Giobbe - Capitolo 1

I. PROLOGO Satana mette Giobbe alla prova

[1] C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male. [2] Gli erano nati sette figli e tre figlie; [3] possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest'uomo era il più grande fra tutti i figli d'oriente.

[4] Ora i suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare anche le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. [5] Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti secondo il numero di tutti loro. Giobbe infatti pensava: «Forse i miei figli hanno peccato e hanno offeso Dio nel loro cuore». Così faceva Giobbe ogni volta.

[6] Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. [7] Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa». [8] Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male». [9] Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? [10] Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. [11] Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!». [12] Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore.

[13] Ora accadde che un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del fratello maggiore, [14] un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi, [15] quando i Sabei sono piombati su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo».

[16] Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato io solo che ti racconto questo».

[17] Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo».

[18] Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro fratello maggiore, [19] quand'ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato io solo che ti racconto questo».

[20] Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò [21] e disse:

«Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».

[22] In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Giobbe - Capitolo 2

[1] Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore. [2] Il Signore disse a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra che ho percorsa». [3] Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui, senza ragione, per rovinarlo». [4] Satana rispose al Signore: «Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. [5] Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!». [6] Il Signore disse a satana: «Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita».

[7] Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. [8] Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. [9] Allora sua moglie disse: «Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!». [10] Ma egli le rispose: «Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?».

In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.

[11] Nel frattempo tre amici di Giobbe erano venuti a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita, e si accordarono per andare a condolersi con lui e a consolarlo. [12] Alzarono gli occhi da lontano ma non lo riconobbero e, dando in grida, si misero a piangere. Ognuno si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere. [13] Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore.

Giobbe - Capitolo 3

II. DIALOGO 1. PRIMO CICLO DI DISCORSI Giobbe maledice il giorno della sua nascita

[1] Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; [2] prese a dire:

[3] Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «E' stato concepito un uomo!». [4] Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall'alto, né brilli mai su di esso la luce. [5] Lo rivendichi tenebra e morte, gli si stenda sopra una nube e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno! [6] Quel giorno lo possieda il buio non si aggiunga ai giorni dell'anno, non entri nel conto dei mesi. [7] Ecco, quella notte sia lugubre e non entri giubilo in essa. [8] La maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti a evocare Leviatan. [9] Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, speri la luce e non venga; non veda schiudersi le palpebre dell'aurora, [10] poiché non mi ha chiuso il varco del grembo materno, e non ha nascosto l'affanno agli occhi miei! [11] E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? [12] Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi? [13] Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace [14] con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei, [15] o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d'argento. [16] Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce. [17] Laggiù i malvagi cessano d'agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze. [18] I prigionieri hanno pace insieme, non sentono più la voce dell'aguzzino. [19] Laggiù è il piccolo e il grande, e lo schiavo è libero dal suo padrone. [20] Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l'amarezza nel cuore, [21] a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, [22] che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba... [23] a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato? [24] Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua, [25] perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge. [26] Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento!

Giobbe - Capitolo 4

Fiducia in Dio

[1] Elifaz il Temanita prese la parola e disse:

[2] Se si tenta di parlarti, ti sarà forse gravoso? Ma chi può trattenere il discorso? [3] Ecco, tu hai istruito molti e a mani fiacche hai ridato vigore; [4] le tue parole hanno sorretto chi vacillava e le ginocchia che si piegavano hai rafforzato. [5] Ma ora questo accade a te e ti abbatti; capita a te e ne sei sconvolto. [6] La tua pietà non era forse la tua fiducia e la tua condotta integra, la tua speranza? [7] Ricordalo: quale innocente è mai perito e quando mai furon distrutti gli uomini retti? [8] Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie. [9] A un soffio di Dio periscono e dallo sfogo della sua ira sono annientati. [10] Il ruggito del leone e l'urlo del leopardo e i denti dei leoncelli sono frantumati. [11] Il leone è perito per mancanza di preda e i figli della leonessa sono stati dispersi. [12] A me fu recata, furtiva, una parola e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro. [13] Nei fantasmi, tra visioni notturne, quando grava sugli uomini il sonno, [14] terrore mi prese e spavento e tutte le ossa mi fece tremare; [15] un vento mi passò sulla faccia, e il pelo si drizzò sulla mia carne... [16] Stava là ritto uno, di cui non riconobbi l'aspetto, un fantasma stava davanti ai miei occhi... Un sussurro..., e una voce mi si fece sentire: [17] «Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l'uomo davanti al suo creatore? [18] Ecco, dei suoi servi egli non si fida e ai suoi angeli imputa difetti; [19] quanto più a chi abita case di fango, che nella polvere hanno il loro fondamento! Come tarlo sono schiacciati, [20] annientati fra il mattino e la sera: senza che nessuno ci badi, periscono per sempre. [21] La funicella della loro tenda non viene forse strappata? Muoiono senza saggezza!».

Giobbe - Capitolo 5

[1] Chiama, dunque! Ti risponderà forse qualcuno? E a chi fra i santi ti rivolgerai? [2] Poiché allo stolto dà morte lo sdegno e la collera fa morire lo sciocco. [3] Io ho visto lo stolto metter radici, ma imputridire la sua dimora all'istante. [4] I suoi figli sono lungi dal prosperare, sono oppressi alla porta, senza difensore; [5] l'affamato ne divora la messe e gente assetata ne succhia gli averi. [6] Non esce certo dalla polvere la sventura né germoglia dalla terra il dolore, [7] ma è l'uomo che genera pene, come le scintille volano in alto. [8] Io, invece, mi rivolgerei a Dio e a Dio esporrei la mia causa: [9] a lui, che fa cose grandi e incomprensibili, meraviglie senza numero, [10] che dà la pioggia alla terra e manda le acque sulle campagne. [11] Colloca gli umili in alto e gli afflitti solleva a prosperità; [12] rende vani i pensieri degli scaltri e le loro mani non ne compiono i disegni; [13] coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia e manda in rovina il consiglio degli scaltri. [14] Di giorno incappano nel buio e brancolano in pieno sole come di notte, [15] mentre egli salva dalla loro spada l'oppresso, e il meschino dalla mano del prepotente. [16] C'è speranza per il misero e l'ingiustizia chiude la bocca. [17] Felice l'uomo, che è corretto da Dio: perciò tu non sdegnare la correzione dell'Onnipotente, [18] perché egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana. [19] Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male; [20] nella carestia ti scamperà dalla morte e in guerra dal colpo della spada; [21] sarai al riparo dal flagello della lingua, né temerai quando giunge la rovina. [22] Della rovina e della fame ti riderai né temerai le bestie selvatiche; [23] con le pietre del campo avrai un patto e le bestie selvatiche saranno in pace con te. [24] Conoscerai la prosperità della tua tenda, visiterai la tua proprietà e non sarai deluso. [25] Vedrai, numerosa, la prole, i tuoi rampolli come l'erba dei prati. [26] Te ne andrai alla tomba in piena maturità, come si ammucchia il grano a suo tempo. [27] Ecco, questo abbiamo osservato: è così. Ascoltalo e sappilo per tuo bene.

Giobbe - Capitolo 6

L'uomo oppresso conosce solo la sua miseria

[1] Allora Giobbe rispose:

[2] Se ben si pesasse il mio cruccio e sulla stessa bilancia si ponesse la mia sventura... [3] certo sarebbe più pesante della sabbia del mare! Per questo temerarie sono state le mie parole, [4] perché le saette dell'Onnipotente mi stanno infitte, sì che il mio spirito ne beve il veleno e terrori immani mi si schierano contro! [5] Raglia forse il somaro con l'erba davanti o muggisce il bue sopra il suo foraggio? [6] Si mangia forse un cibo insipido, senza sale? O che gusto c'è nell'acqua di malva? [7] Ciò che io ricusavo di toccare questo è il ributtante mio cibo! [8] Oh, mi accadesse quello che invoco, e Dio mi concedesse quello che spero! [9] Volesse Dio schiacciarmi, stendere la mano e sopprimermi! [10] Ciò sarebbe per me un qualche conforto e gioirei, pur nell'angoscia senza pietà, per non aver rinnegato i decreti del Santo. [11] Qual la mia forza, perché io possa durare, o qual la mia fine, perché prolunghi la vita? [12] La mia forza è forza di macigni? La mia carne è forse di bronzo? [13] Non v'è proprio aiuto per me? Ogni soccorso mi è precluso? [14] A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio. [15] I miei fratelli mi hanno deluso come un torrente, sono dileguati come i torrenti delle valli, [16] i quali sono torbidi per lo sgelo, si gonfiano allo sciogliersi della neve, [17] ma al tempo della siccità svaniscono e all'arsura scompaiono dai loro letti. [18] Deviano dalle loro piste le carovane, avanzano nel deserto e vi si perdono; [19] le carovane di Tema guardano là, i viandanti di Saba sperano in essi: [20] ma rimangono delusi d'avere sperato, giunti fin là, ne restano confusi. [21] Così ora voi siete per me: vedete che faccio orrore e vi prende paura. [22] Vi ho detto forse: «Datemi qualcosa» o «dei vostri beni fatemi un regalo» [23] o «liberatemi dalle mani di un nemico» o «dalle mani dei violenti riscattatemi»? [24] Istruitemi e allora io tacerò, fatemi conoscere in che cosa ho sbagliato. [25] Che hanno di offensivo le giuste parole? Ma che cosa dimostra la prova che viene da voi? [26] Forse voi pensate a confutare parole, e come sparsi al vento stimate i detti di un disperato! [27] Anche sull'orfano gettereste la sorte e a un vostro amico scavereste la fossa. [28] Ma ora degnatevi di volgervi verso di me: davanti a voi non mentirò. [29] Su, ricredetevi: non siate ingiusti! Ricredetevi; la mia giustizia è ancora qui! [30] C'è forse iniquità sulla mia lingua o il mio palato non distingue più le sventure?

Giobbe - Capitolo 7

[1] Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario? [2] Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, [3] così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. [4] Se mi corico dico: «Quando mi alzerò?». Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. [5] Ricoperta di vermi e croste è la mia carne, raggrinzita è la mia pelle e si disfà. [6] I miei giorni sono stati più veloci d'una spola, sono finiti senza speranza. [7] Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene. [8] Non mi scorgerà più l'occhio di chi mi vede: i tuoi occhi saranno su di me e io più non sarò. [9] Una nube svanisce e se ne va, così chi scende agl'inferi più non risale; [10] non tornerà più nella sua casa, mai più lo rivedrà la sua dimora. [11] Ma io non terrò chiusa la mia bocca, parlerò nell'angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore! [12] Son io forse il mare oppure un mostro marino, perché tu mi metta accanto una guardia? [13] Quando io dico: «Il mio giaciglio mi darà sollievo, il mio letto allevierà la mia sofferenza», [14] tu allora mi spaventi con sogni e con fantasmi tu mi atterrisci. [15] Preferirei essere soffocato, la morte piuttosto che questi miei dolori! [16] Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo. Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni. [17] Che è quest'uomo che tu nei fai tanto conto e a lui rivolgi la tua attenzione [18] e lo scruti ogni mattina e ad ogni istante lo metti alla prova? [19] Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la saliva? [20] Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, o custode dell'uomo? Perché m'hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso? [21] Perché non cancelli il mio peccato e non dimentichi la mia iniquità? Ben presto giacerò nella polvere, mi cercherai, ma più non sarò!

Giobbe - Capitolo 8

Il corso inarrestabile della giustizia divina

[1] Allora prese a dire Bildad il Suchita:

[2] Fino a quando dirai queste cose e vento impetuoso saranno le parole della tua bocca? [3] Può forse Dio deviare il diritto o l'Onnipotente sovvertire la giustizia? [4] Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, li ha messi in balìa della loro iniquità. [5] Se tu cercherai Dio e implorerai l'Onnipotente, [6] se puro e integro tu sei, fin d'ora veglierà su di te e ristabilirà la dimora della tua giustizia; [7] piccola cosa sarà la tua condizione di prima, di fronte alla grandezza che avrà la futura. [8] Chiedilo infatti alle generazioni passate, poni mente all'esperienza dei loro padri, [9] perché noi siamo di ieri e nulla sappiamo, come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra. [10] Essi forse non ti istruiranno e ti parleranno traendo le parole dal cuore? [11] Cresce forse il papiro fuori della palude e si sviluppa forse il giunco senz'acqua? [12] E' ancora verde, non buono per tagliarlo, e inaridisce prima d'ogn'altra erba. [13] Tale il destino di chi dimentica Dio, così svanisce la speranza dell'empio; [14] la sua fiducia è come un filo e una tela di ragno è la sua sicurezza: [15] si appoggi alla sua casa, essa non resiste, vi si aggrappi, ma essa non regge. [16] Rigoglioso sia pure in faccia al sole e sopra il giardino si spandano i suoi rami, [17] sul terreno sassoso s'intreccino le sue radici, tra le pietre attinga la vita. [18] Se lo si toglie dal suo luogo, questo lo rinnega: «Non t'ho mai visto!». [19] Ecco la gioia del suo destino e dalla terra altri rispuntano. [20] Dunque, Dio non rigetta l'uomo integro, e non sostiene la mano dei malfattori. [21] Colmerà di nuovo la tua bocca di sorriso e le tue labbra di gioia. [22] I tuoi nemici saran coperti di vergogna e la tenda degli empi più non sarà.

Giobbe - Capitolo 9

La giustizia divina è al di sopra del diritto

[1] Giobbe rispose dicendo:

[2] In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione innanzi a Dio? [3] Se uno volesse disputare con lui, non gli risponderebbe una volta su mille. [4] Saggio di mente, potente per la forza, chi s'è opposto a lui ed è rimasto salvo? [5] Sposta le montagne e non lo sanno, egli nella sua ira le sconvolge. [6] Scuote la terra dal suo posto e le sue colonne tremano. [7] Comanda al sole ed esso non sorge e alle stelle pone il suo sigillo. [8] Egli da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare. [9] Crea l'Orsa e l'Orione, le Pleiadi e i penetrali del cielo australe. [10] Fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare. [11] Ecco, mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non m'accorgo. [12] Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire? Chi gli può dire: «Che fai?». [13] Dio non ritira la sua collera: sotto di lui sono fiaccati i sostenitori di Raab. [14] Tanto meno io potrei rispondergli, trovare parole da dirgli! [15] Se avessi anche ragione, non risponderei, al mio giudice dovrei domandare pietà. [16] Se io lo invocassi e mi rispondesse, non crederei che voglia ascoltare la mia voce. [17] Egli con una tempesta mi schiaccia, moltiplica le mie piaghe senza ragione, [18] non mi lascia riprendere il fiato, anzi mi sazia di amarezze. [19] Se si tratta di forza, è lui che dà il vigore; se di giustizia, chi potrà citarlo? [20] Se avessi ragione, il mio parlare mi condannerebbe; se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo. [21] Sono innocente? Non lo so neppure io, detesto la mia vita! [22] Per questo io dico: «E' la stessa cosa»: egli fa perire l'innocente e il reo! [23] Se un flagello uccide all'improvviso, della sciagura degli innocenti egli ride. [24] La terra è lasciata in balìa del malfattore: egli vela il volto dei suoi giudici; se non lui, chi dunque sarà? [25] I miei giorni passano più veloci d'un corriere, fuggono senza godere alcun bene, [26] volano come barche di giunchi, come aquila che piomba sulla preda. [27] Se dico: «Voglio dimenticare il mio gemito, cambiare il mio volto ed essere lieto», [28] mi spavento per tutti i miei dolori; so bene che non mi dichiarerai innocente. [29] Se sono colpevole, perché affaticarmi invano? [30] Anche se mi lavassi con la neve e pulissi con la soda le mie mani, [31] allora tu mi tufferesti in un pantano e in orrore mi avrebbero le mie vesti. [32] Poiché non è uomo come me, che io possa rispondergli: «Presentiamoci alla pari in giudizio». [33] Non c'è fra noi due un arbitro che ponga la mano su noi due. [34] Allontani da me la sua verga sì che non mi spaventi il suo terrore: [35] allora io potrò parlare senza temerlo, perché così non sono in me stesso.

Giobbe - Capitolo 10

[1] Stanco io sono della mia vita! Darò libero sfogo al mio lamento, parlerò nell'amarezza del mio cuore. [2] Dirò a Dio: Non condannarmi! Fammi sapere perché mi sei avversario. [3] E' forse bene per te opprimermi, disprezzare l'opera delle tue mani e favorire i progetti dei malvagi? [4] Hai tu forse occhi di carne o anche tu vedi come l'uomo? [5] Sono forse i tuoi giorni come i giorni di un uomo, i tuoi anni come i giorni di un mortale, [6] perché tu debba scrutare la mia colpa e frugare il mio peccato, [7] pur sapendo ch'io non sono colpevole e che nessuno mi può liberare dalla tua mano? [8] Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte; vorresti ora distruggermi? [9] Ricordati che come argilla mi hai plasmato e in polvere mi farai tornare. [10] Non m'hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? [11] Di pelle e di carne mi hai rivestito, d'ossa e di nervi mi hai intessuto. [12] Vita e benevolenza tu mi hai concesso e la tua premura ha custodito il mio spirito. [13] Eppure, questo nascondevi nel cuore, so che questo avevi nel pensiero! [14] Tu mi sorvegli, se pecco, e non mi lasci impunito per la mia colpa. [15] Se sono colpevole, guai a me! Se giusto, non oso sollevare la testa, sazio d'ignominia, come sono, ed ebbro di miseria. [16] Se la sollevo, tu come un leopardo mi dai la caccia e torni a compiere prodigi contro di me, [17] su di me rinnovi i tuoi attacchi, contro di me aumenti la tua ira e truppe sempre fresche mi assalgono. [18] Perché tu mi hai tratto dal seno materno? Fossi morto e nessun occhio m'avesse mai visto! [19] Sarei come se non fossi mai esistito; dal ventre sarei stato portato alla tomba! [20] E non son poca cosa i giorni della mia vita? Lasciami, sì ch'io possa respirare un poco [21] prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte, [22] terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre.

Giobbe - Capitolo 11

La sapienza di Dio provoca il riconoscimento di Giobbe

[1] Allora Zofar il Naamatita prese la parola e disse:

[2] A tante parole non si darà risposta? O il loquace dovrà aver ragione? [3] I tuoi sproloqui faranno tacere la gente? Ti farai beffe, senza che alcuno ti svergogni? [4] Tu dici: «Pura è la mia condotta, io sono irreprensibile agli occhi di lui». [5] Tuttavia, volesse Dio parlare e aprire le labbra contro di te, [6] per manifestarti i segreti della sapienza, che sono così difficili all'intelletto, allora sapresti che Dio ti condona parte della tua colpa. [7] Credi tu di scrutare l'intimo di Dio o di penetrare la perfezione dell'Onnipotente? [8] E' più alta del cielo: che cosa puoi fare? E' più profonda degli inferi: che ne sai? [9] Più lunga della terra ne è la dimensione, più vasta del mare. [10] Se egli assale e imprigiona e chiama in giudizio, chi glielo può impedire? [11] Egli conosce gli uomini fallaci, vede l'iniquità e l'osserva: [12] l'uomo stolto mette giudizio e da ònagro indomito diventa docile. [13] Ora, se tu a Dio dirigerai il cuore e tenderai a lui le tue palme, [14] se allontanerai l'iniquità che è nella tua mano e non farai abitare l'ingiustizia nelle tue tende, [15] allora potrai alzare la faccia senza macchia e sarai saldo e non avrai timori, [16] perché dimenticherai l'affanno e te ne ricorderai come di acqua passata; [17] più del sole meridiano splenderà la tua vita, l'oscurità sarà per te come l'aurora. [18] Ti terrai sicuro per ciò che ti attende e, guardandoti attorno, riposerai tranquillo. [19] Ti coricherai e nessuno ti disturberà, molti anzi cercheranno i tuoi favori. [20] Ma gli occhi dei malvagi languiranno, ogni scampo è per essi perduto, unica loro speranza è l'ultimo respiro!

Giobbe - Capitolo 12

La sapienza di Dio si manifesta anche con le devastazioni provocate dalla sua potenza

[1] Giobbe allora rispose:

[2] E' vero, sì, che voi siete la voce del popolo e la sapienza morirà con voi! [3] Anch'io però ho senno come voi, e non sono da meno di voi; chi non sa cose simili? [4] Ludibrio del suo amico è diventato chi grida a Dio perché gli risponda; ludibrio il giusto, l'integro! [5] «Per la sventura, disprezzo», pensa la gente prosperosa, «spinte, a colui che ha il piede tremante». [6] Le tende dei ladri sono tranquille, c'è sicurezza per chi provoca Dio, per chi vuol ridurre Dio in suo potere. [7] Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino, gli uccelli del cielo, perché ti informino, [8] o i rettili della terra, perché ti istruiscano o i pesci del mare perché te lo faccian sapere. [9] Chi non sa, fra tutti questi esseri, che la mano del Signore ha fatto questo? [10] Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana. [11] L'orecchio non distingue forse le parole e il palato non assapora i cibi? [12] Nei canuti sta la saggezza e nella vita lunga la prudenza. [13] In lui risiede la sapienza e la forza, a lui appartiene il consiglio e la prudenza! [14] Ecco, se egli demolisce, non si può ricostruire, se imprigiona uno, non si può liberare. [15] Se trattiene le acque, tutto si secca, se le lascia andare, devastano la terra. [16] Da lui viene potenza e sagacia, a lui appartiene l'ingannato e l'ingannatore. [17] Rende stolti i consiglieri della terra, priva i giudici di senno; [18] scioglie la cintura dei re e cinge i loro fianchi d'una corda. [19] Fa andare scalzi i sacerdoti e rovescia i potenti. [20] Toglie la favella ai più veraci e priva del senno i vegliardi. [21] Sui nobili spande il disprezzo e allenta la cintura ai forti. [22] Strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce le cose oscure. [23] Fa grandi i popoli e li lascia perire, estende le nazioni e le abbandona. [24] Toglie il senno ai capi del paese e li fa vagare per solitudini senza strade, [25] vanno a tastoni per le tenebre, senza luce, e barcollano come ubriachi.

Giobbe - Capitolo 13

[1] Ecco, tutto questo ha visto il mio occhio, l'ha udito il mio orecchio e l'ha compreso. [2] Quel che sapete voi, lo so anch'io; non sono da meno di voi. [3] Ma io all'Onnipotente vorrei parlare, a Dio vorrei fare rimostranze. [4] Voi siete raffazzonatori di menzogne, siete tutti medici da nulla. [5] Magari taceste del tutto! sarebbe per voi un atto di sapienza! [6] Ascoltate dunque la mia riprensione e alla difesa delle mie labbra fate attenzione. [7] Volete forse in difesa di Dio dire il falso e in suo favore parlare con inganno? [8] Vorreste trattarlo con parzialità e farvi difensori di Dio? [9] Sarebbe bene per voi se egli vi scrutasse? Come s'inganna un uomo, credete di ingannarlo? [10] Severamente vi redarguirà, se in segreto gli siete parziali. [11] Forse la sua maestà non vi incute spavento e il terrore di lui non vi assale? [12] Sentenze di cenere sono i vostri moniti, difese di argilla le vostre difese. [13] Tacete, state lontani da me: parlerò io, mi capiti quel che capiti. [14] Voglio afferrare la mia carne con i denti e mettere sulle mie mani la mia vita. [15] Mi uccida pure, non me ne dolgo; voglio solo difendere davanti a lui la mia condotta! [16] Questo mi sarà pegno di vittoria, perché un empio non si presenterebbe davanti a lui. [17] Ascoltate bene le mie parole e il mio esposto sia nei vostri orecchi. [18] Ecco, tutto ho preparato per il giudizio, son convinto che sarò dichiarato innocente. [19] Chi vuol muover causa contro di me? Perché allora tacerò, pronto a morire. [20] Solo, assicurami due cose e allora non mi sottrarrò alla tua presenza; [21] allontana da me la tua mano e il tuo terrore più non mi spaventi; [22] poi interrogami pure e io risponderò oppure parlerò io e tu mi risponderai. [23] Quante sono le mie colpe e i miei peccati? Fammi conoscere il mio misfatto e il mio peccato. [24] Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico? [25] Vuoi spaventare una foglia dispersa dal vento e dar la caccia a una paglia secca? [26] Poiché scrivi contro di me sentenze amare e mi rinfacci i miei errori giovanili; [27] tu metti i miei piedi in ceppi, spii tutti i miei passi e ti segni le orme dei miei piedi. [28] Intanto io mi disfò come legno tarlato o come un vestito corroso da tignola.

Giobbe - Capitolo 14

[1] L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, [2] come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma. [3] Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te? [4] Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno. [5] Se i suoi giorni sono contati, se il numero dei suoi mesi dipende da te, se hai fissato un termine che non può oltrepassare, [6] distogli lo sguardo da lui e lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata! [7] Poiché anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; [8] se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, [9] al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. [10] L'uomo invece, se muore, giace inerte, quando il mortale spira, dov'è? [11] Potranno sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, [12] ma l'uomo che giace più non s'alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal suo sonno. [13] Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba, occultarmi, finché sarà passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me! [14] Se l'uomo che muore potesse rivivere, aspetterei tutti i giorni della mia milizia finché arrivi per me l'ora del cambio! [15] Mi chiameresti e io risponderei, l'opera delle tue mani tu brameresti. [16] Mentre ora tu conti i miei passi non spieresti più il mio peccato: [17] in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio misfatto e tu cancelleresti la mia colpa. [18] Ohimè! come un monte finisce in una frana e come una rupe si stacca dal suo posto, [19] e le acque consumano le pietre, le alluvioni portano via il terreno: così tu annienti la speranza dell'uomo. [20] Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va, tu sfiguri il suo volto e lo scacci. [21] Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa; siano disprezzati, lo ignora! [22] Soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé.

Giobbe - Capitolo 15

2. SECONDO CICLO DI DISCORSI Giobbe si condanna con le sue stesse parole

[1] Elifaz il Temanita prese a dire:

[2] Potrebbe il saggio rispondere con ragioni campate in aria e riempirsi il ventre di vento d'oriente? [3] Si difende egli con parole senza costrutto e con discorsi inutili? [4] Tu anzi distruggi la religione e abolisci la preghiera innanzi a Dio. [5] Sì, la tua malizia suggerisce alla tua bocca e scegli il linguaggio degli astuti. [6] Non io, ma la tua bocca ti condanna e le tue labbra attestano contro di te. [7] Sei forse tu il primo uomo che è nato, o, prima dei monti, sei venuto al mondo? [8] Hai avuto accesso ai segreti consigli di Dio e ti sei appropriata tu solo la sapienza? [9] Che cosa sai tu che noi non sappiamo? Che cosa capisci che da noi non si comprenda? [10] Anche fra di noi c'è il vecchio e c'è il canuto più di tuo padre, carico d'anni. [11] Poca cosa sono per te le consolazioni di Dio e una parola moderata a te rivolta? [12] Perché il tuo cuore ti trasporta e perché fanno cenni i tuoi occhi, [13] quando volgi contro Dio il tuo animo e fai uscire tali parole dalla tua bocca? [14] Che cos'è l'uomo perché si ritenga puro, perché si dica giusto un nato di donna? [15] Ecco, neppure dei suoi santi egli ha fiducia e i cieli non sono puri ai suoi occhi; [16] quanto meno un essere abominevole e corrotto, l'uomo, che beve l'iniquità come acqua. [17] Voglio spiegartelo, ascoltami, ti racconterò quel che ho visto, [18] quello che i saggi riferiscono, non celato ad essi dai loro padri; [19] a essi soli fu concessa questa terra, né straniero alcuno era passato in mezzo a loro. [20] Per tutti i giorni della vita il malvagio si tormenta; sono contati gli anni riservati al violento. [21] Voci di spavento gli risuonano agli orecchi e in piena pace si vede assalito dal predone. [22] Non crede di potersi sottrarre alle tenebre, egli si sente destinato alla spada. [23] Destinato in pasto agli avvoltoi, sa che gli è preparata la rovina. [24] Un giorno tenebroso lo spaventa, la miseria e l'angoscia l'assalgono come un re pronto all'attacco, [25] perché ha steso contro Dio la sua mano, ha osato farsi forte contro l'Onnipotente; [26] correva contro di lui a testa alta, al riparo del curvo spessore del suo scudo; [27] poiché aveva la faccia coperta di grasso e pinguedine intorno ai suoi fianchi. [28] Avrà dimora in città diroccate, in case dove non si abita più, destinate a diventare macerie. [29] Non arricchirà, non durerà la sua fortuna, non metterà radici sulla terra. [30] Alle tenebre non sfuggirà, la vampa seccherà i suoi germogli e dal vento sarà involato il suo frutto. [31] Non confidi in una vanità fallace, perché sarà una rovina. [32] La sua fronda sarà tagliata prima del tempo e i suoi rami non rinverdiranno più. [33] Sarà spogliato come vigna della sua uva ancor acerba e getterà via come ulivo i suoi fiori, [34] poiché la stirpe dell'empio è sterile e il fuoco divora le tende dell'uomo venale. [35] Concepisce malizia e genera sventura e nel suo seno alleva delusione.

Giobbe - Capitolo 16

Dall'ingiustizia degli uomini alla giustizia di Dio

[1] Allora rispose:

[2] Ne ho udite gia molte di simili cose! Siete tutti consolatori molesti. [3] Non avran termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere così? [4] Anch'io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole e scuoterei il mio capo su di voi. [5] Vi conforterei con la bocca e il tremito delle mie labbra cesserebbe. [6] Ma se parlo, non viene impedito il mio dolore; se taccio, che cosa lo allontana da me? [7] Ora però egli m'ha spossato, fiaccato, tutto il mio vicinato mi è addosso; [8] si è costituito testimone ed è insorto contro di me: il mio calunniatore mi accusa in faccia. [9] La sua collera mi dilania e mi perseguita; digrigna i denti contro di me, il mio nemico su di me aguzza gli occhi. [10] Spalancano la bocca contro di me, mi schiaffeggiano con insulti, insieme si alleano contro di me. [11] Dio mi consegna come preda all'empio, e mi getta nelle mani dei malvagi. [12] Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio. [13] I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele, [14] mi apre ferita su ferita, mi si avventa contro come un guerriero. [15] Ho cucito un sacco sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere. [16] La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre v'è una fitta oscurità. [17] Non c'è violenza nelle mie mani e pura è stata la mia preghiera. [18] O terra, non coprire il mio sangue e non abbia sosta il mio grido! [19] Ma ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù; [20] miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio, [21] perché difenda l'uomo davanti a Dio, come un mortale fa con un suo amico; [22] poiché passano i miei anni contati e io me ne vado per una via senza ritorno.

Giobbe - Capitolo 17

[1] Il mio spirito vien meno, i miei giorni si spengono; non c'è per me che la tomba! [2] Non sono io in balìa di beffardi? Fra i loro insulti veglia il mio occhio. [3] Sii tu la mia garanzia presso di te! Qual altro vorrebbe stringermi la destra? [4] Poiché hai privato di senno la loro mente, per questo non li lascerai trionfare. [5] Come chi invita gli amici a parte del suo pranzo, mentre gli occhi dei suoi figli languiscono; [6] così son diventato ludibrio dei popoli sono oggetto di scherno davanti a loro. [7] Si offusca per il dolore il mio occhio e le mie membra non sono che ombra. [8] Gli onesti ne rimangono stupiti e l'innocente s'indigna contro l'empio. [9] Ma il giusto si conferma nella sua condotta e chi ha le mani pure raddoppia il coraggio. [10] Su, venite di nuovo tutti: io non troverò un saggio fra di voi. [11] I miei giorni sono passati, svaniti i miei progetti, i voti del mio cuore. [12] Cambiano la notte in giorno, la luce - dicono - è più vicina delle tenebre. [13] Se posso sperare qualche cosa, la tomba è la mia casa, nelle tenebre distendo il mio giaciglio. [14] Al sepolcro io grido: «Padre mio sei tu!» e ai vermi: «Madre mia, sorelle mie voi siete!». [15] E la mia speranza dov'è? Il mio benessere chi lo vedrà? [16] Scenderanno forse con me nella tomba o caleremo insieme nella polvere!

Giobbe - Capitolo 18

La collera non può nulla contro la giustizia

[1] Bildad il Suchita prese a dire:

[2] Quando porrai fine alle tue chiacchiere? Rifletti bene e poi parleremo. [3] Perché considerarci come bestie, ci fai passare per bruti ai tuoi occhi? [4] Tu che ti rodi l'anima nel tuo furore, forse per causa tua sarà abbandonata la terra e le rupi si staccheranno dal loro posto? [5] Certamente la luce del malvagio si spegnerà e più non brillerà la fiamma del suo focolare. [6] La luce si offuscherà nella sua tenda e la lucerna si estinguerà sopra di lui. [7] Il suo energico passo s'accorcerà e i suoi progetti lo faran precipitare, [8] poiché incapperà in una rete con i suoi piedi e sopra un tranello camminerà. [9] Un laccio l'afferrerà per il calcagno, un nodo scorsoio lo stringerà. [10] Gli è nascosta per terra una fune e gli è tesa una trappola sul sentiero. [11] Lo spaventano da tutte le parti terrori e lo inseguono alle calcagna. [12] Diventerà carestia la sua opulenza e la rovina è lì in piedi al suo fianco. [13] Un malanno divorerà la sua pelle, roderà le sue membra il primogenito della morte. [14] Sarà tolto dalla tenda in cui fidava, per essere trascinato al re dei terrori! [15] Potresti abitare nella tenda che non è più sua; sulla sua dimora si spargerà zolfo. [16] Al di sotto, le sue radici si seccheranno, sopra, saranno tagliati i suoi rami. [17] Il suo ricordo sparirà dalla terra e il suo nome più non si udrà per la contrada. [18] Lo getteranno dalla luce nel buio e dal mondo lo stermineranno. [19] Non famiglia, non discendenza avrà nel suo popolo, non superstiti nei luoghi della sua dimora. [20] Della sua fine stupirà l'occidente e l'oriente ne prenderà orrore. [21] Ecco qual è la sorte dell'iniquo: questa è la dimora di chi misconosce Dio.

Giobbe - Capitolo 19

Il trionfo della fede nell'abbandono di Dio e degli uomini

[1] Giobbe allora rispose:

[2] Fino a quando mi tormenterete e mi opprimerete con le vostre parole? [3] Son dieci volte che mi insultate e mi maltrattate senza pudore. [4] E' poi vero che io abbia mancato e che persista nel mio errore? [5] Non è forse vero che credete di vincere contro di me, rinfacciandomi la mia abiezione? [6] Sappiate dunque che Dio mi ha piegato e mi ha avviluppato nella sua rete. [7] Ecco, grido contro la violenza, ma non ho risposta, chiedo aiuto, ma non c'è giustizia! [8] Mi ha sbarrato la strada perché non passi e sul mio sentiero ha disteso le tenebre. [9] Mi ha spogliato della mia gloria e mi ha tolto dal capo la corona. [10] Mi ha disfatto da ogni parte e io sparisco, mi ha strappato, come un albero, la speranza. [11] Ha acceso contro di me la sua ira e mi considera come suo nemico. [12] Insieme sono accorse le sue schiere e si sono spianata la strada contro di me; hanno posto l'assedio intorno alla mia tenda. [13] I miei fratelli si sono allontanati da me, persino gli amici mi si sono fatti stranieri. [14] Scomparsi sono vicini e conoscenti, mi hanno dimenticato gli ospiti di casa; [15] da estraneo mi trattano le mie ancelle, un forestiero sono ai loro occhi. [16] Chiamo il mio servo ed egli non risponde, devo supplicarlo con la mia bocca. [17] Il mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio schifo ai figli di mia madre. [18] Anche i monelli hanno ribrezzo di me: se tento d'alzarmi, mi danno la baia. [19] Mi hanno in orrore tutti i miei confidenti: quelli che amavo si rivoltano contro di me. [20] Alla pelle si attaccano le mie ossa e non è salva che la pelle dei miei denti. [21] Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha percosso! [22] Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? [23] Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, [24] fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia! [25] Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! [26] Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. [27] Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero. Le mie viscere si consumano dentro di me. [28] Poiché dite: «Come lo perseguitiamo noi, se la radice del suo danno è in lui?», [29] temete per voi la spada, poiché punitrice d'iniquità è la spada, affinchè sappiate che c'è un giudice.

Giobbe - Capitolo 20

L'ordine della giustizia non ammette eccezioni

[1] Zofar il Naamatita prese a dire:

[2] Per questo i miei pensieri mi spingono a rispondere e perciò v'è questa fretta dentro di me. [3] Ho ascoltato un rimprovero per me offensivo, ma uno spirito, dal mio interno, mi spinge a replicare. [4] Non sai tu che da sempre, da quando l'uomo fu posto sulla terra, [5] il trionfo degli empi è breve e la gioia del perverso è d'un istante? [6] Anche se innalzasse fino al cielo la sua statura e il suo capo toccasse le nubi, [7] come lo sterco sarebbe spazzato per sempre e chi lo aveva visto direbbe: «Dov'è?». [8] Svanirà come un sogno, e non si troverà più, si dileguerà come visione notturna. [9] L'occhio avvezzo a vederlo più non lo vedrà, né più lo scorgerà la sua dimora. [10] I suoi figli dovranno risarcire i poveri, le loro mani restituiranno le sue ricchezze. [11] Le sue ossa erano ancora piene di giovinezza, ma con lui giacciono nella polvere. [12] Se alla sua bocca fu dolce il male, se lo teneva nascosto sotto la sua lingua, [13] assaporandolo senza inghiottirlo, se lo tratteneva in mezzo al suo palato: [14] il suo cibo gli si guasterà nelle viscere, veleno d'aspidi gli sarà nell'intestino. [15] I beni divorati ora rivomita, Dio glieli caccia fuori dal ventre. [16] Veleno d'aspide ha succhiato, una lingua di vipera lo uccide. [17] Non vedrà più ruscelli d'olio, fiumi di miele e fior di latte; [18] renderà i sudati acquisti senza assaggiarli, come non godrà del frutto del suo commercio, [19] perché ha oppresso e abbandonato i miseri, ha rubato case invece di costruirle; [20] perché non ha saputo essere pago dei suoi beni, con i suoi tesori non si salverà. [21] Nulla è sfuggito alla sua voracità, per questo non durerà il suo benessere. [22] Nel colmo della sua abbondanza si troverà in miseria; ogni sorta di sciagura piomberà su di lui. [23] Quando starà per riempire il suo ventre, Dio scaglierà su di lui la fiamma del suo sdegno, e gli farà piovere addosso brace. [24] Se sfuggirà l'arma di ferro, lo trafiggerà l'arco di bronzo: [25] gli uscirà il dardo dalla schiena, una spada lucente dal fegato. Lo assaliranno i terrori; [26] tutte le tenebre gli sono riservate. Lo divorerà un fuoco non acceso da un uomo, esso consumerà quanto è rimasto nella sua tenda. [27] Riveleranno i cieli la sua iniquità e la terra si alzerà contro di lui. [28] Un'alluvione travolgerà la sua casa, scorrerà nel giorno dell'ira. [29] Questa è la sorte che Dio riserva all'uomo perverso, la parte a lui decretata da Dio.

Giobbe - Capitolo 21

La smentita dei fatti

[1] Giobbe rispose:

[2] Ascoltate bene la mia parola e sia questo almeno il conforto che mi date. [3] Tollerate che io parli e, dopo il mio parlare, deridetemi pure. [4] Forse io mi lamento di un uomo? E perché non dovrei perder la pazienza? [5] Statemi attenti e resterete stupiti, mettetevi la mano sulla bocca. [6] Se io ci penso, ne sono turbato e la mia carne è presa da un brivido. [7] Perché vivono i malvagi, invecchiano, anzi sono potenti e gagliardi? [8] La loro prole prospera insieme con essi, i loro rampolli crescono sotto i loro occhi. [9] Le loro case sono tranquille e senza timori; il bastone di Dio non pesa su di loro. [10] Il loro toro feconda e non falla, la vacca partorisce e non abortisce. [11] Mandano fuori, come un gregge, i loro ragazzi e i loro figli saltano in festa. [12] Cantano al suono di timpani e di cetre, si divertono al suono delle zampogne. [13] Finiscono nel benessere i loro giorni e scendono tranquilli negli inferi. [14] Eppure dicevano a Dio: «Allontanati da noi, non vogliamo conoscer le tue vie. [15] Chi è l'Onnipotente, perché dobbiamo servirlo? E che ci giova pregarlo?». [16] Non hanno forse in mano il loro benessere? Il consiglio degli empi non è lungi da lui? [17] Quante volte si spegne la lucerna degli empi, o la sventura piomba su di loro, e infliggerà loro castighi con ira? [18] Diventano essi come paglia di fronte al vento o come pula in preda all'uragano? [19] «Dio serba per i loro figli il suo castigo...». Ma lo faccia pagare piuttosto a lui stesso e lo senta! [20] Veda con i suoi occhi la sua rovina e beva dell'ira dell'Onnipotente! [21] Che cosa gli importa infatti della sua casa dopo di sé, quando il numero dei suoi mesi è finito? [22] S'insegna forse la scienza a Dio, a lui che giudica gli esseri di lassù? [23] Uno muore in piena salute, tutto tranquillo e prospero; [24] i suoi fianchi sono coperti di grasso e il midollo delle sue ossa è ben nutrito. [25] Un altro muore con l'amarezza in cuore senza aver mai gustato il bene. [26] Nella polvere giacciono insieme e i vermi li ricoprono. [27] Ecco, io conosco i vostri pensieri e gli iniqui giudizi che fate contro di me! [28] Infatti, voi dite: «Dov'è la casa del prepotente, dove sono le tende degli empi?». [29] Non avete interrogato quelli che viaggiano? Non potete negare le loro prove, [30] che nel giorno della sciagura è risparmiato il malvagio e nel giorno dell'ira egli la scampa. [31] Chi gli rimprovera in faccia la sua condotta e di quel che ha fatto chi lo ripaga? [32] Egli sarà portato al sepolcro, sul suo tumulo si veglia [33] e gli sono lievi le zolle della tomba. Trae dietro di sé tutti gli uomini e innanzi a sé una folla senza numero. [34] Perché dunque mi consolate invano, mentre delle vostre risposte non resta che inganno?

Giobbe - Capitolo 22

3. TERZO CICLO DI DISCORSI Dio castiga solo in nome della giustizia

[1] Elifaz il Temanita prese a dire:

[2] Può forse l'uomo giovare a Dio, se il saggio giova solo a se stesso? [3] Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia giusto o che vantaggio ha, se tieni una condotta integra? [4] Forse per la tua pietà ti punisce e ti convoca in giudizio? [5] O non piuttosto per la tua grande malvagità e per le tue iniquità senza limite? [6] Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli e delle vesti hai spogliato gli ignudi. [7] Non hai dato da bere all'assetato e all'affamato hai rifiutato il pane, [8] la terra l'ha il prepotente e vi abita il tuo favorito. [9] Le vedove hai rimandato a mani vuote e le braccia degli orfani hai rotto. [10] Ecco perché d'intorno a te ci sono lacci e un improvviso spavento ti sorprende. [11] Tenebra è la tua luce e più non vedi e la piena delle acque ti sommerge. [12] Ma Dio non è nell'alto dei cieli? Guarda il vertice delle stelle: quanto sono alte! [13] E tu dici: «Che cosa sa Dio? Può giudicare attraverso la caligine? [14] Le nubi gli fanno velo e non vede e sulla volta dei cieli passeggia». [15] Vuoi tu seguire il sentiero d'un tempo, gia battuto da uomini empi, [16] che prima del tempo furono portati via, quando un fiume si era riversato sulle loro fondamenta? [17] Dicevano a Dio: «Allontànati da noi! Che cosa ci può fare l'Onnipotente?». [18] Eppure egli aveva riempito le loro case di beni, anche se i propositi degli empi erano lontani da lui. [19] I giusti ora vedono e ne godono e l'innocente si beffa di loro: [20] «Sì, certo è stata annientata la loro fortuna e il fuoco ne ha divorati gli avanzi!». [21] Su, riconcìliati con lui e tornerai felice, ne riceverai un gran vantaggio. [22] Accogli la legge dalla sua bocca e poni le sue parole nel tuo cuore. [23] Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà, se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda, [24] se stimerai come polvere l'oro e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir, [25] allora sarà l'Onnipotente il tuo oro e sarà per te argento a mucchi. [26] Allora sì, nell'Onnipotente ti delizierai e alzerai a Dio la tua faccia. [27] Lo supplicherai ed egli t'esaudirà e tu scioglierai i tuoi voti. [28] Deciderai una cosa e ti riuscirà e sul tuo cammino splenderà la luce. [29] Egli umilia l'alterigia del superbo, ma soccorre chi ha gli occhi bassi. [30] Egli libera l'innocente; tu sarai liberato per la purezza delle tue mani.

Giobbe - Capitolo 23

Dio è lontano e il male trionfa

[1] Giobbe allora rispose:

[2] Ancor oggi il mio lamento è amaro e la sua mano grava sopra i miei gemiti. [3] Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi arrivare fino al suo trono! [4] Esporrei davanti a lui la mia causa e avrei piene le labbra di ragioni. [5] Verrei a sapere le parole che mi risponde e capirei che cosa mi deve dire. [6] Con sfoggio di potenza discuterebbe con me? Se almeno mi ascoltasse! [7] Allora un giusto discuterebbe con lui e io per sempre sarei assolto dal mio giudice. [8] Ma se vado in avanti, egli non c'è, se vado indietro, non lo sento. [9] A sinistra lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a destra e non lo vedo. [10] Poiché egli conosce la mia condotta, se mi prova al crogiuolo, come oro puro io ne esco. [11] Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono attenuto e non ho deviato; [12] dai comandi delle sue labbra non mi sono allontanato, nel cuore ho riposto i detti della sua bocca. [13] Se egli sceglie, chi lo farà cambiare? Ciò che egli vuole, lo fa. [14] Compie, certo, il mio destino e di simili piani ne ha molti. [15] Per questo davanti a lui sono atterrito, ci penso e ho paura di lui. [16] Dio ha fiaccato il mio cuore, l'Onnipotente mi ha atterrito; [17] non sono infatti perduto a causa della tenebra, né a causa dell'oscurità che ricopre il mio volto.

Giobbe - Capitolo 24

[1] Perché l'Onnipotente non si riserva i suoi tempi e i suoi fedeli non vedono i suoi giorni? [2] I malvagi spostano i confini, rubano le greggi e le menano al pascolo; [3] portano via l'asino degli orfani, prendono in pegno il bue della vedova. [4] Spingono i poveri fuori strada, tutti i miseri del paese vanno a nascondersi. [5] Eccoli, come ònagri nel deserto escono per il lavoro; di buon mattino vanno in cerca di vitto; la steppa offre loro cibo per i figli. [6] Mietono nel campo non loro; racimolano la vigna del malvagio. [7] Nudi passan la notte, senza panni, non hanno da coprirsi contro il freddo. [8] Dagli scrosci dei monti sono bagnati, per mancanza di rifugi si aggrappano alle rocce. [9] Rapiscono con violenza l'orfano e prendono in pegno ciò che copre il povero. [10] Ignudi se ne vanno, senza vesti e affamati portano i covoni. [11] Tra i filari frangono le olive, pigiano l'uva e soffrono la sete. [12] Dalla città si alza il gemito dei moribondi e l'anima dei feriti grida aiuto: Dio non presta attenzione alle loro preghiere. [13] Altri odiano la luce, non ne vogliono riconoscere le vie né vogliono batterne i sentieri. [14] Quando non c'è luce, si alza l'omicida per uccidere il misero e il povero; nella notte si aggira il ladro e si mette un velo sul volto. [15] L'occhio dell'adultero spia il buio e pensa: «Nessun occhio mi osserva!». [16] Nelle tenebre forzano le case, di giorno se ne stanno nascosti: non vogliono saperne della luce; [17] l'alba è per tutti loro come spettro di morte; quando schiarisce, provano i terrori del buio fondo. [18] Fuggono veloci di fronte al giorno; maledetta è la loro porzione di campo sulla terra, non si volgono più per la strada delle vigne. [19] Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così la morte rapisce il peccatore. [20] Il seno che l'ha portato lo dimentica, i vermi ne fanno la loro delizia, non se ne conserva la memoria ed è troncata come un albero l'iniquità. [21] Egli maltratta la sterile che non genera e non fa del bene alla vedova. [22] Ma egli con la sua forza trascina i potenti, sorge quando più non può contare sulla vita. [23] Anche Dio gli concede sicurezza ed egli sta saldo, ma i suoi occhi sono sopra la sua condotta. [24] Salgono in alto per un poco, poi non sono più, sono buttati giù come tutti i mortali, falciati come la testa di una spiga. [25] Non è forse così? Chi può smentirmi e ridurre a nulla le mie parole?

Giobbe - Capitolo 25

Inno all'onnipotenza di Dio

[1] Bildad il Suchita prese a dire:

[2] V'è forse dominio e paura presso Colui Che mantiene la pace nell'alto dei cieli? [3] Si possono forse contare le sue schiere? E sopra chi non sorge la sua luce? [4] Come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato di donna? [5] Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi: [6] quanto meno l'uomo, questo verme, l'essere umano, questo bruco!

Giobbe - Capitolo 26

Bildad parla all'aria

[1] Giobbe rispose:

[2] Quanto aiuto hai dato al debole e come hai soccorso il braccio senza forza! [3] Quanti buoni consigli hai dato all'ignorante e con quanta abbondanza hai manifestato la saggezza! [4] A chi hai tu rivolto la parola e qual è lo spirito che da te è uscito? [5] I morti tremano sotto terra, come pure le acque e i loro abitanti. [6] Nuda è la tomba davanti a lui e senza velo è l'abisso. [7] Egli stende il settentrione sopra il vuoto, tiene sospesa la terra sopra il nulla. [8] Rinchiude le acque dentro le nubi, e le nubi non si squarciano sotto il loro peso. [9] Copre la vista del suo trono stendendovi sopra la sua nube. [10] Ha tracciato un cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre. [11] Le colonne del cielo si scuotono, sono prese da stupore alla sua minaccia. [12] Con forza agita il mare e con intelligenza doma Raab. [13] Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano trafigge il serpente tortuoso. [14] Ecco, questi non sono che i margini delle sue opere; quanto lieve è il sussurro che noi ne percepiamo! Ma il tuono della sua potenza chi può comprenderlo?

Giobbe - Capitolo 27

Giobbe, innocente, conosce la potenza di Dio

[1] Giobbe continuò a dire:

[2] Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo, [3] finché ci sarà in me un soffio di vita, e l'alito di Dio nelle mie narici, [4] mai le mie labbra diranno falsità e la mia lingua mai pronunzierà menzogna! [5] Lungi da me che io mai vi dia ragione; fino alla morte non rinunzierò alla mia integrità. [6] Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni. [7] Sia trattato come reo il mio nemico e il mio avversario come un ingiusto. [8] Che cosa infatti può sperare l'empio, quando finirà, quando Dio gli toglierà la vita? [9] Ascolterà forse Dio il suo grido, quando la sventura piomberà su di lui? [10] Porrà forse la sua compiacenza nell'Onnipotente? Potrà forse invocare Dio in ogni momento? [11] Io vi mostrerò la mano di Dio, non vi celerò i pensieri dell'Onnipotente. [12] Ecco, voi tutti lo vedete; perché dunque vi perdete in cose vane?

Discorso di Zofar: Il maledetto

[13] Questa è la sorte che Dio riserva al malvagio e la porzione che i violenti ricevono dall'Onnipotente. [14] Se ha molti figli, saranno per la spada e i suoi discendenti non avranno pane da sfamarsi; [15] i superstiti li seppellirà la peste e le loro vedove non faranno lamento. [16] Se ammassa argento come la polvere e come fango si prepara vesti: [17] egli le prepara, ma il giusto le indosserà e l'argento lo spartirà l'innocente. [18] Ha costruito la casa come fragile nido e come una capanna fatta da un guardiano. [19] Si corica ricco, ma per l'ultima volta, quando apre gli occhi, non avrà più nulla. [20] Di giorno il terrore lo assale, di notte se lo rapisce il turbine; [21] il vento d'oriente lo solleva e se ne va, lo strappa lontano dal suo posto. [22] Dio lo bersaglia senza pietà; tenta di sfuggire alla sua mano. [23] Si battono le mani contro di lui e si fischia su di lui dal luogo dove abita.

Giobbe - Capitolo 28

4. ELOGIO DELLA SAPIENZA La sapienza inaccessibile all'uomo

[1] Certo, per l'argento vi sono miniere e per l'oro luoghi dove esso si raffina. [2] Il ferro si cava dal suolo e la pietra fusa libera il rame. [3] L'uomo pone un termine alle tenebre e fruga fino all'estremo limite le rocce nel buio più fondo. [4] Forano pozzi lungi dall'abitato coloro che perdono l'uso dei piedi: pendono sospesi lontano dalla gente e vacillano. [5] Una terra, da cui si trae pane, di sotto è sconvolta come dal fuoco. [6] Le sue pietre contengono zaffiri e oro la sua polvere. [7] L'uccello rapace ne ignora il sentiero, non lo scorge neppure l'occhio dell'aquila, [8] non battuto da bestie feroci, né mai attraversato dal leopardo. [9] Contro la selce l'uomo porta la mano, sconvolge le montagne: [10] nelle rocce scava gallerie e su quanto è prezioso posa l'occhio: [11] scandaglia il fondo dei fiumi e quel che vi è nascosto porta alla luce. [12] Ma la sapienza da dove si trae? E il luogo dell'intelligenza dov'è? [13] L'uomo non ne conosce la via, essa non si trova sulla terra dei viventi. [14] L'abisso dice: «Non è in me!» e il mare dice: «Neppure presso di me!». [15] Non si scambia con l'oro più scelto, né per comprarla si pesa l'argento. [16] Non si acquista con l'oro di Ofir, con il prezioso berillo o con lo zaffiro. [17] Non la pareggia l'oro e il cristallo, né si permuta con vasi di oro puro. [18] Coralli e perle non meritano menzione, vale più scoprire la sapienza che le gemme. [19] Non la eguaglia il topazio d'Etiopia; con l'oro puro non si può scambiare a peso. [20] Ma da dove viene la sapienza? E il luogo dell'intelligenza dov'è? [21] E' nascosta agli occhi di ogni vivente ed è ignota agli uccelli del cielo. [22] L'abisso e la morte dicono: «Con gli orecchi ne udimmo la fama». [23] Dio solo ne conosce la via, lui solo sa dove si trovi, [24] perché volge lo sguardo fino alle estremità della terra, vede quanto è sotto la volta del cielo. [25] Quando diede al vento un peso e ordinò alle acque entro una misura, [26] quando impose una legge alla pioggia e una via al lampo dei tuoni; [27] allora la vide e la misurò, la comprese e la scrutò appieno [28] e disse all'uomo: «Ecco, temere Dio, questo è sapienza e schivare il male, questo è intelligenza».

Giobbe - Capitolo 29

5. CONCLUSIONE DEL DIALOGO Lamenti e apologia di Giobbe: A. I giorni passati

[1] Giobbe continuò a pronunziare le sue sentenze e disse:

[2] Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo, ai giorni in cui Dio mi proteggeva, [3] quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre; [4] com'ero ai giorni del mio autunno, quando Dio proteggeva la mia tenda, [5] quando l'Onnipotente era ancora con me e i giovani mi stavano attorno; [6] quando mi lavavo in piedi nel latte e la roccia mi versava ruscelli d'olio! [7] Quando uscivo verso la porta della città e sulla piazza ponevo il mio seggio: [8] vedendomi, i giovani si ritiravano e i vecchi si alzavano in piedi; [9] i notabili sospendevano i discorsi e si mettevan la mano sulla bocca; [10] la voce dei capi si smorzava e la loro lingua restava fissa al palato; [11] con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice, con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza, [12] perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto, l'orfano che ne era privo. [13] La benedizione del morente scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia. [14] Mi ero rivestito di giustizia come di un vestimento; come mantello e turbante era la mia equità. [15] Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. [16] Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto; [17] rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda. [18] Pensavo: «Spirerò nel mio nido e moltiplicherò come sabbia i miei giorni». [19] La mia radice avrà adito alle acque e la rugiada cadrà di notte sul mio ramo. [20] La mia gloria sarà sempre nuova e il mio arco si rinforzerà nella mia mano. [21] Mi ascoltavano in attesa fiduciosa e tacevano per udire il mio consiglio. [22] Dopo le mie parole non replicavano e su di loro scendevano goccia a goccia i miei detti. [23] Mi attendevano come si attende la pioggia e aprivano la bocca come ad acqua primaverile. [24] Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, né turbavano la serenità del mio volto. [25] Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo, e vi rimanevo come un re fra i soldati o come un consolatore d'afflitti.

Giobbe - Capitolo 30

B. Angoscia presente

[1] Ora invece si ridono di me i più giovani di me in età, i cui padri non avrei degnato di mettere tra i cani del mio gregge. [2] Anche la forza delle loro mani a che mi giova? Hanno perduto ogni vigore; [3] disfatti dalla indigenza e dalla fame, brucano per l'arido deserto, [4] da lungo tempo regione desolata, raccogliendo l'erba salsa accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo. [5] Cacciati via dal consorzio umano, a loro si grida dietro come al ladro; [6] sì che dimorano in valli orrende, nelle caverne della terra e nelle rupi. [7] In mezzo alle macchie urlano e sotto i roveti si adunano; [8] razza ignobile, anzi razza senza nome, sono calpestati più della terra. [9] Ora io sono la loro canzone, sono diventato la loro favola! [10] Hanno orrore di me e mi schivano e non si astengono dallo sputarmi in faccia! [11] Poiché egli ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto, essi han rigettato davanti a me ogni freno. [12] A destra insorge la ragazzaglia; smuovono i miei passi e appianano la strada contro di me per perdermi. [13] Hanno demolito il mio sentiero, cospirando per la mia disfatta e nessuno si oppone a loro. [14] Avanzano come attraverso una larga breccia, sbucano in mezzo alle macerie. [15] I terrori si sono volti contro di me; si è dileguata, come vento, la mia grandezza e come nube è passata la mia felicità. [16] Ora mi consumo e mi colgono giorni d'afflizione. [17] Di notte mi sento trafiggere le ossa e i dolori che mi rodono non mi danno riposo. [18] A gran forza egli mi afferra per la veste, mi stringe per l'accollatura della mia tunica. [19] Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere. [20] Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta. [21] Tu sei un duro avversario verso di me e con la forza delle tue mani mi perseguiti; [22] mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera. [23] So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove si riunisce ogni vivente. [24] Ma qui nessuno tende la mano alla preghiera, né per la sua sventura invoca aiuto. [25] Non ho pianto io forse con chi aveva i giorni duri e non mi sono afflitto per l'indigente? [26] Eppure aspettavo il bene ed è venuto il male, aspettavo la luce ed è venuto il buio. [27] Le mie viscere ribollono senza posa e giorni d'affanno mi assalgono. [28] Avanzo con il volto scuro, senza conforto, nell'assemblea mi alzo per invocare aiuto. [29] Sono divenuto fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi. [30] La mia pelle si è annerita, mi si stacca e le mie ossa bruciano dall'arsura. [31] La mia cetra serve per lamenti e il mio flauto per la voce di chi piange.

Giobbe - Capitolo 31

Apologia di Giobbe

[1] Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare neppure una vergine. [2] Che parte mi assegna Dio di lassù e che porzione mi assegna l'Onnipotente dall'alto? [3] Non è forse la rovina riservata all'iniquo e la sventura per chi compie il male? [4] Non vede egli la mia condotta e non conta tutti i miei passi? [5] Se ho agito con falsità e il mio piede si è affrettato verso la frode, [6] mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconoscerà la mia integrità. [7] Se il mio passo è andato fuori strada e il mio cuore ha seguito i miei occhi, se alla mia mano si è attaccata sozzura, [8] io semini e un altro ne mangi il frutto e siano sradicati i miei germogli. [9] Se il mio cuore fu sedotto da una donna e ho spiato alla porta del mio prossimo, [10] mia moglie macini per un altro e altri ne abusino; [11] difatti quello è uno scandalo, un delitto da deferire ai giudici, [12] quello è un fuoco che divora fino alla distruzione e avrebbe consumato tutto il mio raccolto. [13] Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, [14] che farei, quando Dio si alzerà, e, quando farà l'inchiesta, che risponderei? [15] Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel seno? [16] Mai ho rifiutato quanto brama il povero, né ho lasciato languire gli occhi della vedova; [17] mai da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse l'orfano, [18] poiché Dio, come un padre, mi ha allevato fin dall'infanzia e fin dal ventre di mia madre mi ha guidato. [19] Se mai ho visto un misero privo di vesti o un povero che non aveva di che coprirsi, [20] se non hanno dovuto benedirmi i suoi fianchi, o con la lana dei miei agnelli non si è riscaldato; [21] se contro un innocente ho alzato la mano, perché vedevo alla porta chi mi spalleggiava, [22] mi si stacchi la spalla dalla nuca e si rompa al gomito il mio braccio, [23] perché mi incute timore la mano di Dio e davanti alla sua maestà non posso resistere. [24] Se ho riposto la mia speranza nell'oro e all'oro fino ho detto: «Tu sei la mia fiducia»; [25] se godevo perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano; [26] se vedendo il sole risplendere e la luna chiara avanzare, [27] si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio, [28] anche questo sarebbe stato un delitto da tribunale, perché avrei rinnegato Dio che sta in alto. [29] Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico e ho esultato perché lo colpiva la sventura, [30] io che non ho permesso alla mia lingua di peccare, augurando la sua morte con imprecazioni? [31] Non diceva forse la gente della mia tenda: «A chi non ha dato delle sue carni per saziarsi?». [32] All'aperto non passava la notte lo straniero e al viandante aprivo le mie porte. [33] Non ho nascosto, alla maniera degli uomini, la mia colpa, tenendo celato il mio delitto in petto, [34] come se temessi molto la folla, e il disprezzo delle tribù mi spaventasse, sì da starmene zitto senza uscire di casa. [38] Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono con essa; [39] se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare dalla fame i suoi coltivatori, [40] in luogo di frumento, getti spine, ed erbaccia al posto dell'orzo. [35] Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario [36] vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema! [37] Il numero dei miei passi gli manifesterei

e mi presenterei a lui come sovrano.

Giobbe - Capitolo 32

III. I DISCORSI DI ELIU Intervento di Eliu

(31,40b) Quando Giobbe ebbe finito di parlare, [1] quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe, perchè egli si riteneva giusto. [2] Allora si accese lo sdegno di Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram. Si accese di sdegno contro Giobbe, perché pretendeva d'aver ragione di fronte a Dio; [3] si accese di sdegno anche contro i suoi tre amici, perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene avessero dichiarato Giobbe colpevole. [4] Però Eliu aveva aspettato, mentre essi parlavano con Giobbe, perché erano più vecchi di lui in età. [5] Quando dunque vide che sulla bocca di questi tre uomini non vi era più alcuna risposta, Eliu si accese di sdegno.

[6] Presa dunque la parola, Eliu, figlio di Barachele il Buzita, disse:

Esordio

Giovane io sono di anni e voi siete gia canuti; per questo ho esitato per rispetto a manifestare a voi il mio sapere. [7] Pensavo: Parlerà l'età e i canuti insegneranno la sapienza. [8] Ma certo essa è un soffio nell'uomo; l'ispirazione dell'Onnipotente lo fa intelligente. [9] Non sono i molti anni a dar la sapienza, né sempre i vecchi distinguono ciò che è giusto. [10] Per questo io oso dire: Ascoltatemi; anch'io esporrò il mio sapere. [11] Ecco, ho atteso le vostre parole, ho teso l'orecchio ai vostri argomenti. Finché andavate in cerca di argomenti [12] su di voi fissai l'attenzione. Ma ecco, nessuno ha potuto convincere Giobbe, nessuno tra di voi risponde ai suoi detti. [13] Non dite: Noi abbiamo trovato la sapienza, ma lo confuti Dio, non l'uomo! [14] Egli non mi ha rivolto parole, e io non gli risponderò con le vostre parole. [15] Sono vinti, non rispondono più, mancano loro le parole. [16] Ho atteso, ma poiché non parlano più, poiché stanno lì senza risposta, [17] voglio anch'io dire la mia parte, anch'io esporrò il mio parere; [18] mi sento infatti pieno di parole, mi preme lo spirito che è dentro di me. [19] Ecco, dentro di me c'è come vino senza sfogo, come vino che squarcia gli otri nuovi. [20] Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò. [21] Non guarderò in faccia ad alcuno, non adulerò nessuno, [22] perché io non so adulare: altrimenti il mio creatore in breve mi eliminerebbe.

Giobbe - Capitolo 33

La presunzione di Giobbe

[1] Ascolta dunque, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l'orecchio. [2] Ecco, io apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato. [3] Il mio cuore dirà sagge parole e le mie labbra parleranno chiaramente. [4] Lo spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell'Onnipotente mi dà vita. [5] Se puoi, rispondimi, prepàrati davanti a me, stà pronto. [6] Ecco, io sono come te di fronte a Dio e anch'io sono stato tratto dal fango: [7] ecco, nulla hai da temere da me, né graverò su di te la mano. [8] Non hai fatto che dire ai miei orecchi e ho ben udito il suono dei tuoi detti: [9] «Puro son io, senza peccato, io sono mondo, non ho colpa; [10] ma egli contro di me trova pretesti e mi stima suo nemico; [11] pone in ceppi i miei piedi e spia tutti i miei passi!». [12] Ecco, in questo ti rispondo: non hai ragione. Dio è infatti più grande dell'uomo. [13] Perché ti lamenti di lui, se non risponde ad ogni tua parola? [14] Dio parla in un modo o in un altro, ma non si fa attenzione. [15] Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio; [16] apre allora l'orecchio degli uomini e con apparizioni li spaventa, [17] per distogliere l'uomo dal male e tenerlo lontano dall'orgoglio, [18] per preservarne l'anima dalla fossa e la sua vita dalla morte violenta. [19] Lo corregge con il dolore nel suo letto e con la tortura continua delle ossa; [20] quando il suo senso ha nausea del pane, il suo appetito del cibo squisito; [21] quando la sua carne si consuma a vista d'occhio e le ossa, che non si vedevano prima, spuntano fuori, [22] quando egli si avvicina alla fossa e la sua vita alla dimora dei morti. [23] Ma se vi è un angelo presso di lui, un protettore solo fra mille, per mostrare all'uomo il suo dovere, [24] abbia pietà di lui e dica: «Scampalo dallo scender nella fossa, ho trovato il riscatto», [25] allora la sua carne sarà più fresca che in gioventù, tornerà ai giorni della sua adolescenza: [26] supplicherà Dio e questi gli userà benevolenza, gli mostrerà il suo volto in giubilo, e renderà all'uomo la sua giustizia. [27] Egli si rivolgerà agli uomini e dirà: «Avevo peccato e violato la giustizia, ma egli non mi ha punito per quel che meritavo; [28] mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce». [29] Ecco, tutto questo fa Dio, due volte, tre volte con l'uomo, [30] per sottrarre l'anima sua dalla fossa e illuminarla con la luce dei viventi. [31] Attendi, Giobbe, ascoltami, taci e io parlerò: [32] ma se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché vorrei darti ragione; [33] se no, tu ascoltami e io ti insegnerò la sapienza.

Giobbe - Capitolo 34

Scacco dei tre saggi nel discolpare Dio

[1] Eliu continuò a dire:

[2] Ascoltate, saggi, le mie parole e voi, sapienti, porgetemi l'orecchio, [3] Perché l'orecchio distingue le parole, come il palato assapora i cibi. [4] Esploriamo noi ciò che è giusto, indaghiamo fra di noi quale sia il bene: [5] poiché Giobbe ha detto: «Io son giusto, ma Dio mi ha tolto il mio diritto; [6] contro il mio diritto passo per menzognero, inguaribile è la mia piaga benché senza colpa». [7] Chi è come Giobbe che beve, come l'acqua, l'insulto, [8] che fa la strada in compagnia dei malfattori, andando con uomini iniqui? [9] Poiché egli ha detto: «Non giova all'uomo essere in buona grazia con Dio». [10] Perciò ascoltatemi, uomini di senno: lungi da Dio l'iniquità e dall'Onnipotente l'ingiustizia! [11] Poiché egli ripaga l'uomo secondo il suo operato e fa trovare ad ognuno secondo la sua condotta. [12] In verità, Dio non agisce da ingiusto e l'Onnipotente non sovverte il diritto! [13] Chi mai gli ha affidato la terra e chi ha disposto il mondo intero? [14] Se egli richiamasse il suo spirito a sè e a sé ritraesse il suo soffio, [15] ogni carne morirebbe all'istante e l'uomo ritornerebbe in polvere. [16] Se hai intelletto, ascolta bene questo, porgi l'orecchio al suono delle mie parole. [17] Può mai governare chi odia il diritto? E tu osi condannare il Gran Giusto? [18] lui che dice ad un re: «Iniquo!» e ai principi: «Malvagi!», [19] lui che non usa parzialità con i potenti e non preferisce al povero il ricco, perché tutti costoro sono opera delle sue mani? [20] In un istante muoiono e nel cuore della notte sono colpiti i potenti e periscono; e senza sforzo rimuove i tiranni, [21] poiché egli tiene gli occhi sulla condotta dell'uomo e vede tutti i suoi passi. [22] Non vi è tenebra, non densa oscurità, dove possano nascondersi i malfattori. [23] Poiché non si pone all'uomo un termine per comparire davanti a Dio in giudizio: [24] egli fiacca i potenti, senza fare inchieste, e colloca altri al loro posto. [25] Poiché conosce le loro opere, li travolge nella notte e sono schiacciati; [26] come malvagi li percuote, li colpisce alla vista di tutti; [27] perché si sono allontanati da lui e di tutte le sue vie non si sono curati, [28] sì da far giungere fino a lui il grido dell'oppresso e fargli udire il lamento dei poveri. [29] Se egli tace, chi lo può condannare? Se vela la faccia, chi lo può vedere? Ma sulle nazioni e sugli individui egli veglia, [30] perché non regni un uomo perverso, perché il popolo non abbia inciampi. [31] Si può dunque dire a Dio: «Porto la pena, senza aver fatto il male; [32] se ho peccato, mostramelo; se ho commesso l'iniquità, non lo farò più»? [33] Forse, secondo le tue idee dovrebbe ricompensare, perché tu rifiuti il suo giudizio? Poiché tu devi scegliere, non io, dì, dunque, quello che sai. [34] Gli uomini di senno mi diranno con l'uomo saggio che mi ascolta: [35] «Giobbe non parla con sapienza e le sue parole sono prive di senno». [36] Bene, Giobbe sia esaminato fino in fondo, per le sue risposte da uomo empio, [37] perché aggiunge al suo peccato la rivolta, in mezzo a noi batte le mani e moltiplica le parole contro Dio.

Giobbe - Capitolo 35

Dio non è indifferente ai casi umani

[1] Eliu riprese a dire:

[2] Ti pare di aver pensato cosa giusta, quando dicesti: «Ho ragione davanti a Dio»? [3] O quando hai detto: «Che te ne importa? Che utilità ne ho dal mio peccato»? [4] Risponderò a te con discorsi e ai tuoi amici insieme con te. [5] Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. [6] Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? [7] Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? [8] Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia! [9] Si grida per la gravità dell'oppressione, si invoca aiuto sotto il braccio dei potenti, [10] ma non si dice: «Dov'è quel Dio che mi ha creato, che concede nella notte canti di gioia; [11] che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo?». [12] Si grida, allora, ma egli non risponde di fronte alla superbia dei malvagi. [13] Certo è falso dire: «Dio non ascolta e l'Onnipotente non presta attenzione»; [14] più ancora quando tu dici che non lo vedi, che la tua causa sta innanzi a lui e tu in lui speri; [15] così pure quando dici che la sua ira non punisce né si cura molto dell'iniquità. [16] Giobbe dunque apre invano la sua bocca e senza cognizione moltiplica le chiacchiere.

Giobbe - Capitolo 36

Il vero senso delle sofferenze di Giobbe

[1] Eliu continuò a dire:

[2] Abbi un pò di pazienza e io te lo dimostrerò, perché in difesa di Dio c'è altro da dire. [3] Prenderò da lontano il mio sapere e renderò giustizia al mio creatore, [4] poiché non è certo menzogna il mio parlare: un uomo di perfetta scienza è qui con te. [5] Ecco, Dio è grande e non si ritratta, egli è grande per fermezza di cuore. [6] Non lascia vivere l'iniquo e rende giustizia ai miseri. [7] Non toglie gli occhi dai giusti, li fa sedere sul trono con i re e li esalta per sempre. [8] Se talvolta essi sono avvinti in catene, se sono stretti dai lacci dell'afflizione, [9] fa loro conoscere le opere loro e i loro falli, perché superbi; [10] apre loro gli orecchi per la correzione e ordina che si allontanino dalla iniquità. [11] Se ascoltano e si sottomettono, chiuderanno i loro giorni nel benessere e i loro anni nelle delizie. [12] Ma se non vorranno ascoltare, di morte violenta periranno, spireranno senza neppure saperlo. [13] I perversi di cuore accumulano l'ira; non invocano aiuto, quando Dio li avvince in catene: [14] si spegne in gioventù la loro anima, e la loro vita all'età dei dissoluti. [15] Ma egli libera il povero con l'afflizione, gli apre l'udito con la sventura. [16] Anche te intende sottrarre dal morso dell'angustia: avrai in cambio un luogo ampio, non ristretto e la tua tavola sarà colma di vivande grasse. [17] Ma se colmi la misura con giudizi da empio, giudizio e condanna ti seguiranno. [18] La collera non ti trasporti alla bestemmia, l'abbondanza dell'espiazione non ti faccia fuorviare. [19] Può forse farti uscire dall'angustia il tuo grido, con tutti i tentativi di forza? [20] Non sospirare quella notte, in cui i popoli vanno al loro luogo. [21] Bada di non volgerti all'iniquità, poiché per questo sei stato provato dalla miseria.

Inno alla sapienza onnipotente

[22] Ecco, Dio è sublime nella sua potenza; chi come lui è temibile? [23] Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire o chi mai ha potuto dirgli: «Hai agito male?». [24] Ricordati che devi esaltare la sua opera, che altri uomini hanno cantato. [25] Ogni uomo la contempla, il mortale la mira da lontano. [26] Ecco, Dio è così grande, che non lo comprendiamo: il numero dei suoi anni è incalcolabile. [27] Egli attrae in alto le gocce dell'acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori, [28] che le nubi riversano e grondano sull'uomo in grande quantità. [31] In tal modo sostenta i popoli e offre alimento in abbondanza. [29] Chi inoltre può comprendere la distesa delle nubi, i fragori della sua dimora? [30] Ecco, espande sopra di esso il suo vapore e copre le profondità del mare. [32] Arma le mani di folgori e le scaglia contro il bersaglio. [33] Lo annunzia il suo fragore, riserva d'ira contro l'iniquità.

Giobbe - Capitolo 37

[1] Per questo mi batte forte il cuore e mi balza fuori dal petto. [2] Udite, udite, il rumore della sua voce, il fragore che esce dalla sua bocca. [3] Il lampo si diffonde sotto tutto il cielo e il suo bagliore giunge ai lembi della terra; [4] dietro di esso brontola il tuono, mugghia con il suo fragore maestoso e nulla arresta i fulmini, da quando si è udita la sua voce; [5] mirabilmente tuona Dio con la sua voce opera meraviglie che non comprendiamo! [6] Egli infatti dice alla neve: «Cadi sulla terra» e alle piogge dirotte: «Siate violente». [7] Rinchiude ogni uomo in casa sotto sigillo, perché tutti riconoscano la sua opera. [8] Le fiere si ritirano nei loro ripari e nelle loro tane si accovacciano. [9] Dal mezzogiorno avanza l'uragano e il freddo dal settentrione. [10] Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e la distesa dell'acqua si congela. [11] Carica di umidità le nuvole e le nubi ne diffondono le folgori. [12] Egli le fa vagare dappertutto secondo i suoi ordini, perché eseguiscano quanto comanda loro sul mondo intero. [13] Le manda o per castigo della terra o in segno di bontà. [14] Porgi l'orecchio a questo, Giobbe, soffèrmati e considera le meraviglie di Dio. [15] Sai tu come Dio le diriga e come la sua nube produca il lampo? [16] Conosci tu come la nube si libri in aria, i prodigi di colui che tutto sa? [17] Come le tue vesti siano calde quando non soffia l'austro e la terra riposa? [18] Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso? [19] Insegnaci che cosa dobbiamo dirgli. Noi non parleremo per l'oscurità. [20] Gli si può forse ordinare: «Parlerò io?». O un uomo può dire che è sopraffatto? [21] Ora diventa invisibile la luce, oscurata in mezzo alle nubi: ma tira il vento e le spazza via. [22] Dal nord giunge un aureo chiarore, intorno a Dio è tremenda maestà. [23] L}Onnipotente noi non lo possiamo raggiungere, sublime in potenza e rettitudine e grande per giustizia: egli non ha da rispondere. [24] Perciò gli uomini lo temono: a lui la venerazione di tutti i saggi di mente.

Giobbe - Capitolo 38

IV. I DISCORSI DI IAHVE PRIMO DISCORSO La sapienza creatrice confonde Giobbe

[1] Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:

[2] Chi è costui che oscura il consiglio con parole insipienti? [3] Cingiti i fianchi come un prode, io t'interrogherò e tu mi istruirai. [4] Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! [5] Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la misura? [6] Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, [7] mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio? [8] Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno, [9] quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta? [10] Poi gli ho fissato un limite e gli ho messo chiavistello e porte [11] e ho detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde». [12] Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, [13] perché essa afferri i lembi della terra e ne scuota i malvagi? [14] Si trasforma come creta da sigillo e si colora come un vestito. [15] E' sottratta ai malvagi la loro luce ed è spezzato il braccio che si alza a colpire. [16] Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato? [17] Ti sono state indicate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra funerea? [18] Hai tu considerato le distese della terra? Dillo, se sai tutto questo! [19] Per quale via si va dove abita la luce e dove hanno dimora le tenebre [20] perché tu le conduca al loro dominio o almeno tu sappia avviarle verso la loro casa? [21] Certo, tu lo sai, perché allora eri nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! [22] Sei mai giunto ai serbatoi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine, [23] che io riserbo per il tempo della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia? [24] Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d'oriente sulla terra? [25] Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una strada alla nube tonante, [26] per far piovere sopra una terra senza uomini, su un deserto dove non c'è nessuno, [27] per dissetare regioni desolate e squallide e far germogliare erbe nella steppa? [28] Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada? [29] Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina del cielo chi l'ha generata? [30] Come pietra le acque induriscono e la faccia dell'abisso si raggela. [31] Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione? [32] Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli? [33] Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra? [34] Puoi tu alzare la voce fino alle nubi e farti coprire da un rovescio di acqua? [35] Scagli tu i fulmini e partono dicendoti: «Eccoci!»? [36] Chi ha elargito all'ibis la sapienza o chi ha dato al gallo intelligenza? [37] Chi può con sapienza calcolare le nubi e chi riversa gli otri del cielo, [38] quando si fonde la polvere in una massa e le zolle si attaccano insieme? [39] Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini, [40] quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie? [41] Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?

Giobbe - Capitolo 39

[1] Sai tu quando figliano le camozze e assisti al parto delle cerve? [2] Conti tu i mesi della loro gravidanza e sai tu quando devono figliare? [3] Si curvano e depongono i figli, metton fine alle loro doglie. [4] Robusti sono i loro figli, crescono in campagna, partono e non tornano più da esse. [5] Chi lascia libero l'asino selvatico e chi scioglie i legami dell'ònagro, [6] al quale ho dato la steppa per casa e per dimora la terra salmastra? [7] Del fracasso della città se ne ride e gli urli dei guardiani non ode. [8] Gira per le montagne, sua pastura, e va in cerca di quanto è verde. [9] Il bufalo si lascerà piegare a servirti o a passar la notte presso la tua greppia? [10] Potrai legarlo con la corda per fare il solco o fargli erpicare le valli dietro a te? [11] Ti fiderai di lui, perché la sua forza è grande e a lui affiderai le tue fatiche? [12] Conterai su di lui, che torni e raduni la tua messe sulla tua aia? [13] L'ala dello struzzo batte festante, ma è forse penna e piuma di cicogna? [14] Abbandona infatti alla terra le uova e sulla polvere le lascia riscaldare. [15] Dimentica che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle. [16] Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, della sua inutile fatica non si affanna, [17] perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha dato in sorte discernimento. [18] Ma quando giunge il saettatore, fugge agitando le ali: si beffa del cavallo e del suo cavaliere. [19] Puoi tu dare la forza al cavallo e vestire di fremiti il suo collo? [20] Lo fai tu sbuffare come un fumaiolo? Il suo alto nitrito incute spavento. [21] Scalpita nella valle giulivo e con impeto va incontro alle armi. [22] Sprezza la paura, non teme, né retrocede davanti alla spada. [23] Su di lui risuona la faretra, il luccicar della lancia e del dardo. [24] Strepitando, fremendo, divora lo spazio e al suono della tromba più non si tiene. [25] Al primo squillo grida: «Aah!...» e da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi, il fragor della mischia. [26] Forse per il tuo senno si alza in volo lo sparviero e spiega le ali verso il sud? [27] O al tuo comando l'aquila s'innalza e pone il suo nido sulle alture? [28] Abita le rocce e passa la notte sui denti di rupe o sui picchi. [29] Di lassù spia la preda, lontano scrutano i suoi occhi. [30] I suoi aquilotti succhiano il sangue e dove sono cadaveri, là essa si trova.

Giobbe - Capitolo 40

[1] Il Signore riprese e disse a Giobbe: [2] Il censore vorrà ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda! [3] Giobbe rivolto al Signore disse: [4] Ecco, sono ben meschino: che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. [5] Ho parlato una volta, ma non replicherò. ho parlato due volte, ma non continuerò.

SECONDO DISCORSO Dio controlla le forze del male

[6] Allora il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine e disse: [7] Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai. [8] Oseresti proprio cancellare il mio guidizio e farmi torto per avere tu ragione? [9] Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? [10] Ornati pure di maestà e di sublimità, rivestiti di splendore e di gloria; [11] diffondi i furori della tua collera, mira ogni superbo e abbattilo, [12] mira ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; [13] nascondili nella polvere tutti insieme, rinchiudili nella polvere tutti insieme, [14] anch'io ti loderò, perché hai trionfato con la destra.

Le bestie

[15] Ecco, l'ippopotamo, che io ho creato al pari di te, mangia l'erba come il bue. [16] Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre. [17] Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, [18] le sue vertebre, tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro. [19] Esso è la prima delle opere di Dio; il suo creatore lo ha fornito di difesa. [20] I monti gli offrono i loro prodotti e là tutte le bestie della campagna si trastullano. [21] Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto della palude. [22] Lo ricoprono d'ombra i loti selvatici, lo circondano i salici del torrente. [23] Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema, è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca. [24] Chi potrà afferarlo per gli occhi, prenderlo con lacci e forargli le narici?

Leviatan

[25] Puoi tu pescare il Leviatan con l'amo e tener ferma la sua lingua con una corda, [26] ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino? [27] Ti farà forse molte suppliche e ti rivolgerà dolci parole? [28] Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre? [29] Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue fanciulle? [30] Lo metteranno in vendita le compagnie di pesca, se lo divideranno i commercianti? [31] Crivellerai di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa? [32] Metti su di lui la mano: al ricordo della lotta, non rimproverai!

Giobbe - Capitolo 41

[1] Ecco, la tua speranza è fallita, al solo vederlo uno stramazza. [2] Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo e chi mai potrà star saldo di fronte a lui? [3] Chi mai lo ha assalito e si è salvato? Nessuno sotto tutto il cielo. [4] Non tacerò la forza delle sue membra: in fatto di forza non ha pari. [5] Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di pelle e nella sua doppia corazza chi può penetrare? [6] Le porte della sua bocca chi mai ha aperto? Intorno ai suoi denti è il terrore! [7] Il suo dorso è a lamine di scudi, saldate con stretto suggello; [8] l'una con l'altra si toccano, sì che aria fra di esse non passa: [9] ognuna aderisce alla vicina, sono compatte e non possono separarsi. [10] Il suo starnuto irradia luce e i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora. [11] Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco. [12] Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. [13] Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. [14] Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura. [15] Le giogaie della sua carne son ben compatte, sono ben salde su di lui, non si muovono. [16] Il suo cuore è duro come pietra, duro come la pietra inferiore della macina. [17] Quando si alza, si spaventano i forti e per il terrore restano smarriti. [18] La spada che lo raggiunge non vi si infigge, né lancia, né freccia né giavellotto; [19] stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. [20] Non lo mette in fuga la freccia, in pula si cambian per lui le pietre della fionda. [21] Come stoppia stima una mazza e si fa beffe del vibrare dell'asta. [22] Al disotto ha cocci acuti e striscia come erpice sul molle terreno. [23] Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti. [24] Dietro a sé produce una bianca scia e l'abisso appare canuto. [25] Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. [26] Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le fiere più superbe.

Giobbe - Capitolo 42

Ultima risposta di Giobbe

[1] Allora Giobbe rispose al Signore e disse:

[2] Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. [3] Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo. [4] «Ascoltami e io parlerò, io t'interrogherò e tu istruiscimi». [5] Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. [6] Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere.

V. EPILOGO Iahve biasima i tre saggi

[7] Dopo che il Signore aveva rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz il Temanita: «La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. [8] Prendete dunque sette vitelli e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi; il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinchè io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe».

[9] Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita andarono e fecero come loro aveva detto il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe.

Dio reintegra la fortuna di Giobbe

[10] Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amici; accrebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto. [11] Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo e mangiarono pane in casa sua e lo commiserarono e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui e gli regalarono ognuno una piastra e un anello d'oro.

[12] Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima ed egli possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. [13] Ebbe anche sette figli e tre figlie. [14] A una mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Fiala di stibio. [15] In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli.

[16] Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni. [17] Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.