenza.
Conseguentemente, tutto ciò che fa parte della manifestazione, tutto quanto nasce all'esistenza, ha come caratteristica la transitorietà ed è soggetto a mutamento, mutamento che si estrinseca non solamente nel passaggio da una modalità all'altra del medesimo stato, ma anche e soprattutto nella transizione da uno stato di esistenza all'altro; solamente lo stato di non manifestazione, essendo assolutamente incondizionato, è affatto permanente ed immutabile.
Attualmente in occidente vi è l'abitudine di chiamare morte soltanto la fine dell'esistenza terrena, esistenza che sembrerebbe rappresentare la metà dell'Universo, l'altra metà essendo rappresentata dal cosiddetto "altro mondo" in cui l'essere passerebbe dopo la morte.
Per alcuni poi, e cioè per i materialisti (più o meno storici) il nostro stato di esistenza rappresenterebbe addirittura la totalità dell'Universo, giacché essi negano anche l'esistenza dell'altro mondo, che per i precedenti rappresenta l'unica alternativa a questo.
Ad evitare malintesi, è bene ribadire che, parlando del nostro mondo e del nostro stato di esistenza, non si intende la sola terra e la sola esistenza terrestre, bensì la totalità dei pianeti, delle stelle, dei soli, delle galassie conosciute e sconosciute, la totalità, insomma, della manifestazione grossolana, e cioè lo stato corporeo, stato che rappresenta soltanto uno degli indefiniti piani dell'Esistenza Universale.
Anticamente invece, sempre in occidente, era abbastanza diffuso il concetto di trasmigrazione, secondo il quale l'essere manifestato che muore ad uno stato di esistenza, nasce contemporaneamente ad un altro stato individuale, la morte e la nascita essendo come le due facce di una porta che si chiude su uno stato e si apre su un altro, e questa successione di nascite e di morti prosegue indefinitamente, costituendo la corrente delle forme, fino a quando l'essere non riesca a superare la condizione individuale.
La nozione di trasmigrazione non deve essere confusa con quella affatto moderna, cara agli spiritisti ma sconosciuta a tutte le Tradizioni, di reincarnazione, secondo la quale gli uomini, dopo la morte e dopo la decorrenza di un intervallo di tempo più o meno lungo, tornano a nascere nuovamente come uomini, assumendo individualità diverse ma più evolute delle precedenti.
Nel pensiero orientale, invece, la morte era ed è tuttora giustamente concepita nel suo significato più generale, che è quello di semplice mutamento, di semplice passaggio da uno stato di esistenza ad un altro.
Questa concezione, del tutto analoga a quella della trasmigrazione, esclude anch'essa la ripetizione insita nell'idea reincarnazionista; ciò in considerazione della molteplicità indefinita delle modificazioni, delle modalità e degli stati dell'Esistenza Universale, per cui un essere non passa mai due volte per la stessa modificazione, modalità o stato.
Da quanto si è esposto, discendono due modi particolari di concepire l'immortalità, intesa in senso generale, se morte significa trasmutazione e passaggio, come immutabilità e non suscettività di cambiamento.
Nel pensiero occidentale moderno, escludendo quello materialista, che considera il mondo come la metà dell'Universo, l'altra metà essendo costituita dall'altro mondo o dall'altra vita, l'immortalità è concepita come la permanenza indefinita dell'essere, dopo la morte del corpo, in una specie di prolungamento della vita o condizione sottile, e pertanto ancora individuale, che costituisce la salvezza o la dannazione, a seconda che l'altra vita venga identificata con il paradiso o con l'inferno, paradiso ed inferno che vengono ritenuti eterni, vale a dire senza un principio e senza una fine.
Nel pensiero occidentale antico e nel pensiero orientale, secondo i quali il mondo non è che una porzione infinitesimale dell'Universo, ed i paradisi e gli inferni non sono che stati individuali sottili, rispettivamente superiori ed inferiori alla condizione umana, stati perpetui, riferiti cioè alla durata di un intero ciclo di manifestazione, ma non eterni, l'immortalità viene considerata come superamento sia della condizione individuale, sia della condizione superindividuale ma ancora manifestata.
Secondo tale concezione, che è poi quella iniziatica, e che accorcia alla precedente unicamente il nome di longevità, l'immortalità non può essere conseguita nell'altro mondo, ma solamente al di là di tutti i mondi, nella non manifestazione, nel metacosmo, che è lo stato assolutamente immutabile ed incondizionato.
Tutto ciò che fa parte della manifestazione, anche di quella priva di forma, è suscettibile di mutamento, è soggetto alla durata; anche gli angeli, anche gli dei muoiono, e gli antichi erano ben consci di questa verità, come si può dedurre da un dialogo di Plutarco: "Perché gli oracoli sono cessati", in cui si parla della morte del dio Pan.
In quanto al termine resurrezione nella tradizione occidentale, termine che viene talvolta usato anche per adombrare una rinascita o realizzazione di ordine spirituale, vedi, ad esempio, il simbolismo della "Leggenda di Hiram" nel rituale massonico di iniziazione al grado di Maestro, il suo significato metafisico, correlativo a quello di corpo glorioso, deve essere inteso come la trasformazione del corpo, ovvero come la sua trasposizione in modo principiale.
In altre parole, per resurrezione deve essere inteso l'affrancamento della possibilità corporea, dalle condizioni limitative cui è sottoposta, al pari di ogni altra possibilità di manifestazione, nella sua esistenza sul piano individuale: condizioni limitative cui il processo iniziatico di realizzazione metafisica, ovverosia l'iniziazione divenuta effettiva e non più virtuale, permette di sfuggire definitivamente.
È quindi abbastanza evidente come il concetto di resurrezione coincida, in ultima analisi, con quello di immortalità, o meglio, con il conseguimento di essa a coronamento del processo di reintegrazione dell'essere.
Il suo simbolismo è, in un certo senso, analogo a quello dell'occhio frontale di Shiva nella tradizione induista, occhio che "incenerisce ogni manifestazione" la piena realizzazione della possibilità principiale, conseguente alla trasformazione, apparendo come una distruzione dal punto di vista della manifestazione stessa, nonché a quello della Fenice, il mitico uccello che rinasce dalle proprie ceneri.
Passando ora ad esaminare il concetto di anima, cercheremo nel contempo di stabilire se tra le qualità peculiari di detta entità e le condizioni, se così possono essere chiamate, dello stato di immortalità, esista qualche analogia o qualche punto di contatto.
Cominceremo col citare un versetto tratto dal Vangelo di Luca, versetto che, leggendo fra le righe, rivela come il cristianesimo delle origini avesse un carattere essenzialmente esoterico, carattere riconosciutogli anche dall'islamismo, che lo considera una tariqah, ossia una via iniziatica, e che successivamente perse per motivi che non è qui il caso di esaminare.
II versetto ci fa anche comprendere come abbia potuto prodursi, dopo la perdita ricordata, quella confusione tra i concetti di spirito e di anima, cui si accennava all'inizio, confusione resa possibile dalla scomparsa, nel cristianesimo, di quella comprensione metafisica che è alla base di ogni via di realizzazione iniziatica.
"Quicumque quaesierit animam suam salvam facere, perdet illam, et quicumque perdiderit illam, vivificabit eam" (Luca XVII,33).
In effetti, l'antinomia cui sembra soggiacere l'anima si risolve non appena venga realizzato il duplice significato dato successivamente dall'evangelista alla parola in questione: dapprima quello individuale proprio dell'io, del me, ovverosia dell'entità psichica sottile e formale, comunemente chiamata anima; quindi il significato universale inerente al Sé, alla Personalità, ovverosia alla realtà superindividuale, informale, non manifestata, anche chiamata Spirito.
L'interpretazione esoterica del versetto, è quindi la seguente:
"Chiunque, nella concezione globale della realtà, è incapace di elevarsi al di sopra della nozione di anima individuale, dovrà rassegnarsi a vederla svanire, prima o poi, di fronte alla Personalità o Sé, il principio trascendente di cui l'anima è solo il riflesso condizionato sul piano formale".
Il versetto conferma pertanto la concezione ternaria "spirito-anima-corpo" propria del pensiero antico occidentale, concezione successivamente travisata in quella binaria "anima-corpo", anche per la deleteria influenza esercitata dal dualismo cartesiano.
II motivo per cui il cristianesimo ha poi fatta sua tale concezione binaria, è forse da ricercare nel fatto che, mentre corpo ed anima sono enti individuali, per cui l'uomo, parlandone, può effettivamente dire: "il mio corpo, la mia anima", lo spirito è universale e non può logicamente essere limitato da alcun aggettivo possessivo.
Che cosa è l'anima, e cosa si intende comunemente con tale termine? Verosimilmente essa deve comprendere tutto ciò che, nella individualità umana, non fa parte della compagine corporea e non ricade nel dominio dei sensi; si tratta quindi di una entità psichica estremamente complessa, che abbraccia, sensazioni, emotività, sentimento, memoria, pensiero, ragione, immaginazione e soprattutto, coscienza; coscienza intesa non come foro interiore, bensì come consapevolezza di esistere e di essere.
Soprattutto coscienza, in quanto si possono tacitare emotività e sentimento; si può perdere la memoria; si possono sospendere sensazioni, pensiero, immaginazione e facoltà razionale, e ciò nondimeno continuare ad essere coscienti, lucidamente consapevoli del proprio essere.
In ogni via di perfezionamento interiore, le tre facoltà animiche componenti della mente, ovverosia, pensiero, ragione ed immaginazione, vengono impiegate come mezzo operativo per contenere, mortificare e superare le sensazioni, l'emotività ed il sentimento, che rappresentano l'aspetto inferiore e più individuale dell'anima, a vantaggio dell'aspetto superiore che più si avvicina all'intelletto, vale a dire, della coscienza.
Infatti, nella via mistica come in quella iniziatica, il fine comune è quello di realizzare forme di coscienza via via più elevate e sempre più durature e permanenti, ed il mezzo per pervenirvi è, in ultima analisi, quello di superare e di trasformare, ma dal punto di vista della manifestazione, trasformazione equivale a distruzione, la componente animica più egoica ed individualistica, costituita appunto dal complesso, sensazioni, emotività, sentimento.
In quanto alla memoria, si tratta di una facoltà che ha ragione di esistere solamente in relazione alla condizione tempo, e che diviene assolutamente superflua nel quadro dell'eterno presente costituente l'eternità.
Da quanto precede appare chiaro come, anche durante la vita del corpo, l'entità anima possa venire progressivamente sublimata e trasmutata, e come si è visto parlando dell'immortalità, il significato più generale di morte è appunto, trasmutazione, "morite prima di morire", esorta una massima dell'esoterismo islamico, con evidente riferimento al processo di superamento e di mortificazione dell'egoicità cui si è accennato.
In quanto a ciò che avviene dell'anima dopo la morte del corpo, il quale è, comunque, un fattore di stabilizzazione dell'entità psichica, si può arguire che essa, essendo composta di una materia più sottile e meno corruttibile, sopravviva al corpo per una certa durata, e che questa sopravvivenza possa anche essere perpetua, riferita cioè, come si è già detto, ad un intero ciclo di manifestazione.
Alcune tradizioni essoteriche parlano però della temibile eventualità della seconda morte, intesa come dissolvimento dell'entità sottile animica dell'essere umano che, se non è riuscito a superare la condizione individuale non ha altra alternativa all'infuori di quella di passare a stati inferiori di esistenza.
Nella tradizione induista, il Vedanta che può essere ritenuto una dottrina puramente metafisica, prospetta un significativo simbolismo nel quale adombra lo Spirito (Atmâ) con il sole, l'anima (jivâtmâ) con la sua immagine riflessa in uno specchio d'acqua, l'intelletto (Buddhi) con il raggio luminoso che origina il riflesso venendo ad incidere sulla superficie speculare.
Secondo tale analogia, l'anima è quindi determinata dall'intersezione, con il piano individuale, dell'intelletto, ente manifestato ma privo di forma, che procede direttamente dallo Spirito nel processo creativo, ed è pertanto l'elemento di unione tra anima individuale e Spirito universale.
Anche l'intelletto, essendo privo di forma, è universale come lo Spirito, e potrebbe, a rigore, essere identificato con esso; solo che occorre distinguere tra Spirito inteso in senso assoluto, e spirito considerato in rapporto alla manifestazione.
Come l'occhio, per un effetto di prospettiva che pur essendo illusorio esiste tuttavia per la manifestazione, non può fare a meno di distinguere il sole dai suoi raggi, pur essendo la luce essenzialmente una e della medesima natura nell'uno o negli altri, così l'intelletto può essere considerato come l'espressione dello Spirito nella manifestazione stessa.
Dal simbolismo dell'immagine solare riflessa nello specchio d'acqua, possiamo trarre le seguenti deduzioni: eliminando la superficie speculare, l'immagine riflessa scompare ma permane il raggio luminoso, o meglio, la luminosità radiante che la originava; venendo meno il corpo e successivamente la sostanza determinante dell'anima, ne permane tuttavia l'essenza principiale; dissolvendosi l'individualità, permane la Personalità; venendo meno la coscienza individuale, sussiste la coscienza universale.
Deve quindi esistere, la parola esistere non è la più adatta a rendere l'idea, riferendosi esclusivamente all'esistenza, alla manifestazione, e va quindi trasposta su un piano superiore, una qualche continuità fra anima individuale e Spirito Universale, non solamente nel processo discendente di passaggio dalla non manifestazione alla manifestazione priva di forma ed alla manifestazione con forma, ma anche nel processo inverso, ascendente, di reintegrazione dell'essere.
Nel processo discendente, tale continuità è costituita dall'intelletto e dalla prima determinazione risultante dall'incontro di esso con il piano formale, vale a dire, dalla coscienza individuale; analogamente ed inversamente, nel processo ascendente, dalla coscienza, che deve cessare di essere individuale per trascendere il piano formale e trasformarsi in universale, ovverosia in intelletto, e dall'intelletto stesso.
La coscienza è, dunque, l'unica componente animica suscettiva di conseguire l'immortalità, a condizione, beninteso, che cessi di essere distintiva per fondersi, ma non per confondersi, con l'intelletto universale; diviene pertanto immortale l'anima della quale detta coscienza cessa di essere componente per divenire totalità.
Questa totalizzazione e fusione della coscienza, che "intellettualizza" l'anima, costituisce la realizzazione iniziatica,
Nel corso di essa, le componenti psichiche inferiori, rappresentate da sensazioni, emotività e sentimento, muoiono, ovverosia vengono, come si è già accennato, progressivamente sublimate e trasmutate in coscienza, la quale diviene sempre più potenziata ed onnipresente anno per anno, mese per mese, giorno per giorno.
Verso la fine dell'iter iniziatico, ammesso che si riesca a pervenirvi, anche le componenti psichiche superiori, vale a dire pensiero, ragione ed immaginazione, che sono state lo strumento per tale trasmutazione, divengono, oltre che inutili, addirittura un ostacolo, trattandosi ancora di facoltà individuali, alla finale trasformazione; anche esse, pertanto, debbono venire trasmutate in coscienza, finché arriva il momento in cui questa coscienza onnipresente, che rappresenta ormai la totalità non corporea dell'essere, essendo stato definitivamente superato il piano formale, cessa di essere distintiva per divenire universale.
A questo punto il cammino iniziatico è pervenuto ad una tappa molto avanzata e l'immortalità è conseguita; ormai l'essere non ha più bisogno di sentire, di desiderare, di pensare, di ragionare e di immaginare; ormai, non rappresentando più per lui, il tempo e lo spazio, delle condizioni limitative, egli non ha più bisogno di ricordare; ormai egli ha conseguito la Conoscenza e l'identificazione con la Realtà, ma l'anima, ovverosia l'aggregato delle varie componenti psichiche, non esiste più, ciò che rimane è solo coscienza totale, intuizione pura, intelletto trascendente.
Quanto si è detto a proposito del concetto di immortalità riferito all'anima, dovrebbe far comprendere come esso non abbia nulla a che vedere con il concetto di conservazione della materia, cui i soliti materialisti tentano di ridurlo.
"L'anima è materia", essi sostengono, ed hanno ragione; "della materia nulla si crea e nulla si distrugge", essi proseguono, e non hanno torto, a patto però che si consideri un solo ciclo di manifestazione; "quindi, come tutta la materia, anche l'anima è indistruttibile, e perciò immortale", essi concludono.
I1 sofisma è evidente, sol che si consideri che il principio di conservazione della materia non esclude affatto il suo cambiamento, anzi è basato appunto sulla sua trasmutazione, e trasmutazione, come si è visto, non significa altro che morte.
A parte ciò, non si comprende quale significato possa avere questa immortalità "sui generis, concepita dai materialisti per l'essere umano e per la sua entità animica, visto che nel ricordato principio di conservazione della materia, nulla, assolutamente nulla, permette di porre l'ipotesi di una sopravvivenza qualsiasi della coscienza.
Infatti, e ciò rende necessario accennare, sia pur brevemente, alla questione dei residui psichici, quando un essere umano passa ad un altro stato di esistenza, lascia dietro di lui, specialmente quando il trapasso avviene violentemente o, comunque, per cause non naturali, oltre alla salma o cadavere corporeo, anche una specie di cadavere sottile, costituito da residui delle componenti inferiori della propria entità psichica, quali desideri, sentimenti, passioni, e tali residui, che rientrano nella più generale categoria di entità che la tradizione estremo orientale chiama "influenze erranti, hanno il carattere peculiare di essere affatto privi di qualsiasi forma di coscienza.
Essi sono cioè delle forme di energia assolutamente incontrollate, suscettibili di essere captate e dirette da chi ne ha la conoscenza ed il potere (maghi, stregoni), oppure semplicemente avvertite od evidenziate da chi possiede solo determinate facoltà non accompagnate da conoscenza (sensitivi, mediums).
Sono appunto tali residui psichici che nelle sedute spiritiche pur conservando una illusoria apparenza dell'essere cui appartenevano, assumono una larva di coscienza che viene loro temporaneamente ceduta dal medium o da qualche altro partecipante alla seduta il che spiega come i presenti possono illudersi di entrare in contatto con i cosiddetti spiriti dei defunti; sono sempre questi residui psichici che, nei periodi successivi a grandi stragi di esseri umani, quali cataclismi naturali, mortali epidemie e guerre, avvelenano letteralmente, e per lungo tempo, gli ambienti cosmici che sono stati il teatro di tali stragi, il che spiega la generale involuzione dei costumi e l'atmosfera di violenza che, fatalmente, hanno seguito le due ultime guerre mondiali, particolarmente la più recente, che è stata anche causa di maggiori carneficine.
Dovrebbe quindi apparire chiaro come il parlare di una immortalità incosciente, sia solo una contraddizione nei termini, la vera immortalità presupponendo, anzitutto, il sussistere della coscienza.
Del pari, non sono altro che sofismi, argomenti similari, ugualmente addotti dal materialismo nel tentativo di travisare il concetto di immortalità, quali il concorso della materia componente il cadavere, nella produzione di altre forme di vita, oppure la effimera sopravvivenza di determinati organi umani, resa possibile dalla moderna tecnica dei trapianti.
Per concludere questo studio, non certo per esaurire l'argomento di esso, si può accennare al rovesciamento di prospettiva che sopravviene per l'essere la cui coscienza cessa di essere distintiva per trasformarsi in universale.
Il punto di vista individuale, ovverosia il modo di concepire, sentire, vedere, in definitiva conoscere, il mondo, è precipuamente basato sulla distinzione tra soggetto (che percepisce) ed oggetto (che viene percepito).
Il mondo viene conosciuto, nei limiti inerenti alle possibilità di ciascuno, come una realtà esteriore al soggetto, e si tratta di una conoscenza approssimativa, di tipo mediato, in quanto si estrinseca, quasi esclusivamente, per tramite dei sensi.
Secondo questa prospettiva, l'anima viene invece avvertita come una entità interiore, situata cioè entro i ristretti limiti del corpo fisico, e ad essa fa riscontro l'ordinario simbolismo geometrico, secondo il quale il centro di ogni cosa corrisponde al suo punto più interno, ed è pertanto contenuto ed avvolto dalla cosa stessa.
Tale prospettiva individuale, sebbene pienamente valida per la mainfestazione, in quanto rispondente ad un grado di realtà relativo è tuttavia illusoria nei confronti della Realtà assoluta, giacché l'anima non può verosimilmente essere contenuta nel corpo, non potendo tutto ciò che non appartiene al mondo corporeo, essere limitato dallo spazio e dal tempo.
L'illusione diviene ancor più manifesta alla facoltà intuitiva, ma non per questo cessa di esercitare la propria presa sulla coscienza individuale, qualora si consideri lo spirito invece dell'anima.
Si è visto che la prima determinazione risultante dall'incontro dello spirito con il piano formale, è la coscienza distintiva, ed è appunto a questa coscienza che si deve l'illusione che fa sembrare lo spirito come contenuto nel corpo.
Dovrebbe invece apparire chiaro come, essendo lo Spirito il principio essenziale della manifestazione, esso non possa essere condizionato, né tampoco contenuto, dalla manifestazione stessa; al contrario, è lo Spirito a comprendere e ad avvolgere tutta la creazione, sebbene questo comprendere e questo avvolgere non debbano essere qui intesi in senso spaziale.
Orbene, quando verso la fine del cammino iniziatico, la coscienza individuale si trasforma in coscienza universale, l'illusione cessa finalmente di esercitare la propria influenza.
La coscienza, divenuta totale, onnipresente ed onnicomprensiva realizza il mondo, le cose, il corpo stesso, come essenzialmente immateriali e facenti capo al nucleo profondo di essa; cessa ogni distinzione tra soggetto ed oggetto; la conoscenza diviene immediata, e cioè piena identificazione con la realtà; il simbolismo geometrico risulta ormai del tutto inadeguato, in quanto è ora l'interiore ad avvolgere l'esteriore, è il centro a contenere il tutto.
Scrive, magistralmente, René Guénon, a proposito di questo rovesciamento di prospettiva: "Una delle migliori illustrazioni dell'applicazione del senso inverso, è data dalla rappresentazione dei diversi cieli, corrispondenti agli stati superiori dell'essere, per mezzo di altrettanti cerchi o sfere concentrici, quale si trova, ad esempio, in Dante. In questa rappresentazione sembra dapprima che i cieli, se sono più vasti, vale a dire meno limitati, man mano che divengono più elevati, siano anche più esteriori, ossia più lontani dal centro, questo essendo costituito dal mondo terrestre; tale è il punto di vista dell'individualità umana, rappresentato dalla terra, e questo punto di vista corrisponde ad una verità relativa, in quanto questa individualità è reale nel suo ordine e da essa bisogna necessariamente partire per elevarsi agli stati superiori. Ma non appena l'individualità è superata, avviene il rovesciamento di cui abbiamo parlato (e che è realmente un raddrizzamento dell'essere), e tutto l'insieme della rappresentazione simbolica si trova ad essere, in un certo senso, rovesciato; è ora il cielo più elevato ad essere, contemporaneamente, il più centrale, poiché è in lui che risiede il centro universale stesso; per contro il mondo terrestre è ora situato alla periferia più esterna. Occorre inoltre osservare, per quanto concerne la situazione, che in questo rovesciamento, il cerchio che corrisponde al cielo più elevato, deve tuttavia essere il più grande di tutti ad avvolgere tutti gli altri...; bisogna bene che sia così, poiché nella realtà assoluta è il centro che contiene tutto. L'impossibilità di raffigurare materialmente questo punto di vista, secondo il quale ciò che è il più grande è, nello stesso tempo, il più centrale, non esprime insomma altro che le limitazioni stesse cui il simbolismo geometrico è inevitabilmente sottomesso per il solo fatto di essere un linguaggio che riproduce la condizione spaziale, vale a dire una delle condizioni proprie del nostro mondo corporeo, e che sono, di conseguenza, esclusivamente inerenti all'altro punto di vista, quello dell'individualità umana".
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