Lo Spirito del Deserto |
Il documento, che di seguito presentiamo ai nostri visitatori, è una lettera inedita di Aleister Crowley nella traduzione offertaci dal Fra.'. al awr fh swr (Capo Italiano dell’O.T.O.). A Lui i nostri sinceri ringraziamenti per aver scelto il portale della Montesion per la diffusione in rete di questo documento. Ogni diritto gli è riconosciuto. © al awr fh swr Il documento è opera della maestria del suo autore. La traslitterazione ebraica è quella in uso nel testo in originale, vale a dire non secondo il modo di scrittura ebraico da destra a sinistra ma da sinistra a destra. Il contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I. La diffusione in rete del documento è subordinata alla citazione della fonte e dell'autore.
Fai ciò che vuoi sarà tutta la Legge 1. Il Viaggio Lo spirito è, per sua stessa natura, perfetta purezza, perfetta calma, perfetto silenzio; e come un pozzo sgorga dalle intime falde della terra, allo stesso modo l'anima si nutre del sangue di dio, l'estasi delle cose. Quest'anima non può in alcun modo venir ingiuriata, guastata o rovinata. Ma ogni cosa che di volta in volta vi si aggiunge la contrista; e ciò è dolore. Di ciò ne è testimonianza il linguaggio stesso: ogni parola che indichi infelicità prima di tutto significa disturbo, inquietudine, preoccupazione. La radice dell'idea del dolore è l'agitazione. Per tanto tempo l'uomo nella sua ricerca della felicità ha percorso la strada errata. Per saziare la sua sete egli ha aggiunto, in quantità sempre crescenti, sale all'acqua della vita; per coprire i piccoli salti della sua immaginazione ha fatto sorgere montagne dove fiere selvagge e pericolose dimoravano. Per curare la scabbia egli ha scorticato il paziente; per esorcizzare il fantasma ha evocato il demonio. Come tutto questo ebbe inizio, è il principale dei problemi filosofici. I Rishmi, i sette che erano assisi sul monte Kailasha a meditare, risposero che l'anima diviene autocosciente; ed urlando: "Io sono Quella!" divennero doppi nel momento in cui asserivano che essa era una. Una simile teoria può essere considerata non troppo differente dalla verità da chiunque ritorni alla torre sui bastioni dell'animo e scorga la città. Ma lasciamo ai dottori il discutere le cause della malattia; per colui che ne soffre è sufficiente conoscerne la cura e porla in pratica. Abana e Pharpar, i fiumi di Damasco, non valgono la semplicità del Giordano. Il Profeta ha parlato; non è nostro dovere obbedire: e tanto dolci e virtuose sono queste acque che al primo contatto raggelano lo spirito con la sicura anticipazione della cura. Non dubitare, Fratello! La ragione infatti può elaborare ridde di ipotesi; non sono forse questi i veri sintomi del male? Non ti serve altro che il più ortodosso buon senso, eredità dei più semplici e felici antenati, che ti è stata trasmessa con la verga. La cura del male è semplice; per l'inquietudine, la pace; per il logorio, la quiete. Per apprendere l'equitazione è inutile lo studio del manuale, ma è necessario montare; come il miglior modo di nuotare è entrare nell'acqua e muovere le braccia; in tal modo è il senso freddo, e non la febbricitante ragione, che dice: per avere quiete, si pratichi la quiete. Vi sono uomini di volontà così forte, così capaci di concentrare la mente, da rifiutare le influenze che non desiderano ricevere, da isolarsi da ogni rumore, anche quelli fastidiosi ed insistenti di una grande città. Ma per la maggior parte degli uomini, è preferibile cominciare in condizioni più favorevoli, scalare montagne col bel tempo, anziché nella tormenta. E l'aspirante meticoloso risponderà: "Provvedi che la cura sia completa, provvedi che il male non ritorni non appena si smette di somministrare la medicina." Ah! Questo sì che è arduo: così profondamente è insediata la malattia che perfino dopo anni di completa assenza di sintomi, essa approfitta di un attimo di debolezza per ristabilire nuovamente il proprio dominio. É febbre malarica che si cela nel profondo, che si nasconde nell'essenza del sangue, che ha fatto ‘sì che la reale sorgente di vita partecipasse con essa al sacramento di morte. - "É stato trovato un ragno nella coppa eucaristica?" - "É stato trovato un rospo nel fonte battesimale?" - No: il rimedio è sicuramente efficace; ma spesso non guarisce una volta per tutte, al di là di ogni ricaduta. Eppure è semplice; una volta che i sintomi abbiano debitamente cessato di manifestarsi, non torneranno mai con eguale intensità; e se il malato avrà l'intelligenza di continuare a curarsi, la febbre scomparirà del tutto. Cos'è perciò determinante? Curare il paziente una volta; far sì che abbia fiducia nell'efficacia della cura così che, se per caso, gli accadesse di ammalarsi di nuovo, senza un dottore a disposizione, sarebbe in grado di provvedere da solo. Se, perciò, è il pensiero a disturbare l'anima, non vi è che un solo modo di procedere: smettere di pensare. Questo è il compito più arduo da intraprendere per un uomo. "Datemi un fulcro per la leva", diceva Archimede, "e vi solleverò il mondo". Ma cosa si può fare, quando si è parte integrante dell'intero meccanismo di moto che si desidera fermare? La Prima Legge di Newton si abbatte come la lama del boia sul nostro tentativo. Buon per noi che ciò non sia tanto vero quanto ovvio! Poiché l'unica cosa che ci salva, l'unica soluzione di tutto questo è il riposo. Il movimento è solo possibile in una coppia reciproca; la somma dei suoi vettori è zero. Il nodo dell'universo è solo apparente; pur se appare di Gordio, lo si tiri fermamente ed esso si scioglierà. É questa apparenza che provoca il danno; le tenebre sono scese sul golfo, le nuvole si addensano minacciosamente in forme mostruose; una falsa luna si illumina dietro di esse; abisso nell'abisso da ogni parte, oscurità e pericolo; il suono diabolico di ostili entità! Un riflesso di stelle ed ecco il Ponte d'Oro! Stretto e lungo, tagliente, quasi il filo del rasoio, sfavillante come la lama di una spada; un vero ponte purché non ci si appoggi a destra o a sinistra. Varcatelo - bene! Ma tutto ciò è un sogno. Svegliatevi! Dovete sapere che tutto questo, il golfo, la luna, il ponte, il drago ed ogni altra cosa, non sono che fantasmi del sonno; ricordatevi che varcare il ponte in sogno è l'unico modo per svegliarsi. Non so quanti altri uomini abbiano la mia stessa esperienza nell'autoindurre il sogno, o piuttosto nel contesto tra il perseguito e il non perseguito, nel sogno. Ad esempio sono su una vetta ghiacciata con Oscar Eckstein. Egli scivola da un lato, io mi getto dall'altro. Iniziamo ad scavare gradini fino al picco; l'ascia mi scappa di mano, o forse mi viene strappata. Iniziamo a tirarci su fino alla cima con la corda; la corda comincia a sfilacciarsi. Fortunatamente essa poggia su uno sperone di roccia. Un avvoltoio si avventa si di noi; invento una pistola e gli faccio saltare le cervella. E così via, attraverso migliaia di avventure, rendendomi padrone di ogni evento, non appena esso si concretizzi. Ma sono cresciuto ora, e sono sazio di brivido. Ora, al primo accenno di pericolo, metto le ali e plano maestosamente sul ghiacciaio. Questa digressione è utile allo scopo di sovrapporre tale triangolo su quello del "compito": fermare il pensiero. Appare semplice, ed è semplice, quando lo si è padroneggiato. Fino a quel momento è atto solo a portarvi lontano dalla semplicità. Io stesso ho scritto qualche milione di parole per smettere di pensare! Ho coperto chilometri di tela con quintali di vernice per fermare il pensiero. Perciò può darsi ch'io sia da considerare un'autorità dei metodi errati; e forse, per esclusione, del modo giusto! Sfortunatamente, non è tanto facile come questo ... vi sono sessantanove modi di comporre canti tribali, e ciascuno di questi è giusto. E quello giusto per uno è spesso sbagliato per l'altro. Ma fortunatamente, più è reso essenziale l'obbiettivo, più scarni e semplici saranno i metodi. Ovunque, nei miei scritti, si trova un resoconto dettagliato ed accurato del processo. Questo saggio è solo un'apologia ad un possente motore catalizzante. Servono le spalle di Ercole per ruota del carro del principiante, la cui diffidenza suggerisce la sua incapacità a seguire quelle istruzioni nelle difficoltose circostanze della quotidianità, o per l'entusiasmo di chi saggiamente determina come Kirk Patrick di 'Mak Siccar'! Infatti, le preoccupazioni mondane, la falsità del denaro, la lussuria della carne e dell'estetica, l'orgoglio della vita, e tutti gli altri nemici dei santi, soffocano la parola e la rendono sterile.
2. Il Deserto Se la pace di un monastero è falsa per la lenta, insana ed artificiale monotonia, la vera cura per ogni disturbo del pensiero è la natura, l'essenza del deserto. Qui l'anima si sottopone ad una triplice trama: primo, la novità del "paesaggio", la sua strana e saliente semplicità dal potere lenitivo. Ciò è propedeutico alla cura; si respira infatti l'atmosfera di casa; si è sicuri della vocazione dell'anima. Secondo, la frivolezza della mente, una volta saziata dalla novità, si annoia, diviene insofferente anche ad una passionale ribellione. Il Novizio si avventa contro le sbarre; lo straniero del deserto vola verso Londra o Parigi con il diavolo alle calcagna. Un vero saggio non frena l'accolito che non è capace di trattenere se stesso; ma nel deserto, l'esule, se dubita dei propri poteri - ancora di più, forse, se non li disconosce! - potrebbe rendere impossibile il ritorno. Ma come dovrebbe agire in tal caso? Credete me, che ho provato, il viaggio più lungo, le difficoltà più aspre, sono come nulla, una freccia luminosa di gioia, quando il grande orrore è stato lasciato alle spalle e si ha davanti il santuario di Parigi! Perché in verità, il grande orrore - solitudine - è nel momento in cui lo spirito non può immergersi, per molto, in una mente in continuo mutamento, ridere mentre le sue piccole onde solari lambiscono la pelle, ma, fare silenzio nel castello di pochi pensieri, passeggiare nella sua stretta prigione, scaricando la pietra del tempo, nutrendosi dei suoi stessi escrementi. Non splendono stelle nell'oscurità di tale notte, nè si agita schiuma sul mare, putrido e stagnante. Anche la forma vibrante che il deserto conferisce al corpo, è come una lancia nella gola dell'anima. Il passionale bisogno di agire, pensare, scava lo spirito sin nel profondo come un cancro. É lo scorpione che punge se stesso nella sua agonia, e nessun'altro veleno può aggiungersi alla tortura del cerchio di fuoco; nessuna angoscia ulteriore lo strappa al suo annichilimento. Ma contro questi parossismi vi è un ottuplice sedativo. Il delirio di follia si perde in uno spazio senza suoni; gli appelli di colui che affoga, non sono raccolti dal mare. Questi sono gli otto geni del deserto. Sono gli otto elementi del fohi: Maschile Femminile Il Lingam (vita) La Yoni (spazio. Le stelle) Il Sole La Luna Il Fuoco L'Acqua L'Aria (legno) La Terra Nel deserto essi sono scissi: ciascuno di essi è nudo. Sono puri ed imperturbati; non si spezzano o si dissolvono per mezzo di incontri o comunioni; ciascuno è se stesso ed isolato, in armonia con gli altri, ma in alcun modo interferendo. Le linee di demarcazione sono nette e secche; ma inspiegabilmente da esse nasce morbidezza. Sono immitigabili, gli otto elementi, eppure insieme, essi mitigano incommensurabilmente. La mente che si rivolta contro di loro è inchiodata a terra dalla loro persistente pressione: come quando si getta un microscopico cristallo di sale nell'acqua, esso viene eroso silenziosamente e rapidamente, e non è più. L'acqua non si è increspata; la sua azione è quella del destino, infinitamente ineluttabile quanto infinitamente calma. In tal modo la mente si adegua a questo o a quel pensiero; e poi viene ricondotta indietro al silenzio dagli otto grandi fatti. Il vento del deserto non tollera alcun ostacolo nella sua corsa; il sole risplende bruciante sulla terra cotta del villaggio; la sabbia sotterraneamente e inesorabilmente corrode l'oasi, eccezion fatta per il breve momento in cui l'uomo pone la sua opera contro di essa. Eppure nonostante questo, la sorgente sgorga magicamente dalla sabbia, e neanche il simun può costringerla o evaporarla; tantomeno l'immane sterilità del deserto riesce a sconfiggere la vita. Guardate in ogni dove, ogni duna di sabbia ha i propri abitanti - non coloni, ma indigeni dell'apparentemente inospitale distesa. La luna stessa che placidamente compie la sua rivoluzione intorno alla terra, cambia apparentemente, quasi a dire: "Anche in questo modo ti avvicinerai al sole. Sono nuova o sono piena? Non fermare su questo il tuo pensiero; poiché il mio modo d'essere non è che il punto di vista da cui tu mi guardi. Io sono solo lo specchio della Luce Solare, buio o luminoso secondo l'angolazione del tuo sguardo. Lo specchio muta? Non è sempre di levigato argento? Non ho forse invece una faccia sempre rivolta verso il sole? Prenderai gioco di te stesso se mi chiami 'Colei che Cambia'." Con riflessioni di questo tipo, può darsi che porrete fine alla ribellione della mente contro il deserto. Poiché la vita stessa, qui nell'oasi è qualcosa di ordinato da questi elementi. La notte è fatta per dormire, non vi è nulla per cui vegliare, non vi è luce artificiale, nè nutrimento letterario artificiale. Non vi è scelta di carne: si è sempre affamati. Il condimento del deserto è fame, fame unica come le salse per gli inglesi. Dopo aver mangiato, bisogna mettersi in cammino; e vi è un solo luogo dove andare. Vi è una sola lezione da imparare: la pace; un solo commento sulla lezione: il ringraziamento. L'amore stesso diviene semplice ed essenziale come il resto della vita. Uno sguardo nel Cafè Maure, un patto silenzioso con la delizia, una dolce fuga verso lo spazio aperto tra le dune sotto le stelle dove il villaggio è stato gettato, come non fosse mai esistito, come sono in quel momento felice tutte le trasgressioni del peccatore, ed ogni urlo di vita, eccetto la virtù del Santo Uno; oppure verso l'ombroso angolo di un giardino dell'oasi, accanto al ruscello, dove, attraverso le palme che vibrano dolcemente, giungono i primi raggi lunari da oriente, e la vita rabbrividisce e vibra in un intorpidito unisono; tutto, tutto in silenzio, né nomi, né lamenti vengono scambiati, ma un atto si conduce al termine con chiara volontà. Mai più. Nessun rumore, o confusione, o disperazione, o auto tortura, nemmeno nel ricordo, e ciò all'inizio è orribile; ci si aspetta così tanto dall'amore, tre volumi di falsità, un labirinto invece di un giardino. Da principio è difficile capire che ciò è amore non più di quanto un brufolo sia parte del collo di un uomo. Tutte le spezie con cui siamo abituati a condire la pietanza per i nostri palati depravati, da Maxim, da S. Margaret, corse in automobile, la Corte dei Divorzi, questi insani piaceri. Non sono l'amore. Tantomeno l'amore è l'esaltazione delle emozioni, sentimenti, follie. La porta di servizio non è l'amore (o il ponte in via degli innamorati); amore è la corporea estasi di dissoluzione, la tortura della morte della carne, in cui l'Ego per un momento è simile ad un Eone che ha smarrito l'ineluttabile coscienza di sé; e diviene un unico con la coscienza di un altro, presagendosi quel più alto sacramento di morte, quando "lo Spirito ritorna a Dio che lo originò". E questo segreto ha pure la sua funzione nell'economia della vita. Mediante la strada del silenzio si arriva al cancello della Città di Dio. Come la mente è il possente guerriero (cioè Pace Imperturbabile) di questi elementi del deserto, così infine l'Ego si ritrova da solo, senza armatura, conscio di sé e di null'altro. Questa è la suprema angoscia dello spirito: comprende se stesso come se stesso, una cosa separata da ciò che non è se stesso, da Dio. In quest'impulso vi sono due vie: se paura ed orgoglio permangono nell'anima e, essa si richiude in sè, come uno stregone nella torre, che batte i denti in agonia. "Io sono io", urla, "Non perderò me stesso". Ed in tale stato di dannazione, viene lentamente lacerato dagli artigli delle circostanze che si disintegrano amaramente, per ogni suo struggimento, attraverso i secoli dei secoli, i suoi stracci sono destinati ad essere lacerati nel letamaio oltre le mura della città. Ma se lo spirito comprende la benedizione di quella sublimazione che abbranca l'universo e lo divora, che è senza speranza o paura, senza fede o dubbio, senza amore o odio, dissolve sé stesso e quindi vive ineffabile la sua essenza nella generosa beatitudine di Dio. Esso urla come Shelley, che "le catene di piombo sul volo di fuoco" lanciano metallo fuso dalle sue membra: "mi affanno, affondo, tremo, spiro" e nell'ultima esalazione diviene uno con il primitivo e finale respiro, il Santo Spirito di Dio. Tale deve essere l'acme di ogni ritiro nel deserto da parte di ogni Aspirante ai Misteri, il quale possieda la scintilla di fuoco in lui; egli viene in armonia con la quiescenza fisica (alla regolarità, semplicità, unità di movimento) dal costante esempio e compulsione degli elementi. Egli viene obbligato all'introspezione dalla essenzialità del paesaggio esteriore, la percezione oltre le sensazioni, la legge che è posta sotto la percezione, ed infine quella coscienza che è fonte di legge. Prima o poi, secondo la sua energia o la sublimazione della sua volontà, egli deve strappare il velo e ammaliarsi dei muri lucenti dello spazio, deve proferire nell'estasi raggiunta: "Questo è l'Io!". Ora fatelo scegliere! Da questo momento dell'annichilimento del Sé in Pan, egli è guarito dalla malattia, "autoconoscenza". Egli può ritornare tra i suoi amici, e muoversi tra loro come un re, brillare tra loro come una stella. A lui giungeranno ineluttabilmente per la luce, a lui giungeranno per risanare le ferite. Egli alzerà la sacra lancia, e toccherà il fianco del re, che non venne ferito da arma minore; ed il re sarà sanato. Infilerà la punta della lancia nel Santo Graal, e di nuovo risplenderà di vita ed estasi, spandendo il dono di refrigerio misterioso ad ogni compagnia di cavalieri. Poi, avranno le rocce della vita lacerato il suo corpo, e la neve raffreddatolo, e non vi sarà direzione verso cui volgersi? Avrà egli raggiunto il segreto? Non sarà egli entrato nel Santuario del Più Sommo? Sarà prescelto ed armato contro tutte le cose? Non è egli padrone del destino e degli eventi? Cosa può toccarlo, essendo divenuto intangibile, perduto in Dio? O conquistarlo, essendo divenuto inconquistabile per aver conquistato se stesso essendosi donato infine a Dio? Tanto si può scrivere sulla sabbia, quanto il dolore può incidere sulla sua anima. Tanto è possibile oscurare il sole, quanto soffocare la luce che è in lui. Questo scrissi nei giardini di palme di Tozeur, vicino alle acque della sorgente; così scrissi mentre il sole maestosamente calava nel cielo, ed il vento sussurrava di non provenire da alcun luogo ed in nessun luogo essere diretto, come scivolasse da eternità ad eternità. Amen. Amore è la legge, amore sotto la volontà Aleister Crowley, Tozeur, 17 marzo 1914 e.v.
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Musica: "Os que a Santa Maria" Cantigas de Santa Maria secolo XIII |