Il Milindapanha
Lo studio che segue fu rinvenuto, in forma di fotocopia, fra i documenti della Montesion, senza data ne autore. L'ignoto F:. ci introduce alla comprensione di uno dei maggiori testi di insegnamento buddista. L'elaborato costituisce un opera della maestria dell'anonimo Fratello. Il suo contenuto non riflette necessariamente la posizione della Loggia o del GOI. Ogni diritto è riconosciuto.
La primavera dell'anno 325 av. Cristo in cui Alessandro il Grande valicò Indo, è una delle più importanti nella storia delle antiche civiltà; la conquista dell'India venne paragonata alla scoperta dell'America per l'importanza che questi avvenimenti ebbero sulla civiltà del loro tempo.
Erano tempi inquieti, i re si succedevano ai re senza unità dinastica; chi spinto dall'ambizione arrivava al supremo potere veniva dopo poco tempo detronizzato o ucciso; nello spazio di cento anni si contano ventitrè sovrani che regnarono nella Battria ed in India.
L'opera ha carattere fantastico e non possiamo attenderci ch'essa ci riveli importanti notizie storiche degne di fede; tanto più che il libro contiene in qualche parte delle imitazioni di opere anteriori.
All'autore, il mondo intellettuale greco doveva essere affatto sconosciuto e tutti i discorsi messi in bocca al re e al suo interlocutore hanno carattere assolutamente indiano. Un giorno il re, dopo una visita alle truppe, esprime il desiderio di discutere con un sapiente, sia egli buddista o bramano; i cortigiani gli nominano sei celebri maestri che godono la riverenza di tutto il popolo, ma anche questi, interrogati uno per uno, vengono vinti dal re Milinda. Egli pensava: «L'india ormai è vuota; non esiste alcun bramano o buddista che sia in grado di discutere con me?» - e dice ai suoi ministri: - «Dolce e chiara è la notte: trovatemi voi un bramano o un buddista che voglia conversare con me e risolvere i miei dubbi». I ministri tacciono e non possono dargli nessun consiglio. I miliardi di santi, con Assagutta alla testa, spariscono dal monte per riapparire nel cielo dei trentatrè: colà vengono ricevuti con grande riverenza da Sakka (cioè Indra. Va rilevato che nella letteratura buddista tutti gli dei sono seguaci di Buddha). Il re degli dei guida i santi da Mahasena; Assagutta lo abbraccia e lo prega in nome di tutta la comunità di rinascere nel mondo degli uomini.
Come si vede, tanto era il rispetto tributato al re, che l'autore di questi dialoghi ritenne necessario sconvolgere cielo e terra per trovargli un degno avversario. Va poi ricordato che Mahasena o Nagasena, com'è il suo nome sotto spoglie mortali, aveva vissuto, ai tempi in cui Buddha era in vita, in un chiostro sulla riva del Gange. Uno dei novizi era allora re Milinda; Nagasena ch'era un autorevole monaco, si bisticciò col novizio perchè questi si rifiutava di pulire il cortile del chiostro come voleva il regolamento. Nei secoli posteriori i due uomini emigrarono di vita in vita tra gli dei e gli uomini. Buddha un giorno li vide e predisse il loro destino: «Cinquecento anni dopo ch'io sarò morto questi due rinasceranno e con domande e parabole chiariranno il mio insegnamento». Il dio Mahasena rinacque dunque in un villaggio ai piedi dell'Himalaya, come figlio del Bramano Sonuttara e ricevette il nome di Nagasena; la sua nascita fu accompagnata da avvenimenti miracolosi.
Qui l'autore, secondo il costume indiano accumula paragoni su paragoni tratti dal regno della natura: lo stato d'animo del re rassomiglia a quello di uno sciacallo circondato da giganteschi serpenti; o di orsi inseguiti da bufali, o a quello di una rana rincorsa da un serpente, e così via.
Altamente sorpreso Milinda chiama i cortigiani e i sapienti a testimoni di tale enormità. «Se non esiste un soggetto - egli chiede - chi è dunque che vi dà ciò di cui avete bisogno? Chi è che accoglie questi doni? Chi fa il bene e il male? Se tu avessi ragione non esisterebbero nè attori, né goditori, né meriti, nè colpe, nè premi, nè castighi e se qualcuno ti uccidesse egli non commetterebbe delitto». Quindi il re domanda al sapiente in che cosa consista Nagasena, se nei capelli o nelle unghie, nella pelle o nella carne, nelle ossa o nelle forme fisiche, nelle sensazioni o nelle rappresentazioni, o nella conoscenza, o nella connessione di tutte queste cose; oppure se Nagasena esiste all'infuori di tutto questo. Poiché a tutte le domande il monaco risponde sempre negando, il re ne conclude che Nagasena non esiste.
Al lettore occidentale non potrà sfuggire l'ingenuità con cui viene descritto l'improvviso cambiamento di opinione di re Milinda, ma egli non potrà disconoscere che in queste righe è esposto molto chiaramente uno dei principali insegnamenti del buddismo: i buddisti affermano che a somiglianza dei continui mutamenti che avvengono nel mondo della natura, anche il nostro mondo interiore consiste in un susseguirsi senza connessione, di sensazioni, rappresentazioni, concetti. Ciò che viene denominato spirito, anima, io, soggetto, non è nient'altro che il complesso di quei passeggeri e mutabili elementi che nella vita quotidiana vengono raggruppati per costituire quella essenza che viene denominata personalità. Va rilevato che accanto a questa concezione filosofica, sussiste anche presso i buddisti quella popolare secondo cui gli uomini sono responsabili delle loro azioni e chi agisce è la stessa persona di chi riceve il rispettivo premio o castigo. La contraddizione che esiste fra queste due concezioni è stata più volte rilevata (Cfr. Oldenberg, Buddha, terza edizione, pag. 300).
Ma più interessanti sono i paragoni con cui Nagasena procura di far intendere al re le posizioni assunte dal buddismo rispetto al problema dell'identità del soggetto. Ad un certo punto il re chiede che cosa rinasca dell'individuo nelle esistenze successive (II, 2, 6).
Il monaco rileva (II.2,I ) che un uomo nei diversi stati della sua esistenza non è né sempre il medesimo ne un'altro e lo paragona ad una lampada che accesa la sera arde tutta la notte.
Il re chiede dove sia la radice del tempo, cioè da che cosa dipenda la rappresentazione del tempo. Nagasena indica quel fattore che secondo i Buddisti sta al principio della serie causale, cioè l'ignoranza (3) da cui proviene anche tutta l'esistenza empirica coi suoi dolori. Qui il Milindapanha precorre l'occasionismo dei cartesiani secondo il quale sussisterebbe appunto una corrispondenza occasionale e non necessaria tra le varie facoltà spirituali.
Nella sua forma attuale, l'opera contiene ben 262 domande del Re, seguite dalle risposte e dalle spiegazioni di Nagasena.
Il neofita deve saper chiudere gli occhi ed eliminare la sua personalità onde accettare una dottrina che gli viene imposta; qual meraviglia poi se, così mortificata, la spontaneità della fede viene meno, e la religione si riduce a una pratica puramente esteriore?
La si può leggere nel discorso sessantatreesimo, dove è riferito il dialogo tenuto alle falde dell'Himalaja, fra Gothamo e il suo discepolo Malunkjaputto (Majjhinia Nikaia U.). Il discepolo si lamenta che Gothamo non abbia risposto ai suoi problemi filosofici e metafisici ma il Maestro lo assicura di non aver mai promesso ciò: chi ritiene che quei problemi siano la cosa più importante ed urgente, deve rivolgersi ad altri e non al Buddha.
1. Maya guna mayi: dice un vecchio proverbio sanscrito; ossia la materia non è che l'illusione prodotta dalle apparenze delle cose. 2. Non è facile comprendere il concetto trascendentale del tempo e dello spazio, espresso qui dal monaco Nagasena. 3. Secondo il Buddismo l'ignoranza è l'opposto dell'iniziazione. É in seguito a tale "ignoranza" che lo spirito universale si irretisce in un'esistenza particolare. |
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